Questa piccola storiella è ispirata al classico “Christmas
Carol”, ovviamente con qualche piccola modifica personalizzata. Spero che
vi piaccia. E’ una storia senza alcune pretese, scritta solo per passare
il tempo e per cercare di fare qualcosa di originale. Se il Natale, anche se
passato, vi fa sentire più buoni, lasciate un commentino! ^_-
Enjoy!
L’ultima
possibilità per vivere felice
La neve aveva cominciato a cader giù
leggiadra, come se stesse danzando nel cielo per poi posarsi elegantemente sul
manto bianco che aveva ricoperto le strade e le macchine.
Filippo si voltò su un
lato e si strinse nelle coperte, poggiando la testa sul braccio muscoloso.
Osservò la neve scendere aggraziata oltre i vetri della finestra, i
candidi fiocchi sembravano illuminare la buia stanza. Da che ricordava quella
stanza era sempre stata buia.
I raggi del sole penetravano
solitamente quando la mattina, la cameriera, decideva di aprire la finestra per
far entrare un po’ d’aria fresca, ma solo quando Filippo non
c’era, ovvero tutte le mattine.
Appena rientrava doveva trovare
la finestra chiusa e la tapparella abbassata, la camera completamente immersa
nella sua oscurità. Non voleva che la luce del sole gli facesse rendere
conto delle grandi dimensioni della stanza da letto. Avrebbe solo evidenziato
la solitudine alla quale lui era stato condannato. O forse era meglio dire alla
quale di si era autocondannato… da solo.
Quella sera aveva deciso di
alzare la tapparella per godere lo spettacolo della strada innevata. Fin da
piccolo aveva sempre amato il Natale con la neve, gli donava quella sensazione
di magia, caratteristica del Natale.
Era la notte tra il 24 e 25
dicembre e Filippo era steso nel suo letto, con le calde coperte che gli
riscaldavano il corpo, nella sua enorme casa regnava il silenzio. Da un
po’ stava osservando la casa di fronte, o meglio, ciò che
succedeva al di là della finestra, con un nodo allo stomaco, mentre il
bambino accanto all’albero rideva e abbracciava di slancio il padre, che
gli accarezzava i capelli. Era invidia quella che sentiva dentro, quella che
gli mordeva lo stomaco come una belva affamata. Invidia per quel bambino che aveva
ricevuto per Natale ciò che più desiderava, invidia per
l’amoroso e semplice gesto del padre, quello di accarezzargli i capelli.
Invidia per il sorriso della madre del bambino che dominava il suo volto
luminoso, e quello sguardo che guardava il figlio con orgoglio. Invidia per
quella piccola famiglia riunita intorno all’albero di Natale e che
scartava i regali, sempre con il sorriso sui volti. Invidia per quello che lui
e i suoi genitori avrebbero potuto essere, ma che invece non erano stati.
I suoi Natali era stati ben
diversi da quelli del bambino della finestra di fronte. Il primo Natale che
ricordava nitidamente era quello a 8 anni. Era chiuso in camera sua, seduto
alla scrivania, e scarabocchiava su un foglio il volto di Babbo Natale, mentre
canticchiava una canzoncina natalizia che stava trasmettendo la radio. I suoi
genitori non c’erano, erano andati a trascorrere il Natale insieme a
degli amici, come ogni anno, e avevano lasciato Filippo con la nonna, come ogni
anno. Nella testa del bambino risuonavano ancora le parole “Babbo Natale
non esiste! Come fai ad essere così scemo da crederci ancora?”,
dette da un suo amico il giorno prima. Filippo non voleva crederci. Ma non
fraintendiamo. Lui non vedeva Babbo Natale come un anziano signore buono che
portava tanti doni ai bambini, per lui era un vecchio egoista e ingiusto che
portava tanti doni agli altri bambini, ma a lui no. Ogni Natale riceveva sempre
lo stesso giocattolo: un piccolo robot smontabile. Lui odiava Babbo Natale.
Ciò che riceveva non era mai la stessa cosa che chiedeva nella
letterina, nonostante si sforzasse di chiedergliela in modo gentile. Per
l’intero anno cercava di comportarsi come un bravo bambino per ricevere i
regali da Babbo Natale, ma alla fine si ritrovava sempre con lo stesso robot in
mano.
Non voleva credere che Babbo
Natale non esistesse perché ciò avrebbe significato che non era
Babbo Natale il vecchio egoista e ingiusto, bensì i suoi genitori. Non
che lui amasse i suoi genitori. Ma viveva nella speranza che un giorno si
potessero accorgere di lui, della sua esistenza.
Aveva preso il foglio e,
strappatolo con violenza, l’aveva gettato per terra. Poi era corso in
cucina per chiedere alla nonna se Babbo Natale esistesse veramente e lei,
guardandolo come se avesse parlato una lingua diversa, gli rispose “Ma
che scemenze dici? Non esiste nessun Babbo Natale! Chi te le mette in testa
certe idiozie? Ora, per favore, va’ in camera tua e mettiti a dormire,
già mi secca venire qui ogni Natale per badare a te”. Filippo era
rimasto in silenzio e si era allontanato. Si era avvicinato all’albero e
aveva preso il pacchetto con su scritto il suo nome. Lo aveva aperto e ci aveva
trovato l’immancabile robot, che aveva lanciato con uno scatto di rabbia
tra le fiamme nel camino.
Quella notte, mentre i genitori
di Filippo tornavano a casa, probabilmente erano ubriachi, fecero un incidente
in cui entrambi persero la vita. Per Filippo non cambiò nulla.
L’unica differenza era che la colazione, il pranzo e la cena glieli
preparava la nonna anziché la mamma.
Nella sua vita non aveva mai
avuto un amico. Era sempre stato solo. A scuola era sempre stato un bulletto
ammirato da alcuni compagni, ma non aveva mai avuto un vero amico. Aveva un
pessimo carattere. Scorbutico, arrogante, freddo. Tutte le persone che avevano
provato ad avvicinarsi a lui erano sempre state allontanate malamente.
Ricordava che alle medie
c’era una ragazzina, non aveva presente il suo nome, che chiamava
“cicciosa brufolosa”. Un giorno scoprì che lei era
innamorata di lui, gliel’aveva detto un’amica di “cicciosa
brufolosa”, e ricordò che lui approfittava di ogni momento per
deriderla, per prenderla in giro, per farla sentire inferiore a lui. Non sapeva
il perché, ma voleva farle del male, voleva ferirla. “Come puoi
sperare che io possa mettermi con te? Mi vergognerei a farmi vedere in giro con
una ragazza così, ammesso che così ti si possa chiamare” le
aveva urlato un giorno per strada, mentre tornavano a casa dopo la scuola. Lei
era corsa via piangendo, dopo aver visto che tutti i ragazzi presenti erano
scoppiati a ridere. Da quel giorno “cicciosa brufolosa” non lo
aveva mai più guardato, non gli aveva mai più rivolto la parola,
lo aveva ignorato, facendo finta che non esistesse. Questo suo comportamento
ferì profondamente Filippo, poiché era lo stesso comportamento
che i genitori avevano avuto con lui.
Quando Filippo aveva 15 anni la
nonna morì e lui fu mandato in un orfanotrofio, perché non aveva
nessuno che poteva o voleva prendersi cura di lui. Così trascorse tre
lunghi anni lì dentro, e il suo carattere divenne ancora più
negativo.
A 24 anni si laureò come
avvocato e il lavoro cominciò ad assorbire la sua vita. Dopo un
po’ non vedeva altro che il lavoro. Ogni settimana aveva una relazione
diversa, ma tutte finivano dopo poco tempo perché lui si stancava della
ragazza con cui stava e ne cercava sempre un’altra. Non gli importava che
così facendo ferisse le ragazze con cui stava, non gli importava nulla
dei sentimenti altrui. Vedeva solo se stesso. Non esisteva altri che lui. Gli
altri facevano da contorno alla sua vita, servivano solo per renderla meno
monotona. Nel campo lavorativo eccelleva, nel campo sentimentale scadeva.
L’ultima relazione risaliva all’anno precedente.
- Mi devi
una spiegazione – gli aveva detto con tono duro dopo che lui le avesse
comunicato che tra di loro era finita.
- E invece no. Sono padrone di fare
quello che voglio, con chi voglio – le aveva risposto lui senza pentirsi
dopo aver osservato lo sguardo ferito e la smorfia di dolore comparsi sul volto
della ragazza. Dopo un attimo di silenzio, quest’ultima ribattè:
- Potrai fare quello che vuoi, ma
non puoi disporre della vita degli altri. Siamo stati insieme, e…
- Noi non siamo mai stati insieme,
lo vuoi capire o no? – la interruppe Filippo alzando il tono della voce
– Sei stata solo un’avventura, una delle tante, non ho mai provato
niente per te. Per cui evita ogni tipo di paternale e lagne varie.
Erika era rimasta immobile e gli
occhi avevano cominciato a riempirsi di lacrime, ma non voleva cedere. Lui non
doveva vederla in quello stato… e per chi poi? Per un uomo che non aveva
un minimo di rispetto per lei? Così replicò impassibile
stringendo i pungi:
- Sei solo un bastardo. Un fallito.
Un vigliacco. Ti è piaciuto corteggiarmi, venire al letto con me, vero? Bè,
allora, sai che ti dico? Ricorda tutti i momenti che abbiamo trascorso insieme,
perché ora che hai perso anche me, resterai completamente solo. Ora
capisco perché non hai amici e non hai mai avuto un rapporto fisso con
una ragazza. Sei una bestia. E sei condannato a rimanere solo per tutta la
vita.
Con la rabbia che le ardeva in
corpo si voltò, asciugando bruscamente la lacrima che le aveva solcato
la guancia, decisa a non piangere per un tale imbecille.
- Io non sono solo! – le aveva
urlato Filippo mentre lei diventava sempre più piccola man mano che la
distanza tra di loro aumentava.
- Non sono solo – aveva
mormorato infine.
Quanto avrebbe voluto che fosse
così. Per trent’anni aveva vissuto nella convinzione di essere nel
giusto. Purtroppo aveva capito troppo tardi che si era comportato male con
tutti coloro che avevano tentato si instaurare un rapporto con lui. Chiuso nel
suo piccolo mondo, in cui esisteva solo lui e nessun altro, aveva lasciato che
la vita intorno a lui girasse senza che si accorgesse della sua esistenza.
Aveva continuamente odiato il comportamento dei genitori che lo avevano sempre
ignorato, ma alla fine lui aveva fatto in modo che il mondo lo ignorasse. E la
cosa che faceva più male era che nessuno sentiva il bisogno della sua
presenza per vivere meglio, oppure solo per avere un’altra persona con
cui parlare, o semplicemente solo per dedicare un sorriso ad una persona in più. Camminava per la
strada sentendosi solo, anche se magari intorno a lui ci fossero mille persone.
Nessuno sembrava che fosse catturato dal suo sguardo, o dalla sua presenza, si
sentiva invisibile e silenzioso. Inizialmente non gli importava nulla, ma col
passare del tempo sentiva il peso della solitudine appesantirsi sulle spalle e
avrebbe tanto voluto dividere quel fardello con qualcuno. Ma ormai era troppo
tardi. Troppo tardi per ricucire dei rapporti con tutte le persone di passaggio
nella sua vita, prima solo comparse, ora fondamentali perché lui potesse
vivere in pace con se stesso e col mondo. Troppo tardi per chiedere perdono per
il suo comportamento insensibile e distaccato. Chiedere perdono per tutto il
male che aveva fatto alle persona, spesso inconsapevolmente, ma altrettanto
spesso di proposito. Ricordava quanto godeva quando vedeva la gente soffrire,
piangere, disperarsi, urlare… forse perché così si sentiva
in compagnia, non era l’unico ad avere motivi per cui soffrire. Adesso
veniva divorato dai rimorsi per essere stato così cattivo. Gli
dispiaceva solo di non averlo capito prima, di aver avuto bisogno di restare
nella più totale solitudine per comprendere quanto male aveva fatto e
quanto aveva sbagliato.
Prese dal comodino un biglietto
rosso, con l’immagine di Babbo Natale che sbuca dalla ghirlanda con il
suo faccione paffuto sorridente e il naso paonazzo. “Un Natale speciale
insieme a tutti i vecchi compagni delle medie per ricordare i vecchi tempi! Ci
vediamo il 25, mi raccomando, non mancare!”, c’era scritto sotto la
ghirlanda. Un suo vecchio compagno delle medie, Enrico, aveva organizzato a casa
sua una festa di Natale in cui aveva invitato tutti i vecchi amici di classe.
Ma Filippo sapeva che lui non era il benvenuto. Qualche giorno prima aveva
incontrato Enrico al supermercato e lui gli aveva dato l’invito
dicendogli “Non sei obbligato a venire. Anzi…” lasciando la
frase in sospesa facendo intendere “Se non vieni è meglio. Ci
divertiamo di più” e si era diretto alla cassa per pagare tutto il
necessario per organizzare la festa e per poter cucinare il cenone.
In realtà Filippo non
aveva alcuna voglia di andarci. Non avrebbe sopportato di sentirsi ignorato
anche lì, era già abbastanza ciò che doveva sopportare
ogni giorno. E poi con che coraggio avrebbe guardato di nuovo in faccia
“cicciosa brufolosa”? No, doveva smetterla di chiamarla
così. Aveva un nome… ma quale?
Una vocina dentro di sé
gli consigliava di andarci, sarebbe stata l’occasione migliore per poter
chiedere scusa a tutti quanti e magari per poter instaurare dei rapporti
d’amicizia. Un’altra vocina gli diceva che era meglio di no, perché
nessuno avrebbe accettato le sue scuse, magari lo avrebbero anche deriso, come
lui aveva fatto con loro tempo prima, e per tutta la serata lo avrebbero
ignorato. E lui sarebbe stato appartato in un angolo, ad osservare la gente che
rideva e si divertiva, ricordando i vecchi tempi, gli scherzi, le
interrogazioni in cui ci si suggeriva a vicenda… no, non ci sarebbe
andato.
Poggiò il bigliettino sul
comodino, quando all’improvviso la finestra si spalancò. Filippo
si mise a sedere di scatto, osservando stupito un vortice di vento e fiocchi di
neve che entravano dalla finestra e volteggiavano al centro della sua stanza,
emanando una luce bianca soffusa che gli illuminava il volto. Piano piano
questo vortice assunse le sembianze di una donna. Una splendida donna che gli
sorrideva. Aveva un lungo vestito bianco con uno strascico che poggiava
candidamente sul pavimento della stanza, e dei boccoli biondi che le
incorniciavano il viso con dolcezza, accentuando i lineamenti semplici ma allo
stesso tempo affascinanti del suo viso roseo. Il vestito le lasciava le braccia
scoperte, mostrando una pelle liscia e morbida, mentre un alone bianco
circondava la sua figura.
- Filippo… - mormorò
con voce chiara e soffice. L’uomo la guardava con espressione stupefatta
ma al contempo incantato da tale bellezza.
- C-Come fai a conoscere il mio
nome? Chi sei? – le chiese dopo un attimo di smarrimento al quale lo
aveva costretto il sentire la sua voce delicata.
- Vieni con me – gli rispose
la donna sempre con lo stesso sorriso che le illuminava il volto.
- Dove?
- A far visita ai tuoi Natali.
Filippo aggrottò la fronte
e chiese curioso - Perché?
-
Voglio che tu capisca una cosa – disse avvicinandosi al suo letto
e porgendogli la mano. Lui osservò diffidente le lunghe dita affusolate,
e notò intorno all’anulare un sottile anello di oro con un
diamante bianco incastonato. Osservò quell’oggetto ammaliato e la
sua mente si mise alla ricerca del motivo per il quale quell’anello gli
sembrasse così familiare. Provava una cosa strana. Sapeva
quell’anello era legato alla sua vita, ma non capiva se fosse legato al
suo passato o al suo futuro. Non aveva mai provato una sensazione del genere.
Ma fu come se quell’oggetto gli trasmettesse fiducia e capì che
doveva fare come gli era stato chiesto, così prese la mano della donna e
si alzò. Nel toccare quella mano avvertì un certo calore
riscaldargli il petto e inspirò profondamente, come se fosse tornato a
respirare dopo una vita senza ossigeno.
In quel momento la sua stanza
cominciò a scomparire, come se fosse lentamente inghiottita dall’oscurità.
Per qualche istante lo circondò il buio, ma sentiva la mano della donna
accanto a lui stretta nella sua e questo lo confortava. Al suo fianco si
sentiva sicuro e tranquillo. Sensazione che non provava ormai da troppo tempo.
In quel momento cominciò ad apparire davanti ai suoi occhi nuovamente la
sua stanza, ma c’era qualcosa di strano. Erano di fronte al suo letto, ma
le coperte non erano sfatte e una
luce giallognola proveniva dalle sue spalle.
- Non lasciare mai la mia mano
– gli sussurrò la donna e Filippo annuì contento. Era
l’ultima cosa al mondo che avrebbe voluto fare. Si voltò insieme a
quell’“angelo bianco” che lo affiancava e si ritrovò
ad osservare se stesso seduto alla scrivania, immerso nelle carte, con il lume
acceso che illuminava solo la superficie del tavolo. Quella scena gli
riportò alla mente il Natale dell’anno precedente. Aveva trascorso
tutto il giorno seduto a quella scrivania, dedicandosi ininterrottamente alle
carte che riguardavano un caso di cui si stava curando in quel periodo.
- Perché siamo qui? –
chiese Filippo voltandosi verso la donna corrugando la fronte con fare
interrogativo.
- Voglio mostrarti quanto il tuo
comportamento ha avuto, ha ed avrà importanza nel condizionare la tua
vita.
- Mi stai dicendo che…
-
Questo è il tuo Natale dell’anno passato – gli disse
guardandolo con sguardo penetrante, ma Filippo non vi trovò nessuna
traccia di accusa o di rimprovero. Tornò a guardare se stesso che scriveva
freneticamente qualcosa, ma ad un certo punto si fermò e fece cadere la
testa con un tonfo sulla scrivania. Filippo ricordò che in quel momento
stava ripensando alle parole di Erika che gli aveva detto quel giorno stesso.
- Io sono solo –
mormorò il Filippo-passato e lentamente, come era accaduto prima, la
luce della stanza si affievolì, fino a che non rimasero entrambi, di
nuovo, immersi nell’oscurità. Trascorsero pochi secondi, poi di
nuovo la stanza di Filippo venne illuminata e loro si trovarono sempre davanti
al suo letto. Il ragazzo era seduto davanti alla finestra e osservava
ciò che stava accadendo nella casa di fronte, la casa del bambino
felice. In mano aveva l’invito di Enrico.
- Questo è ciò che
farò domani… il mio Natale presente – disse il ragazzo voltandosi
verso la donna che annuì - E’ ciò che succederà se
rimarrai della decisione che non vuoi festeggiare il Natale insieme ai tuoi
vecchi amici – gli rispose.
- Non sono miei amici –
ribattè Filippo – Non lo sono mai stati a sarei di peso se andassi
da loro.
-
Questo lo pensi tu.
Filippo rimase in silenzio ad
osservare se stesso che guardava il bigliettino – Chissà come si
stanno divertendo – mormorò il Filippo-presente e, dopo aver
accennato ad un sorriso, forse immaginando i vecchi compagni che si
divertivano, strappò il bigliettino lentamente e lanciò i pezzi
tra le fiamme nel camino, mormorando – Non fa per me.
La stanza cominciò a
rabbuiarsi e poco dopo riapparve. Questa volta Filippo era seduto sulla
poltrona di fronte al camino e guardava con sguardo vuoto le fiamme che
bruciavano la legna. In mano aveva un bicchiere di vino mezzo vuoto che ogni
tanto si portava alle labbra per bere un goccio. Filippo notò dai suoi
lineamenti e dai suoi capelli che doveva avere intorno alla cinquantina
d’anni. Aveva qualche ciocca di capelli brizzolata e sul viso si potevano
notare delle rughe, la pelle meno liscia, aveva delle grosse borse sotto gli
occhi che accentuavano un’aria stanca e malinconica. Ma nonostante tutto
aveva mantenuto il fascino da uomo maturo grazie al quale aveva conquistato
molte ragazze di cui però si era disfatto facilmente, senza nessun
riguardo verso i loro sentimenti. La stanza era come sempre buia, illuminata
fiocamente dalla luce che emanavano le fiamme.
- Ti piace quello che vedi? –
chiese la donna a Filippo guardandolo seriamente. L’uomo la guardò
per un momento senza sapere cosa rispondere. O meglio, sapeva cosa rispondere,
ma non sapeva se era quello che voleva dire.
- No – ammise infine –
Ma non posso fare niente. Ormai sono solo. E solo rimarrò.
- Ti sbagli – ribattè
la donna – Non resterai solo se non vorrai farlo. Dipende solo da te.
- E allora cosa dovrei fare? Non
posso mica costringere la gente ad essermi amica, se non vuole!
E ti
assicuro che nessuno lo vuole. Non sapendo come mi sono comportato in passato e
chi
sono.
- Tu adesso sei cambiato. Non sei
più quello di prima, e la gente lo capisce.
- Sarò anche cambiato,
ma non sono abituato ad avere rapporti con la gente. All’inizio forse
sarò
diverso,
ma piano piano tornerò ad essere la persona scorbutica e fredda che sono
stato.
- Te l’ho già detto.
Dipende tutto da te. Se tu vorrai essere gentile con le persone, lo sarai. Tu
solo
puoi
gestire la tua vita e il tuo carattere. Ora dimmi: vuoi passare il resto della
tua vita seduto ad
una
poltrona a bere vino a rimpiangerti addosso? Oppure vuoi una vita normale, vuoi
degli
amici, una
ragazza, una moglie, una famiglia? Vuoi continuare ad essere ignorato oppure
vuoi
contare
qualcosa per qualcuno? Vuoi che il telefono squilli perché un amico ha
bisogno dei tuoi
consigli? Vuoi
andare in giro per negozi a cercare un regalo che tua moglie desidera tanto?
Vuoi
essere il
padre che il tuo non ha saputo essere?
Gli chiese la donna con tono
calmo. Filippo la guardò a lungo ripensando a ciò che aveva
detto. Non aveva mai visto la sua vita sotto quel punto di vista. Non aveva mai
voluto vederla sotto quel punto di
vista. Ma adesso che gli era stata sbattuta in faccia non poteva non pensarci.
No, non voleva passare il resto della sua vita solo come un cane, nella sua
buia stanza, con un bicchiere di vino in mano, o seduto alla scrivania tutto il
giorno, anche nei giorni festivi, a lavorare.
- Domani vai a quella festa –
continuò la donna con un tono talmente dolce che quasi sembrava una
supplica – Sarà la tua ultima possibilità per vivere
felice.
Filippo la guardò senza
dire niente, quando lei cominciò a perdere consistenza, come se si
stesse dissolvendo, e insieme alla donna stava scomparendo la sua stanza.
L’uomo fu colto da un attacco di panico sentendo la mano della donna
scomparire sotto la sua e per un attimo rimase solo nella più totale
oscurità. Questo momento durò più degli altri e Filippo cominciò
a camminare prima lentamente, poi più velocemente, mettendo le mai
davanti per paura di sbattere contro qualcosa, ma non c’era niente
intorno a lui. Si voltò di scatto col panico che gli cresceva dentro e
continuò a camminare in diverse direzioni, alla ricerca di una via
d’uscita, quando urtò contro qualcosa e la luce cominciò ad
illuminare la sua stanza. Filippo si rese conto di trovarsi di nuovo nella sua
camera da letto, le coperte sfatte, il lume sul comodino acceso e
l’invito alla festa accanto alla sveglia. Era tornato nella sua stanza,
quella che aveva abbandonato prima di viaggiare nel tempo. Si sedette sul
materasso massaggiandosi lo stinco che aveva urtato all’asse del letto e
si stese sotto le coperte. Si sentiva solo più che mai. Quella donna lo
aveva abbandonato lasciando in lui enorme vuoto. Si guardò intorno e si
accorse di temere l’oscurità, dopo quegli attimi trascorsi nel
buio. Si alzò e accese tutti lumi presenti nella camera, fino a che non
venne illuminata tutta… accidenti, era proprio grande! Non ricordava di
avere due divanetti in un angolo separati da un piccolo tavolino tondo, o delle
grandi mensole su cui era poggiata una miriade di libri che non ricordava di
aver mai comprato. C’erano molte cose che non ricordava di quella stanza.
Tornò nel suo letto e in quel momento prese la sua decisione.
L’indomani sera sarebbe andato a quella festa. E con un leggero sorriso
si addormentò.
Si passò una mano tra i
capelli per pettinarli un po’, ma quel ciuffo corvino continuava a
nasconderli un occhio. Dopo vari tentativi decise di abbandonare
quell’ardua impresa e uscì dalla stanza, precipitandosi giù
per le scale. Era già in ritardo. Prese al volo la bottiglia di spumante
incartata che aveva poggiato sul tavolino davanti al divano nell’ingresso
per ricordarsi di portarla e uscì di corsa di casa, infilandosi nella
costosissima macchina e partendo verso casa di Enrico.
Si fermò davanti ad un
piccolo appartamento e spense il motore. Rimase seduto a guardare la palazzina
grigia, chiedendosi se doveva entrare o tornare indietro. Ma nella mente si
formò l’immagine nitida della donna che lo aveva aiutato il giorno
prima a prendere la sua decisione. Non poteva deluderla. Prese il pacco e
uscì dalla macchina, poi si avvicinò al citofono e rispose alla
voce maschile, che gli aveva chiesto chi fosse, “Filippo!”.
Aspettò che il portone si aprisse, cosa che avvenne un po’ dopo di
quanto si aspettasse, e si precipitò su per le scale.
Quando raggiunse il secondo piano
trovò Enrico sulla porta che lo guardava con un misto di stupore e
seccatura. L’uomo decise di non farci caso e gli sorrise.
- Ehm… ciao – lo
salutò – Buon Natale – aggiunse porgendogli il pacco che
conteneva lo spumante. Enrico lo guardò con maggiore stupore, poi
sorrise a sua volta e, prendendo lo spumante, gli rispose – Buon Natale
anche a te.
Lo fece entrare e gli disse:
- Non mi aspettavo che venissi.
- Neanche io – ribattè
Filippo con un sorriso – Mettilo in frigo – aggiunse riferendosi al
pacco che Enrico aveva in mano e quest’ultimo scomparve in cucina.
Filippo rimase
nell’ingresso senza sapere cosa e fare e infilò le mani in tasca.
Sentì delle voci che provenivano dal salone più avanti e delle
risate, ma non sapeva se entrare o aspettare che Enrico lo invitasse.
- Che ci fai lì impalato?
– gli chiese il ragazzo biondo guardandolo con la fronte aggrottata
– La festa è da questa parte.
Filippo lo seguì ed
entrò in una grande stanza al centro della quale c’era una lunga
tavola apparecchiata. Le persone erano sparse qua e là, a chiacchierare
allegramente, quando Enrico si schiarì la gola per attirare
l’attenzione e in un attimo tutti gli sguardi erano proiettati prima su
Enrico, ma subito dopo su Filippo e il chiacchiericcio si spense.
- E’ arrivato anche Filippo.
Tutti lo guardarono stupiti, chiedendosi
cosa fosse venuto a fare e l’uomo sorrise imbarazzato, tendendo sempre le
mani in tasca.
- Ehm… ciao… Buon Natale
a tutti.
Dopo un attimo di silenzio ci fu
qualcuno che rispose allegramente al suo saluto e un ragazzo alto e corpulento
si avvicinò a lui con un largo sorriso sulle labbra e gli diede una
forte pacca sulla spalla che lo fece sbilanciare.
- Ciao, Filì, da quanto
tempo! E chi l’avrebbe detto che ti avremmo incontrato stasera!
Filippo lo guardò
chiedendosi chi fosse, poi gli venne in mente quel ragazzino robusto un
po’ pazzo, estroverso con tutti.
- Ehi, Roberto! Come stai? –
gli chiese, più per circostanza che per interesse. Non sapeva cosa dire
o fare, non si era trovato molto spesso in quelle situazioni così amichevoli.
In un attimo le persone
ricominciarono a chiacchierare come se niente fosse e Roberto tornò alla
sua compagnia, dopo avere scambiato qualche parola con Filippo. Enrico si
allontanò con il cappotto nero di Filippo e questo restò accanto
alla porta che divideva il salotto dal corridoio osservando le persone che
parlavano e ridevano. Proprio come si aspettava. Lo stavano ignorando. Ma,
d’altra parte, cosa poteva pretendere? Guardò l’enorme
albero di Natale che torreggiava in un angolo della stanza e si avvicinò
per poterlo osservare da vicino. Aveva sempre amato gli alberi di Natale.
- Ops… scusami – disse
dopo aver urtato ad una ragazza dai boccoli biondi che gli volgeva le spalle.
Questa si girò di scatto verso di lui e Filippo quasi urlò dalla
sorpresa. Non poteva essere! Come faceva ad essere lì, quella sera…
lei?
- Ciao – lo salutò la
donna con un ghigno. Aveva notato la sorpresa nello sguardo dell’uomo.
- C-Ciao… tu sei… -
cominciò Filippo cercando le parole per dire che era lei la donna che la
notte precedente era entrata nella sua stanza e gli aveva mostrato il Natale
passato, presente e futuro.
- Alessandra – rispose la
ragazza tendendogli la mano. Lui la strinse con lentezza, corrugando la fonte. Quindi
la ragazza della sera precedente si chiamava Alessandra. Ma come aveva fatto ad
entrare in camera sua… a mostrargli quelle cose… aveva creduto che
non fosse reale… che fosse un angelo o qualcosa del genere. Non poteva
essere una sua vecchia compagna di classe! Forse aveva assunto le sembianze di
quella ragazza… sì, sicuramente, non poteva esistere nella vita
reale quella donna. Alessandra, la mano ancora stretta in quella di Filippo,
credeva che lui si stesse sforzando di ricordare chi fosse, così
continuò con tono pungente – “Cicciosa brufolosa”. Ti
ricordi di me?
Filippo sgranò gli occhi.
Che stava succedendo? Troppe sorprese in una volta. Quindi lei era la ragazzina grassottella che aveva sempre preso in
giro… ed era la donna che era entrata in camera sua… accidenti, non
ci stava capendo più nulla.
- “Cicciosa brufolosa”?...
cioè… tu… - cominciò Filippo stringendo ancora la
mano della giovane e lei lo interruppe nuovamente:
- Sì, io. Non te
l’aspettavi, eh? – chiese, poi ritirò la mano dalla stretta
dell’uomo e, dopo avergli tirato un pizzicotto alla guancia, si
allontanò. Filippo la seguì con lo sguardo, ancora stupito dalla
doppia scoperta. Si guardò la mano che poco prima aveva stretto quella
di Alessandra e gli ritornò in mente la sensazione che aveva provato
stringendo la mano dell’ “angelo bianco”… era la stessa
che aveva provato con Alessandra. Si voltò di nuovo verso di lei, che
stava ridendo con un’altra ragazza e per un attimo spostò lo
guardo verso di lui, ma appena si accorse le lui la stesse fissando, lo
distolse immediatamente.
L’uomo pensò che
forse quello era il momento di chiederle scusa per come si era comportato con
lei in passato… sì, doveva farlo. Rimase immobile per qualche
istante, giusto il tempo di pensare a come avrebbe potuto cominciare il
discorso e di raccogliere il coraggio. Accidenti, era davvero così
difficile chiedere perdono a qualcuno? Si avvicinò lentamente alla donna
e, una volta dietro di lei, le chiese:
- Alessandra, scusa, potrei parlarti
un attimo?
La donna si voltò verso di
lui e dopo un momento di smarrimento per averlo trovato così vicino a
lei, annuì e si allontanarono dal gruppo di amici.
- Senti…
- Se stai per dirmi qualcosa per offendermi, ti risparmio la fatica.
Non ce n’è bisogno, grazie – lo interruppe guardandolo con
freddezza. Filippo la guardò senza comprendere, poi capì che si
riferiva appunto a ciò che lui le aveva detto anni prima per offenderla
e cercò di difendersi:
-
No… io… no, non voglio prenderti in giro o offenderti
– Alessandra incrociò le braccia severamente e Filippo
continuò – Voglio solo chiederti scusa – lei lo
guardò con stupore, non aspettandosi una frase del genere – Mi
sono reso conto troppo tardi di essere stato un bastardo con te. Non sto qui a
spiegarti il motivo per cui l’ho fatto, ma… bè, vorrei solo
essere perdonato.
Alessandra lo guardò con
diffidenza, poi sorrise debolmente:
-
Vedremo – e si allontanò. Filippo rimase nuovamente a
guardarla. Proprio non riusciva a toglierle gli occhi di dosso. Poi decise che
doveva chiederle se era lei la donna che era entrata in camera sua la notte
precedente, così la raggiunse e le prese la mano, provando quella
sensazione di calore, la stessa della sera prima.
- Posso farti una domanda? –
le chiese dopo che Alessandra si fosse voltata verso di lui, poi
continuò senza attendere una risposta – Dopo la fine della scuola,
ci siamo più incontrati?
Lei sembrò pensarci un
attimo, poi gli rispose:
- No… non mi sembra.
Perché?
- Ehm… mi sembrava di averti
già vista recentemente.
- No, non credo.
Filippo pensò a cosa
potesse chiederle per verificare ulteriormente che non fosse lei l’
“angelo bianco”, quando gli venne in mente l’anello che lei
aveva al dito e che lo aveva convinto a seguirla. Sollevò la mano che
aveva stretta nella sua per vedere se ce l’avesse al dito, ma oltre ad un
anello al pollice, non aveva nient’altro.
- L’anello, non ce
l’hai? – le chiese credendo che forse l’avesse dimenticato.
Alessandra lo guardò interrogativa chiedendosi cosa gli fosse preso:
- Sì, non lo vedi? –
rispose indicando il pollice.
- No, all’anulare.
- Mai portato.
-
Ragazzi, tutti a tavola! Si mangia! – disse Enrico rivolgendosi a
tutti, che cominciarono a prendere posto. Casualmente Filippo si trovò
seduto accanto ad Alessandra… cioè, per Alessandra era un caso,
per Filippo no, poiché aveva fatto in modo di trovarsi seduto accanto a
lei.
Tutti quanti cominciarono a
mangiare e chiacchierare su qualsiasi argomento, anche il più stupido, e
ogni tanto chiedevano anche l’opinione di Filippo che, al contrario di
ciò che si era aspettato, non si sentiva per niente escluso. Si sentiva
parte di quel gruppo di amici, era una sensazione che non aveva mai provato.
Non poteva fare a meno di sorridere ogni cinque secondi, troppa era la
felicità che provava per non essere ignorato da nessuno, per essere
considerato una persona. Niente di più o niente di meno. Piano piano lui
e Alessandra cominciarono a conversare di qualsiasi cosa, conoscendosi in modo
più approfondito e più il tempo passava e più la ragazza
si accorgeva di quanto Filippo fosse cambiato. Non credeva possibile che una
persona così fredda e negativa potesse subire un cambiamento così
evidente. E Filippo, dal suo canto, più passava il tempo e più si
accorgeva di essere attratto da quella ragazza. Se quando era un ragazzino gli
avessero detto che un giorno si sarebbe innamorato di “cicciosa
brufolosa”, lui gli sarebbe scoppiato a ridere in faccia.
-
Ok, credo di aver parlato abbastanza di me. Che mi dici di te? –
gli chiese Alessandra sorridendo.
- Ehm… non è che ami
molto parlare di me. Non saprei cosa dire.
-
Mmm, che ne so… cosa hai fatto negli ultimi anni, come va il
lavoro, se hai mai avuto una
relazione importante con qualcuno…
cose di questo tipo.
- Non è che la mia vita
ultimamente sia stata così meritevole di essere vissuta. Non
c’è stato alcun
avvenimento di
particolare importanza.
- Dai, non è possibile…
ok, allora ti faccio io delle domande. Sei fidanzato?
L’uomo sorrise debolmente e
fece segno di no con la testa.
- Non lo sono mai stato. Non ero
visto di buon occhio dal gentil sesso – Alessandra sollevò la
testa ed accennò ad un sorriso, intuendo il motivo per il quale le donne
lo rifiutassero – Cioè, ero io che mi comportavo in un modo che mi
facesse risultare antipatico…
In un attimo si ritrovò a
confessare ad Alessandra gli avvenimenti passati, il motivo per cui era
diventato così scontroso, si ritrovò a svelare il rapporto che
aveva avuto, o meglio, che non aveva avuto con i suoi genitori, i tre anni
passati all’orfanotrofio, come il lavoro aveva assorbito la sua vita e
quanto era stato ingiusto con tutte le ragazze con cui aveva avuto una
relazione. Era così facile parlare con lei. Lo ascoltava senza dire
nulla, nessuno sguardo accusatore, nessuna parola pungente. Ogni tanto cambiava
espressione, quando ascoltava in che modo era stato trattato dai suoi genitori
e dalla nonna, quanto era stato difficile per lui andare avanti da solo e come
si era reso conto che tutto ciò che aveva fatto nella vita l’aveva
fatto in modo sbagliato.
- Ehi, voi laggiù! – li
chiamò Enrico dopo aver notato con quanto affiatamento stessero
chiacchierando. Per Filippo fu come se si fosse risvegliato improvvisamente e
si fosse reso conto di essere circondato da altre persone. Si guardò
intorno spaesato, cercando da chi fosse provenuta quella voce, quando si
accorse che Enrico li guardava con un sorrisetto del tutto fraintendibile.
- Vi siete dimenticati che ci siamo
anche noi? – continuò mentre il sorriso si diffondeva anche sui
volti degli altri. Alessandra arrossì leggermente e si infilò un
pezzettino di panettone in bocca, per evitare di rispondere a qualche domanda
imbarazzante che, era certa, sarebbe arrivata poco dopo. Erano passati tanti
anni, ma non erano cambiato molto quando si presentava un’occasione di
quel tipo.
- State progettando le vostre nozze?
– chiese, appunto, Roberto mentre gli altri ridevano. Filippo sorrise e
decise di stare al gioco… forse sarebbe scomparso l’enorme
imbarazzo che stava provando in quel momento e che, come aveva notato, stava
provando anche Alessandra.
- Eh sì. Siete tutti
invitati. Enrico, tu mi farai da testimone.
- Io voglio essere la madrina della
bambina! – intervenne Giuliana alzando un braccio e Giuseppe le rispose:
- Guarda che sarà un maschio.
- No, invece. Sarà una
femminuccia – ribattè Giuliana.
- Perché non metà e
metà? Così magari finite di litigare – si intromise Sandro
sorridendo.
I cinque minuti seguenti
trascorsero litigando sul sesso del bambino. Alessandra si schiarì sonoramente
la gola e il vociare si affievolì, fino a scomparire, così si
ricominciò a chiacchierare degli argomenti lasciati a metà prima
che Enrico li interrompesse.
Filippo si infilò il
cappotto mentre parlava con Roberto. Guardò l’orologio. Le 3 di
notte. Era davvero tardi! Il tempo era volato, era stato veramente bene quella
sera, in compagnia dei vecchi compagni, in compagnia di Alessandra, ma
soprattutto in compagnia.
Si trovavano tutti
nell’ingresso, con i cappotti addosso, pronti ad andarsene, e scambiavano
qualche ultima parola. Alessandra si avvicinò a Filippo per salutarlo e
i due si sorrisero. L’uomo si incantò per un attimo ad ammirare i
suoi lineamenti, perdendosi nei suoi bellissimi occhi blu, e sentì
dentro di lui il desiderio di rivederla il più presto possibile.
- Grazie per la compagnia – le
disse mentre entrambi si avvicinavano per scambiarsi i due baci sulla guancia.
Dei brividi gli attraversarono la schiena quando le loro guance si sfiorarono e
quando sentì l’inebriante profumo della ragazza. Si
allontanò lentamente, ma si fermò a qualche centimetro dal suo
viso.
- Quando ci rivediamo? – le
chiese speranzoso e Alessandra sorrise.
- Presto – gli rispose.
- Sei impegnata domani?
- Domani sì. Ma possiamo
vederci il 27.
Si sorrisero e lei gli fece
l’occhiolino mentre si allontanava. Dopo aver salutato Enrico si
avvicinò nuovamente a Filippo, che non le aveva staccato gli occhi di
dosso per un attimo, e gli disse in un sussurro:
- Sei perdonato.
Filippo stava camminando per strada
mentre la neve si poggiava sui suoi capelli corvini e sulle sue spalle larghe
coperte dal cappotto nero. Si strinse nella sciarpa bianca e affrettò il
passo, sperando che facesse in tempo a raggiungere la gioielleria prima che
chiudesse. La strada era affollata da persone che, come al solito, correvano da
un negozio all’altro per comprare gli ultimi regali di Natale.
Erano passati due anni dal Natale
che aveva determinato il suo cambiamento e Filippo aveva bene in mente il
regalo per Alessandra: le avrebbe chiesto di sposarlo.
Entrò nella gioielleria
dove lavorava Roberto, dopo aver suonato il campanello che trasmetteva la
canzoncina “Jingle Bell”, tipico di Roberto, e si avvicinò
al bancone.
- Ciao, Roby – lo
salutò l’uomo.
- Welà, Filì! Tutto a
posto?
- Sì. Non potrebbe andare
meglio.
- Cosa ci fai in una gioielleria?
-
Non lo immagini, tu che riesci a prevedere il futuro? – gli chiese
sorridendo e in un attimo a Roberto si accese la lampadina.
-
Ti faccio subito vedere gli anelli più belli che ho – gli
disse piegandosi e prendendo un vassoietto in velluto nero sul quale era
poggiato un cuscinetto in camoscio bianco in cui erano incastonati vari tipi di
anelli, tutti bellissimi, ma tutti altrettanto costosi. L’uomo rimase per
un attimo ad ammirarli uno per uno, quando il suo sguardo venne catturato da un
anello molto semplice, ma bellissimo. Filippo trattenne il respiro. Era
l’anello con il diamante che aveva visto al dito dell’Angelo
Bianco. Senza pensarci due volte decise di predere quello e lo fece incartare.
Mentre Roberto incartava il piccolo pacco, Filippo ripensò a quella
notte di Natale magica e a quanto l’Angelo Bianco avesse avuto ragione. Era stata
la sua ultima possibilità per vivere felice. E lui non se l’era
lasciata scappare.