Note
dell’autrice:
non sono miei,
miseriaccia ladra. Non fanno neanche quello che ho scritto, ma oh, in
compenso
fanno trailer con violini e robot e chitarre dubstep – non mi
posso lamentare.
Non ci guadagno nulla, se non una buona dose di divertimento.
Ce
l’avete presente Stregatta?
Beh, è
tipo una delle donne più fantastiche dell’universo
che noi siamo e che si sta
distruggendo da solo, e tra le altre cosucce scrive di un bene da far
piangere
le ginocchia. Se questa storia è venuta alla luce
è solo merito suo, quindi prendetevela
con lei amatela, ma tanto. <3
Your
self-loving soothes
And
softens the blows you’ve invented
Non
è che Matt davvero non ci avesse mai pensato. Certo,
che ci aveva pensato – solo non così
tanto, non in maniera
seria, non con la dovuta obiettività. Era
un’eventualità che gli era passata
per la testa due o tre volte, lasciando dietro di sé una
scia temporanea e
inconsistente come quella degli aerei nel cielo.
“Oi Dom”.
“Ehi, Tom. Chris,
Matt…”
Due
o tre volte al massimo, sì. Quattro con quella sera, ecco,
ma di nuovo, il
progressivo aumento delle sue riflessioni al riguardo non le rendeva
certo più
vere.
“Lui
è Paul”.
O
no?
“Ciao,
Paul”.
“Piacere”.
“Come
va?”
L’uomo
alle spalle di Dom sorrise timidamente e alzò la mano in
segno di saluto,
annuendo imbarazzato. Matt vide il batterista guardarlo con una
compostezza
quasi genitoriale e sentì una fitta di fastidio dritto in
mezzo al petto.
Tom
e Chris sorridevano sornioni, sdraiati come odalische sui divani del
tourbus.
Erano le due di notte, avevano bevuto tutti quanti,
l’allegria era palpabile;
ma qualcosa era cambiato dall’ingresso di Dom e Paul nella
stanza. Qualcosa che
si metteva a cambiare con puntualità svizzera da quando Dom
aveva preso
l’abitudine di sparire per un paio d’ore la sera,
tornarsene con un uomo (che
era sempre un musicista, o un fonico, o un fotografo di una qualche
rivista –
qualcuno cioè che avesse legami col loro mondo) e
rinchiudersi con lui nella
sua stanza “a parlare di possibili collaborazioni”.
“Ci
facciamo due chiacchiere. Ha delle cose interessanti di cui parlarmi,
potrebbe
venir fuori qualcosa di buono”.
Appunto.
Matt
arricciò un labbro e osservò con crescente
irritazione una mano di Dom posare
una pacca leggera sulla spalla dell’uomo e poi rimanere
lì, languida.
Tom
ridacchiò. Paul arrossì. Chris tirò un
calcio a Tom, facendo arrossire Paul
ancora di più.
“Fantastico,
fantastico. Se non ci si rivede buonanotte, Paul”, fece
cordiale il bassista.
Tom tentò di darsi un tono e lo salutò a sua
volta con un movimento frivolo
delle dita.
Dominic
rise con la migliore delle sue risate da diva, quel genere di versetto
del tipo
siete-irrecuperabili-ma-vi-voglio-bene. Incrociò il suo
sguardo: era
fastidiosamente soddisfatto di sé, una luce brillante e
maliziosa negli occhi
grigi che lui conosceva benissimo – ma di nuovo, non ci
voleva pensare.
“A
dopo”, disse Dom, lento, continuando a guardarlo negli occhi.
Matt emise un
grugnito di addio e li osservò nervosamente farsi strada nel
corridoio del
tourbus.
Non
appena si udì il clic della porta che si chiudeva Tom
scoppiò a ridere come un
pazzo.
“Ha delle cose interessanti di cui parlarmi…
Ah, Dom, sei un vero spasso”.
Chris
si accodò alle risatine, seppur con la placidità
che da sempre lo distingueva,
e Matt prese ad agitarsi sul
divano.
“Un
tempo almeno diceva chiaramente ‘me la scopo e
torno’. Eh, ma invecchiando si è
raffinato. Il bastardo”, e scoppiò di nuovo a
ridere.
Matt
aggrottò le sopracciglia e assottigliò le labbra
come qualcuno che stia per
mordere.
“Che
vuoi dire?”, chiese, sempre più teso. Tom gli
rivolse uno sguardo tra il
condiscendente e l’affettuoso.
“Bells,
se non sapessi di certi tuoi trascorsi direi che sei candido come la
neve. E
pure un po’ ingenuo”, proseguì,
sporgendosi in avanti con un ghigno per
prendere una bottiglia di birra dal tavolino.
Matt
emise uno sbuffo che lo fece assomigliare a un cavallo sul punto di
imbizzarrirsi.
“Kirk,
piantala con le tue arie da maestrina del cazzo e parla chiaro. Che
cazzo
succede?”
Tom
non parve minimamente impressionato dal suo tono duro – anzi,
riprese a
ridacchiare deliziato.
“Succede
che mentre noi tre siamo qui a chiacchierare come pensionati,
quell’altro
giustamente indossa i panni della rockstar arrapata che è
– e che saresti anche
tu, è ovvio, ma si dà il caso che tu sia anche
fulminato come una lampadina e
che ami passare il tempo ad annoiarci con discorsi sul modo migliore di
depurare l’acqua in caso di emergenza ambientale. Dom in
fondo è solo un po’
più… attivo, mettiamola
in questo
modo. Chrissy, tu sei sposato e fedele e ti vogliamo così,
niente contro-”
“Parla. Chiaro”
sibilò infuriato Matt,
affondando le unghie nella pelle del divano. Tom sbuffò
teatralmente e si tirò
su le maniche della camicia per gesticolare in libertà.
“Dominic.
Batterista. Biondo. Vestiti leopardati. Uno degli esemplari di sesso
maschile
con più problemi a tenerselo nelle mutande sulla faccia
della terra. Mi segui?”
“Tom,
ti sto per prendere a calci in c-”
“Giovani
uomini di bella presenza sempre vagamente ubriachi e disposti a parlare
di
lavoro e di eventuali collaborazioni alle
due di notte nella cuccetta del tourbus di un quasi
sconosciuto”.
Chris
osservava lo scambio con cauto interesse, come se avesse paura di una
reazione
sconsiderata da parte di Matt.
Chris
era un uomo saggio; aveva spesso ragione.
“Tom,
mi sto incazzando”.
“Oh,
Cristo! Sesso, Bellamy, sesso anale!
Rapporto sessuale completo fra due individui provvisti di cazzo!
Scopata di una
notte a tinte omosessuali! Devo andare avanti?...”
Matt
si immobilizzò. Aprì la bocca. Chiuse la bocca.
Lo guardò come se lui avesse
appena tirato fuori una mazza da baseball dal nulla e
l’avesse colpito in
faccia con una forza inaudita.
“Stronzate”,
esalò, molto pallido.
Tom
alzò gli occhi al cielo. Chris prese un lungo respiro e si
preparò a inserire
la modalità padre-rassicurante.
“È…
plausibile, Matt”, cominciò, tentando di mantenere
il contatto visivo. “Molto
pl-”
“No”.
“Sì,
cazzo, Matt! Ti sei rincoglionito? Ma non li senti i rumori che vengono
dalla
sua cuccetta? Porca puttana, sembra che ci sia un bordello in fondo al
tourbus
ogni notte!”
“No”.
“Matt,
che c’è di male? Dom ha… ampliato lo
spettro delle sue possibilità. Tutto qui”.
“No”.
“Se
lo fa buttare, Matt”,
proclamò Tom
pieno di enfasi, con tutta l’intenzione di mettere la parola
fine a quella storia.
“Se lo fa buttare, e lo butta a
sua
volta. O almeno spero. Gesù”.
Chris
annuì con un’espressione vagamente addolorata in
viso, che voleva dire spero-davvero-che-tu-non-lo-stia-venendo-a-sapere-da-noi.
Tom lo fissò testardo con occhi che gli urlavano come-cazzo-hai-fatto-a-non-accorgertene-prima?
Matt
guardò prima l’uno, poi l’altro, e
ripetè:
“No”.
*
“Matt”.
Si
sentiva la testa pesantissima. Doveva essersi addormentato da qualcosa
come un
misero quarto d’ora.
“Matt,
per favore, ho bisogno di
aiuto”.
Una
luce fastidiosa pulsava dietro le sue palpebre. Ugh, luce. Brutta luce,
troppa
luce.
“Matt!”
Si
tirò su di soprassalto. Dom era inginocchiato accanto alla
sua cuccetta in
boxer e nient’altro, una scintilla di preoccupazione negli
occhi.
“Dom?...”,
biascicò, spostando rapidamente gli occhi da lui alla luce
insopportabile
proveniente dalla lampada del suo comodino. Dom annuì e
prese a parlare in tono
frenetico.
“Paul
si è sentito male. È svenuto, credo, non riesco a
capire…”
Matt
riguadagnò subito lucidità e fece oscillare le
gambe fuori dalla cuccetta. Dom
scattò in piedi e lo precedette nella sua stanza, aprendo
piano la porta.
La
schiena nuda di Paul spuntava dalle lenzuola raccolte intorno ai suoi
fianchi,
il viso abbandonato sul cuscino innaturalmente pallido.
Matt
si abbassò svelto su di lui e tese l’orecchio.
“Respira
male”. Dom lo fissò spaventato. “Aiutami
a girarlo, ho paura che soffochi”.
Mentre
faceva leva sui gomiti per farlo girare su un fianco Matt
notò con la coda
dell’occhio un ciuffo di peli rossicci fare capolino dalle
lenzuola e il
profilo molle e roseo di un cazzo afflosciato. Era completamente nudo.
“Paul”,
chiamò in tono apprensivo Dom, un braccio sotto al suo collo
a sostenergli la
testa, “Paul, svegliati, maledizione”.
Matt
spostò lo sguardo sull’amico: la pelle abbronzata
che diventava color miele
sotto la luce della lampada, i tendini delle gambe tesi nello sforzo di
stare
sui talloni, i capelli scompigliati, una macchia rossa sul collo. Un
morso,
forse.
Senza
pensarci due volte, si sporse oltre la spalla di Dom e tirò
uno schiaffo alla
guancia bianchissima di Paul.
“Che
cazzo fai!”
Il
batterista non fece in tempo a continuare la sua urlata
perché il ragazzo aprì
gli occhi e trasalì.
Matt
tirò un sospiro di sollievo.
“Grazie
a Dio. Cazzo”.
Si
alzò in piedi e fece un passo all’indietro. I due
stavano parlando a bassa
voce, Dom visibilmente sollevato – ridacchiava,
persino, con quella sua risata gioiosa da le-cose-vanno-bene
– e l’altro
impegnatissimo a profondersi in scuse trafelate per
l’imbarazzante accaduto.
Matt
prese a grattare una macchia sul muro e vide con la coda
dell’occhio Paul
rivestirsi, prima le mutande, poi gli shorts color kaki e infine quella
ridicola t-shirt.
“Non
so come ringraziarti”.
Si
voltò. Il ragazzo sorrideva un po’ tremante, le
guance rosse.
“Figu-”
“Lo
so benissimo che non dovrei bere e fumare così tanto quando
fa così caldo …
Maledetta bassa pressione. Non appena mi-”
Si
interruppe e arrossì se possibile ancora di più.
Dom era in piedi immobile a poca
distanza da loro, senza fare nulla, un sorriso di circostanza sulle
labbra.
Matt
sorrise e completò la frase fra sé e
sé. Suo fratello Paul aveva lo stesso
problema – buffo, avevano persino lo stesso nome.
Non
appena ti
ecciti, ciao ciao.
“Ehi,
tranquillo, è a posto. L’importante è
che tu stia bene”.
Gli
diede una pacca sulle spalle che voleva dire ora
togliti dai piedi. Paul lo ringraziò ancora una
volta e Dom gli
fece strada fuori dalla stanza, fuori dal tourbus e, come Matt
ardentemente
sperava, fuori dalle loro vite.
Si
avvicinò al letto. Le lenzuole erano sfatte,
l’aria era pesante, satura. Udì la
porta chiudersi alle sue spalle e si voltò a fronteggiare
Dom.
“Ehi”.
“Ehi”.
Si
salutarono come una coppia di schermidori, attentissimi, con falsa
noncuranza.
Matt
notò che Dom non si era preso minimamente la briga di
rivestirsi a sua volta.
La sua quasi nudità lo disturbava, lo irritava.
Si
ritrovò ad attaccare senza nemmeno rendersene conto.
“Si
può sapere che diavolo gli hai fatto?” chiese in
un falsissimo, aspro tono di
divertimento.
Dom
si irrigidì subito e strinse le labbra in una piega dura.
“Che
vuoi dire?” rispose, lento, minaccioso, con l’aria
di chi stava avvertendo di
non dire una sola parola di più.
“Vuoi
dirmi che è svenuto di punto in bianco, così,
mentre parlavate di cose interessanti?”
Ridacchiò
sgradevolmente. Gli occhi di Dom lampeggiarono infuriati.
“Sputa,
Matt. Dimmi che vuoi e lascia da parte le tue provocazioni del
cazzo”.
“Te
lo sei scopato?”
“No”.
“Sì
che te lo sei scopato, fottuto bugiardo”.
“No,
era lui che avrebbe dovuto scopare me, e non ha fatto in tempo
perché è svenuto.
Testa di cazzo”.
Matt
strinse i pugni. Dominic aveva un piccolo, giocoso sorriso sulle
labbra. La rabbia
stava cominciando ad annebbiargli la mente come una droga.
“Allora
è vero. Ti fai scopare”.
“Sì”.
Spalancò
gli occhi. Si era aspettato che lui negasse, almeno di fronte a un
primo
attacco diretto, o che gli mentisse. Una parte di lui avrebbe tanto
voluto che
lui gli avesse propinato una patetica bugia; un’altra parte,
più oscura e
violenta, gioiva maligna di fronte all’informazione acquisita.
“Non
ti basta andare con più donne di quanto ce ne sia bisogno,
no, devi pure farti
sbattere da perfetti sconosciuti” proseguì,
eccitato dalle sue stesse parole,
dalla pesantezza sproporzionata e assurda che avevano. Gli era sempre
piaciuto
tenersi in equilibrio sul limite – quella volta non faceva
differenza. “Altrimenti
non sei soddisfatto”.
“Esattamente”.
L’euforia
si trasformò in qualcosa di ingovernabile che sorprese
persino lui. Lo odiava,
in quel momento. Odiava la sua fierezza. Odiava il suo tono lento,
provocatorio. Odiava quanto si stesse esponendo, quanto in
realtà si fosse reso
vulnerabile ai suoi colpi, quanto determinato fosse a buttare il loro
rapporto
in un baratro talmente buio da non sapere minimanente cosa ci fosse
dentro. Quel
sorrisino non accennava a scomparire e gli stava facendo perdere le
staffe.
Gli
diede una spinta, forte, sul petto, e l’impatto
risuonò seccò come una
fucilata.
“Piantala
di prendermi in giro!” ringhiò, spingendolo di
nuovo. Dom abbandonò la maschera
e trasfigurò il volto in un’espressione di pura
collera.
“Che
cos’altro posso fare? Dirti quello che vuoi sentirti dire?
Eh?!” Lo spintonò a
sua volta, con violenza, con l’obiettivo di fare male.
“Che cazzo vuoi sentirti
dire, Matt? Che non ho vergogna? Che sbaglio? Che ogni volta
è vuota e senza
significato e dovrei farmi una vita e tutte le tue stronzate ipocrite?
Me le
faccio dire da Chris queste cose, non da te. Da te non mi faccio dire
un
cazzo”.
Matt
si trattenne all’ultimo da tirargli un pugno, ma
l’aborto di quel movimento fu
evidente, e Dom fece schioccare la lingua in un moto di disgusto.
“Per
carità, adesso che Matthew Bellamy si incazza sono
spacciato”. Rise, senza
cuore, senza gioia, e Matt sentì lo stomaco contrarsi.
“Dai, picchiami, testa
di cazzo. Non conosci altro modo di mostrare emozioni, a parte
strimpellare
quella fottuta chitarra”.
Matt
si sforzò di stare calmo, di guardarlo, di accorgersi
di qualcosa che Dom gli stava gridando silenziosamente da
tempo e che lui a
quanto pare non aveva mai voluto ascoltare, portandolo
all’esasperazione. Aveva
gli occhi lucidi, e uno spasmo alle labbra, e urlava.
“Tutti
lo sapevano. Io no”, disse semplicemente, in tono neutro.
“Perché?”
“Perché
non vedi un cazzo oltre a te stesso, ecco perché”.
Si
guardarono. Nessuno dei due sembrava in grado di staccare gli occhi
dall’altro.
“Cosa
avrei dovuto vedere?”
Dom
scosse la testa, incredulo, tornando a sfoggiare quel sorriso perfido.
“Cosa
avresti dovuto sentire, anche. Una
volta l’ho chiamato Matt, sai? Ho urlato
“Matt”, per essere più preciso. Non mi
ricordo nemmeno chi fosse. La mattina dopo Tom è venuto da
me, mi ha chiesto di
stare attento, di essere un po’ più discreto. In tutti i sensi, Dom, mi ha detto, con
quella sua aria da mestrina
del cazzo, ce l’hai presente, no? Ci
sono
modi e modi di farglielo sapere”.
Matt
sentì il sangue rombargli nelle orecchie. Un flusso
spropositato di adrenalina
gli riempì il corpo – aveva un doloroso bisogno di
fare, di agire, di muoversi. Poteva
picchiarlo, stavolta sul serio,
e affrontare la sua reazione. Poteva continuare a vomitargli addosso
accuse,
insinuazioni parole taglienti e sgradevoli che l’avrebbero
ferito ben più di un
pugno, per poi andarsene in camera sua e prendere a calci il letto.
Poteva
costringerlo contro il muro e passare ripetutamente la mano, la lingua,
i denti
sopra quel segno rosso che spiccava come una pugnalata sul suo collo e
tentare
di farlo sparire, di cancellarlo, di fargli dimenticare che fosse mai
esistito.
Questo era quello che avrebbe voluto fare più di ogni altra
cosa: eliminare la
memoria tangibile di quell’incontro, e di tutti gli altri.
Perché Dom pensava a
lui mentre si faceva mordere il collo, no? Gliel’aveva detto.
Pensava a lui
quando si spogliava, pensava a lui quando affondava le unghie nel
cuscino,
pensava a lui quando veniva. Eppure tutte quelle persone le aveva
cercate, e le
aveva avute.
E
subito prima di portarle in camera sua aveva passato una mano attorno
alle loro
spalle, si era curato di incontrare i suoi occhi e gli aveva
sorriso…
Il
suono di un respiro faticoso gli fece alzare lo sguardo.
Dom
lo guardava con l’espressione di chi non vuole credere in
nulla.
“Di’
qualcosa”. Socchiuse gli occhi – un movimento
minuscolo, che però dava l’idea
di aver richiesto la forza di un immenso dolore per produrlo
– e fece un
sorriso tremulo. “Per favore”.
Ti
voglio
togliere quel segno dal collo, baciare la pelle che sarà
tornata immacolata e
fartene un altro più profondo e più rosso.
“Rivestiti”.
Si passò una mano fra i capelli –
l’aveva visto fare in più di un film.
“Non
so, sono a disagio, non… Davvero, non so dove
guardare” concluse, la voce
stanca e infastidita, come se stesse troncando una situazione appena
sfociata
nel cattivo gusto e lo pregasse di collaborare.
Voglio
quei
muscoli tesi che ho visto poco prima quando ti sei chinato, voglio i
capelli
spettinati, voglio un tuo braccio attorno alla mia testa.
Dom
non fece nulla. A malapena battè le palpebre. Matt, che lo
conosceva da anni,
lo percepì irrigidirsi e come forzarsi a spegnere qualcosa
dentro di sé per
restare impassibile.
Voglio
dell’altra rabbia, Dom. Voglio agire d’istinto.
Fammi agire d’istinto, perché
senza quella spinta non riesco a muovere un passo. Incazzati, ti prego.
Perdi
il controllo. Non sono capace di venirti incontro in nessun altro modo.
“Esci”.
Lo guardò con occhi vuoti. “Per favore”,
aggiunse, perché almeno l’affettazione
che si riserva ai bastardi e ai perfetti sconosciuti voleva
scagliargliela
contro.
Buttami
fuori,
mettimi le mani addosso. Toccami. Ti prego.
Matt
annuì quasi meccanicamente e si avviò verso la
porta. Gli passò accanto, e al
posto di cercare i suoi occhi piantò lo sguardo sul morso
sul suo collo.
Dom
sapeva che mentre gli voltava le spalle, in ogni senso, stava pensando
a persone
che non avevano nessun significato per nessuno di loro due. Non stava
pensando
a lui.
Breathe in deep
And cleanse away our sins
Note
dell’autrice:
questa
storia ha una genesi complicata. *ignora la gente che si mette le mani
nei
capelli e implora con lo sguardo di tagliarla corta* *MUAHAHAHAHAAH*
Ne
ho scritta metà di getto, ed era partita comica. Lo giuro. Era praticamente una parodia,
ma poi la sorgente dell’ispirazione
si è essiccata, maledetta baldracca, e io ho chiesto aiuto agli
Avengers
a quella superdonna che è Stregatta.
Mezz’ora di chat concentrata e propositiva ha dato alla luce
il resto.
Sono
abbastanza confusa dal risultato perché di solito io non
scrivo storie che
finiscono male, o almeno, non hanno mai finali del tutto
negativi/personaggi
del tutto negativi. Qui Matt per me è
l’anticristo, invece XDDD Penso sia tutto
quello che odio. Ed è strano, essermelo ritrovato davanti
dal nulla. Strano, ma
in qualche modo coinvolgente, famigliare. /senso logico /coerenza
Non
so cos’altro dire, o meglio sì, e scusate
l’autoreferenzialità spaventosa ma
non trovo altre parole per descrivere questa storia se non quelle che
ho usato
su MSN mentre scrivevo, per stracciare le palle a Stregatta
sfogarmi con
Stregatta (sono pensieri cretini,
badate, perché 1. Sono miei 2. Sono scritti a caldissimo
bollente 3. Sono le
tre del mattino. XDDD):
Matt
è stronzo. Non riesco ad assolverlo in nessun modo.
L’ho riletta e mi disgusta.
C’è questa vena perbenista, questo suo fastidio
nel pensare che qualche modo
Dom sia stato “contaminato” da altri…che
veramente mi fa schifo. XDDD Sai
quando ti si macchia il tuo vestito preferito? O quando vai in frigo e
non c’è
la cosa che ti piace di più mangiare? O quando ti si riga
Absolution e si mette
a saltare le tracce (TROLOLOLOL)? Non odi tutte queste cose tutto ad un
tratto?
Io sì. Le detesto, proprio XDDD
Vi
saluto incitandovi a costruire altari, piramidi e copie-carboni di
Dominic
Howard in onore di Stregatta, e ringraziando tutti quelli che
leggeranno in
anticipo :***
P.S.
La canzone citata è, ça va sans dire,
“Fury” dei nostri tre moschettieri del
dubstep.
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