Ma
fintanto che sei qui, posso dirmi vivo ~
“Tu,
il mio orgoglio che può aspettare
Anche
quando c’è più dolore
Non
trovo un rimpianto
Non
riesco ad arrendermi
A
tutti i miei sbagli
Sei
tutti i miei sbagli”
Subsonica
– Tutti i miei Sbagli
Thor
ha soltanto diciotto anni, eppure la sua schiena è larga e
forte
sotto il Sole di Asgard.
C'è
qualcosa di profondamente elegante nei suoi movimenti, mentre si
allena in uno dei tanti cortili del Palazzo Reale; Loki, all'ombra di
un porticato poco distante, sorride amaramente a quel pensiero. Non
è
mai stato nemmeno lontanamente elegante, suo
fratello. Forte,
sì - impetuoso, forse, ma non elegante: c'è
qualcosa di ancora
bambinesco in lui, nell'arrogante sicurezza con cui parla e combatte,
nell'espressione chiara e costantemente allegra dei suoi occhi
azzurri - identici a quelli di sua madre, della regina Frigga, ma
più
leggeri, non ancora adombrati da una consapevolezza
antica
quanto l'Universo.
Non
capita spesso di scorgere un'espressione concentrata in quegli occhi,
e Loki si stupisce ogni volta di come il futuro re di Asgard sia
capace di impiegare il proprio ingegno soltanto quando tra le mani
stringe un'arma. Lui, che passa la propria vita tra libri di antichi
incantesimi e pergamene sbiadite dal tempo, rinchiuso nella penombra
della biblioteca di palazzo, a stento comprende l'esaltazione del
fratello per quelli che considera soltanto ridicoli giochi.
Non è mai stato il miglior combattente di Asgard, Loki, e
questa
consapevolezza non fa che inimicargli ancor di più una
disciplina
che già mal sopporta.
Con
un voluminoso tomo aperto sulle ginocchia, contempla con vivo
interesse lo schema e le figure che suo fratello e il precettore
seguono mentre incrociano le lame prive di filo di due daghe da
esercitazione; è come un balletto, in cui ogni mossa si
articola con
la sua risposta in una sequenza di movimenti precisi e fluidi,
accompagnati dal luccichio freddo dell'acciaio, e il giovane principe
sorride al pensiero di quanto possa divenire orribile
questa
danza quando a condurla sono dei veri avversari, non già dei
figuranti. Thor sicuramente non ha mai riflettuto sul significato dei
suoi allenamenti, né sul frutto che porteranno, ma Loki sa
già che
presto o tardi dovrà fare i conti con una realtà
ben più dura di
quanto immagina.
Nel
frattempo, è giusto che l'erede al trono prenda il proprio
addestramento come un semplice gioco.
Si
è tolto la casacca di tela che solitamente indossa, e fasci
di
muscoli allenati guizzano sotto la pelle cotta dal sole; Loki
potrebbe enumerarli uno ad uno, dare a ciascun nervo un nome e
definirne la funzione e l'importanza in caso di ferite. Potrebbe
colpire il fratello con una minuzia che l'altro nemmeno immagine,
avvalendosi di conoscenze sepolte nei libri di anatomia abbandonati
negli scaffali più alti della biblioteca, farlo gridare con
appena
una puntura di spillo - lui, che si crede tanto sicuro della sua
forza. E ne sarebbe capace - oh, se ne sarebbe capace. Lo fissa, uno
scintillio cupo nelle iridi smeraldine, e già progetta un
prossimo
tranello da tendere al suo amato fratello.
Thor
lo raggiunge qualche minuto dopo, completato l'allenamento. Ha
indossato nuovamente la casacca, e sorride cercando di sistemare la
stoffa incollata alla pelle per via del sudore; puzza, eppure Loki
non riesce a trovare la sua presenza completamente sgradevole.
«Fratello...
sempre assorto nei tuoi impieghi da scrivano, vedo». Lo dice
senz'ombra di malizia, sicuramente non con l'intento di risultare
caustico (Loki dubita persino che sia in grado di nascondere
sottintesi nelle proprie parole) ma il figlio minore di Odino
impallidisce leggermente, piccato.
«Deve
pur esservi un rampollo della casa reale in grado di utilizzare il
cervello». Rimbecca, chiudendo il libro con uno scatto e
alzandosi
in piedi. È alto quasi quanto il fratello, anche se
visibilmente più
sottile, ma nei suoi occhi verdi, affilati, brilla una fiamma gelida
pregna di una forza spaventosa; molti, a corte, lo ritengono infido e
pericoloso, pensano che in futuro attenterà alla vita del
fratello
per prendere possesso del trono a cui è destinato dalla
nascita. E
lui non può fare a meno di sorridere della loro ignoranza -
benché,
nel suo ghigno, vi sia ogni volta qualcosa di terribilmente simile
all'autocommiserazione.
«Potremmo
recarci al fiume».
«Per
quale motivo, fratello? Non hai occupazioni più proficue del
vagabondaggio da svolgere?» Tagliente, si dirige a passo
svelto
verso le corti più interne della reggia senza preoccuparsi
se Thor
lo stia seguendo o meno. Naturalmente sa che non lo
lascerà
andare per nessun motivo - non ora, almeno, che ha completato le
proprie mansioni quotidiane e può dedicare del tempo allo
svago. Può
essere maledettamente insistente quando vuole, come un cane che si
attacca disperatamente ad un osso troppo grande per lui.
«Ho
caldo, desidero fare un bagno».
Ed
è nell'improvviso rossore sulle guance del fratello che Loki
scorge
un campanello d'allarme. Le sue labbra si tendono in un sorriso
sottile, derisorio, mentre pensa che no, Thor non è
decisamente in
grado di dire bugie, e inarca le sopracciglia in un'espressione di
amichevole scherno.
«Se
è così sarà mio piacere
farti compagnia, fratello».
E
Thor risponde al suo sorriso con una smorfia che ha del felice e del
colpevole, della gioia segretamente custodita e di una macchia che
nulla può lavare via. Senza smettere di ghignare, Loki tiene
il
libro nella mandritta e tesse con l'altra arabeschi complessi
nell'aria davanti a lui, finché il tomo, all'improvviso, non
scompare.
«Che
hai fatto?»
«Mi
tediava riportarlo in biblioteca. Non temere, ora è al suo
posto.
Vogliamo incamminarci?»
***
Il
fiume si trova a poche miglia dal palazzo. Scorre, sottile come un
nastro d'argento, tra due costoni di rocce nere e ripidissime, tra
rapide irte di scogli acuminati e tratti in cui l'acqua gorgoglia e
ribolle in mulinelli di un azzurro cupo. Thor e Loki soltanto, in
tutto il regno, conoscono l'ubicazione esatta dell'unica insenatura
che consenta l'accesso a quelle rive gelide: nemmeno lo sguardo dello
stesso Heimdall vi può errare, perché a nessuno
è concesso vedere
ciò che gli incanti del giovane Dio degli Inganni
proteggono. È
giovane, ma già pochi nel regno possono rivaleggiare con lui
nella
conoscenza delle arti magiche, ed è questo un dato di fatto
che Loki
procura di tenere segreto – anche se sa bene che gli
porterebbe
l’ammirazione del padre.
I
figli di Odino scendono lungo un sentiero scavato nella pietra scura,
tenendo i cavalli per le redini. Il pavimento di roccia sbreccata
è
sdrucciolevole, reso infido da un’umidità che
copre le pietre di
una sottile patina viscida, ma hanno percorso quella strada per anni
e la conoscono quasi meglio dei corridoi del palazzo.
Alla
fine della lenta discesa si apre uno spiazzo non più largo
di una
ventina di metri quadri, una minuscola insenatura naturale di sabbia
nera in cui crescono piante alte e frondose, che si abbarbicano lungo
le pareti di roccia e tendono i loro rami fin quasi a toccare la
superficie dell’acqua. I cavalli vengono legati
all’ombra di
quella cupola verde, e Thor perde qualche secondo
nell’accarezzare
la criniera bionda del suo stallone, sussurrandogli chissà
cosa.
Loki sa che lo sta facendo solo per perdere tempo, per ritardare un
momento che agogna e rifugge allo stesso tempo.
Sorride,
ancora, e si avvicina alla riva del fiume.
Calcia
via gli stivali con una certa impazienza, poi affonda i piedi nudi
nella sabbia arroventata dal Sole; tocca l’acqua con la punta
delle
dita, ed è più calda di quanto si aspettasse,
quasi tiepida.
«Sai,
fratello...» sussurra, mentre slaccia il cordone che tiene
accollata
la camicia «... quando avrò appreso ogni segreto
che la
nostra magia custodisce ho deciso che farò un dono a nostro
padre».
«Ah,
sì?» Thor è rimasto accanto al cavallo
e lo fissa, immobile.
La
stoffa della camicia scivola leggera sulle costole e sulle spalle,
poi cade a terra. La pelle del Dio degli Inganni brilla di un candore
eburneo sotto la luce de Sole, liscia come il marmo bianco delle
statue che adornano il Palazzo Reale di Asgard. Non una cicatrice la
intacca, non un livido; sembra quasi che irradi gelo.
«Le
leggende della biblioteca narrano dell’esistenza di un
destriero
magico di nome Svaðilfœri, la cui bellezza non
può essere
comparata a quella di nessun altra creatura del nostro
mondo».
Sussurra, consapevole che il fratello riesca perfettamente ad udirlo.
Sente il suo sguardo bruciare lungo le spalle e la schiena,
può
quasi percepire il battito confuso del suo cuore e
l’incertezza
che, certo, gli ha invaso la mente.
È
così prevedibile, suo fratello. Così
disgustosamente puro.
«Pensi
di catturarlo e portarglielo?»
«Oh,
no...» la voce di Loki si anima di una malizia appena
accennata,
mentre le dita pallide e lunghe, quasi adunche, corrono ad abbassare
le brache di tela che indossa. Centimetro dopo centimetro, il tessuto
scivola lungo i fianchi sottili del ragazzo. «Per quanto sia
indubbiamente una bestia dalla magnificenza leggendaria, nostro padre
non merita nulla di tanto scontato. Inoltre sono certo che
Svaðilfœri
appartenga già a qualcuno, e Odino non accetterà
mai un dono frutto
di ladrocinio, perciò...»
La
stoffa si ammucchia attorno alle caviglie magre di Loki, ormai
completamente nudo.
«Perciò?»
La voce di Thor trema, animata da qualcosa di strano, inaccettabile.
Loki non può far altro che ridere, e la sua risata
è come il canto
dei corvi che si avventano sui campi di battaglia per cibarsi dei
corpi di coloro che non torneranno dalla guerra. Cupa, sottile e, in
un certo qual modo, sgraziata.
«Perciò,
sarò io stesso a generare per lui il miglior destriero che
si sia
mai visto. Lo crederesti, fratello? Una creatura di tale bellezza che
al suo cospetto persino gli astri dovranno inchinarsi». Il
Dio degli
Inganni si volta di scatto e punta i propri occhi verdi in quelli,
spalancati dallo stupore, di Thor «Non immagini nemmeno
ciò che ho
trovato nel nostro palazzo, fratello. Pergamene antiche, corrotte dai
millenni, che spiegano come esercitare le arti magiche in modo da
assottigliare il confine tra la creatrice e il creatore, tra il sesso
femminile e quello maschile, tra uomo e animale. Incanti di una tale
potenza che al confronto...» nello sguardo di Loki si accende
una
luce febbrile, quasi folle «... che al confronto quelli che
crearono
il Bifrost non sono che scherzi da bambini».
«Non
starai parlando...»
«Delle
Arti Oscure, Thor? Temi forse la magia nera, tu che
non hai
paura di nulla?» Lo canzona, scuotendo piano la testa. Quando
sorride, nell’espressione del suo viso
c’è l’astuzia della
volpe e il sogghigno predatorio del serpente.
«Io,
solo... non capisco perché me lo stai dicendo,
fratello».
«Perché
di te posso fidarmi,» mellifluo, si avvicina al fratello con
il suo
solito passo elegante, silenzioso «perché so
che non mi
tradiresti mai».
In
un modo estremamente distorto, Loki prova del sincero affetto per suo
fratello. Ne è convinto mentre gli appoggia le mani sulle
spalle,
mentre avvicina il viso al suo con una lentezza volutamente snervante
e, infine, mentre lo bacia, sollecitando una replica che non tarda ad
arrivare.
Sa
che Thor ha tentato – senza riuscire – di resistere
al richiamo
della carne. Sa che ogni volta che si ritrovano sulla riva del fiume
è costretto a combattere contro tutto quello che gli
è stato
insegnato sin da quando era un bambino, contro il suo stesso senso
morale.
Eppure,
non gli interessa.
Loki
brucia d’amore e d’invidia per un fratello che non
è mai
riuscito a sopportare, e la dualità dei suoi pensieri lo
confonde.
Odia Thor, detesta il suo essere sempre il primo tra loro due, il suo
stupido, onnipresente sorriso, la sua forza, il suo coraggio,
l’azzurro terso dei suoi occhi, la sua arroganza e
quell’irritante
senso dell’onore che lo ha sempre contraddistinto. Odia il
suo
essere ancora un ragazzino ingenuo, guidato da semplici e rozzi
istinti, la sua incapacità di sporcarsi.
Quest’ultima
cosa, in particolare, il Dio degli Inganni la aborrisce con tutto se
stesso.
Perché
la verità è che, all’inizio, ha dato il
via ai loro incontri
segreti soltanto per insozzare la dignità del fratello; si
è
concesso con astio e gelosia, un ghigno vittorioso congelato sulle
labbra, finché non ha capito che era tutto inutile.
È impossibile
macchiare l’anima di una creatura così
ridicolmente buona, per
quanto arrogante e tronfia essa sia.
Loki,
soltanto, avrebbe voluto capirlo prima di invischiarsi in un affare
da cui non può più tirarsi fuori.
Con
la bocca di Thor che preme disperatamente sulla sua e le mani de Dio
del Tuono che lo stringono, Loki sa che ormai è troppo tardi
per
pianificare, per cercare di sottrarsi
all’inevitabile
spirale di sensi di colpa che seguirà a tutto questo. Non si
fa
illusioni né sulla sua libertà rubata,
né su quello che succederà
quando questa sottospecie di relazione avrà una fine, ma,
frattanto
che i tempi maturano e suo fratello continua a vivere
nell’illusione
dorata di un mondo che lo ama, lui può godere del suo corpo
quando
più gli aggrada.
Mentre
Thor lo distende sulla sabbia bollente e si spoglia a sua volta,
guardandolo con degli occhi che esprimono una dolcezza infinita, il
Dio degli Inganni sente un riso ilare opprimergli la cassa toracica
con il peso di un macigno.
Perché
non riesce a provare soltanto odio, per questo fratello
irraggiungibile e perfetto.
“Perché
nonostante tutto, fratello mio, forse sei davvero l’unica
persona a
cui detesto mentire”.
_Angolo
del Fancazzismo_
Non
c’è molto da dire... è la mia prima
ThorKi, è piuttosto bruttina
e l’ho scritta sulle note dei Subsonica. Mi auguro di non
aver
trattato la “scandalosa” tematica
dell’incesto con toni un po’
troppo leggeri e se non avete capito qualcosa (tipo la parte del
cavallo) si tratta di riferimenti alla mitologia norrena che
Wikipedia sarà felicissima di spiegarvi
ù.ù
*lei
ha troppo sonno per inserire collegamenti ipertestuali*
Buona
notte, e buon ThorKi!
Greed
|