Goodbye, my lover. di Human_ (/viewuser.php?uid=93370)
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Goodbye, my lover.
Ma
chi aspetta davvero è vivo, aspetta sempre con amore.
Un
eccessivo, sprecato, indicibile, ridicolo amore.
Aspetterà
sempre e gli sembrerà di non aver fatto altro, giorno dopo
giorno.
(Stefano
Benni)
Sorrise
appena, giusto l'angolo destro della bocca leggermente in su, e
sedendosi su uno scoglio asciutto spostò i capelli che il
vento le
portava davanti agli occhi, celandole quella distesa di gocce d'acqua
salata che infinite s'abbracciavano da lì all'orizzonte.
Con
un sospirò, tirò fuori dalla borsa un foglio
bianco e la sua penna
nera e, con estrema naturalezza, iniziò a scrivere.
Ciao
amore,
ti
scrivo direttamente qui sulla spiaggia perché spero che il
profumo
del mare resti impresso nella carta, così che tu possa
respirarlo di
nuovo, anche se sinceramente preferirei che tu venissi qui subito e
lo sentissi accanto a me, mentre io inspiro profondamente l'aria che
accarezza i tuoi capelli.
Sono
passati millenovantasei giorni da quando te ne sei andato ed io
ancora ricordo la strana piega che sorgeva sulla tua fronte quando,
con il sorriso, mi fissavi sconcertato per qualcosa che avevo fatto o
detto – la maggior parte delle volte era quando sostenevo che
tu
fossi migliore di me e che, comunque, non ci volesse poi molto
– e
credo sia la cosa di te che più mi è rimasta
impressa, questa
continua volontà di inculcare in me il pensiero che io
valevo
qualcosa, ma neppure la pubblicità dello shampoo ce l'ha
fatta,
figuriamoci se potevi riuscirci tu che, non te la prendere, non
potevi proprio catturare la mia totale attenzione quando facevi
questi discorsi, non se mi parlavi con quegli occhi seri, muovendo in
modo tanto austero la bocca, guardandomi come se io fossi uno
squarcio di cielo, senza riuscire a togliermi dalla testa il fatto
che l'unica cosa buona di me fossi tu.
Amore
– non hai idea di quanto mi manchi poterti chiamare
così – tu
davvero non sai quanto tutto qui stia andando oltre ogni aspettativa,
catastrofico susseguirsi di eventi che mettono continuamente alla
prova la mia resistenza e le mie capacità adattive che, sul
serio,
da quando non ci sei tu a portare un po' di silenzio – mi
basterebbe questo – stanno pericolosamente scemando,
arriveranno a
scomparire, ed io quel giorno non potrò far altro che
crollare come
i castelli di carta che facevamo nel soggiorno di casa tua e che il
tuo cane puntualmente faceva cadere giù, con la sola
differenza che
non ci saremo noi due a ridere ed iniziare tutto daccapo,
perché non
ci sei più tu e neanche ci sarai, ed io con i castelli di
carta,
diciamocelo, faccio pena.
Sarebbe
tutto estremamente più semplice se tu potessi stringere per
qualche
istante le mie mani nelle tue e sussurrare che ci sei, anche se non
proprio assiduamente, anche se non proprio davvero, ecco, ma ci sei,
e non è come sembra, ché qui non c'è
niente e niente è tutto quel
che ho, è tutto quel che resta di te, ed io, e tu, e noi, e
loro, e
nessuno può farci niente, il dado è tratto
– ricordi i nostri
discorsi su Cesare? – e il nostro tempo è finito.
Ed io con lui. E
noi con te.
Dovrei
davvero rassegnarmi all'idea che non ci sei, non è
così? Eppure non
credo di poterlo fare, di poter smettere di aspettarti, anche se so
benissimo che la tua vita non è più qui
– allora dov'è? – e
che devo sul serio abituarmi all'idea che tutti, prima o poi,
scivolano via dalla vita degli altri, perché è
così che funziona,
specialmente se gli altri sono io, succede sempre così, e
sarebbe
meglio ch'io ci facessi l'abitudine, ma continuo a pensare che sia
solo il luogo a non essere adatto a me, pertanto spero ogni giorno di
potermene andare da qui, magari di potermene andare dove sei tu,
anche se per inciso non ho la più pallida idea di dove sia,
tu, ma
non importa.
Amore,
la mia testa è piena di grida esasperate e credo che se io
mi
strappassi la pelle dal petto tutto ciò che otterrei sarebbe
uno
stormo di pettirossi che volano lontano godendosi finalmente la
libertà, dopo tutti questi mesi passati rinchiusi in un
cuore che
pompa sangue un po' come gli pare, ché possono pure
continuare a
chiamarlo muscolo involontario, ma non credo d'esser l'unica che ogni
tanto deve concentrarsi per regolarizzarne il battito, ma non
è
questo il punto, il nocciolo è che dentro ho un sacco di
grida
disperate e corrosive mentre da fuori non arrivano altro che
sussurri, ed io non sento niente, capisci? Vivo in un mondo con cui
non riesco a comunicare perché assordata dai miei stessi
organi
interni e perché son persa, adesso, proprio come te, ci
siamo persi
chissà dove e mai ritroveremo la strada, temo, e la
prospettiva non
sarebbe sconfortante se solo fossimo insieme di nuovo e magari per
sempre, o quantomeno per un lasso di tempo abbastanza lungo da
soddisfare appieno questo mio desiderio di te che non si affievolisce
mai, ed anzi divampa ogni istante di più come una fiamma
alimentata
da quantità industriali di benzene.
Ti
chiedo scusa se questa lettera ti pare, per contenuti, praticamente
identica a tutte le altre che ti ho mandato, ma non farmene una colpa
se non riesco a scacciare il pensiero di te quando puntuale mi
assale, e per dovere di cronaca devi sapere che mi assale sempre, in
ogni istante, e francamente neanche ci provo a non pensarti,
perché
– è questo che tento di dirti – i miei
ricordi più belli sono
quelli in cui compari tu, in cui ci siete tu ed il tuo sorriso ma
anche la tua espressione imbronciata, arrabbiata, delusa,
ché era
bello dirti e sentirmi dire che si sarebbe sistemato tutto, e sarebbe
stato bellissimo, amore, se l'ultima notte che hai passato qui, la
tua ultima notte in assoluto, l'avessimo passata insieme, ma non
è
stato così ed il rimorso mi logora, anche se poi non
è quello il
fulcro della questione, piuttosto lo è il fatto che io non
ti
dimentico e ti sarei infinitamente grata se anche tu continuassi a
ricordarmi, e sarebbe il massimo se poi tu mi ricordassi con un
accenno di sorriso, perché se tu mi dimenticassi credo che
lo
sentirei, proprio qui, nella parte anteriore sinistra della
cavità
toracica, lo immagino come uno strappo secco, tipo infarto, ma la
morte non sarebbe immediata, e la cosa mi spaventa. Continua a
pensarmi, amore.
Ricordi
quella volta che, sdraiati sul tappeto persiano di tua mamma, abbiamo
giocato a Scarabeo e continuavamo a formare parole inesistenti,
giustificandoci dicendo che alla fine nessuna parola potrà
mai
essere più brutta di 'partenza'? Ecco, ora, tu pensa, se
è brutta
la parola stessa, come può essere una partenza vera,
specialmente se
a partire non sei tu, ma un altro, un altro che tra parentesi
è pure
la persona che ami, e sempre tra parentesi neanche vuole partire ma
si trova costretta.
Comunque
io a Scarabeo non ho più giocato, e se è per
questo non sono ancora
neppure tornata in tanti posti che ti appartengono fin troppo, al
punto che mi spaventa persino pensarci. Che poi il problema
è che
tutto
ti appartiene,
persino i posti che mai hai visto, le parole che mai hai detto, la
musica che mai hai ascoltato, e tutto mi si appiccica addosso e
neanche il mare riesce a portare via tutto questo schifo, neanche il
mare riesce a riportarti qui.
Mi
manchi molto, ti amo.
Asciugò
una lacrima con il dorso della mano sinistra ed estrasse dalla borsa
una busta bianca su cui scrisse, con un lieve tremolio, Al
mio piccolo miracolo,
e dentro
cui depositò il foglio bianco sporco della sua calligrafia
disordinata. Si mise
la penna in tasca e con passo incerto iniziò a percorrere
gli scogli
fino alla fine, dove il mare è più profondo.
Le
venne un po' da ridere, al pensiero che da piccola aveva
terribilmente paura che arrivasse un'onda troppo alta e la portasse
via, mentre adesso addirittura un po' ci sperava, ma si trattenne,
così come trattenne un fiotto di lacrime che premevano per
sgorgare
finalmente dai suoi grandi occhi chiari dopo mesi di vani tentativi.
Inspirò
profondamente ed allungò il braccio destro fino a portare la
mano
perpendicolare all'acqua, e più precisamente per portare la
lettera
sul pelago, poi, con gli occhi chiusi, per non vedere niente, o forse
nel tentativo di vedere di più, lasciò la presa.
Il
mare inghiottì le sue parole, e per estensione
inghiottì lei, così
come doveva aver inghiottito lui secondo quella sua strana filosofia
secondo cui, quando si muore, si diventa salmastro o gocce d'acqua,
ancora non ne era certa, e decise che forse qualche lacrima poteva
pure concedersela, così, tra i singhiozzi,
s'inginocchiò, e non
gliene importò assolutamente nulla se la pietra le stava
graffiando
le gambe quando vide l'acqua scontrarsi con irruenza contro gli
scogli e sentì le gocce avvolgerla come l'abbraccio di un
amante
disperato e lontano.
Tirò
indietro i capelli. «Arrivederci, amore».
Scusate,
è uno schifo, ma mi andava di pubblicarla proprio stasera
che è la
vigilia di un giorno importante – che non è Natale
ma è brutto
comunque – e tra l'altro non ho avuto neanche la decenza di
trovare
un titolo come si deve, spero mi perdonerete.
Un
abbraccio,
Human_ (che
è stata fin troppo breve nelle note ma vi ama tutti, uno
per uno)
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