E poi ancora una bottiglia. E poi ancora la realtà

di AnnabelSwift
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Non ne posso più di questi Hunger Games. Preferirei tornare nell’arena che fare da mentore tutti gli anni. Non c’è niente che possa tirarmi su di morale. L’alcool aiuta, però. Ti fa sprofondare in un abisso di incoscienza, almeno per un po’. Poi, quando l’effetto finisce, vieni scaraventato brutalmente nella realtà. E poi ancora una bottiglia. E poi ancora la realtà. Tutto questo alcool mi ucciderà? Lo spero. O finiscono i Giochi, o finisco io. Non mi interessa se poi i tributi del Distretto 12 dovranno cavarsela da soli. Perché non se la caveranno affatto, come tutti gli altri, prima d’ora. Vent’anni passati a veder morire i tributi di tutti i distretti, specialmente quelli del 12, che ti supplicano di dare loro una tattica, una strategia per tornare a casa dalla loro famiglia. Ma all’inizio sono solo tributi, poi diventano qualcosa di più. Diventano… conoscenti. E non riesco a togliermi questo assillante pensiero: la causa della loro morte sono io.
Poi ci ho rinunciato. Da tre anni mi limito a dire loro cosa fare, senza affezionarmici. Così sono solo persone, solo ragazzi, solo bambini. Che muoiono nel bagno di sangue del primo giorno, vicino alla Cornucopia. O di fame. O di sete. O avvelenati. O fatti a brandelli dagli ibridi. O ridotti in cenere. Altri, impazziscono e vanno dritto incontro al pericolo, per farla finita prima. E quello schifo di Capitol City che si diverte, con le loro parrucche rosa shocking o qualsiasi altro disgustoso colore, la pelle tinta, le unghie lunghe sette centimetri, gli stomaci pieni.
Basta, sono stato troppo nella realtà.

Afferro una bottiglia e me la scolo.
E poi ancora una bottiglia. E poi ancora la realtà.




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