You’re gonna go to hell
With a certain inclination
Sai
cosa
significa non sapere minimamente come gestire sé stessi,
Dom? Mh? Hai una vaga
idea di come ci si sente? Sapere per certo che il proprio cervello
è una
tagliola da cui non si riuscirà mai a togliere la gamba
insanguinata? Essere
convinti di non sapere amare in maniera disinteressata, di non riuscire
a fare
il bene altrui, di non farcela a sacrificarsi per nessuno?
Ma
no. Che cazzo
ne vuoi sapere. Non credo che tu sia nemmeno capace di pensare. Vivi e
lasci
vivere, e tutti ti adorano per questo. Anche le persone che illudi, che
fai
sentire speciali per un paio d’ore, perché sei
sempre sorridente e gentile e
disponibile anche quando non te ne frega un cazzo. Ognuna di loro
è convinta di
essere stata trattata coi guanti bianchi da te. Qualcuna si
è innamorata. Molte
sono tornate a chiedere di più di qualsiasi cosa tu fossi
disposto ad offrire.
Tutte,
tutte
quante sono cadute sotto il tuo incantesimo. Ma io no. Io non ti vedo
con
nessun cazzo di paio di occhiali rosa – io ti odio.
Odio
che tu
conosca tutto il mio passato, che tu l’abbia vissuto con me,
che tu possa
raccontarlo ad altri. Odio ricordarmi ogni singolo momento passato
insieme.
Ogni trionfo. Ogni baratro. Ogni attimo di noia e di
serenità e di nervosismo.
Odio quanto tu sia parte della mia vita, perché sei la
persona con cui ho
trascorso più tempo in assoluto. Tutte le volte che mi
ritrovo insofferente a
me stesso, che ripercorro nella mia mente episodi fonti di imbarazzo, o
di dolore,
tu ci sei sempre. Prima, che mi saluti con un sorriso – o
durante, che mi sei
affianco – o dopo, che mi sostieni. Quanto ti può
penetrare sottopelle un
essere umano, senza che tu te ne accorga? Ti ho mai voluto
così tanto da farti volontariamente
diventare una percentuale altissima della mia esistenza? E se
sì, l’ho fatto
perché ti volevo davvero, o perché mi servivi, mi
adoravi, mi equilibravi?
Ho
paura dei
miei pensieri. Ho un terrore fottuto delle cose orribili che mi vengono
in
testa – e loro continuano a sgorgare fuori. Vorrei una mente
pulita, e un cuore
buono, e l’orgoglio per le mie qualità e la
coscienza dei miei difetti. O, se
proprio tutto questo non si può avere, vorrei la tua
abnegazione nel condurre
la vita che fai. La tua fede cieca in cose futili e superficiali, e il
tuo affetto
disinteressato per quelle poche persone che ami davvero.
Io
non ti voglio
bene, Dom, perché non voglio bene a me stesso. Non ci vivo
bene, con me stesso.
E tu, tu sei l’altra faccia della medaglia, troppo
intrecciato alla mia vita
per essere considerato uno straniero da poter amare. Ci si dovrebbe
scegliere,
per stare insieme. Cercarsi, tenersi stretti, non abbandonarsi mai.
Io
non ti cerco.
Tu non mi trovi. Siamo, e basta. Dove ci sei, io ci sono. Non
ho mai
avuto scelta e nemmeno l’hai avuta tu. È andata
così, e non esistono belle
parole per descrivere quello che siamo.
*
Matt
aprì la sua porta come se stesse aprendo quella di camera
sua – senza farsi
nessun problema. Le luci erano spente. Dormiva; non gli importava.
Si
chinò accanto alla sua cuccetta, appoggiandosi sui talloni,
esattamente come
aveva fatto lui con Paul. Era sdraiato di schiena, la coperta tirata
fino al
collo, le braccia abbronzate e la testa bionda appoggiati sul cuscino.
Respirava piano.
Allungò
una mano e affondò le dita nei capelli alla base della nuca.
“Sai,
Dom, non penso di esserti grato per tutto quello che hai fatto per me.
Non
penso di non meritarti, e non penso neanche di meritarti”.
Inanellò una ciocca
al dito indice, mordendosi un labbro. “Non penso a niente,
quando siamo
insieme, so solo che sei ingombrante. Occupi un sacco di spazio. Non
posso
liberarmi di te neanche volendo”.
Sentì
la sua schiena inarcarsi con un movimento nervoso. L’aveva
svegliato, o forse
era già sveglio, e stava solo reagendo alle sue parole.
“Vattene”.
Non aveva nemmeno sollevato il viso nella sua direzione: la sua voce
aveva
raspato il cuscino come carta vetrata.
Premette
il palmo della mano in mezzo alle sue scapole.
“Non
ti voglio bene”, sussurrò, calmo.
“Nemmeno
io. Nessun cazzo di affetto nei tuoi confronti, Bells, stai
tranquillo”. Era
come se quella sua amara dichiarazione di poco prima avesse inciso una
ferita,
e la voce di Dom sanguinasse. “Vattene”.
“Odio
l’aver così bisogno di te, tutto il giorno, tutti
i giorni. Ho paura che tu mi
lasci perché non so cosa farei senza di te, ed è
solo l’egoismo che parla. Non
sarò mai in grado di offrirti niente, prenderò
soltanto, e non mi sentirò mai in
colpa”. Gli carezzò la guancia con una strana,
morbosa attenzione. “Vorrei che
tu non mi avessi detto che pensi a me mentre ti scopi un altro,
perché così non
avrei mai dovuto fare i conti con quello che provi. Avrei voluto che
tutto
restasse com’era. Tu. Io. I tour, la distanza dalla vita
vera, la musica, Chris”.
Sfiorò una palpebra serrata. “Avrei voluto essere
ubriaco, una sera, e che
anche tu lo fossi stato. Avrei voluto finire a letto con te per
sbaglio, perché
così avrei saputo cosa si provava. Ci penso da
anni”. Chiuse gli occhi,
avvertendo il proprio corpo irrigidirsi per il desiderio al solo
pensiero. I
capelli di Dom erano leggermente sudati. “Ci avremmo riso su,
vero? L’avremmo
rifatto per puro sport. Nei momenti di morta, per entrambi. Sarebbe
stata solo
una delle tante esperienze condivise insieme”.
Lo
sentì emettere un sospiro tremulo, di rabbia e di
rassegnazione e di voglia. Si
girò sulla schiena. Matt decifrò con
straordinaria facilità i suoi lineamenti
nel buio.
“Ci
hai proprio riso sopra, ieri, quando ti ho dato la
possibilità. Da sobrio,
pure”.
Non
era ironico, non era serio. Era leggero, come solo Dom sapeva esserlo.
Matt
strinse i pugni sulle proprie ginocchia. Non voleva tutto questo. Non
voleva
fare chiarezza. Voleva un pubblico per le proprie inquietudini e la
luce
pacificante nei suoi occhi, nient’altro.
“Spogliati”,
rispose, tentando di giocare l’ultima carta, la voce
più roca di quanto avrebbe
desiderato.
Dom
emise uno sbuffo esasperato.
“Spogliati,
rivestiti… Quando mi hai dato della puttana lo pensavi sul
serio, eh? Tutti
questi ordini”.
“Posso
chiederti di fare l’amore con me, per favore, se ti va,
dolcemente ma con
fermezza come so che riesci a fare”. Riuscì a
mantenere un’espressione strafottente
solo per pochi secondi, dopodichè rise breve e secco,
cominciando a tremare e
far vagare lo sguardo ovunque tranne che su di lui. “Ma con
l’immagine che ti
ho dato di me… Non penso che mi crederesti”.
Dom
ridacchiò piano a sua volta. Cercò i suoi occhi
nel buio, e li trovò
immediatamente.
“No.
Non crederei né a questo né a tutto quello che mi
hai detto prima”.
Matt
sentì di cominciare a manifestare i segni dei nervi; le mani
sembravano
incapaci di stare ferme.
“Sei
la persona più egocentrica che conosco, Matt. Mi irrita
tutto il tempo che
passi pensando a te stesso. Mi sembra di parlare con un fottuto muro,
molte
volte, con un animaletto in gabbia che non fa altro che agitarsi e
mordere le
sbarre e che nello stesso tempo rompe i coglioni per avere la cuccia
pulita e
il cibo migliore e l’acqua fresca, perché in fondo
nella sua reclusione ci
sguazza”. Ghignò. “Una specie di ratto
ipercinetico, con un dente storto e le
zampe ridicolmente lunghe”.
Matt
si strofinò gli occhi e rise acuto. Eccola, la pesantezza
che svaniva, il fiume
di pensieri deprimenti che scivolava via, la riunione con la parte
migliore di
sé.
“Ci
terrei a farti sapere che nemmeno io ti sono grato di un bel cazzo di
niente. E
chiedersi se ti merito o non ti merito è come domandarsi se
sia stato giusto
nascere biondo, crescere vicino al mare, andare a pesca con mio padre e
al
mercato con mia madre. Avrei potuto evitarle tutte queste cose? O
cambiarle? No.
Le accetto, e non mi tormento pensando a cosa sarebbe potuto
essere”. Si alzò
sui gomiti, la mascella rigida, i tendini del collo in evidenza.
“E se davvero
credi di prendere e basta, da me, e di non essere in grado di offrire
niente,
pretendo almeno tutto quello che tu vuoi. Perché lo voglio
anch’io”.
Matt
lasciò che gli afferrasse la nuca e lo spingesse contro le
proprie labbra. Si
arrampicò sopra il suo letto come un bambino, stendendosi
sopra le coperte,
premendolo contro il muro sul quale aveva appoggiato la schiena.
Si
baciarono, una gran confusione di piacere e nervosismo nelle loro
teste. Dom si
staccò per riprendere fiato e Matt appoggiò la
guancia alla sua spalla,
chiudendo gli occhi quando lo sentì accarezzargli i capelli.
Strinse forte la
presa su un suo fianco.
“Che
numero di tacca sono sulla tua cintura, Dom?” chiese in tono
basso e casuale,
come se gli stesse chiedendo che tempo faceva fuori dalla finestra.
Sotto di
lui, il corpo di Dom si tese e si sollevò sotto la spinta di
un sospiro
furioso. Sorrise: gli piaceva che movimenti semplici come i suoi
respiri
riverberassero su di lui. Amava quella vicinanza. Gli sembrava
già simile a una
droga.
“Tu
vuoi proprio essere menato”. Lo sentì appoggiare
il mento sulla propria fronte,
e stringerlo. “Sappi, Matt, che se continuerai a cercare di
rovinare questo
momento con i tuoi stupidi tentativi di autolesionismo, ti picchio
davvero”.
“Me
lo meriterei”.
“Non
chiamartela, Bells. Ti supplico”. Ridacchiarono insieme. Dom
scostò le coperte
e gli fece spazio accanto a sé sotto il lenzuolo. Matt si
tolse con goffe
manovre le scarpe e si sdraiò vestito metà sul
letto, metà su di lui. “Che la tentazione
è forte, non lo nego”.
Matt
prese a giocherellare con l’orlo della propria camicia.
“Cosa
vuoi fare?” chiese velocissimo.
“Ora?”
“Mh”.
“Sorridere
come un cretino, visto che non mi puoi vedere”.
Matt
si tirò su sui gomiti e avvicinò il viso a quello
di Dom, trovandolo subito
nonostante il buio. Non mentiva: stava davvero sorridendo, gli angoli
della
bocca un po’ tremanti.
Sentì
un nodo alla gola, lo stomaco contrarsi, e una vampata di calore
attraversargli
tutto il corpo. Aveva voglia di baciarlo e realizzò solo in
quel momento che poteva farlo,
perché, beh, perché
avevano parlato e… e…
“Sei
felice?”
Dom
annuì senza esitazione, il sorriso sempre al suo posto, gli
occhi lucidi. Matt
sorrise incredulo, lo baciò piano e si tirò
subito indietro per scuotere la
testa.
“Come
fai a essere felice dopo tutto quello che ti ho detto?”
chiese in un sussurro,
la voce gracchiante per motivi che non voleva indagare. Dom rise,
accarezzandogli la pelle tiepida della schiena sotto la camicia.
“Perché
grazie a Dio è te che mi ritrovo a baciare e non i tuoi
stupidi discorsi
paranoici”. A scopo esplicativo, avvicinò
nuovamente le labbra alle sue, lento,
gentile. “E perché… Non lo so
perché. Non mi chiedo mai perché sono felice,
tantomeno se sono felice a causa tua”. Gli pinzò
una guancia magra fra pollice
e indice. “Mi basta sentirmi così. Mi è
sempre bastato. Penso mi basterà
sempre. E vorrei che fosse lo stesso anche per te”.
Matt
abbassò lo sguardo.
“Non
sono come te” disse, chinando la testa.
“Non… Mi farò sempre delle domande.
Troppe domande, probabilmente stupide, inutili, dannose. Domande
che… Che
potrebbero mettere a rischio questa felicità”.
Tornò a guardarlo, inquieto. “Penso
che tu abbia bisogno di qualcuno… Di…”
“Sentiamo”.
“Penso
che tu… Non sono riuscito l’altra volta
p-perché…”
“Con
parole tue, Bells”.
Gli
si agitò contro, infastidito, e sbuffò contro la
sua pancia.
“Ah,
‘fanculo”.
“Posso
finire io? Sei una persona intelligente, ma credo che di me e di quello
che
voglio davvero tu non abbia mai capito un cazzo. E comunque ho
trentacinque
anni, mamma: riesco a decidere da solo di cosa ho bisogno. E no, non lo
prendo
il pullover di lana”.
Matt
rialzò lo sguardo su di lui: Dom gli stava facendo una
smorfia da bambino
testardo, e lui non potè fare a meno di scoppiare a ridere.
“Non…
Non so cosa fare” mormorò contento, euforico,
strofinandosi gli occhi per
nascondere il viso. Dom prese a girarsi i pollici.
“Io
avrei un’idea”, disse in tono noncurante. Matt
finse un’aria di stupore.
“Ah
sì?”
“Sì.
Sta’ zitto”, disse, baciandogli l’angolo
della bocca mentre scendeva a
slacciargli la camicia.
Stay by my side
I want you
Note
dell’autrice: diciamo
che questo è un possible seguito di Fury, ma nella mia testa
non è l’unico. É…
il migliore dei mondi possibili, mettiamola così. Diciamo
che chi voleva un
ending positivo a quella fic, beh, ora ce l’ha. Io son
contenta di averlo
scritto perché- oh su, dai che ormai mi conoscete *-* Dovrei
andare a scrivere
cartoline di san Valentino di mestiere, punto.
Grazie
a tutti dell’attenzione, come sempre. <3
:***
P.S.
La canzone che dà il nome alla fic e che viene citata
all’inizio e alla fine è
“The Ideal Crash” dei dEUS, un pezzo che amo a
livelli preoccupanti. :D
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