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SINKING IN THE DEEP
SEA
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Betated by _Kurai_
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E poi venne la
stanchezza, improvvisa e non voluta, vennero i brividi lungo la spina dorsale e
infine il gelo che attanagliava la pelle ormai bluastra, addormentando i sensi e
precipitandolo in un mare buio e oscuro, identico a quello da cui erano riusciti
a scampare.
Affondò in
ginocchio in quell'oscurità, calda come l'abbraccio che lo stringeva con forza
mentre il Sole sorgeva nuovamente, sorgeva ancora sopra i rottami della nave il
cui relitto si trovava ormai sul fondo dell'oceano gelido.
E loro due, su
quella barchetta inondata di luce, attendevano i soccorsi in forma di quella
grande e lucente fregata che si stagliava all'orizzonte davanti ai loro occhi.
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Sul ponte
dell'imbarcazione, intanto, i marinai erano agitati.
Solo pochi minuti
prima, dalla coffa, era stata annunciata la sagoma di una scialuppa di
salvataggio con a bordo due sopravvissuti, alla deriva in una sterminata landa
ove galleggiavano i pochi resti affioranti della Campania, affondata con il suo
carico di ricchezze e morti.
“E'
un bambino! E con lui c'è un uomo!”
L'ennesimo
annuncio, da un punto imprecisato sopra le teste degli uomini impegnati in
coperta, mise l'acceleratore al ritmo di lavoro generale, taluni si sporsero,
distinguendo vagamente la figura ritta in piedi nel centro della scialuppa, e
ancora più vagamente il fagottino nero che stringeva tra le braccia: “E'
incredibile...” bofonchiò uno degli ufficiali, un giovanotto dai folti capelli
rossicci tutti spettinati, che era corso ad aiutare nelle manovre i suoi uomini,
“Come avranno fatto?” si chiese, mentre dava l'ordine di gettare l'ancora.
Poi si sporse – la
fregata aveva affiancato il piccolo guscio di noce in balia dei flutti e la
differenza di dimensioni rendeva difficoltoso raggiungere i due naufraghi – e
agitò una mano nella loro direzione: “Vi tireremo su!” gridò deciso, voltandosi
con urgenza verso gli addetti all'argano, “Sbrigatevi!” sbottò, alzando le mani
per far loro da guida.
“Aye,
signor Spencer!”
Si girò nuovamente,
scrutando e studiando i due sopravvissuti: da lassù, gli sembravano ancora più
piccoli e miserabili, benché i suoi occhi ben allenati avessero notato
all'istante i resti di abiti di ottima fattura addosso ai loro corpi.
Nel silenzio di
quella mattina maledetta, con solo le onde a infrangersi sulla chiglia del
massiccio natante, l'ufficiale gridò con voce chiara e squillante: “Aggrappatevi
al gancio!”.
A Spencer parve
quasi di vedere quell'uomo sorridere prima di afferrare il pezzo di metallo
ricurvo con presa salda, malgrado l'unica mano in quel momento utilizzabile,
l'altra era impegnata a sorreggere il corpo privo di sensi del bambino, che
venne fatto scivolare con grazia tra le braccia aperte del rosso mentre il suo
compagno ruzzolava poco elegantemente sul pontile affollato.
Subito, l'uomo
venne circondato dai marinai, che si affrettarono a tenerlo in piedi.
Era giovane,
all'apparenza, e ancora di più lo era il fagotto che Spencer stringeva tra le
braccia, un ragazzino dal viso quasi cianotico, il respiro accelerato e una
benda che gli copriva l'occhio destro, un bambino in tutto e per tutto, nelle
mani piccole e tremanti e nella voce sottile che si lamentava e rantolava alla
ricerca di aria.
“Il
mio padrone soffre di una grave forma di asma.”
Pur sobbalzando per
l'improvvisa apparizione dell'altro naufrago davanti a sé, Spencer non disse
nulla, assimilando l'informazione appena pervenutagli: “Portatelo di sotto, se
ne occuperanno in infermeria e...”
“CIEL!”
La voce disperata
di Elizabeth interruppe piuttosto bruscamente il rosso, che si vide piombare
quasi addosso la giovane marchesa, seguita a larghi passi dai genitori e dal
fratello.
Le espressioni di
questi ultimi erano particolarmente severe per mascherare stanchezza, rabbia e
preoccupazione, e se normalmente Frances avrebbe rimproverato la figlia in
merito al suo comportamento poco consono, in quel momento non avrebbe potuto
fermarla, né avrebbe voluto
Malgrado
l'espressione quasi impassibile, la donna per un attimo credette che il fragile
filo che teneva legato il nipote alla vita si fosse spezzato: era immobile,
gelato...
Ma il respiro
affannoso di quest'ultimo dimostrava che stava ancora combattendo.
“Dobbiamo
portarlo di sotto dal medico di bordo.” incalzò Spencer, scrutando i quattro:
“Voi siete...”
“Si
tratta della famiglia del marchese Alexis Leon
Midford, sono i parenti più prossimi del signorino.” presentò Sebastian,
inginocchiandosi accanto ai due bambini sul ponte: “Lady Elizabeth, il signorino
ha bisogno di cure immediate, lo lasci andare.” disse lui, sussurrando
all'orecchio della marchesina.
“Maggiordomo,
la tua giacca che fine ha fatto?” chiese Edward con voce stentorea, non gli
erano sfuggite le code di stoffe che pendevano dal fianco del corpo del cugino.
Sebastian sorrise
ma non rispose.
Elizabeth lasciò la
presa su Ciel ma non smise di singhiozzare neppure quando il padre, con
delicatezza, ebbe raccolto il nipote tra le braccia e, seguito dalla moglie, lo
ebbe portato sotto coperta.
Edward aiutò la
sorella a mettersi in piedi e la spinse gentilmente verso le scale.
Fece per seguirla,
ma prima i suoi occhi incontrarono quelli di Sebastian, che non si era mosso
dalla sua posizione accanto a Spencer, mormorò appena qualcosa all'indirizzo del
servitore poi si precipitò di sotto dietro a Lizzy.
Tra sé e sé, il
demone sorrise appena, era inutile ringraziarlo per aver svolto il proprio
dovere.
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Ciel annaspava
freneticamente alla ricerca di aria, immerso nel suo abisso di oscurità
bollente, avvolto da un calore che non riusciva a capire da dove venisse e con i
polmoni doloranti per il continuo ansimare per il disperato bisogno di ossigeno.
Annaspava, eppure
sentiva come una presa leggera sulla sua mano, una presa piccina, ma i suoi
occhi troppo stanchi non riuscivano ad aprirsi, restavano semplicemente chiusi
mentre la vaga coscienza che riusciva a mantenere per chissà quale assurdo
miracolo era troppo debole per fare qualunque cosa, per sperare di raccogliere
informazioni su ciò che gli stava attorno.
Era sveglio, ma era
come se non lo fosse.
Poi, accadde.
Faticosamente, i
fili dei ricordi cominciarono a riallacciarsi e, a poco a poco, nella sua mente,
riemersero le immagini dell'accaduto: ricordava la sensazione dell'acqua salata
e gelida riempirgli il naso dopo il violento impatto, ricordava la sensazione
del salvagente che gli bloccava le braccia e gli impediva di nuotare, di
muoversi, per evitare che il gelo lo ghermisse e lo strappasse alla vita.
Ricordava Sebastian
che lo tirava fuori.
Ricordava quegli
esseri che, con i loro versi rantolanti, riemergevano dall'oceano.
Ricordava il sangue
e infine l'alba.
Più ricordava e più
il suo corpo si avvicinava a riprendere del tutto la propria sensibilità.
Riprese a sentire
voci ovattate, l'odore quanto mai intenso del disinfettante, l'ondeggiare del
letto su cui si trovava...
E poi quella
vertigine che solo la realtà era in grado di dare, il percepire in rapida
successione voci e profumi familiari che si mescolavano tra loro lasciandolo
confuso e spaesato più che mai.
Riconobbe il tono
fermo e deciso, appena appena velato di stanchezza e preoccupazione quasi
impalpabili, della zia a pochi passi da sé, riconobbe lo sbuffo, che mascherava
l'orgoglio, di Edward.
Riconobbe il passo
strascicato e ritmico che seguiva i movimenti dei piedi nell'affondo con la
spada, inconfondibile segno di riconoscimento del futuro suocero.
E infine la stretta
gentile sulla sua mano.
Era una buffa
sensazione quella che aveva cominciato ad affiorare nel suo petto: non ricordava
di averla mai provata in passato, o forse non riusciva a ricordarla perchè
scomparsa, fagocitata nell'oscurità di quella notte.
Perchè una
famiglia, molto tempo prima, l'aveva avuta, amorevole e affettuosa, e per un
attimo, sentiva di poterla toccare di nuovo, nella forma di quelle mani sottili
che stringevano le sue, nel tessuto spesso di cui la marchesa era solita far
fare i propri abiti, nei baffi ispidi del marito di lei e nella lama lucente che
il primogenito dei Midford portava sempre, esibendola con estremo orgoglio, alla
cintola.
Malgrado la febbre
che lo rodeva, malgrado i polmoni in fiamme e la debolezza generale che lo
spingeva nell'incoscienza sempre più, donandogli la sgradevole sensazione di
stare per affogare nuovamente nel mare scuro e gelido, Ciel Phantomhive riuscì -
pur per un attimo soltanto - a stringere quelle dita screpolate con la poca
forza rimastagli mentre, prima di crollare definitivamente, le sue labbra
bluastre si distendevano in un sorriso appena accennato.
Sarebbe guarito.
Sarebbe guarito, e
a quel punto le avrebbe strette con tutta la delicatezza che meritavano, non con
l'urgenza di un naufrago qual'era lui, le avrebbe sfiorate con le labbra e le
avrebbe onorate come il legame caldo con la famiglia che in realtà erano e
sarebbero sempre state.
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