That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Chains - IV.015
- Il Sangue di Salazar (1)
Orion Black
12, Grimmauld Place, Londra - sab. 15 gennaio 1972
Mancava
un quarto a mezzogiorno quando Alshain andò via. Aveva anche
smesso di nevicare, per questo cercai di farlo ragionare, non era il
momento più adatto per gironzolare fuori, con tutti quei
luridi Babbani diretti a casa per l'ora di pranzo: naturalmente, quel
dannato testone scozzese mi aveva ignorato, con la consueta faccia da
schiaffi mi aveva dato appuntamento per l'indomani al Ministero, poi,
invece di usare la Metropolvere, si era stretto nel mantello e aveva
lanciato un incantesimo per dissimulare la sua comparsa in strada.
Nonostante tutto, la tensione, l'educazione Black, la stanchezza, alla
fine di quella mattinata infernale avevo trovato la forza e lo spirito
di mandarlo al diavolo alla maniera del Nord e lui, sulla porta di
casa, mi aveva sorriso, rispondendomi irriverente secondo le migliori
formule di rito. Un rito che si ripeteva identico, spesso e volentieri,
ormai da trent'anni. Ghignammo entrambi, come sempre, come i ragazzini
che in fondo al cuore eravamo ancora, ricordando i rimbrotti del
vecchio Phineas contro la decadenza dei tempi moderni e la scarsa
educazione dei giovani, quando aveva assistito, scandalizzato, a certi
nostri scambi di vedute.
Dopo aver guardato il mio amico avanzare, inosservato, tra la
marmaglia, raggiungere l'angolo della piazza e infine sparire dietro il
palazzo di fronte, avevo chiuso la porta con un sospiro e mi ero
ritirato in casa, facendo attenzione a non inciampare nell'osceno
portaombrelli a zampa di Troll, poi avevo allontanato malamente
Kreacher che, ossequioso, era corso a portarmi una giacca da camera,
calda e pesante, perché “...
Padrone presa troppa freddura restando su porta... ”.
Al contrario di Walburga, che spesso sfogava i propri malumori sulla
servitù, io mi disinteressavo degli Elfi, ma arrivavo a
odiare quell'essere rivoltante quando mi trattava come un vecchio
decrepito: in quei casi, lo minacciavo di trovargli posto lungo la
scalinata o, peggio, di rimandarlo da Pollux; di solito, il pensiero
del vecchio proprietario, nella cui casa era nato e cresciuto, gli
metteva più paura dell'immagine della sua testa mozzata in
una nicchia lungo le scale, prospettiva che lo allettava, malignavo io,
perché sarebbe rimasto vicino alla sua “adorata
Padrona”. Quella mattina, però, Kreacher sembrava
più invadente del solito, o forse ero io meno tollerante del
solito, così quando mi chiese a che ora desiderassi
pranzare, lo liquidai dicendo che non avevo fame e che a breve sarei
uscito, poi estrassi un sigaro dal panciotto, gli diedi le spalle e
salii la scalinata fino al mio studiolo, dimenticandomi di lui e delle
sue dannate beghe domestiche.
Finalmente solo, mi tolsi la giacca e la sistemai sull'appendiabito,
allentai la cravatta e mi preparai un Firewhisky per smorzare
l'adrenalina che ancora mi circolava in corpo, infine mi abbandonai
sulla poltrona: ero sollevato di aver risolto la questione con Alshain,
anche se avrei fatto ancora a lungo i conti con la mia coscienza per
quella faccenda; d'altra parte sarei stato uno stolto se avessi creduto
che fosse finita lì, perché, lo conoscevo,
Sherton sarebbe presto tornato sull'argomento, non per accusarmi,
certo, ma per stabilire con me come attuare la sua vendetta. Avevo
delle carte da sistemare, aprii un paio di faldoni ma dopo mezz'ora
passata a leggere inutilmente sempre la stessa riga, capii di non
essere in grado di concentrarmi, avevo duemila pensieri che si
affastellavano nella mia mente, frasi dette al processo, sospetti su
quello che stesse combinando Moody in quel momento, nell'Aula 10,
spezzoni di ricordi degli ultimi giorni, le parole di Alshain su suo
figlio, la strana intromissione del Preside mezzosangue... E
soprattutto lo sguardo omicida di Rodolphus Lestrange al nostro ultimo,
inaspettato incontro, uno sguardo capace di terrorizzare chiunque, uno
sguardo che mi aveva spinto a tutelare al più presto me
stesso e la mia famiglia mettendo al sicuro i ricordi della notte di
Herrengton: li avevo chiusi in una fialetta che poi avevo duplicato in
numerose copie e nascosto, in seguito avevo affidato ad Alphard e altri
due legatari, persone fidate e insospettabili, delle lettere
“bianche” che dovevano essere consegnate
contemporaneamente al Capo Dipartimento Aurors, al Ministro, a
Dumbledore, agli organi di stampa, ai membri del Consiglio, se fosse
capitato qualcosa di più grave di un semplice raffreddore a
me o ai ragazzi; un ingegnoso incantesimo avrebbe indicato loro, e solo
a loro, al momento opportuno, l'ubicazione delle fialette, svelando
l'identità degli assassini. Come il resto della mia
famiglia, Rodolphus Lestrange avrebbe saputo durante qualche cena tra
parenti che in quei giorni avevo fatto testamento e, purché
non fosse completamente idiota, avrebbe compreso che mi ero dotato di
un'assicurazione sulla vita contro eventuali alzate d'ingegno da parte
sua o di sua moglie: quella notte maledetta, salvandolo, gli avevo
fatto capire quanto contasse per me il buon nome dei Black e, per
questo motivo, non avessi alcuna intenzione di muovergli guerra; era
però opportuno, casomai volesse farmela pagare per quella
storia della Cruciatus, “incoraggiarlo” con una
velata minaccia a metterci una pietra sopra. Quanto a mia nipote, non
ero sicuro che il pensiero delle conseguenze riuscisse a fermarla, per
questo avevo approntato anche nuovi complicati incantesimi a difesa
della casa e avevo deciso di essere cauto negli spostamenti, limitando
gli affari da trattare di persona a Nocturne Alley. Con un brivido
lungo la schiena al pensiero di quella coppia di pazzi assassini,
chiusi gli inutili faldoni e le lettere che aspettavano una risposta,
decisi di salire a fare un bagno rilassante, cambiarmi per pranzare
fuori o magari raggiungere la mia famiglia.
Cercavo sempre ogni scusa possibile per evitare Pollux, ma la tensione
accumulata quella mattina si stava trasformando in angoscia e mi
spingeva a raggiungere Walburga e Regulus: avevo bisogno di stare con
mio figlio, anche solo di guardarlo, l'amarezza che avevo percepito in
Alshain a proposito di Mirzam aveva, al solito, suonato come un
campanello d'allarme nella mia testa, ricordandomi come fossi sulla
buona strada per combinare danni ben peggiori dei suoi, ero da sempre
un pessimo padre, inadeguato, assente, nascosto dietro a frasi fatte e
concetti privi di valore. Eppure qualcosa stava cambiando in me, ma non
sapevo se esserne felice o terrorizzato.
Superai il pianerottolo della mia camera senza quasi accorgermene, i
piedi mi guidavano, animati di vita propria, fino all'ultimo piano,
alle stanze dei ragazzi: entrai, quella di Sirius era chiusa da giorni,
Walburga aveva imposto agli Elfi di “sterilizzarla”
appena partito, come se il fatto di essere un Gryffindor fosse una
specie di virus e noi rischiassimo di esserne contagiati. Nemmeno a me
stava bene che Sirius fosse nella Casa di Godric, tra rinnegati e
filobabbani, ma quel ragazzino era e sarebbe stato sempre mio figlio,
il mio erede, non avevo alcuna intenzione di lasciarlo al suo destino,
avrei fatto di tutto perché fosse un Black, migliore di
tutti noi. Mi sedetti sul suo letto, osservai la foto che teneva sul
comodino: di solito stava sulla scrivania, quella che divideva con suo
fratello, finché Regulus non aveva ottenuto una stanza tutta
per sé; Sirius aveva spostato la foto, adesso era la prima
cosa che vedeva quando si svegliava e per un istante intuii che,
probabilmente, si fosse accorto delle mie visite nella sua stanza, di
notte.
Chissà che confusione ti ho messo in testa, se ti stai
rendendo conto di cosa provo per te...
La presi, deglutendo a stento per un improvviso nodo alla gola:
ricordavo ogni singolo istante di quella giornata a Zennor, il vento
che ci scompigliava i capelli, i ragazzi che si rincorrevano sul prato
fino alla vecchia quercia, io che li ammiravo e mi lasciavo andare, mi
sedevo con loro sull'erba e insegnavo qualche Magia per gioco, non per
il solito, maledetto, dovere. Era stata una delle giornate
più belle della mia vita, almeno finché non
eravamo stati raggiunti dai soliti, nefasti parenti: Walburga si era
arrabbiata vedendo i ragazzi scarmigliati e in disordine, mi aveva
persino accusato di essere un irresponsabile, di non tenere alla salute
di Regulus, così delicato, “Se si dovesse
ammalare, Orion, sarà come sempre solo colpa tua!”
Come sempre, è solo colpa mia... ed io che sono stato
così idiota da amarti per anni...
Il ricordo dell'espressione dura e crudele di Walburga
m’infuse la determinazione necessaria, avrei dato a Regulus
un'altra giornata memorabile, forse non era ancora tardi per rimediare
ai miei errori: di lì a pochi giorni sarebbe stato il suo
compleanno e se non potevo mettere bocca nella festa che
“Lady Black” stava organizzando ormai da mesi,
ricca, magnificente, perché tutti ricordassero il valore del
nostro Nome, del nostro Sangue e del nostro Denaro, io avrei cercato di
donargli qualcosa di diverso, qualcosa che sanasse la solitudine che
percepivo nel suo sguardo.
«Padrone... »
Sospirai esasperato e mi voltai verso la porta, lasciata incautamente
socchiusa: non potevo credere che quel dannato Elfo fosse tornato a
tormentarmi, strinsi i pugni e mi alzai dal letto, recuperando subito
il pieno controllo di me, ma fissandolo con uno sguardo capace di
incenerirlo.
«Credevo di essere stato chiaro! Non voglio essere
disturbato!»
«Padrone... Kreacher si stira le dita, Padrone, ma
Mago... chiedere di vedere mio Padrone... »
«Quale Mago? Io non aspetto nessuno... non ho tempo
da perdere con nessuno!»
«Padrone, Kreacher non chiedere nome, se spilla
Wizengamot appara su vesta.»
Di colpo l'irritazione lasciò il posto a inquietudine mista
a sospetto: che cosa volevano quelli del Ministero, ancora, da me, se
mi avevano congedato da poco più di un'ora? Lasciai Kreacher
indietro, sfoderai la bacchetta, perché il pensiero di un
agguato di Rodolphus mi teneva sempre in allerta, scesi le scale
rimuginando promesse di vendetta per quell'ennesima intromissione e
mancanza di rispetto ed entrai come una furia nella Sala dell'Arazzo.
«Vi avverto, non mi lascerò intimidire
in casa mia da voi o da chiunque vi mandi a... »
Le parole mi morirono sulle labbra, insieme alla rabbia, mentre le
sembianze del Mago mutavano nel fuoco del camino fino ad assumere la
fisionomia del giovane che mi aveva tenuto informato sulle condizioni
di Alshain e dei ragazzi, nelle settimane del loro ricovero a Inverness.
«Vi
prego di perdonarmi per l'invadenza, milord, ma desideravo essere il
primo a dirlo a voi e a Lord Sherton: Alastor Moody ha finalmente
scagionato Mirzam dagli omicidi di Herrengton... »
Lasciai che Jarvis Warrington entrasse nella mia stanza, euforico, lo
guardai incapace di parlare, i pugni stretti, le lacrime di gioia
trattenute a stento, si avvicinò e mi tese la mano per
stringermela, io immobile, scioccato, felice, tremavo visibilmente:
Mirzam sarebbe ritornato a casa, quella fosca parentesi era finalmente
finita, tutto si sarebbe sistemato per lui, persino con suo padre. Non
riuscivo quasi a crederci.
«Alshain? Al Ministero vi hanno visto allontanarvi
insieme, ho immaginato che fosse qui.»
«Alshain è ritornato a casa poco fa, per
la riunione della Confraternita, come da accordi... »
«Come
sarebbe? Non c'è alcuna riunione! Ho ricevuto il suo gufo
all'alba,
Sherton ci ha comunicato di averla rimandata di una settimana, a
causa dell'assenza di mio zio... »
«Ero
a casa sua, Alshain parlava della riunione con Deidra e non ha mandato
gufi, finché sono stato là, ne attendeva invece
uno da vostro zio,
voleva parlargli prima che arrivassero gli altri.»
«Questo
è assurdo... mio zio ieri ha pranzato da me, nel pomeriggio
è andato a
Diagon Alley e da lì deve aver mandato un gufo a
Sherton, per dirgli
che non avrebbe potuto partecipare alla riunione di oggi... e, infatti,
l'incontro non si è tenuto perché mio zio
è fuori in missione... »
«»Non è quello che si diceva a casa
Sherton, Warrington! Quel gufo non è mai arrivato ad Alshain
e nessun gufo è partito da Essex Street, lo so per certo...
a meno che... per tutti i Fondatori!»
Un brivido mi fece accapponare la pelle, di colpo tante cose andarono
al loro posto, come tasselli di un puzzle che fino a quel momento
sembrava privo di senso; guardai Jarvis, la mia stessa consapevolezza
lo rendeva pallido come un morto: qualcuno doveva aver sfruttato il
processo per...
«E se mio zio fosse caduto in una trappola dei
Mangiamorte? Che cosa ne sarà di lui?»
Lo fissai e distolsi subito lo sguardo, avevo visto con i miei occhi di
cosa fossero capaci i seguaci del Signore Oscuro, di cosa fossero
capaci mia nipote e il suo degno consorte... Gli offrii del Firewhisky
e cercai di fargli coraggio, oltre a farne a me stesso.
«Non c'è da preoccuparsi, sicuramente
c'è una spiegazione logica a tutto questo... »
«No...
è tutta una trappola dei complici dell'Oscuro Signore! Il
gufo che non
è arrivato, i falsi messaggi che non partivano dagli
Sherton...
probabilmente anche gli anelli del Nord sono stati trattenuti dal
Ministero per un motivo preciso... Devo andare a Essex
Street! Sherton
non è solo il capo della Confraternita e il padre di Mirzam,
quell'uomo... mi ha aiutato... salvato... »
«Verrò
anch'io, sono sicuro che ci stiamo preoccupando per niente, ma voglio
vedere con i miei occhi... inoltre, abbiamo una bella notizia da dare a
quel testone scozzese, dico bene?»
Gli sorrisi, cercando di mascherare il terrore che provavo, con scarso
successo. Ordinai a Kreacher di portarmi bastone e mantello: non sapevo
cosa avrei trovato e nemmeno desideravo saperlo, tremavo all'idea di
finire al cospetto di Lord Voldemort in persona, o davanti a scene
simili a quelle vissute sulla torre di Herrengton, ma Sherton era il
mio migliore amico, l'uomo che mi aveva persino salvato dal baratro e
il pensiero che lui, Deidra, i bambini... Tremai, mentre muovevo la
bacchetta per permettere a entrambi di Smaterializzarci da quella
stanza e intanto pregavo, in cuor mio, che fossimo in tempo, che non
fosse tutto compiuto.
***
Alshain Sherton
74, Essex Street, Londra - sab. 15 gennaio 1972
Uscii intabarrato nel mio mantello, pronunciando incantesimi che
dissimulassero il mio passaggio dalla dimora dei Black alla piazza
antistante, la bacchetta in mano, nascosta tra le vesti: non era saggio
uscire da una casa magica, posta nel cuore della Londra babbana, in
pieno giorno, soprattutto se aveva anche smesso di nevicare, ma dovevo
fare due passi per schiarirmi le idee. Non c'era neanche un paio di km
in linea d'aria tra Grimmauld Place ed Essex Street ma, percorrendo
viali e piazze, il tragitto si faceva più lungo e la neve
rendeva il mio passo meno celere, esattamente ciò di cui
avevo bisogno: solitudine per riordinare i pensieri prima di affrontare
Deidra e i Maghi della Confraternita, tempo per riflettere sul processo
e sulle parole di Orion. Ero felice di aver chiarito con lui, ma ora
avevo il cuore che traboccava d'odio e propositi di vendetta contro i
Lestrange, prima di entrare in casa, perciò, dovevo
calmarmi, per non spaventare mia moglie: se lei, come temevo, aveva
già intuito la verità, non me ne aveva parlato
per paura delle mie reazioni irrazionali, e aveva fatto bene, sapeva
che avrei distrutto chi avesse osato toccare i nostri figli, stavolta
però ero così infuriato che non avrei rischiato
di fallire agendo d'impulso. Estrassi un sigaro dal panciotto, l'accesi
e avanzai osservando i ragazzini che facevano a pallate di neve lungo
la strada, le donne che rientravano a casa con la spesa del fine
settimana, le rare auto che si muovevano lentamente: avrei finto di non
sapere la verità e di non sospettarla, avrei lasciato
passare il tempo, mi sarei comportato con i Lestrange come nulla fosse,
avrei insistito sulla colpevolezza di Mirzam persino se fosse stato
assolto, e intanto avrei tessuto la mia ragnatela, così da
strappare il cuore a quei dannati solo quando ormai si fossero illusi
di averla fatta franca. In questo modo avrei protetto anche Orion e i
suoi figli, non solo la mia famiglia: non riuscivo ancora a credere che
Black si fosse messo in pasticci tanto grandi per me, dubitavo che i
Lestrange gliel'avrebbero fatta passare liscia, sebbene avesse fatto
capire loro che non li avrebbe mai denunciati per salvaguardare la
reputazione della famiglia, Rodolphus Lestrange, degno figlio di suo
padre, avrebbe fatto di tutto per vendicare l'onta subita.
Quanto
a Bellatrix...
Rapidi, mi passarono nella mente tutti i metodi che conoscevo per dare
a qualcuno una morte orribile, perché l'idea che fosse stata
lei a ridurre il mio Rigel in quelle condizioni...
Aspirai il sigaro, sentendo l'aria bruciarmi dentro, fino quasi a farmi
lacrimare: no, la colpa era solo mia, non avevo saputo difendere i miei
figli, avevo sottovalutato i rischi e, in particolare, quella notte mi
ero comportato come un adolescente preda degli ormoni, avevo visto un
pezzo di carne invitante e avevo abbassato tutte le difese, avevo
bevuto da quel bicchiere, come un ingenuo.
Pur sapendo quanto odi me e mio figlio, pur sapendo benissimo di chi
sei la puttana...
Avevo rischiato di morire avvelenato non da un veleno ma da lei, dalle
sue labbra, dai suoi occhi, avrei ricordato per sempre a me stesso
questa verità, come un monito, qualsiasi conclusione fosse
raggiunta dal Ministero: era stata solo la mia stupidità a
causare tanto dolore ai miei cari. Quando incrociai un'edicola, nei
pressi del Palazzo di Giustizia, mi attardai nella lettura delle
locandine per smettere di pensare a quella Strega, le notizie,
però, non mi tranquillizzarono per niente: con la scusa
delle riviste di moda, da cui Kreya ricavava i modelli dei nostri abiti
babbani, mi fermai e chiesi alcuni quotidiani, dovevo capire cosa
stesse accadendo nel mondo, anche perché, con quei ficcanaso
dei Flannery, i nostri vicini babbani, era necessario sapere tutto di
politica.
«Per caso avete anche il “Derry
Journal”?»
Mentre contavo il denaro babbano, mi morsi la lingua per l'errore
appena commesso: agli inglesi non piaceva che Doire fosse chiamata con
il suo nome irlandese, avrei dovuto chiedere un giornale di
“Londonderry”, per apparire “fedele alla
Corona” e persona “rispettabile”; alzai
gli occhi dentro il cubicolo, forse non sarebbe stato un problema, in
fondo l'edicolante sembrava una ragazzotta persa nei suoi pensieri, non
uno di quegli arroganti attaccabrighe babbani, capaci di coinvolgerti
in una rissa con la scusa del calcio, della provenienza geografica o
del presunto credo politico: ero rimasto inorridito, al matrimonio di
Mirzam, da un racconto di Rodney Stenton, vittima, all'uscita dal
Paiolo Magico, di un paio di energumeni ubriachi che l'avevano
minacciato con dei coltelli chiamandolo “lurido scozzese
bastardo”, solo perché, la sera precedente, una
squadra di Glasgow si era qualificata e una di Londra era stata
eliminata dalle Coppe Europee del loro sport preferito... e la cosa
assurda era che non avevano neppure giocato una contro l'altra! (1)
«Va bene qualsiasi altro giornale dell'Irlanda, se
non avete quello... »
La ragazza mi squadrò con sospetto, sibilò
un'offesa in “cockney” e mi gettò contro
un giornale spiegazzato, io pagai, mandandola al diavolo in gaelico,
presi le riviste e mi avviai spedito: sì, a volte era
proprio difficile dare torto a certi parenti e conoscenti che
sparlavano dei Babbani! Sospirai, avrei dovuto evitarlo, purtroppo
però era necessario che mi tenessi aggiornato, visti gli
interessi della Confraternita in quelle terre, soprattutto ora che la
situazione sembrava complicarsi sempre più; con un brivido
ricordai un detto di mia madre “Quando il Mondo Magico
è in guerra, c'è una guerra anche nel mondo
babbano”, e in effetti, mentre Grindelwald sprofondava il
Mondo Magico nell'orrore, milioni di Babbani morivano nella Seconda
Guerra Mondiale. Non osavo immaginare cosa sarebbe accaduto ora che
quel folle di Riddle stava manovrando per impossessarsi del potere con
la forza, visto che la situazione era già poco rosea: da
quasi dieci anni una guerra impegnava gli Stati Uniti in Vietnam, e un
potenziale scontro apocalittico era sempre sul punto di esplodere con
l'altra super potenza, l'Unione Sovietica; attacchi terroristici di
varia matrice bagnavano regolarmente di sangue varie città
d'Europa e del Medio Oriente; in Irlanda, infine, la guerra fratricida
tra Cattolici e Protestanti sembrava destinata a degenerare verso toni
ancora più sanguinosi a causa di una legge dell'agosto
precedente (2)
che consentiva l'internamento preventivo: decine di persone finivano in
galera senza processo e senza sapere quando sarebbe finita la
detenzione e questo stava spingendo parte della popolazione, provata da
soprusi e violenze, a lasciare la resistenza pacifica per abbracciare
le armi al fianco delle frange estremiste. Da oltre un anno, cercavo di
sollecitare la mia gente a tornare in Scozia, spaventato dalla tensione
crescente che si percepiva a Doire: alcune famiglie della Confraternita
si erano già trasferite nell'area a est di Maillag, dopo la
visita di Mirzam, quasi tutti convinti proprio dalla passione con cui
mio figlio aveva presentato le mie proposte ed era entrato nel cuore
delle persone. Altri, al contrario, si ostinavano non solo a restare a
Doire, ma a continuare a trattare affari e a interagire con i Babbani,
col rischio di restare coinvolti e provocare altri problemi con il
Ministero, come se già ne avessimo pochi: il padre di Sile
mi aveva spiegato come sarebbe stato facile, per chiunque facesse il
doppio gioco, tipo Emerson, falsificare prove che collegassero la
Confraternita a un attentato contro i Babbani e farci ripiombare nei
guai come ai tempi di Nobby Leach; con gente come Lodge al potere,
c'era da stupirsi che non fosse già accaduto. Mentre cercavo
di distrarmi da quell'ulteriore motivo di preoccupazione, pensai con
orgoglio a mio figlio, a come avesse dato prova di essere nato per
prendere il mio posto alla guida delle Terre, poi mille domande mi
assalirono: avrei voluto sapere dove fosse, come stessero lui e Sile,
se fosse vero che aspettavano un bambino, a che punto fosse Fear con le
pergamene... e quanto avrei dovuto aspettare prima di poterli
riabbracciare e dire a Mirzam quanto fossi fiero di lui.
Con un sospiro carico di nostalgia, entrai in Mildford Lane diretto
alla traversa che immetteva in Essex Street, la mia casa si trovava a
metà di quel “budello” di case
signorili: stava ricominciando a nevicare quando imboccai la via, mi
strinsi di più nel mantello e affondai naso e bocca nel
bavero, soffrendo l'improvviso vento gelido che s’incuneava
dal fiume attraverso l'arcata in fondo alla strada; arrivato di fronte
alla porta, un intenso odore di carta e tessuto bruciati mi
permeò le narici, sollevai lo sguardo e vidi che c'era del
fumo che stava uscendo dalla finestra di una camera del secondo piano,
la stanza di Mirzam: subito mi si rizzarono i peli sulla schiena. Mi
guardai attorno, per strada non c'era nessuno, erano tutti in casa, al
caldo, davanti alla tavola imbandita, nessuno si stava accorgendo di
quel principio d’incendio, né di me, né
di quello che stavo facendo: preoccupato, teso, pronto a qualsiasi
evenienza, serrai la bacchetta nella sinistra e infilai con la destra
la chiave nella toppa, infine, cercando di non fare rumore e di
trattenermi dall'irrompere in casa come un ossesso, mossi la pesante
porta di quercia ed entrai, furtivo, nella penombra dell'ingresso,
lasciando appena socchiusa la porta. Accarezzai con le dita il legno,
dietro di me, ne percepii la Magia, qualcuno l'aveva aperta ma
non si era curato di reintrodurre gli incantesimi che avevo lasciato
io, questo significava che gli ultimi ad aprire non erano stati
né gli Elfi, né Deidra: com'era possibile? Tesi
l'orecchio e mi resi conto che c'era troppo silenzio, mi chiesi dove
fossero mia moglie e i bambini, sentii l'adrenalina e il terrore
corrermi nel corpo e infiammarlo, m'imposi la calma, forse erano
già fuggiti per il fuoco, ma alla fine i miei occhi videro
ciò che mai avrei voluto vedere...
Salazar santissimo...
A terra, sulla soglia che divideva il salotto dal corridoio, intravidi
a distanza la figura esanime di un Elfo, sembrava Kreya, e questo mi
diede la conferma che qualcosa di orribile era accaduto o forse stava
ancora accadendo; il cuore sembrò esplodermi fuori dal
petto, desideravo urlare il nome di Deidra e dei miei figli, correre di
sopra per capire la natura di quel fuoco, correre da Kreya per vedere
cosa le fosse successo, girare per tutta la casa alla ricerca della mia
famiglia, finché il silenzio angoscioso non fu rotto dal
pianto di un bambino: pur lontano e attutito, riconobbi
l'inequivocabile vagito di Adhara, a quell'ora sicuramente affamata,
provenire forse dal salotto.
Dove sei, piccola mia? E dov'è tua madre?
Tesi l'orecchio, per essere sicuro della provenienza, mi parve di
riconoscere anche la voce di una donna, ma li sentivo lontani,
stranamente lontani, come protetti da una bolla ovattata: non si
trattava di un Muffliato, no, altrimenti non avrei sentito nulla,
doveva esserci un incantesimo diverso tra me e loro, un incantesimo che
stentavo a riconoscere.
Se solo fossi tornato a casa subito, se solo avessi preso la
Metropolvere, maledetto me!
Rimasi immobile, paralizzato dalla paura e dal senso di colpa, ma la
parte razionale di me, il figlio di mio padre, riprese il controllo,
ricacciando il resto in un angolo profondo a disperarsi e a maledirsi:
se avessi fallito, avrei avuto la mia intera, miserabile esistenza per
maledire me stesso.
Omnia refracta refringo! (3)
Sibilai piano, tracciando nell'aria con le dita immaginari rettangoli
di Rune tutto attorno a me e soffiandoci sopra: dal nulla si librarono
nell'aria impalpabili superfici rifrangenti, capaci di moltiplicare
all'infinito la mia immagine, in un gioco di specchi, per confondere un
eventuale nemico che mi stesse tendendo un agguato e darmi piena
visibilità di ciò che avevo alle mie spalle. Tesi
l'orecchio, mi concentrai, no non c'era silenzio assoluto in quella
casa, c'erano passi che si muovevano rapidi e pesanti, su, ai piani di
sopra, e non mi arrivavano attutiti, al contrario dei rumori del
salotto, questo mi convinse che doveva esserci un incantesimo
circoscritto attorno ai miei familiari; quando mi parve di riconoscere
la voce di Roland Lestrange, forse su in mansarda, il desiderio folle
di salire a ucciderlo a mani nude mi ruggì nel petto, ma
m’imposi la calma, prima di ogni altra cosa dovevo scoprire
cosa stava accadendo in salotto, ero sicuro che Deidra e i bambini
fossero tutti lì, dovevo raggiungerli e liberarli, alla
vendetta avrei pensato in seguito. Avrei anche fatto bene a stare in
allerta, rischiavo di essere catturato e a quel punto non avrei potuto
fare nulla per i miei: sapevano che non sarei tornato a casa a breve,
che il processo, messo in atto con l'aiuto dei loro amici del
Ministero, mi avrebbe tenuto lontano forse fino al pomeriggio, Moody
però aveva scombinato i loro piani ed io ero uscito dal
Ministero da oltre un'ora. Possibile che i loro complici non li
avessero avvertiti del mio probabile arrivo imminente? No, non ci
credevo, dovevano aver messo qualcuno o qualcosa di guardia ad
attendermi. Silenzioso, simile a un'ombra, scivolai lungo il corridoio,
la bacchetta in mano, superai la scalinata che portava di sopra, vidi
un vaso schiantato a terra, un quadro cui mia madre teneva tanto
ridotto a pezzi, udii una voce maschile, che ero certo di conoscere,
bisbigliare nel salotto.
«Te lo
chiedo di nuovo... Quali sono gli ultimi ordini che ha dato a Fear...
dove è andato?»
«Loro parlano nello studio, io non assisto mai,
quel vecchio malefico mi mette i brividi... »
Sì, pur attutita, quella era la voce di Deidra, sentivo che
era impastata, forse l'avevano drogata o sottoposta a qualche
incantesimo ma lei era viva, e si trovava nella stanza in cui era
attiva una Passaporta: dovevo entrare, colpire l'aggressore e
trascinare al sicuro lei e i bambini. Prima dovevo assicurarmi che con
lei ci fosse anche Wezen, l'unico di cui non avevo ancora sentito la
voce: Deidra avrebbe supplicato, si sarebbe agitata, se uno dei nostri
figli fosse stato lontano da lei, soprattutto con una bestia immonda
come Roland in giro per casa, invece stava rispondendo alle domande con
relativa tranquillità, questo mi rendeva ottimista che
fossero entrambi con lei, o addirittura che Doimòs fosse
già riuscito a smaterializzare mio figlio, al sicuro...
Forse Kreya era stata uccisa proprio per impedirle di portare in salvo
anche Adhara e Deidra. Buttai una rapida occhiata su quel povero
corpicino, era ancora lontano, ma capii subito che non era stata uccisa
da un'Avada, sembrava ferita e ustionata, doveva essere morta soffrendo
e questa consapevolezza spinse la rabbia a prendermi di nuovo allo
stomaco: mia madre mi aveva insegnato a non essere violento con gli
Elfi, ma negli anni ero andato ben oltre i suoi insegnamenti, al punto
che Kreya mi era stata sempre molto cara e avevo avuto serie
difficoltà a separarmene persino quando avevo deciso di
donarla a Mirzam.
E ora quei maledetti...
Deglutii a fatica, ricacciai odio e lacrime che mi opprimevano il
petto, i pugni stretti. Stavolta fu più difficile restare
pienamente in me, ma mi feci forza, sarebbe bastato un errore e avrei
rischiato di perdere Deidra e i miei bambini, dovevo concentrarmi,
assicurarmi che le mie supposizioni fossero giuste, che Wezen fosse con
Deidra o al sicuro, poi dovevo chiarirmi come fossero disposte le
persone rispetto alla Passaporta, e soprattutto quanti fossero i nemici
da affrontare per arrivarci, e tutto questo cercando di evitare di
essere colpito alle spalle: il trucchetto con gli specchi sarebbe
venuto meno in fretta, una volta scoperto, e il primo che l'avesse
notato avrebbe dato l'allarme a tutti gli altri.
Specula!
Bisbigliai piano, puntando la bacchetta contro il mobile posto di tre
quarti davanti al salotto, perché riflettesse verso di me la
scena che si svolgeva dentro la stanza, io intanto mi appiattii dietro
a una consolle, l'orecchio teso rispetto quanto accadeva di sopra: per
il momento sembrava che nessuno avesse intenzione di scendere, Roland
però aveva iniziato a rivolgere i suoi inequivocabili
insulti ai suoi compari, due, forse tre, chiedendo l'origine del fumo
che si addensava sulle scale (4).
«Che cosa è stato?»
«Smettila di battere i denti per ogni sussurro, o
ti pietrifico e ti lascio qui... »
«Ho visto qualcosa! Te lo ripeto, c'è
qualcuno nel corridoio!»
«Saranno
gli altri, magari di sopra hanno già finito... e comunque...
non dicevi
che il tuo “trucchetto” ci avrebbe protetto persino
dal demonio? Tieni
d'occhio quell'Elfo, piuttosto!»
Non riconobbi la seconda voce maschile, ma ora sapevo che c'erano
almeno due carcerieri e che anche Doimòs era nella stanza,
al contrario non ero riuscito a capire quanti fossero “gli
altri” di sopra: decisi di erigere una fattura protettiva
alle mie spalle per impedire loro e soprattutto al fuoco di
raggiungerci, e potermi concentrare sul
“trucchetto” e sul piano per liberare Deidra, o
almeno provocare il trambusto necessario a distrarli e permettere ai
miei di usare la Passaporta. Studiai bene la scena: Deidra era seduta
sul divano, guardava verso di me, aveva un livido sul volto che mi fece
di nuovo montare la rabbia in corpo, per il resto non sembrava ferita o
sofferente, ma i suoi occhi erano vitrei, come avesse la febbre e non
fosse del tutto in sé, anche la posizione un po' abbandonata
sul divano mi faceva supporre che fosse sotto l'effetto di una fattura;
su di lei, seduto sul bracciolo, incombeva un uomo che vedevo di
spalle, vestiva una toga scura e dal colore dei capelli e dalla
rigidità e imponenza del corpo non mi fu difficile
riconoscerlo.
Abraxas Malfoy... ti farò rimpiangere di essere nato...
lurido bastardo...
C’era anche quello schifoso traditore di Emerson, in piedi
accanto al caminetto, dava le spalle alla Passaporta-attizzatoio, avrei
dovuto abbatterlo per liberarci la strada e l'avrei fatto con molto
piacere, ma non subito, quella merda di uomo si stava facendo scudo
proprio con Wezen.
E Doimòs e Adhara? Dove sono nascosti? E c'è
qualcun altro con loro?
A meno che non fosse nascosto dietro la porta, nel punto cieco, non
doveva esserci nessun altro, avrei dovuto affrontare due nemici,
ciascuno dei quali teneva un ostaggio; non avevo dubbi che la bambina
fosse lì, era stata la sua voce ad attirarmi verso il
salone, appena entrato, ma prima di agire dovevo essere sicuro anche
della sua posizione, rispetto a quella di tutti gli altri. Riflettei,
se quelli erano gli unici avversari, forse con un po' di accortezza
sarei riuscito a liberare i miei senza combattere, questo avrebbe
ridotto di molto i rischi per Deidra e i bambini: conoscevo quei due
molto bene, erano entrambi astuti, ma per fortuna nessuno di loro era
un maniaco ossessionato dal sangue e dalla violenza, avrei potuto far
leva sulle loro paure o sulla loro avidità, avrei potuto
tentare di metterli uno contro l'altro, ricorrendo alla forza solo se
necessario. Era il momento di agire: estrassi il pugnale dalla cintola,
mi ferii il palmo e raccolsi delle stille di sangue, bagnai i
polpastrelli e disegnai a terra un cerchio, con all'interno due
triangoli rovesciati, al centro dell'intersezione tracciai la Runa del
fuoco, poi invocai le fiamme a protezione dei miei cari, aizzandole
contro i maledetti che avevano profanato la nostra casa. Ero stato
accorto, prima di portare la mia famiglia a vivere lì, avevo
approntato numerosi incantesimi nell'antica dimora dei Meyer, non solo
per dissimulare la presenza della Magia a così stretto
contatto con i Babbani, ma per sfruttare la forza delle Rune lontano
dalla Terre del Nord: quella casa avrebbe risposto come un essere
vivente ai miei ordini, proteggendo i miei familiari e rivoltandosi
contro i nemici e, soprattutto, opponendosi all'ingresso di persone
indesiderate.
Opponendosi persino a Milord.
Ero certo che avessero usato un inganno per entrare, nessuno avrebbe
potuto farlo senza il permesso o l'aiuto di uno Sherton: doveva essere
stato Emerson o un altro dei miei a tradirci, a sfruttare a proprio
vantaggio la fiducia di Deidra, per poi pugnalarla alle spalle.
Infiammato d'odio, osservai la barriera di piccole lingue infuocate
crepitare dietro di me, sollevandosi lungo l'attaccatura delle pareti e
levandosi rapide a formare una muraglia ininterrotta che mi proteggeva
le spalle, contemporaneamente il fuoco nel camino ruggì,
levò alte le lingue rosseggianti e quel verme di Emerson,
spaventato, si allontanò con un balzo, scoprendo il piccolo
Doimòs che reggeva mia figlia, accucciato di lato al camino,
a pochi passi dall'attizzatoio.
«Non sono i nostri, Malfoy, hai visto cos'ha fatto
il fuoco, adesso?»
«Ti ho detto mille volte di non pronunciare il mio
nome in missione, pezzo di un idiota!»
Abraxas si alzò e prima di voltarsi si passò una
mano sulla faccia: il primo pensiero di quel vile era, come al solito,
salvarsi il culo, mascherando la propria identità, ma io
avevo già visto e sentito abbastanza da riconoscerlo; pur
mascherato, inoltre, notai che appariva sfinito, doveva essersi
sfiancato con la Magia, cercando di forzare la mente di Deidra, la sua
Legilimanzia però era inutile, Fear non aveva semplicemente
nascosto i ricordi di mia moglie, li aveva del tutto cancellati.
«Lascia stare Emerson, cugino, ti sei messo nei
guai da solo, presentandoti qui senza invito!»
Appena mi vide sull'arco della porta, la bacchetta sguainata e lo
sguardo truce, Abraxas afferrò Deidra per un braccio e la
sollevò, puntandole il legno alla gola e facendosi scudo con
lei.
«Se non farai scherzi, Sherton, non le
farò niente e... niente capiterà a te... »
«Dimmi...
se tu sei qui... chi era il buffone che hai pagato per crearti un
alibi, con quelli del Ministero? Non sarà stato il tuo
prezioso Signore
Oscuro, spero! Non ti ha reso un buon servizio, sai? Non ha difeso i
tuoi interessi e, a quanto pare, non vi ha nemmeno avvertito che stavo
arrivando... e tu che credevi di aver affidato la tua vita alla persona
giusta, povero, povero cugino!»
Mi fissò stranito, forse non si aspettava di vedermi, o
forse non capiva di cosa stessi parlando, di sicuro non si aspettava
che cambiassi improvvisamente discorso in quel modo; io intanto mossi
un passo, proprio approfittando della sua confusione e disattenzione.
«NO, ALSHAIN, NON AVVICINARTI! È
COSÌ CHE HANNO UCCISO KREYA!»
Deidra, trattenuta dalla presa forte di Malfoy, era in lacrime, mi
supplicò di non muovermi, io guardai a terra il corpo
inanimato di Kreya, ancora un passo e sarei stato accanto a lei, fissai
i due individui, avevano così paura di me, nonostante le
fatture approntate, che serravano entrambi con forza la bacchetta e si
nascondevano dietro i propri ostaggi; ghignai della loro vigliaccheria,
ma quando sentii mia figlia piangere disperata, forse per la fame, alla
rabbia si aggiunse il disgusto.
«Complimenti,
Abraxas, hai catturato una donna, sorpresa con l'inganno, due Elfi e
due neonati: che azione eroica! Lascia andare Deidra e ordina a questo
traditore bastardo di liberare mio figlio! Sei qui per me, parla con
me, chiedi a me ciò che vuoi sapere! Comportati da uomo, per
una volta!
Lascia andare la mia famiglia ed io non ti farò del male, o
almeno...
cercherò di non fartene troppo, in nome del Comune Sangue...
Continua
con questa follia, invece, e... brucerai all'inferno!»
Mentre il fuoco nel camino ingrossava sempre di più e
l'aria, lo vedevo dal sudore che imperlava le loro fronti, si faceva
irrespirabile, Malfoy mi guardò: sapevamo entrambi che
Deidra non aveva le informazioni che gli servivano, quelle potevo
dargliele solo io... mia moglie e i miei figli erano utili solo a
costringermi a negoziare ed io mi ero appena offerto di trattare con
lui... Che cos'altro voleva ancora? Tutto il resto sarebbe stato solo
un’assurda situazione di stallo, che poteva finire male per
l'intervento dei bastardi del piano di sopra, esito di nessuna
utilità per nessuna delle parti. Speravo che Abraxas se ne
rendesse conto al più presto.
«Faresti morire anche loro, per far del male a me?
No, tu non faresti mai del male ai tuoi!»
«Hai ragione, infatti, il fuoco brucerà
e soffocherà solo chi non è segnato col mio
Sangue!»
«La
barriera di Emerson invece non guarda in faccia nessuno, Sherton, e,
come ho già detto a tua moglie, io so che tua figlia, quella
poppante
priva di Rune, non può essere l'erede di Hifrig... per la
causa di
Milord non ha alcun valore... Richiama il tuo fuoco, Alshain, o il tuo
Elfo passerà la barriera con la bambina in braccio... e ti
assicuro che
non è uno spettacolo bello da vedersi!»
«ALSHAIN TI PREGO, FAI COME TI DICE, TI PREGO!»
«Non
temere, Deidra, Abraxas non farà niente, non è
uno stupido! Se lui
toccasse anche uno solo dei nostri figli, sa che io ucciderei il suo
unico, prezioso Lucius, e la nobile, illustre famiglia Malfoy si
estinguerebbe per sempre... E tutto questo per cosa? Non è
minacciando
Adhara che può salvare se stesso... Io posso spegnere questo
fuoco,
vero, ma se non se ne andrà, a ucciderlo sarà
quello che i suoi stupidi
amici hanno appiccato di sopra, in una casa vecchia, piena di legno,
una casa non magica che tra poco inizierà a cadere a pezzi.
Se vuoi
salvare la tua patetica vita, cugino, togli questa fattura e vattene
via da qui: la tua vita dipende solo da te! Se invece preferisci
restare qui, ad aspettare non si sa che cosa, fai pure... Soffocherai o
perderai i sensi, prima che il fuoco inizi a divorarti la carne o che
le pietre ti sfondino il cranio? Non lo so... Visto quanto ti odio in
questo momento, potrei obbligarti a restare cosciente, per farti
sentire come puzza e sfrigola la tua carne, mentre arrostisce, simile a
quella dei maiali!»
Malfoy impallidì, comprendeva la situazione in cui si era
cacciato, lo sentii imprecare, maledire i suoi compari e la loro
idiozia, ed io mi rincuorai, perché ormai iniziavo a credere
che tutto si sarebbe risolto per il meglio... purché Abraxas
agisse prima che scendessero i Lestrange.
«Togli
l'incantesimo, Emerson! Andiamocene! Ma tu verrai con noi, Alshain!
Abbiamo metà della tua famiglia, consegnati a me e li
lascerò liberi di
Smaterializzarsi dove vorranno!»
Abraxas strinse ancora di più Deidra, che
m’implorò con lo sguardo di non cedere, io invece
feci un segno di assenso e abbassai la bacchetta, tutti guardammo
Kenneth Emerson aspettandoci che agisse a sua volta, ma lui non si
mosse, sembrava di colpo assente, perso in un mondo tutto suo, non
ascoltò Malfoy, non estinse la fattura, anzi andò
a sedersi, trattenendo Wezen, sollevò la manica sinistra,
scoprì l'avambraccio, su cui campeggiava l'osceno marchio
dei Mangiamorte, e lo toccò.
«Che
diavolo stai facendo, sei impazzito? Non puoi chiamarlo qui se
c'è
ancora questa fattura, vuoi forse ucciderlo? Togli questo cazzo
d’incantesimo Emerson! Te lo ordino!»
Malfoy iniziò a tossire come preda di una crisi d'asma,
Kenneth sembrava una statua di cera che si stava sciogliendo per il
calore, continuò a osservare davanti a sé,
immobile, lo sguardo vuoto, io non capivo cosa aspettasse, eravamo
d'accordo, mi ero arreso, fissai Deidra e Doimòs, il fumo su
di loro e sui bambini non faceva effetto, ma avrebbero sentito sempre
più caldo. Abraxas, con la vittoria ormai in pugno, doveva
in qualche modo mettere fine a quella follia. Decisi di forzarlo,
giocando l'ultima carta, bluffando.
«Qualcuno
l'ha affatturato, Abraxas, qualcuno che non vuole che sia tu a
consegnarmi al tuo Signore e ottenere il meritato trionfo... qualcuno
che vuole che tu muoia qui, in trappola, con tutti noi... Io posso
aiutarti, puoi fuggire, anche se Emerson è in quelle
condizioni: ci
sono due Passaporte in quella stanza! Libera la mia famiglia, Malfoy,
lascia che mia moglie prenda i bambini e usi la prima Passaporta, io
t’indicherò e ti lascerò usare la
seconda... »
«Certo... lo credo proprio... mi reputi forse uno
stupido?»
«No,
credo tu sia solo uno sciocco malfidato, Malfoy, uno sciocco che sta
per morire solo perché non si fida della mia parola! Decidi
in fretta
in cosa vuoi credere, il solaio sta per cedere!»
Alzò lo sguardo, spaventato, la cenere iniziava a piovere in
vari punti, il salone era sotto la stanza di Mirzam e il fumo iniziava
a penetrare anche dal giardino interno; rapido, trascinando Deidra con
sé, raggiunse Emerson, lo minacciò di nuovo: era
più stupido di quanto sospettassi.
«Maledetto idiota, chi ti ha ordinato di
intrappolarmi? Togli questo cazzo d’incantesimo!»
All'improvviso, mentre Malfoy minacciava, ricattava e arrivava a
implorare Emerson, dovetti smettere di godermi quella farsa,
perché dietro di me, si sentì un'improvvisa
risata agghiacciante e delle urla provenire dal piano di sopra, ci fu
un correre rapido di passi pesanti, poi una voce gridò
“al fuoco”, altri passi si slanciarono lungo le
scale, qualcuno si accorse del trucco degli specchi e li
mandò in frantumi; sentii volare incantesimi, sempre
più fitti, oltre la parete di fiamme estesa per quasi
metà altezza, dovevano essere almeno in due ad attaccarmi,
cercavano di colpirmi con degli Schiantesimi, ma io riuscii a
nascondermi e a contrattaccare: sentii un tonfo, forse ero riuscito a
colpire uno dei Mangiamorte, mentre l'altro continuava a bersagliarmi
alla cieca. Tutto si svolse in pochi, rapidi, concitati minuti,
finché un riverbero verdastro illuminò mezzo
corridoio, dal piano di sopra, mettendo poi fine allo scontro e facendo
calare il silenzio. Qualcuno aveva davvero lanciato un Avada dentro la
mia casa? Che fossero impazziti e avessero iniziato a combattersi tra
loro? O forse qualcosa aveva attirato gli Aurors e avevano iniziato a
combattere i Mangiamorte? Sarebbe stata la prima volta che avrei
accolto con gioia i Ministeriali in casa mia...
«CHE COSA STA SUCCEDENDO? DOVE SEI, SHERTON? FAMMI
USCIRE DA QUI!»
Mi ero nascosto presso il tavolo, al sicuro, Malfoy, non vedendomi
più sembrava impazzito: se fossi morto, la
possibilità per lui di mettersi in salvo sarebbe morta con
me, gli sarebbe rimasta una sola opzione, colpire Emerson, ma se
l'avesse fatto, avrebbe colpito anche Wezen, un bambino troppo
importante per Milord, il Signore Oscuro gliel'avrebbe fatta pagare
cara, forse con la vita. D'altra parte, se non avesse agito, presto
avrebbe perso i sensi, Deidra avrebbe preso i nostri figli e sarebbe
scappata con la Passaporta, così la missione sarebbe fallita
e il grande Abraxas Malfoy sarebbe morto invano: benché la
bolla attutisse i suoni, ero abbastanza vicino da udirlo strillare come
un maiale in trappola, consapevole dell'assurdità in cui si
era cacciato, spaventato per la pioggia di cenere, per il fuoco nel
camino che s'ingrossava, per le fiamme che riverberavano, per
Crouch e i suoi che potevano piombare lì, trovarlo e
trascinarlo via in catene.
«Sono gli Aurors, Malfoy, sono qui per te... ti
prenderanno e ti faranno marcire ad Azkaban!»
Glielo urlai contro ridendo, gli occhi da folle, mentre i miei
aggressori salivano di sopra per controllare la situazione, io mi ero
alzato ed ero andato di nuovo sull'arco della porta, per
tranquillizzare Deidra delle mie condizioni e per assicurarmi che lei e
i bambini non soffrissero troppo il caldo e il fumo; Malfoy si ostinava
a portare la maschera e a trattenere Deidra, ma cercava disperatamente
di allentarsi la cravatta con una mano sola, le dita tremanti,
arrivò a graffiarsi la carne a sangue, e quando finalmente
riuscì a togliersi quella specie di cappio, si
riempì i polmoni con ampie boccate d'aria, peccato che
tutto, intorno a lui, ormai era pregno di fumo. Emerson appariva
intontito, immobile, assente, sembrava non rendersi conto: doveva
essere stato posto sotto Imperius (5)
ma non capivo che senso avessero gli ordini che stava eseguendo, la sua
ostinazione danneggiava Malfoy e la missione, favorendo me, non avevo
idea di chi glieli avesse impartiti, pregavo solo che fosse l'unica
pazzia che gli avevano imposto di fare. Feci un cenno a
Doimòs, il suo sguardo d’intesa mi fece capire che
era pronto, appena Abraxas e Emerson avessero perso i sensi o avessero
deciso di mollare Deidra e Wezen, sarebbero andati tutti insieme verso
la Passaporta, avrebbero raggiunto il capanno di Amesbury e da
lì si sarebbero smaterializzati a Herrengton, al sicuro; a
quel punto, mentre Abraxas era svenuto o implorava l'inesistente
seconda Passaporta, io avrei mandato il mio Patronus a Moody, per farli
arrestare tutti: con un po' di fortuna Crouch avrebbe catturato persino
il Signore Oscuro, ottenendo la promozione che gli avrebbe spianato la
strada per diventare Ministro e in cambio avrebbe finalmente lasciato
in pace la mia famiglia. Sorrisi: era un bellissimo sogno, solo un
sogno... che non si sarebbe realizzato mai. Prima dell'arrivo degli
Aurors, Riddle avrebbe rimosso tutti gli incantesimi che mi stavano
proteggendo, lo sentivo, era fuori dalla mia casa e stava abbattendo a
una a una tutte le mie difese, alla fine sarebbe entrato e mi
avrebbe ucciso, ma contavo che per allora la mia famiglia sarebbe stata
al sicuro nelle Terre, là dove lui, un Mezzosangue, non
avrebbe potuto toccarli mai.
Mai...
Controllai il soffitto, gli incantesimi che avevo posto l'estate
precedente sembravano funzionare bene, ovunque sembravano aprirsi crepe
e penetrare cenere e pezzetti di legno in fiamme, una perfetta recita
per terrorizzare Abraxas, ormai sull'orlo di una crisi di nervi, in
realtà, nemmeno un uragano o un terremoto avrebbe scalfito
quella casa.
Nulla... a parte Lord Voldemort, una volta che avesse scardinato il
potere dell'ultima Runa.
«È ora di consegnarti nelle mani di tuo
padre... »
All'inizio non capii, all'inizio nemmeno mi resi conto che quella era
la voce di Kenneth, all'inizio non se ne rese conto nessuno di noi;
poi, allucinato, vidi Emerson alzarsi, mettere a terra il bambino e
sorridergli, per un momento il cuore mi si riempì di gioia,
forse quel pazzo aveva avuto un rigurgito di coscienza e aveva infine
deciso di rendermi mio figlio, mettendo fine all'incubo. Kenneth,
però, era appunto solo un pazzo, un traditore, un
assassino... Un mostro che iniziò a indicare la porta a mio
figlio.
«Vai da tuo padre, svelto! Lo vedi tuo padre?
È lì, davanti a te! Corri da lui!»
«NO! TI PREGO! NO!»
Deidra fu la prima di noi a capire, iniziò a urlare,
tentò di divincolarsi, guardai lei, Abraxas, Kenneth, mio
figlio, allucinato e incredulo, poi con orrore mi resi conto che Wezen,
sulle sue gambette ancora incerte, stava caracollando verso di me,
ripetendo “papa
Scei, papa Scei”, ridendo orgoglioso del
tragitto che aveva imparato a percorrere senza aiuto, le manine tese
verso di me.
«SALAZAR, NO! FERMALO! FERMATELO! PRENDI IL
BAMBINO! DOIMÒS, PRENDI IL BAMBINO!»
Doimòs cercò di obbedirle, lasciò
Adhara sul divano, al sicuro, poi corse verso nostro figlio, ma era
lento, troppo lento, a parte l'età avanzata, dovevano averlo
colpito e le sue reazioni apparivano ora rallentate e goffe,
soprattutto in confronto alla corsa di Wezen, rapido come una lucciola
mentre cercava di raggiungermi per farsi prendere tra le mie braccia.
Kenneth era immobile e sogghignava, lo sguardo vacuo, da pazzo; Wezen
stava per raggiungermi ed io lo imploravo di fermarsi, quando Abraxas
lasciò la presa su Deidra, con il respiro affannato
balzò dietro mio figlio; Deidra, disperata, era alle sue
costole, distanziata di poco. Con un sospiro di sollievo collettivo,
Malfoy lo sollevò da terra, levandolo in alto, proprio
quando mancava un centimetro da me e dalla morte e, senza quasi
più respiro, si voltò: sembrava intenzionato a
consegnarlo nelle mani di Deidra, ma Wezen, inconsapevole dell'orrore
cui era appena sfuggito, si mise a ridere con la sua risata
cristallina, iniziò a tirargli la barba e gli si
aggrappò addosso, andando a giocare con le lunghe chiome
dello “zio”.
«Grazie... »
Lo mormorammo all'unisono, Deidra ed io, divisi da quella barriera
impalpabile e mortale, le lacrime agli occhi, fissando quell'uomo
detestabile che, per una volta, ci aveva appena reso la vita, quasi
fosse un dio; Malfoy sorrise al bambino tra le sue braccia, poi si
voltò a fissarmi, il suo sguardo chiaro come la luna era
indecifrabile, eppure sapevo che era carico di tutti quei saccenti
ammonimenti che da anni mi riversava addosso.
«Sei proprio un piccolo, vero Mago, Wezen, se sei
riuscito a far dire “Grazie” a tuo padre!»
Lo bisbigliò piano, ma abbastanza da capire, Deidra sorrise,
commossa, io no: di colpo, anzi, sentii il terrore invadermi,
perché quelle parole, così ironiche e innocenti,
avevano qualcosa di sinistro, erano esattamente le parole
“intraducibili” che mia madre ripeteva in
sogno da settimane. Emerson fece la sua mossa allora, levò
la bacchetta e la puntò, centrando in pieno Deidra con uno
Schiantesimo e facendola cadere all'indietro: fu tutto così
rapido che nemmeno capii, vidi solo una specie di lampo, sentii delle
urla, Doimòs che guaiva, Wezen che scoppiava in lacrime tra
le braccia di Abraxas, la cui espressione, mentre reggeva la bacchetta,
era sempre più enigmatica.
«AVADA KEDAVRA»
Per un secondo Deidra parve librarsi in aria, come una farfalla presa
nella rete di un ragno, ma ricadde subito giù, mentre il
bagliore della “morte verde” s’irradiava
nella stanza, illuminava dall'interno la trappola che aveva cercato di
strapparle la vita e la luce della coscienza lasciava lo sguardo di
Emerson, crollato a terra, come una marionetta cui avessero reciso i
fili. Morto Emerson, i suoi incantesimi vennero meno, fattura inclusa,
avanzai di alcuni passi, urlando il nome di Deidra, proteso a
raccoglierla mentre scivolava a terra, poco distante da Kreya. La
strinsi subito tra le mie braccia.
«Dei... Ti prego, svegliati! Svegliati, Dei!
Svegliati... Non lasciarmi... non lasciarmi, Dei... »
La fissai, le scansai i capelli dal viso, era madida di sudore, ma era
calda, sentivo il suo sangue pulsare sul suo collo, mi abbassai a
baciarla, a baciarle gli occhi, le labbra, il mento, cercando di
assicurarmi che quel calore fosse vero, che lei fosse davvero viva. Che
restasse con me.
«Ora dovresti dirmi grazie di nuovo... la fattura
non ha fatto in tempo a... »
«Perché non l'hai ammazzato subito?
Perché non l'hai fatto appena ha messo a terra mio figlio?»
Abraxas ghignò, la bacchetta ancora in pugno, sovrastandomi,
io ero a terra, con Deidra tra le braccia, lei stava lentamente aprendo
gli occhi ed io mi ritrovai a non pensare più a nulla, non
al Signore Oscuro che stava forzando le difese, non ai Mangiamorte che
si stavano accalcando lungo le scale, nemmeno alla promessa di
arrendermi: pensavo solo a ringraziare gli dei che lei fosse viva, che
i suoi occhi mi stessero fissando, che le sue labbra si stessero
dischiudendo in un sorriso. Che il suo respiro si traducesse in un
“ti amo”. Immobile, respirando a fatica l'aria
fetida di fumo che penetrava dalle scale, Malfoy continuava a tenere
stretto a sé mio figlio, poi iniziò a muoversi
lentamente, verso il giardino: all’inizio non lo notai, solo
alla fine, con la coda dell'occhio, mi resi conto che superava
Doimòs, ancora attonito, colpiva l'Elfo con un manrovescio e
si chinava a prendere anche la bambina.
«Che cosa diavolo stai facendo, Malfoy?»
«NOOOOOOOOOOOOOOOOOO!»
Con le poche forze che aveva in corpo, Dei cercò di
slanciarsi, ma incespicò e cadde sulle ginocchia, io la
sorressi e insieme corremmo verso di lui, ma Abraxas non rispose,
nemmeno ci guardò, si Smaterializzò all'istante,
portando via con sé entrambi i nostri figli più
piccoli. Raggiunsi il punto da cui era sparito quando ormai la luce
dell'incantesimo si era dissolta, urlai, imprecai, lo
maledissi, mentre Deidra scoppiava in lacrime e gli Schiantesimi dalla
penombra rosseggiante del corridoio ci piovevano addosso, attraverso la
stanza. Sguainai la bacchetta, facendo scudo a Deidra, in lacrime,
incapace di muoversi, di parlare, persino di respirare, i suoi lamenti
mi rendevano vuota la mente, un dolore profondo riverberava il suo e mi
spezzava il cuore.
«Vattene via, Deidra... mettiti in salvo!
Doimòs, portala via!»
«Io
non ti lascio qui, che cosa resti a fare qui? Dobbiamo andare a
riprendere i bambini! Devi aiutarmi a riprendermi i miei bambini! Non
puoi farmi togliere anche questi bambini!»
Mi colpì con i pugni, affranta dal dolore e dalle lacrime,
dal vuoto che le divorava il cuore da quando aveva dovuto dire addio al
suo Mirzam, mentre i miei incantesimi di protezione avevano sempre meno
efficacia; io sarei rimasto lì, perché quello era
il mio posto, perché solo io potevo mettere fine a tutta
quella assurda guerra, una volta per tutte.
Respirai a fondo, consapevole che era giunto il momento, mentre dal
muro di fuoco che non riuscivo quasi più ad alimentare,
apparvero le figure mascherate di alcuni Mangiamorte, alla cui testa
c'era Rodolphus Lestrange, a viso scoperto, i lineamenti anneriti dalla
fuliggine, in mano la mia bacchetta: rideva, come un folle, diceva
qualcosa, ma nulla di quanto usciva dalle sue labbra aveva ormai senso
per me.
«Ti prego... vattene... se prendesse anche te,
nessuno saprebbe mai dove cercare i bambini... »
«Io non ti lascio qui... Che senso ha restare qui?
Non conta la promessa che... »
«No,
Dei. Questo è il mio posto... Sono l'erede di Hifrig e il
mio compito è
obbedire al sangue di Salazar... tutto quello che di male è
accaduto
alla nostra famiglia è dovuto a questo, alla mia arroganza e
alla mia
mancanza di rispetto... ma ora il Signore Oscuro avrà da me
il
riconoscimento che gli spetta dalla Storia... non ho Habarcat da
offrirgli come fosse uno scettro, ma una corona sì, una
corona fatta di
fuoco e di sangue!»
«Ecco
a voi il Mago che non si sarebbe sottomesso mai! Senza nemmeno le palle
di reagire e combattere... guardate, il signore di Herrengton,
abbattuto dal dio cui ha dedicato la sua patetica, inutile vita di
Rinnegato... l'Amore! Ora capisco da chi ha preso quella
nullità di suo
figlio!»
Rise, Rodolphus Lestrange rise, come risero tutti i presenti, a quelle
parole urlate con voce gracchiante, da qualcuno dietro di lui: tutti si
voltarono e lasciarono passare sua moglie, ne riconobbi subito lo suo
sguardo fiammeggiante d'odio e follia. Staccai Deidra via da me, doveva
andarsene prima che gli ultimi incantesimi difensivi venissero meno,
fissai i suoi verdi occhi d'Irlanda, consapevole che sarebbe stata
l'ultima volta che li guardavo, nella mente, dolce, il ricordo della
prima volta che li avevo ammirati così da vicino, che avevo
baciato quelle lentiggine e quelle labbra morbide; ripensai a
com’erano dolci le sue lacrime, la prima volta, ribaciai
nella memoria quegli occhi, ogni singola volta, ogni singolo bacio,
ogni singola lacrima di gioia e di dolore, vissuti insieme, consapevole
che sarebbe stata l'ultima. Lo sapeva anche lei. Prima che Deidra
potesse reagire, prima che potesse parlare, prima che potessi perdere
il coraggio, Doimòs le prese la mano e la
Smaterializzò via, lontano, nemmeno io dovevo sapere dove,
poi mi voltai, in tempo per vedere al centro della stanza una fosca
nuvola nera aleggiare di fronte a me, davanti a tutti i Mangiamorte,
davanti a ciò che restava del ritratto di mia madre, in
quella casa che era stata il luogo per me più felice. Ora
sapevo cosa avevano fatto Abraxas e Kenneth con il loro teatrino, il
Mangiamorte buono e quello pazzo assassino, attirando la mia attenzione
su Wezen prima e su Deidra in seguito, mi avevano confuso, distratto,
avevano annebbiato la mia mente, così che perdessi il conto
delle Rune da ripetere per sostituire quelle che il Signore Oscuro
stava eliminando, una dopo l'altra, per raggiungere me, la mia mente e
il mio cuore. Serrai con forza la bacchetta, mentre Riddle si
materializzava al centro della stanza. Quel sottile fumo si addensava
ormai in una forma definita, prima il contorno ampio del mantello, poi
la figura intera, fino al suo ghigno malvagio, fino al lampo di nera
morte nei suoi occhi.
Sorrisi. E la furia del Signore Oscuro squassò la mia casa
dalle fondamenta e si abbattè su di me.
***
Orion Black
74, Essex Street, Londra - sab. 15 gennaio 1972
«Si trova molto lontano questo ponte, dalla casa?»
Jarvis Warrington si guardava intorno confuso, non era mai andato dagli
Sherton passando da quella parte, mi aveva detto, lui preferiva
muoversi con la Metropolvere, e quando doveva passare per un Babbano -e
questo lo disse guardandomi con una nota così beffarda e
derisoria che portai subito la mano alla bacchetta, pronto a
Schiantarlo, per quanto mi stavano prudendo le mani-, preferiva
attraversare le strade alla moda e frequentare solo Babbani che
sapevano ben vivere. Avevo chiuso il discorso con un secco e irritato
“Già” e l'avevo distanziato, riflettendo
tra me che i Maghi del Nord fossero tutti una manica di palloni
gonfiati, saccenti e irritanti, per lo più senza il sano
senso dell'umorismo che almeno temperava le spigolosità di
Alshain, soprattutto se ci dava dentro con l'alcool: bastava vedere
quel mezzo sociopatico di Fear, quel viscido di Emerson e ora quel
damerino di Warrington... e sì che l'avevo pure considerato
in gamba!
«Allora? È distante?»
Negai con la testa, senza nemmeno voltarmi a guardarlo, la
verità era che a ogni passo l'inquietudine mi serrava il
cuore un po' di più e mi faceva tremare le gambe. Avevo
un'orribile sensazione.
«Dobbiamo
attraversare il parco e salire quelle scale, vedi quell’arco
lassù? È
quello che si apre in fondo a Essex Street, la casa degli Sherton si
trova poco più avanti... Purtroppo questo è
l'unico luogo sicuro in cui
è possibile Materializzarci... »
«Dobbiamo fare in fretta, però...
più in fretta, Black!»
Mi superò, nervoso, io lo seguii, facendo attenzione a non
scivolare nella neve, aveva ripreso a nevicare forte, mi stavo
intirizzendo dal freddo e forse aveva ragione lui, potevano
Materializzarci più vicino, con quella specie di bufera,
nessun Babbano si sarebbe accorto di noi e della nostra strana
apparizione; entre rimuginavo tra me, rischiai di scivolare su un
improvviso cumulo di neve ghiacciata, riprendendomi al volo.
«Forse sarà meglio darci un piccolo
aiuto magico... prima di spezzarci una gamba!»
«Certo, così la Squadra Obliviatori
verrà a romperci le scatole per un semplice Evanesca!»
Guardai Warrington in cagnesco, sicuro che mi
stesse per rivolgere l'ennesima occhiataccia beffarda, mi
stavo anzi chiedendo se per caso fosse imparentato anche lui con Fear,
perché i suoi modi irriverenti, a ben vedere, ricordavano
pericolosamente quelli del vecchio sbalestrato.
«Temo che i Ministeriali siano già
qui… Black… »
«E perché mai? Non abbiamo fatto
nulla... e se solo Crouch osasse insinuare... »
«Noi no... ma qualcun altro... per Salazar e tutti
i Fondatori... »
Jarvis Warrington sembrava in tranche, spaventato
a morte, la voce gli morì in gola, lo guardai, teneva il
dito alzato e i suoi occhi erano febbricitanti di paura; seguii con gli
occhi la direzione del suo dito, puntato su un quadrato di cielo
davanti a noi e il respiro mi venne meno. Nel cielo color tortora che
incombeva sulla città, carico di neve, aleggiava qualcosa di
vivo, dagli strani riflessi colorati: non sapevo come apparisse ai
Babbani, lì, nel cielo sopra il cuore di Londra, forse per
loro era invisibile, forse appariva come una semplice illusione ottica.
Non c’erano, però, dubbi per noi Maghi,
né per le altre Creature Magiche, tutti potevamo ammirare,
atterriti o estasiati, la vera forma di quell’oscena,
terrificante, affascinante apparizione. Un teschio fiammeggiante di
fiamme verdi si librava nel cielo sopra Essex Street, mentre un
serpente usciva dalle sue labbra ghignanti, vivo e vittorioso portatore
di morte.
«Salazar... Salazar Santissimo… fa che
non sia per…»
*continua*
NdA:
Ciao a tutti,
stavolta le note saranno telegrafiche perché devo correre a
studiare ma ci tenevo a postare il capitolo nuovo visto che
è tanto che non aggiorno.
(1) Incontri
di Coppa Campioni 1971/72: ai quarti, l'Arsenal fu eliminato dall'Ajax,
il Celtic si qualificò contro l'Ujpest, in seguito il Celtic
fu battuto dall''Ajax che quell'anno vinse la Coppa contro l'Inter per
2-0
(2) The
Troubles, Irlanda del Nord
(3)
Inventato di sana pianta, con le rimembranze di latino: a meno di
orrori, dovrebbe significare "rifrango ogni immagine rifratta"
(4) L'azione
di Alshain si sviluppa dopo quella di Deidra
e in contemporanea all'episodio di Rodolphus
(5) Nello
scorso capitolo Rodolphus dice di aver posto sotto Imperius Emerson,
così che non togliesse la fattura, se non all'arrivo di
Milord... lascio a voi le considerazioni e le ipotesi.
E ora vi saluto, ringrazio chi ha letto, aggiunto a
preferiti/seguiti/ecc, recensito... A presto
Valeria
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