Alza il
capo stizzita e fissa gli occhi alla parete, dove un’altra
lei, a grandezza naturale, la osserva torva attraverso la gigantesca
specchiera.
Il corpo è celato da vestiti maschili vecchi e sporchi,
parecchio più grossi della sua taglia.
I lunghi capelli biondi sono nascosti sotto un lacero berretto, e le
ciocche che sbucano qua e là sono orribilmente ingarbugliate
l’una all’altra.
Mani, braccia, collo e viso sono ricoperti di sporco.
Eppure, anche conciata così, Rosalie è di una
bellezza da mozzare il fiato.
La ragazza riflessa ha un fremito che dura appena lo spazio di una
frazione di secondo, e il momento dopo ogni centimetro quadrato della
gigantesca superficie riflettente è a terra, triturato da
una furia cieca, più simile ad antico pulviscolo che alla
lastra di argento ed ossido di silicio che era fino a pochi istanti fa.
Rosalie sta in mezzo alla devastazione, e gira compiaciuta tra la
polvere di vetro, cercandone frammenti più grandi, pronti
per essere schiacciati dai grossi scarponi da lavoro che indossa. Per
un istante sembra soddisfatta e quasi abbozza un sorriso, ma ben presto
la parte razionale della sua mente le fa notare che non ha risolto
nulla.
Potrà rompere tutti gli specchi di questo mondo, ma non
riuscirà mai a distruggere ciò che è
la sua dannazione e castigo.
La giovane esce dalla scuola di danza, si mescola alla folla di operai
che hanno appena finito il turno nella vicina fabbrica tessile, e li
segue in un bar. Siede vicino alla finestra e, dopo aver chiesto una
pinta di birra con voce contraffatta, osserva meditabonda il cielo.
Si domanda se il dottore e la sua signora stiano bene, e se il telepate
sia poi tornato a casa.
Quando ha scoperto che se ne era andato, la moglie del dottore si
è rinchiusa in camera e Rosalie l’ha sentita
“piangere” per giorni.
Ultimamente si domanda spesso se anche la sua partenza improvvisa
l’abbia ferita a tal punto, e ogni volta spera dal
più profondo del cuore che non sia così.
I Cullen sono probabilmente le persone migliori del mondo, e
sicuramente la vita con loro sarebbe stata piacevole, ma il vero
problema è lei, che non sa dove andare né dare un
perché alla sua esistenza.
Per un certo periodo di tempo ha provato a dare a Royce la colpa di
tutto, e ha finito col convincersi del fatto che, una volta fatta
giustizia, tutto si sarebbe aggiustato. Invece la morte del suo
aguzzino non ha in alcun modo placato l’orrore che vive nella
sua mente e, anzi, la ha anche privata della carica che la rabbia e il
desiderio di vendetta le avevano infuso.
Rosalie lascia che il tempo passi e scorra senza uno scopo, badando
solo a girovagare senza meta, a nutrirsi quando la sete diventa troppo
forte per essere ignorata e, soprattutto, a sfuggire alle ombre.
Non importa quanto ora sia forte ed invincibile, non
riuscirà mai più a liberarsi dalla paura del buio.
Il primo bar che le ha offerto asilo chiude, e lei è svelta
ad infilarsi in un altro, uno aperto tutta la notte. Veglia fino a che
l’alba non fa capolino a Est, si alza, paga ed esce.
Come sempre i suoi piedi si inseguono l’un l’altro
senza bisogno di uno schema, e se improvvisamente si piantano in terra
è solo perché, davanti alla vampira, è
apparso un cerbiatto.
L’istinto è più forte di qualunque
altra cosa, e Rosalie comincia la sua battuta di caccia. Si nutre in
fretta e voracemente, badando a malapena a ciò che cattura e
curandosi solo di non fare un lavoro sporco. Quando sente il ruggito
dell’orso e l’urlo dell’uomo ha quasi
finito, ed è svelta a rifugiarsi su un alto albero.
Pochi secondi e parecchi fruscii dopo, la scena entra nel suo campo
visivo e si ritrova ad osservare l’imminente fine di un
giovane cacciatore troppo avventato, sorpreso da un grizzly appena
uscito dal letargo.
C’è sangue ovunque e i rumori che si sentono sono
orribili, ma tutto questo non intacca minimamente la corazza di fredda
apatia che circonda Rosalie.
Osserva senza interesse il ragazzo, e impiega qualche minuto prima di
capire cosa stia facendo: credeva che cercasse di
divincolarsi e strisciare via, e invece sta assurdamente cercando di
dare battaglia. Prima ancora di potersi rendere conto di quello che sta
facendo, Rosalie è piombata giù
dall’albero, ha strappato il ragazzo dalle fauci
dell’orso e ha finito l’animale rompendogli il
collo.
Non sa perché ha deciso di agire, ma va bene
così. Si sente meglio, ora: più leggera,
più cosciente.
Si gira verso il malcapitato ragazzo, e la gravità
delle sue condizioni le fa prendere una decisione immediata: deve
tornare dal dottore.
Un uomo normale non potrebbe fare nulla, ma Rosalie è sicura
che lui lo salverà, in un modo o nell’altro.
Tampona come meglio può le ferite e comincia a correre come
una forsennata.
Vuole salvare questo folle sconsiderato e vuole imparare ad
essere come lui.
Salve! Non so,
precisamente, a cosa serva questa storia, nè
perchè abbia deciso di pubblicarla: mi è
semplicemente venuta in mente, e di per questo do come sempre la colpa
ad Alice Cooper e alle sue splendide canzoni, e mi ha
tormentato finchè non l'ho scritta. Misteri di una mente
deviata xD Ti ringrazio se l'hai letta e sei arrivato/a a
leggere le note fino a questo punto!
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