Wedding? No, thank you. di TheOnlyWay (/viewuser.php?uid=125619)
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Capitolo 1
“La
damigella disperata”
Quand’ero piccola, mi
piaceva pensare che mi sarei sposata, avrei avuto tre bambini
(rispettivamente
due maschi e una femmina) e sarei stata felice e contenta, come in ogni
favola
che si rispetti.
Poi sono cresciuta, i miei
hanno divorziato e mamma, Giselle ed io ci siamo trasferite a
Mullingar,
proprio accanto alla casa dei nonni paterni.
Tutti i miei sogni sul
matrimonio erano andati in fumo, crudelmente calpestati
dall’evidenza che, in
effetti, non esisteva nessun fottutissimo lieto fine.
Tuttavia, mia sorella
Giselle non sembra pensarla alla stessa maniera.
Quando i miei
divorziarono, lei aveva quindici anni ed era già in grado di
capire che le cose
non sempre andavano per il verso giusto. Io, che all’epoca di
anni ne avevo
solamente sette, ricordo solo che odiai mio padre per averci
abbandonate.
E, per quanto sia mamma
che Giselle non facessero altro che ripetermi che non era colpa di
nessuno se
le cose erano andate in quel modo, per me restava il fatto che il
matrimonio,
che di fatto avrebbe dovuto legare per
sempre due persone, era una grandissima bugia.
Perciò, non riesco proprio
a capacitarmi del fatto che Giselle, a ventisette anni suonati, creda
che
sposarsi sia una scelta saggia.
Dico io, non le è bastato
il pessimo esempio che ha già avuto? No, deve barcamenarsi
in un’avventura
assurda, che sicuramente finirà male.
Come faccio a saperlo? Lo
so e basta. E, se proprio non vi fidate della mia parola, lasciate che
vi
spieghi un paio di cosette su Giselle e sul suo futuro sposo.
Greg Horan è,
fondamentalmente, un ragazzo simpatico, alla mano e assolutamente
divertente.
Ride, balla, beve quando è in compagnia – e
sospetto anche quando è da solo – e
di lui, prima che conoscesse Giselle, si sa ben poco.
Io però mi sono informata
e, a quanto pare, il divertentissimo e simpatico Greg non ha sempre
vissuto una
vita all’insegna della rettitudine.
Quando frequentava il
liceo, usciva con un gruppo di poveri deficienti che ancora sono in
cerca di
qualcosa di sensato da fare nella loro vita. Non ha frequentato il
college,
perché è stato assunto a tempo pieno in un bar
nel centro di Mullingar. Ora:
sappiamo tutti com’è la vita nei bar. Si beve
(molto) e si trova un sacco di
dolce compagnia. E per Greg di certo non è difficile, visto
che è anche affascinante.
Perciò la lista delle cose
che non vanno bene di lui è salita a tre: è
divertente, affascinante e lavora
in un bar. Io non mi sposerei mai con uno così.
Nemmeno se mi pagassero, nemmeno se fosse ricco sfondato e
possedesse
una concessionaria di auto da corsa – be’, forse in
quel caso potrei farci un
pensierino…
In realtà, ci sono anche
degli aspetti positivi, in Greg, ed è per questo che non me
la sento di
condannarlo del tutto. Tanto per iniziare sopporta me,
il che – credetemi – è degno di nota.
Tolto il fatto che quando
voglio sono decisamente adorabile, mi risulta ancora difficile credere
che Greg
mi rivolga la parola dopo che gli ho bucato le ruote della macchina.
Be’, che c’è? Aveva
lasciato mio sorella, io ero piccola, ingenua e molto vendicativa.
È stata
l’unica cosa che mi è venuta in mente per
fargliela pagare. Ed ha funzionato,
perché si sono alleati entrambi per farmi confessare di
essere colpevole.
Tra l’altro, Greg è stato
molto gentile, visto che non mi ha nemmeno fatto pagare i danni.
Chissà se
l’avrebbe pensata diversamente, se gli avessi graffiato la
carrozzeria come
avevo progettato di fare all’inizio.
Ripensandoci, però, non
sarebbe tanto male se lui e Giselle si sposassero. Almeno avrei una
stanza
tutta per me, a casa. Mi servirebbe proprio un po’ di spazio:
non so più dove
infilare tutti quei libri. Okay, magari dovrei evitare di comprarne
quattro a
settimana, ma che ci posso fare? E comunque non li leggo solo io! Anche
Giselle, quando non è impegnata. Cioè quasi mai.
«Che ne dici di questo?»
inarco un sopracciglio, mentre Bridget mi sventola sotto il naso un
pezzo di
stoffa che in teoria dovrebbe essere un vestito, ma che in pratica
è abbastanza
striminzito da poter passare per una bandana.
«Non saprei. Penso che ti
si vedrebbero pure le ovaie, ma se ti piace compralo.»
commento, con un’alzata
di spalle.
Di Bridget ci sarebbero un
sacco di cose da dire: che è castana, intelligente come un
cetriolo sottaceto,
che è di mentalità (e gambe) parecchio aperta e
che veste come una escort
d’alto borgo.
Purtroppo, però, è la
figlia della migliore amica di mia madre e, in virtù di
questo tanto decantato
affetto, mi tocca frequentarla almeno due volte a settimana, a meno che
non
voglia vedere tutti i miei preziosi libri volare fuori dalla finestra o
prendere fuoco nel camino.
È anche simpatica, per
l’amor del cielo, ma quando inizia a raccontarmi di quanto
tempo la sua ultima
conquista abbia impiegato per slacciarle il reggiseno, be’,
preferirei
impiccarmi alle travi della mia soffitta. Comunque, onde evitare stragi
cartacee, mi fingo entusiasta di accompagnare Bridget alle sue sedute
di
bellezza – come se ne avesse davvero bisogno – e
alle sue maratone di shopping
sfrenato.
«Dovresti provarlo anche
tu. Ti starebbe bene, sai?» propone Bridget, allungandomi lo
stesso “vestito”
che ha intenzione di comprare. La osservo scettica per un secondo,
prima di
scuotere la testa negativamente e invitarla a infilarsi nel camerino,
prima che
qualcuno le soffi il posto. Nel frattempo, mi siedo sul divanetto rosso
e mi
guardo intorno. La vibrazione del mio cellulare mi distrae dai pensieri
sarcastici su quella donna di cinquant’anni che chiede alla
commessa un paio di
pantaloni taglia 40, quando è evidente che la 46 farebbe
più al caso suo.
Il nome di mia sorella
lampeggia come una minaccia sul display del telefono, così
mi affretto a
rispondere.
«Sai che giorno è, oggi?»
ringhia Giselle. Allontano un po’ il telefono in un inutile
tentativo di
salvataggio del mio padiglione auricolare e con lo sguardo cerco di
leggere la
data dal calendario appeso in un angolo.
«Tredici maggio.» rispondo
quindi, orgogliosa di me stessa.
«Sì. E non ti viene in
mente niente?» domanda allora mia sorella. La voce le si
è abbassata di un paio
di ottave, ciò significa che è molto arrabbiata.
Ma perché?
«No. Dovrebbe?»
«Sì che dovrebbe,
sottospecie di sorella degenere! Dobbiamo cercare il tuo
vestito!» sbraita.
Alla parola vestito, mi torna in mente tutto quanto.
«Oh…» mormoro, perciò.
«Già. Se non sei qui entro
venti minuti, ti disconosco.» poi Giselle chiude bruscamente
la telefonata ed
io so per certo che non scherza. Quando si tratta del suo matrimonio,
tende a
diventare un po’ melodrammatica, ma fa sul serio.
«Bridget, mi dispiace, ma
devo assolutamente scappare! Ci vediamo in questi giorni,
d’accordo? A
proposito, hai le ovaie più belle che abbia mai
visto!» le dico, prima di
precipitarmi fuori dal negozio; l’ultima cosa che sento
è la sua risata
divertita, poi inizio a correre.
Ho percorso appena un
centinaio di metri, quando un’utilitaria blu elettrico suona
il clacson e
accosta accanto al marciapiede.
«Serve un passaggio,
signorina?» il sorriso smagliante di Greg fa capolino dal
finestrino. In questo
momento, giuro che sono assolutamente felice che mia sorella se lo
sposi.
«Ti amo, Greg.» sospiro,
prima di sedermi accanto a lui e allacciare la cintura. Ridacchia,
prima di
immettersi nel traffico e dirigersi verso la zona est di Mullingar.
«Ho sentito Giselle, ed
era disperata perché ancora non arrivavi. Ho immaginato che
Bridget ti avesse
trascinato da qualche parte in centro.» spiega, sorpassando
un vecchio
trabiccolo color ruggine, che procede a due kilometri
all’ora, incurante del
traffico che sta creando.
«L’ho già detto che ti
amo?»
«Sì. Ne deduco, quindi,
che non mi saboterai più.» sorride, divertito, poi
si ferma in prossimità
dell’atelier dove Giselle ha intenzione di scialacquare i
risparmi di un’intera
esistenza e mi scompiglia i capelli.
«Mi raccomando, Leighton.
Non farla impazzire.»
Annuisco e faccio una
croce sul cuore. Lascio un bacio sulla guancia di Greg e scendo.
«Sono quasi felice che
Giselle ci sia cascata!» gli urlo, un attimo prima che svolti
l’angolo.
Faccio un respiro
profondo, mi ricompongo e raccolgo tutto il coraggio e la faccia tosta
che ho a
disposizione. Non appena varco le soglie dell’atelier,
Giselle mi viene
incontro, con un’espressione a dir poco terrificante e che
minaccia la peggior
morte possibile.
«Sei la peggior damigella
della storia, Leighton.» mi afferra per un braccio e mi
trascina nel retro del
negozio, dove Madame Sophie, la proprietaria del negozio e Martin, uno
dello
staff, si stanno consultando a bassa voce. A giudicare dai loro toni
concitati,
direi che stanno discutendo dell’ultima, entusiasmante
variazione del bianco.
«Scusate il ritardo.»
esordisco, guadagnandomi un’occhiata in tralice da parte dei
due. Giselle si
limita a scuotere la testa con rassegnazione.
«Almeno Niall è arrivato
puntuale.» borbotta.
Stop.
Niall?
Niall è il fratello minore
di Greg. Ha un anno più di me, frequenta il college a Londra
e si fa vedere qui
a Mullingar una volta ogni trent’anni o nelle occasioni
speciali. A quanto ne
so, era assolutamente entusiasta di partecipare al matrimonio del
fratello in
veste di testimone.
«Deve trovare anche lui il
vestito da damigella?» domando, sarcastica.
Sento una risata divertita
provenire da uno dei camerini situati sulla destra della stanza,
dopodiché
Niall fa la sua comparsa.
«Come sto?» chiede,
facendo una piroetta su sé stesso.
«Non so, con quel rosso
sembri una Drag Queen.» commento, con disinvoltura. Giselle
si porta una mano
sulla bocca, per mascherare la risata e la camuffa abilmente con un
colpo di
tosse. Niall, invece, scoppia a ridere e improvvisa una sorta di
balletto orripilante.
Martin e Madame Sophie, invece, sono palesemente oltraggiati, tanto che
boccheggiano alla ricerca di qualcosa da dire. Niall mi si avvicina e
mi
stringe in un abbraccio caloroso. Un po’ perplessa,
contraccambio con
decisamente meno entusiasmo.
«Ti trovo bene, Leighton.»
«Anche io a te. A parte il
vestito, s’intende.» aggiungo. Poi Martin si
riprende e, prima che riesca a
pronunciare un’altra parola, mi afferra per il polso e mi
trascina in un
camerino.
Mi allunga una vestaglia
in morbido cotone bianco e mi ordina di svestirmi.
Il cotone è fresco, sulla
pelle e, quasi quasi, sono tentata di chiedere se posso indossare
questa
vestaglia, al matrimonio. Se solo prendessero le cose un po’
meno sul serio, lo
farei.
Quando esco dal camerino,
Martin e Madame Sophie mi girano intorno. Non c’è
più traccia di Niall –
immagino sia andato a cambiarsi quel vestito orrendo – e
Giselle siede sul
divanetto con aria stanca.
«Non potresti tingere i
capelli, zucchero?» domanda Madame, attorcigliandosi una
ciocca dei miei
capelli intorno al dito.
«Lei potrebbe rifarsi il
naso?» ribatto, sperando di chiudere il discorso il
più in fretta possibile.
Cos’hanno i miei capelli che non và?
«Questo arancione è un
pugno nell’occhio, zucchero.» mormora, affranta.
«Ora glielo tiro io un
pugno nell’occhio, se non la pianta.»
«Leighton!» esclama
Giselle, scandalizzata. Faccio spallucce, perché non mi
interessa minimamente
di compiacere questa coppia di stronzi. Dov’è il
problema, se ho i capelli
arancioni? A me piacciono, non devo mica cambiarli per loro.
«Con questo caratteraccio
che ti ritrovi non ti sposerai mai.»
«Ancora una volta: non
credo siano affari suoi. Ora, se volesse trovarmi un benedetto vestito,
le
sarei eternamente grata.» sbuffo, portandomi una ciocca di
capelli dietro alle
orecchie.
Finalmente, Madame sembra
aver capito che non ho nessuna intenzione di perdere l’intera
mattinata nel suo
raffinatissimo negozio, così spedisce Martin a cercare
diversi modelli di
vestiti, avendo cura di precisare “tutti di taglia 46, mi
raccomando. Zucchero
è un po’ in sovrappeso.” Non che portare
una 46 sia così degradante, ma detto
da lei, che sfiorerà i trecentonovanta chili a stomaco
vuoto, rischia di
diventare ridicolo. Sto per rispondere qualcosa di non troppo simpatico
a proposito
del suo fondoschiena, ma Niall esce di nuovo dal camerino.
E questa volta, vi
assicuro che sembra tutto tranne che una Drag Queen.
«Allora?» domanda, un po’
più imbarazzato di prima.
Sia io che Giselle
annuiamo in contemporanea e ci spertichiamo in complimenti esagerati
– ma
sinceri – che fanno arrossire Niall fino alla radice dei
capelli.
«Direi che è perfetto,
zucchero.»
«Ma non gliel’ha mai detto
nessuno, che questo modo di chiamare i clienti è
irritante?» sussurro in
direzione di Giselle, che alza gli occhi al cielo e, sistematicamente,
mi
ignora. Vedo Niall annuire e sorrido. Ecco, meno male che
c’è qualcun altro che
la pensa come me.
Intanto, è tornato Martin
e trasporta una sottospecie di carrello al quale sono appesi almeno una
ventina
di vestiti diversi. Strabuzzo gli occhi, terrorizzata
all’idea di provare
quella quantità esagerata di roba e guardo Giselle con aria
supplichevole ma,
ancora una volta, non mi considera nemmeno di striscio.
Bene, immagino che questa
sia la sua vendetta per il mio ritardo. Ma non l’ho fatto
apposta, dico
davvero! Non potrei mai preferire Bridget a mia sorella, è
impensabile.
«Io andrei sul blu, o sul
verde scuro.» sostiene Madame Sophie. Ecco, per la prima
volta da quando ha
aperto bocca, ha detto una cosa sensata. Niente male.
Il primo abito che provo è
di un verde sgargiante, ma è troppo corto e mi lascia le
gambe completamente
scoperte. In più, non essendo nemmeno sto gran figurino, non
mi dona affatto.
Mi rifiuto proprio di uscire dal camerino e costringo Martin a passarmi
il
secondo abito.
È color glicine e,
abbinato ai capelli arancioni, è un vero e proprio pugno
nell’occhio. Perciò lo
scarto immediatamente e proclamo che se il terzo non è
quello giusto, mi
presenterò al matrimonio in accappatoio.
Finalmente, Giselle sembra
accantonare l’idea della vendetta e suggerisce quello che
è, a tutti gli
effetti, l’abito più bello che io abbia mai visto.
Lo indosso con l’aiuto di
Martin, che per una volta in vita sua è servito a qualcosa,
e il risultato è
soddisfacente.
Il blu oltremare non
stride affatto né con la mia carnagione pallida,
né con i capelli arancioni. In
più, la gonna è di un tessuto morbido, che scende
dolcemente fino ai
piedi. Mi slancia,
il che è
assolutamente fantastico, ed il corpetto mette in evidenza quel poco
seno che
madre natura mi ha concesso.
«Sei bellissima,
Leighton.» sussurra Giselle, portandosi le mani davanti alla
bocca. Ha gli
occhi lucidi e sembra sul punto di scoppiare in lacrime. Quante storie,
nemmeno
fossi io la sposa.
«Avevi dubbi?» replico,
con un sorriso divertito.
Ciao,
sono Leighton
O’Connell e sono la peggior damigella della storia.
***
Hi,
everybody!
Come
state?
Lo
so, lo so. Vi starete chiedendo perchè cavolo ho pubblicato
una nuova long, quando ne ho già due in corso. E avreste
perfettamente ragione. Però fregatevene, dai.
Allora,
che dire?
Questa
storia è... non lo so, ecco. Credo di averla sognata,
qualche notte fa, così l'ho messa per iscritto. Non credo
che sarà lunghissima. Almeno, non più di una
decina di capitoli. Non lo so, dipende dall'ispirazione.
Okay,
è tutto. Scusate il banner, che fa un pò schifo.
Ancora non sono molto brava :/
Ah,
recensite, per piacere. Anche per dirmi che è una totale
schifezza. Grazie :)
P.s.
Ho fatto Twittah, perciò se vi và followatemi: @FTheOnlyWay
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