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Wecome To PageBreeze
Ehilà..! eccomi con una nuova storia, un po’(un po’ tanto) più lunga
delle altre…
È una storia a lieto fine… strano, perché di solito non sono così buona
nelle mie ff… ma mi sembrava davvero brutto concludere questa con un altro
finale triste o tragico…
Inizialmente, il progetto era completamente diverso, ma poi la storia si
è… diciamo così… scritta da sola…
A dire la verità non sono particolarmente soddisfatta del mio lavoro…
magari avrei dovuto apportare alcune modifiche…
Comunque…( si lo so parlo troppo…^-^)… vi lascio giudicare e ,
soprattutto, commentare…!! ^_^
Quello che mi
basta.
A volte, Sana, preferirei sul serio tornare bambino.
Preferirei tornare indietro nel tempo, molto indietro.
Non all’età di 3 o 4 anni, no. Non così indietro.
Vorrei tornare a quando eravamo poco più che dei ragazzini. Quando non
litigavamo mai o, se lo facevamo, era per una tale sciocchezza che, dopo due
minuti, ce n’eravamo già dimenticati e avevamo già fatto pace.
Quando le uniche cose di cui parlavamo erano i compiti in classe o
un’interrogazione andata male.
Ed erano discorsi talmente leggeri da pesarci addosso poco più di una
piuma.
E le piume sono facili da portare sulle spalle.
Perché, il più delle volte, sulle spalle non ci restano neanche e se ne
vanno via al primo alito di vento.
E il vento soffiava spesso, molto spesso, quando eravamo
bambini.
E si portava via ogni litigio, ogni parola sbagliata, lasciandoci liberi
di riprovarci ancora, ancora e ancora.
Avevamo infinite possibilità. Quando sbagliavamo eravamo comunque sereni,
perché eravamo consapevoli di avere così tanto tempo per rimediare e per
sbagliare ancora, che non ci pensavamo più di due minuti.
Ora non abbiamo tutte queste possibilità.
È questo quello che mi brucia di più. E gli errori che facciamo ora non
sono più tanto leggeri.
E, soprattutto, non bastano due minuti per rimediare e per
scordarli.
Ora, poche parole potrebbero bastare per stravolgere completamente una
vita intera.
E non lo dico tanto per dire, lo sai, vero?
Lo dico perché l’ho provato e portato sulla spalle, il peso di poche
parole.
Lo dico perché l’abbiamo portato entrambi, tu specialmente.
E lo dico perché le nostre spalle sono ancora talmente indolenzite da
quel peso, da farci un male terribile.
***
Ti giuro, Akito. Te lo giuro davvero. Non credevo che la situazione
sarebbe degenerata fino a questo punto.
Voglio dire, come potevo anche solo immaginare che una notte, una stupida, insulsa notte,
avrebbe distrutto il nostro matrimonio?
Ok. Lo so. Avrei dovuto immaginarlo. Anzi,
avrei dovuto saperlo. Di più, avrei dovuto esserne
certa.
Ma non sempre si riesce a controllare tutto. Non tanto facilmente almeno.
Tu dovresti saperlo. Tu più di
chiunque altri.
Nella coppia, nella nostra coppia, tu eri l’esperto.
Tu eri quello a cui mi appoggiavo. Quello fermo, sicuro di tutto. Quello
che non sbagliava mai.
L’adulto.
E invece sei stato il primo a sbagliare.
Si, ok. Il mio sbaglio non è neppure paragonabile al tuo, però, si però
sei stato tu il primo a sbagliare.
Questo dovrebbe giustificarmi almeno un po’ non credi…?
***
Non credevo che, nonostante i tuoi 23 anni, tu fossi rimasta così
infantile. Non credevo tu fossi capace di dire tante sciocchezze tutte insieme,
sai? Credevo non ne fossi più in grado.
Ma, evidentemente mi sbagliavo.
Non c’è un limite al tuo infantilismo, Sana.
Sei rimasta forse più bambina di me. In certi momenti fatico persino a
riconoscere la Sana adulta, la Sana moglie, ma, soprattutto,
la Sana quasi
madre dalla Sana bambina.
Sei rimasta identica a quando avevi 11 anni, non fisicamente ovvio.
Almeno in quello sei cresciuta. E, devo dire, l’hai fatto piuttosto
bene.
Si, mi viene da ridere, ok?
Quel seno completamente inesistente ora ha assunto una forma quantomeno
decente.
E, ovviamente, questo mi piace da impazzire.
E mi viene da ridere perché non ti rendi neppure conto dell’effetto che
fai sugli uomini.
Su di me, specialmente.
Ma, fino a prova contraria, mi pare di essere ancora tuo marito e quindi
posso permettermi di saltarti addosso ogni volta che voglio.
Sempre che lo voglia anche tu, ovviamente.
Ma, visto che sei mia moglie credo faccia piacere anche a te.
E, infatti, pensandoci un attimo, io e te abbiamo sempre avuto una vita
sessuale piuttosto intensa.
Facevamo sesso anche prima di essere sposati, figuriamoci
dopo.
Qualcuno direbbe che sono un fissato, o che siamo fissati entrambi, visto
che, dovunque ci troviamo, basta guardarci o sfiorarci, per farci venire una
voglia pazzesca di fare l’amore.
Forse, dire troviamo è sbagliato.
Trovavamo mi sembra più opportuno.
Quanto tempo è che non facciamo l’amore io e te?
Due, tre mesi.
Mi pare molto di più.
E io ci ho messo tutta la buona volontà, te lo giuro, Sana.
Ce l’ho messa tutta per dimenticare e
ricominciare, ma non è colpa mia se, dopo la tua confessione che, sinceramente
parlando ha fatto proprio pena, ogni volta che ti vedevo, che ti toccavo, che ti
baciavo, mi bloccavo perché pensavo che un altro ti aveva guardata, toccata, baciata allo stesso
modo.
E non è una sensazione che posso far arrivare e sparire a mio piacimento.
Magari fosse così.
È una sensazione che mi prendeva e basta.
E, quando arrivava, non riuscivo neppure a
starti vicino, perchè sentivo un groppo allo stomaco, molto simile alla nausea.
E mi dava fastidio persino guardarti.
Ma credo non sia poi tanto strano, se tua moglie ti ha tradito con un
uomo che hai sempre odiato, non è vero…?
***
Negli ultimi tempi, ho notato che, a volte, quando mi guardavi assumevi
un’espressione terribile.
Sembrava che ti desse fastidio la mia presenza, non so. Mi sembrava
così.
Magari mi sbagliavo, o magari era anche normale per uno come
te.
Ma non mi pare di averti guardato alla stessa maniera quando ho visto
quello che è successo con Fuka.
Si, ok.
Il vostro è stato solo un bacio, o qualcosina di più, però ha fatto un
male pazzesco ugualmente.
Come credi che ci si senta quando, appena scopri di essere incinta e stai
correndo da tuo marito per comunicargli la splendida notizia, lo trovi chiuso
nella sua palestra di karate, mentre bacia la sua ex, che, come se non bastasse,
è anche la tua migliore amica…?
Credi faccia venir da ridere…?
Credi che ti faccia andare a letto serena, ogni sera…?
Credi che basti rincorrermi per le strade, fermarmi, stringermi forte e
dirmi che è stata lei a baciare te e che tu sei rimasto come
paralizzato…?
No, Akito. Non basta.
Non all’inizio almeno.
Ma io ti ho perdonato.
Io ho visto nei tuoi occhi la disperazione quando ho accennato al
divorzio.
E ho visto la gioia quando, poi, ho cambiato idea.
Per non parlare poi di quello che ho visto nei tuoi occhi quando ti ho
detto di aspettare un figlio. Tuo figlio.
Mio e tuo. Nostro figlio.
Eri felice. Felice davvero.
E, l’unica cosa che ho potuto fare, è stata quella di perdonarti e di
andare avanti con te.
E, allora perché ora che sono stata io a sbagliare, non mi riservi quel
perdono…?
Quella pazienza, quella buona volontà che ho avuto io per te…?
Perché, ogni volta, mi riservi solo quello sguardo terribile…?
Mi pare di non averti mai guardato a quel modo.
Neanche quando ti ho visto con lei.
Ma forse mi sbaglio.
Magari il mio sguardo è stato ancora più terribile.
***
Si, ok. Non sono mai stato un marito perfetto neppure io, questo non
posso negarlo.
Magari sarò stato assente, egoista e anche un po’ ingenuo, almeno con
Fuka. Lo so benissimo.
Ma non ho mai pensato, neppure per un secondo, di poterti sostituire con
un’altra.
Mai. Non mi è mai passato per la testa il pensiero di toccare un’altra
donna, neanche di sfiorarla.
E credevo, lo credevo davvero, che neanche
tu avessi questo genere di necessità.
Che poi è anche una necessità abbastanza stupida e ipocrita, che cela
dietro un insieme di situazioni e di motivazioni di cui mi sono accorto volta
per volta.
Voglio dire, se senti il bisogno di andare a letto con un altro uomo,
questo può solo voler dire che quello che hai già non ti basta,
vero…?
Tu desideri altre cose se quelle che hai non sono sufficienti. È così che
và. Non credo ci siamo altre motivazioni.
È un ragionamento così facile e fluido, che risulta persino
scontato.
Ora, io posso anche mettere in conto che è avvenuto in un momento non del
tutto idilliaco, posso anche credere a quello che mi hai detto tu e, cioè, che
la sera in cui mi hai visto con Fuka hai desiderato soltanto farmi provare lo
stesso dolore, e cose così… però rimane il fatto che io non ci ho fatto sesso. E
non l’avrei mai fatto perché davvero non ne ho mai sentito la
necessità.
E non perché Fuka non sia una bella ragazza, assolutamente no.
Lei è una delle ragazze più belle che conosca e, se fossi stato libero,
non ci avrei pensato due volte a portarmela a letto.
Ma il punto è proprio questo. Io non sono libero.
E, dannazione Sana! Non lo eri neanche tu.
E poi, sul serio voglio sapere come hai fatto ad andare a letto con quel
damerino di Kamura mentre portavi nel grembo nostro figlio…
Guarda, ti dirò che sinceramente, credevo che Kamura non fosse poi una
persona tanto male.
E ti dirò anche che, ultimamente, la sua presenza non mi infastidiva più
di tanto.
Ma ovviamente, ho dovuto ricredermi.
Si, va bene, sarò anche un ipocrita perché, probabilmente anch’io al suo
posto avrei fatto la stessa cosa, però non posso fare a meno di
odiarlo.
Ed è un odio talmente puro da
non lasciare spazio a nessun’altra sfumatura. A nessun altro sentimento. Ed è un
odio abbastanza semplice da capire e, quindi, facile da controllare.
Ma con te è diverso. Con te è sempre stato diverso.
Il fatto è che ho sentito così tanto la necessità di odiarti come odiavo lui,
che l’unico risultato che sono riuscito ad ottenere non è stato affatto quello
di odiarti, ma solo quello di amarti di un amore macchiato.
***
Da quando ho perso nostro figlio, Akito, non riesco più a pensare a
niente. Perlomeno a niente che abbia un senso logico.
Magari sarà anche normale e sarà anche una cosa che succede a molte
persone, specialmente a chi è appena al terzo mese di gravidanza.
Neppure i medici hanno saputo dirmi esattamente quello che è
successo.
Neanche i medici.
“ Che incompetenti!” ho pensato subito.
Poi ho riflettuto un po’ e ho capito che magari la colpa è stata solo
mia.
Sai che sono andata a vivere da Aya e Tsuyoshi dopo la nostra rottura,
vero..?
La loro piccola Miki diventa ogni giorno più bella. Ha solo 6 anni e
sembra già una ragazzina.
Spero che non cresca così in fretta come noi. Spero che non abbia una
così forte voglia di diventare grande, come avevamo noi. Spero che avrà ancora
tantissimo tempo per restare bambina, per pensare da bambina, per vivere da bambina. E, soprattutto, per
sbagliare da bambina.
Senza aver paura delle conseguenze. Senza aver paura di un dito puntato
contro e degli sguardi scrutatori della gente.
Lo spero davvero. Spero davvero che la vita glielo permetterà.
E mi auguro che, quando arriverà il momento di diventare grande perché,
purtroppo, arriverà anche per lei, diventerà una donna migliore di me. Una
persona migliore di noi.
Che sia in grado di far fronte alle sue responsabilità e agli impegni
presi.
Non come noi. Non come me.
Aya e Tsuyoshi me lo dicevano sempre di mangiare, di tenermi in forma
perché avevo un’altra vita a cui pensare. Un’altra vita da proteggere.
Ma se io non sono riuscita neppure a tenermi stretta la mia come potevo
anche solo sperare di essere in grado di badare ad un figlio…?
Come potevo anche solo sperare di esserne in grado…?
Che sciocca che sono stata. Che illusa.
Però io ci avevo creduto. Sul serio. Avevo creduto in quello che saremmo
potuti diventare con quel figlio. Io l’avevo visto.
E, sempre io, ho mandato tutto all’aria per una stupida
ripicca.
Magari è anche meglio che abbia perso questo figlio.
Non credo sarei stata in grado di dargli tutto quello di cui un bambino
ha bisogno.
Se faccio ancora i dispetti come una bambina, non posso pensare di essere
un’adulta.
E il matrimonio, i figli e, soprattutto la famiglia, si sa, sono cose per
adulti.
***
Quando eravamo adolescenti ricordo che era tutto molto più
chiaro.
A volte complicato, questo è vero. Ma dannatamente chiaro.
Nelle nostre teste, la nostra vita era già stata tracciata.
Me lo ricordo, sai? Tutte le volte in cui ci trovavamo a parlare di come
volevamo il nostro futuro.
E, chissà perché, mi dicevi sempre le stesse cose.
Avremmo avuto qualche altro anno di fidanzamento, poi, verso i vent’anni
ci saremmo sposati e poi, ovviamente, avremmo avuto dei figli.
Due bambini.
Un maschio ed una femmina.
Anzi, no. Una femmina ed un maschio.
Perché, secondo il tuo cervello contorto, se fosse nato prima un maschio
sarebbe stato così geloso della sorellina la quale, ovviamente, sarebbe stata
una bellissima ragazza come sua madre, che le avrebbe reso la vita
impossibile.
Mi viene da ridere, sai…?
Si… al pensiero che tu potessi davvero credere che sarebbe andato tutto
come previsto.
Ok, sono un ipocrita.
Ci avevo creduto anch’io.
Ma mi sembra inutile ricordarti che se le cose non hanno funzionato è
stato solo perché tu, evidentemente, non eri ancora pronta per avere dei
figli.
Mi verrebbe da dire che, forse, non eri pronta nemmeno per essere mia
moglie.
Tsuyoshi mi ha telefonato qualche giorno fa.
Ha approfittato di un momento di assenza tua e di Aya, perché, a come mi
ha detto, non può neanche nominarmi in tua presenza.
Bene, sei stata doppiamente stupida.
Come hai potuto anche solo pensare di tenermi nascosta la morte di mio figlio…?
Come credi mi sia sentito ad avere la notizia da Tsuyoshi anziché da
te…?
Credevo un po’ di coraggio ti fosse rimasto. Almeno per dirmi una cosa
così importante.
Nei due giorni seguenti la telefonata di Tsuyoshi non ho neanche avuto la
forza di alzarmi dal letto.
E, visto che vivo da solo ormai, non c’è stato nessuno a spronarmi a
farlo. E, quindi, sono rimasto lì. Almeno finchè non è arrivata Natsumi a
tirarmi un po’ su.
E la apprezzo tantissimo per questo e, ancora di più, perché con me non
deve essere stato un compito facile.
Perché la forzache avevo e
che avevo sempre dimostrato pareva essersi scordata di me, perché mi veniva
difficile persino respirare.
E il fatto che aver perso il bambino sia successo quasi esclusivamente
per colpa tua, aggrava ancora di più la tua posizione nella mia
testa.
E ora davvero, dovrebbe sorgermi spontaneo odiarti come odio Kamura.
Ma, per quanto mi sforzi, l’immagine della Sana che amavo è ancora così
presente, da non farmi neppure venire la voglia di urlarti contro
cattiverie.
Ed è triste, perché le cattiverie che ti urlerei ce le ho
dentro.
È solo che, quell’immagine, non riesce a farle uscire fuori.
Ed è triste, perché non riesco ad essere arrabbiato come vorrei, ma
solamente deluso.
E, francamente, non so cosa sia peggio.
Se urlarti addosso parole terribili o se riservarti il mio
silenzio.
***
Stavo pensando di cercare casa. Perché sto pensando che, forse, Aya e
Tsuyoshi vorrebbero un po’ di tempo per stare soli. Loro due e la piccola Miki,
intendo.
Non è che me lo abbiano dimostrato palesemente questo loro bisogno di
intimità, non dico questo.
Ho semplicemente pensato che, dopo quasi quattro mesi di convivenza,
fosse arrivata l’ora di cercarmi una sistemazione, magari in un’altra
città.
Ci avevo pensato spesso, a dirti la verità. Ma non avevo mai avuto il
coraggio di mettermi a cercare casa, tantomeno di cercarla lontano da
qui.
Il fatto è che finchè sarei rimasta nelle vicinanze, ospite a casa di
Aya, la mia sarebbe stata ancora una posizione “provvisoria”. Voglio dire che,
finchè non avessi trovato un’altra casa, sarei rimasta aggrappata al pensiero
che anche la nostra separazione fosse una cosa “provvisoria”.
E così è stato per tutto il tempo che sono rimasta qui.
Immobile, ferma in attesa di un qualunque tuo gesto, anche del più
piccolo che mi donasse una piccola, piccolissima speranza alla quale
aggrapparmi, oppure che me ne togliesse anche quel minuscolo barlume che mi era
rimasto.
Una cosa qualsiasi. Ma non questa immobilità.
Non questo silenzio.
Non questo “niente”.
Arrabbiati con me, urlami parole terribili, ma non ignorarmi, non
cancellarmi.
Alle tue parole saprei cosa dire. Saprei come provare a spiegarti, potrei
provare a scusarmi ancora.
Ma al silenzio, al tuo silenzio, cosa si può rispondere…?
***
Tsuyoshi mi ha telefonato due giorni fa. Tsuyoshi telefona spesso,
ultimamente.
Mi ha detto che hai trovato una casetta in un piccola località
sull’oceano.
Non ricordo neanche il nome.
È abbastanza lontana da qui, mi ha detto, circa 6 ore di
macchina.
Al telefono, aveva una voce pacata e parlava sommessamente.
Mi ha fatto quasi tenerezza. Questo suo volermi tenere costantemente
aggiornato su di te, in un certo senso, mi fa anche piacere.
Mi fa piacere, perché vuol dire che si preoccupa per me, tutto solo in
questa casa così grande.
Ultimamente ho notato che se cammino e ascolto con attenzione, riesco a
sentire l’eco dei miei passi.
È una cosa molto triste. E mi mette addosso uno strano senso di
abbandono.
“Ecco” penso spesso.. “ … sono tornato all’origine… solo come all’inizio
della storia”.
Dimmi tu, Sana, se questo non è un pensiero triste.
Ogni tanto, a dirti la verità, mi capita di guardare la vasca da bagno,
quella “mini piscina”, come la chiamavi tu, e di vederti ancora lì, con quegli
strani prodotti a coprirti la pelle del viso e a immergerti in quel mare di
schiuma che amavi tanto.
Passando per la cucina, mi capita di immaginarti ai fornelli, con il
mestolo in una mano e il ricettario nell’altra, intenta a preparare un qualche
strano piatto che, ovviamente, ti sarebbe venuto da schifo. Ma non avrebbe avuto
importanza, perché io l’avrei mangiato comunque, e tu mi avresti sorriso
soddisfatta e ti saresti messa a saltellare per tutta la cucina.
Quando dormo in quello che è stato il nostro letto per gli ultimi tre
anni, poi, mi sento ancora più solo.
Quante volte ci abbiamo fatto l’amore, Sana…?
Quante volte siamo rimasti svegli semplicemente stando abbracciati,
sfogliando un vecchio album di fotografie…?
E quante volte, abbiamo immaginato lì il nostro futuro…?
Perché proprio da lì, da quel letto, il nostro futuro sarebbe
cominciato.
Lì, dove abbiamo concepito nostro figlio.
E a volte mi sembra terribilmente ingiusto che tu te ne sia andata e che
abbia lasciato a me il peso di questa casa e di tutti i ricordi che si porta
dentro. Perché pesano, Sana, pesano sul serio tutti questi ricordi.
A volte ti vorrei qui, vicino a me, e vorrei che sentissi anche tu questo
vuoto che sento io nel guardare queste stanze, le nostre stanze...
Vorrei che chiudessi gli occhi, come faccio io, e che li rivedessi ancora
tutti lì, fermi,immobili, a
guardarci, quasi come a prendersi gioco di noi… loro, i nostri
momenti.
E vorrei farti sentire questa desolazione quando, una volta riaperti gli
occhi, non vedrai altro che… mobili.
E ti dannerai perché davvero non riuscirai a vederci
nient’altro.
Te lo dico perché lo so che è così che ci si sente, perché io sono
costretto a viverla ogni giorno, questa devastazione.
Te lo dico perché tu sappia che, mandandoti via di casa, ho punito me,
non te.
Questa casa mi sta uccidendo.
Stavo pensando di cercarmi un’altra sistemazione. Magari il più lontano
possibile da qui.
***
Stamattina mi è arrivata una telefonata da quel nostro amico francese,
Jean.
Te lo ricordi vero…?
L’abbiamo incontrato durante la nostra luna di miele.
Ci faceva ridere molto. E ci riempiva la testa con i suoi problemi
amorosi con una certa Nadine.
Te lo ricordi…? Era sulla nostra stessa nave da crociera.
Mi ha telefonato per sapere come vanno le cosa tra noi e per informarci
che, alla fine, è riuscito a conquistare Nadine, anche grazie al nostro aiuto,
visto che siamo stati noi due a farli incontrare sulla nave.
E dice anche, ed è questo che mi ha lasciato senza parole, che tra poco
più di due mesi dovrebbero sposarsi.
Assurdo, non trovi…?
Si conoscono da così poco tempo e già ritengono di essere pronti per un
passo tanto importante.
Mi viene da ridere al pensiero che noi due ci abbiamo messo circa 10 anni
per arrivare all’altare.
Ora, egoisticamente, mi ritrovo a pensare che se il nostro matrimonio è
durato così poco il loro durerà ancora meno.
Non puoi sposare una persona che conosci da pochi mesi.
Non puoi sposare una persona che non conosci alla perfezione.
Perché sarà con lei che dovrai passare ogni giorno della tua
vita.
E se poi la riscoprissi diversa da come pensavi che fosse…?
Cosa farai allora…?
La tradirai…? La lascerai…?
O cercherai un modo per farla diventare come l’avresti
voluta…?
In qualsiasi modo reagirai, farai una cosa orribile.
Ma forse io non parlo in modo obiettivo.
Forse, se ci fossimo conosciuti adesso, io ti avrei sposato anche
domani.
Perché ti avrei amato dal primo istante.
E se mi avresti amato anche tu, allora non ci sarebbe stato motivo di
aspettare.
E, magari, il nostro matrimonio sarebbe durato molto più a
lungo.
Perché, una volta sposati, avremmo passato la maggior parte del tempo a
conoscerci meglio e non a cercare di tenere accesa la nostra
relazione.
Non avrei di certo pensato ad un tradimento.
Però, non sono per niente pentita di aver aspettato così tanto per
sposarti, perché, in un certo senso, è come se ti avessi conosciuto più di me
stessa, quando sono arrivata accanto a te, sull’altare.
Ok, mi sto perdendo in discorsi un po’ contorti. Lasciamo
perdere.
Se potessi vedermi adesso, sdraiata sul divano, con il pigiamone rosa con
gli orsacchiotti, che odiavi tanto, a cambiare canale senza trovare niente di
interessante, mentre, fuori da qui, si sente il rumore dell’oceano e le voci
allegre delle persone che passeggiano sulla riva, credo mi troveresti
ridicola.
Credo ti verrebbe da ridere. E rideresti. Perché ti piaceva farlo con
me.
Mi guardo un po’ intorno.
La casa è perfettamente in ordine.
È davvero molto bella e spaziosa.
Peggio. Perché si sente ancora di più la desolazione del divano vuoto
accanto a me.
Continuo a fissare il vuoto al mio fianco e mi sento incredibilmente
sola.
E ti immagino seduto qui, mentre mi tieni la mano, come per darmi
coraggio perché nella TV di fronte a me un assassino sta inseguendo la sua
vittima.
E tu sai quanto questo genere di film mi metta paura.
Sposto un po’ la mano, facendola scorrere sul tessuto liscio sotto di me
e, quasi trema senza la tua mano a stringerla forte.
Mi alzo stancamente perché credo che sia puro masochismo continuare a
torturarmi con la tua immagine.
Cerco di lasciarla lì, ferma su quel divano, la tua immagine. Ma lei mi
segue ovunque.
Ripenso a quello che eravamo e lascio scorrere due lacrime solitarie
sulle guance.
Ripenso a te e a quello che eri per me.
Ci ripenso e mi manchi.
E sbatterei la testa contro un muro per la mia stupidità.
E darei qualsiasi cosa per tornare indietro.
Ma lo so bene, che tornare indietro non è possibile.
Però mi manchi e ti voglio ancora con me.
Perché ti amo Akito, disperatamente.
Ed è l’unica cosa di cui vado fiera.
***
Stavo sfogliando un giornale con inserzioni su annunci di chi vende
casa.
Sono moltissime le persone che lo fanno. Forse, dovrei farlo
anch’io.
Sono stato a vederne una in un piccolo quartiere di Kyoto l’altro giorno.
Mi è sembrata abbastanza bella e anche abbastanza conveniente.
E poi, lì vicino, c’è anche una palestra di arti marziali dove potrei
continuare con il mio lavoro di istruttore.
Sembrava che stesse aspettando me, quella casa.
L’ho guardata bene, da cima a fondo e non sono riuscito a trovare niente
che non andasse veramente bene. Persino il prezzo non era poi così
alto.
Era perfetta.
Non troppo spaziosa, abbastanza economica e, soprattutto, lontana da
Tokyo.
Ho detto al venditore che devo pensarci su e che gli farò sapere entro
una settimana al massimo.
Sono passati 5 giorni e ancora non sono convinto di niente.
Ho la mente da tutt’altra parte.
Ho la mente a te, Sana. Costantemente.
E non lo sopporto.
***
Ho lasciato la nuova casa.
Dopo sole 3 settimane.
Non credo sia possibile per me, stare lontano da Tokyo.
Due giorni fa ho telefonato Fukachan. Erano mesi che non ci
sentivamo.
Ho creduto fosse arrivato il momento di chiarire alcune cose.
Quasi non scoppiava a piangere, non appena ha sentito la mia
voce.
Mi ha spiegato ed io ho ascoltato.
Mi ha detto che aveva appena scoperto che Takaishi la tradiva e voleva
chiedere consiglio a te, Akito.
Così è venuta in palestra a cercarti.
Poi, sentendo dei passi fuori, i miei passi per precisare, e credendo
fossero di Takaishi, ha reagito d’istinto e ti ha baciato.
Non credeva fossi io. Non voleva farmi questo. Non voleva saltarti
addosso.
E io le ho creduto.
E io l’ho perdonata.
Perché io ho fatto una cosa molto più orribile.
Io ti ho tradito, Akito.
Tradito con il tuo peggior nemico.
E sapevo di farti del male. Sapevo che avresti sofferto.
Perciò non ho il diritto di giudicare nessuno, tantomeno Fuka.
Comunque, ho deciso di tornare a Tokyo.
In questo momento sono sul treno che mi riporterà nella nostra città.
L’unico posto dove io voglia vivere.
Ho saputo da Aya che hai lasciato la nostra vecchia casa, ma che non hai
assolutamente voluto venderla.
Perciò, è abbandonata.
Tornerò a vivere lì, visto che non ho altri posti dove andare.
Almeno resterò vicino alla mia famiglia ed ai miei amici.
Credo sia la cosa migliore da fare.
Spero solo di essere abbastanza forte per vivere da sola nella casa in
cui abbiamo sempre vissuto in due.
Spero davvero di esserne capace.
***
Ho avuto la conferma, in questi giorni, di essere un emerito “niente”,
senza la tua presenza accanto a me. Senza il tuo sorriso caldo, le tue mani
minuscole, i tuoi occhi allegri.
E non è bello sentirsi “niente”.
Soprattutto perché sei stata tu a volere questa situazione, non io. Non
ho deciso io, dannazione, di mandare all’aria tutto quello che
avevamo.
Non l’avrei ma fatto, perché Dio solo sa quanto io ti abbia amato,
Sana.
E allora perché devo essere io a soffrire per i tuoi errori…?
Ti sembra giusto?
Quando sono arrivato nella nuova casa, a Kyoto, mi sono letteralmente
buttato sul letto e non ho fatto altro che pensare a te tutta la
notte.
Ho pensato, soprattutto, alla Sana spensierata e allegra di cui mi era
innamorato, a quella che mi faceva sorridere, che mi faceva sentire amato,
importante, a quella Sana che, semplicemente guardandomi, riusciva a farmi stare
bene, bene davvero.
Ho pensato anche alla Sana che metteva il broncio quando le dicevo di
odiare quel suo enorme pigiamone con gli orsacchiotti, che scoppiava a piangere
per uno sdolcinato film in TV e che, quasi, mi stritolava la mano quando,
invece, in TV c’era un assassino che inseguiva la sua vittima.
Ho pensato alla Sana che litigava con me per la mia folle gelosia, che
non sopportava il mio inguaribile non sorridere mai e che mi avrebbe volentieri
ucciso ogni volta che la lasciavo sola a casa per più di tre ore, vista la sua
fobia per la solitudine.
Ho pensato, infine, alla Sana che, quando faceva l’amore con me ci
metteva tutta l’anima e, fiduciosa, si sdraiava sotto di me, con le mani chiuse
a pugno incrociate dietro le mie spalle e che, ogni tanto, sussurrava il mio
nome.
E suonava incredibilmente rassicurante il mio nome sussurrato da
lei.
Poi, mi è venuta in mente l’ultima volta che ti ho vista.
Con gli occhi gonfi di lacrime, il viso pallido e i capelli in
disordine.
Un po’ dimagrita, sciupata, forse.
Eppure incinta.
E ti ho chiesto di andartene.
E ho preteso una forza che non avevi più, e l’ho pretesa, perché eri
incinta.
Ma hai perso il bambino, perché eri debole. Debole e fragile come ti ho
vista io quella dannatissima notte. Impaurita e spaventata, mentre i tuoi occhi
mi imploravano perdono.
Debole e fragile come se un alito di vento potesse spezzarti in
pezzettini minuscoli. Impaurita e spaventata come se, quel vento, il tuo cuore
l’avesse già distrutto.
E io, pieno d’orgoglio e di dolore, d’orgoglio soprattutto, ho ignorato
il tuo viso terrorizzato.
E ti ho chiesto di andare via.
Perché il mio orgoglio me l’ha obbligato, perché il mio cuore non è stato
così forte da impedirmelo.
Perché quella pancia era ancora piatta, quasi come se dentro non ci fosse
niente.
E, invece, dentro c’era nostro figlio e io l’ho mandato via, insieme a
te.
L’ho cacciato dalla mia vita e lui ha preferito uscire dalla
nostra.
In silenzio, da dietro le quinte ha sceso le scale del palcoscenico,
abbandonando lo spettacolo in punta di piedi, senza fare rumore, senza fare
casino.
Da solo, così com’era anche dentro di te.
Con solo un’enorme blocco di ghiaccio a pesargli sul petto.
E la colpa è nostra, Sana. Noi, genitori incoscienti, immaturi, con la
vita ancora troppo incasinata per potersi prendere l’incarico di badare anche a
quella di nostro figlio.
Noi che, ancora, nonostante tutto, non siamo neppure riusciti a dirci
addio guardandoci bene negli occhi.
Noi che abbiamo passato insieme tutta la nostra vita, ci siamo trovati a
stare lontani per cinque mesi.
Mi sono sembrati una vita intera.
Forse, cinque mesi possono essere lunghi come una vita intera.
E una vita intera senza te è più dura di quanto pensassi.
Credo, forse lo spero, sarà così dura anche per te.
Ma noi, Sana… siamo davvero in grado di stare lontani…?
***
Oggi è stato un giorno importante.
Ho ricevuto una proposta dal registra, nonché mio vecchio amico, Mikio
Ono.
“ E poi…l’amore” si intitola il suo nuovo film.
La storia è abbastanza complicata, come tutti i suoi film
naturalmente.
Keily è la giovane protagonista. Una ragazza di soli 22 anni che, ad un
certo punto, si ritrova ad affrontare problemi forse troppo grandi per la sua
giovane età. E, soprattutto, si trova ad affrontarli da sola.
Al contrario delle altre storie di Ono, questa ha un lieto
fine.
Mi ha fatto pensare, sperare forse che, se Keily ce l’ha fatta, allora ce
la posso fare anch’io.
Nonostante il vuoto nel petto, nonostante la voglia di urlare, nonostante
mi manchi da morire.
Ma sono felice, perché Keily dovrò interpretarla io e, forse, mi aiuterà
a trovare una forza che non uso più da troppo tempo.
E ho accettato per questo.
Per dimostrare che posso farcela anche da sola.
E ho pensato che Keily è un po’ come una maschera. Ma, dopotutto, se è
così, è una maschera che voglio portare.
E, se poi, serve a farmi sembrare più forte, tanto meglio.
Magari potrei decidere di tenerla sul viso per sempre.
***
Mi sento un tale idiota a passeggiare così, sotto la pioggia, alle due di
notte per le strade di Tokyo.
Già. Assurdo, vero Sana…?
Non sono riuscito a stare in quella casa più di qualche settimana che,
subito, ho sentito il bisogno di
tornare a casa mia.
E Tokyo è la mia unica, vera casa.
Devo ammettere, però, che quando ho preso il treno, ieri sera per tornare
nella nostra vecchia casa, l’unica cosa che mai avrei potuto aspettarmi era di
oltrepassare la soglia del portone e di vederti lì, intenta a preparare la
cena.
Sono rimasto immobile per almeno dieci minuti sulla porta, con le valigie
ai piedi e con un’aria totalmente ebete dipinta sul volto.
Credo tu non ti sia neppure accorta della mia presenza, intenta com’eri a
leggere il ricettario che tenevi stretto in una mano.
Al solito.
Non imparerai mai a cucinare decentemente senza avere un ricettario sotto
gli occhi.
Al solito.
Ma va bene così. Perché, per un attimo, ho avuto l’impressione di essere
tornato indietro nel tempo… quando rientravo tardi dalla palestra e, aprendo la
porta, ti vedevo armeggiare con i fornelli e, mi bastava questa tua visione, per
far sparire tutta la stanchezza in un baleno.
Tu non lo sai, perché non te l’ho mai detto, ma amavo tantissimo il modo
in cui ti legavi il grembiule dietro la schiena.
Inutile. Non riuscirai mai a farti un fiocco decente.
Sorridevo, guardandoti e mi divertivo a stare lì, immobile, a guardarti
senza essere visto.
Perché potevo guardarti in tutta la tua naturale bellezza, così… con i
capelli legati alla bell’è meglio… con addosso il pantalone di una vecchia tuta
e una magliettina di almeno cinque anni fa.
Con il viso pulito, senza una minima traccia di trucco.
E mi piaceva guardarti così, perché era il momento della giornata in cui
mi sembravi più bella che mai.
E mi piaceva, soprattutto, l’espressione scocciata che facevi non appena
mi vedevi rientrare prima dell’ora prevista.
“ Accidenti Akito…! Perché devi arrivare sempre prima…? Non mi dai il
tempo di finire di preparare la cena…! Lo sai che non riesco a cucinare con te
in mezzo ai piedi..!”
Dicevi sempre così. E mi facevi divertire da morire perché un secondo
dopo ti buttavi tra le mie braccia e mi sussurravi “Bentornato”…
Comunque, rimane il fatto che sono ancora sotto questa dannata
pioggia.
E per le strade non c’è anima viva.
E fa un freddo, cazzo! Terribilmente freddo…!
E sono un vigliacco… perché non ho neanche avuto il coraggio di farmi
vedere da te, no.
Sono semplicemente scappato.
E, di solito, non sono io quello che scappa, Sana.
Ho freddo. E non so dove andare a dormire.
Forse farei meglio ad andare da Tsuyoshi.
***
Ok. Ho deciso che ucciderò qualcuno oggi.
Magari Tsuyoshi, o anche Aya… non so.
Ma potrei davvero uccidere qualcuno.
Dio! Eri qui…! A casa nostra…!
Si, lo so che tu credi che io non ti abbia notato, ma non è
così.
Riesco a riconoscere il tuo modo di aprire la porta, anche se giri la
chiave in modo impercettibile.
E, poi… ma che cazzo! Perché non sei venuto neanche a dirmi..
“Ciao?”
Codardo…
Ok. Sono codarda anch’io.
Io, che ho preferito rimanere in silenzio, quando il mio cuore mi urlava
di tutto.
Quando mi urlava di girarmi, correre da te, baciarti e stringerti
forte…
Di “costringerti” a restare per ascoltarmi… per ascoltare le mie scuse…
per ascoltare come è stata la mia vita da quando non ero più accanto a te… per
ascoltare come sono state tutte le notti passate da sola, in un letto che non mi
apparteneva, che non mi “conosceva”…
Si. Avrei dovuto fermarti.
Ma non l’ho fatto.
Sono una codarda che ha fatto soffrire il ragazzo che ama per uno stupido
capriccio e che non riesce neppure a fermarlo per chiedergli scusa.
Codarda.
Ed è terribilmente comodo.
***
- Avevo intuito che sarebbe successo, sai Akito…?
Tsuyoshi si scosta dalla porta, per farmi entrare in casa sua.
Lo guardo e mi viene da sorridere.
È così strano con il pigiamone rosso a scacchi e con gli occhiali messi
in malo modo sul naso.
Dimostra molto di più dei suoi 25 anni.
A guardarlo così sembrerebbe quasi un quarantenne.
Sarà perché quel pigiama è davvero, ma davvero orrendo…?
Non riesco a non dirglielo.
- Sai Tsuyoshi… se proprio vuoi dormire con un pigiama ne esistono di
molto più… giovanili, sai?
Lui si limita a sorridere un poco.
- È un regalo di Aya… lo odio…
Mi sussurra in un orecchio, per non svegliare sua moglie.
- …. ma per far piacere a lei sai che farei di tutto…
- Certo… direi che è una buona motivazione…
Gli dico, sedendomi composto sul divano.
-… e direi anche che la tua Aya ha un
pessimo gusto in fatto di regali.
Tsuyoshi ride un poco, sedendosi vicino a me.
- Allora Akito… sei stato a casa tua, vero…?
- Già.
- E… lei era lì vero…? spalanco gli occhi, in senso di
stupore.
- Tu lo sapevi…? Cioè tu sapevi che era tornata…??
Mi guarda serio.
- Si, l’ho saputo subito perché ha telefonato Aya dicendogli che era
tornata.
Non so neppure che cosa rispondere.
- E… aspetta un attimo.. io… io ti ho telefonato ieri dicendoti che avevo
lasciato la nuova casa per tornare in quella vecchia… e tu non mi hai detto
niente di niente… perché?
- Perché… se il destino aveva deciso che voi due dovevate rincontrarvi,
io non potevo mettermi in mezzo, impedendoti di tornare…
Lo guardo. E, per un attimo, ho l’irrefrenabile impulso di tirargli un
pugno in pieno viso. Ma non lo faccio. Forse perché lo vedo lì, il mio migliore
amico, con lo sguardo basso e la frangetta disordinata a coprirgli gli occhiali
enormi, con le mani strette a pugno sulle ginocchia.
E proprio non riesco ad odiarlo. Neanche per un istante.
Forse, potrei addirittura ringraziarlo.
Perché si mi avesse detto che tu eri tornata, me ne sarei rimasto lì, a
Kyoto, nella nuova casa, senza pensarci due volte.
Se me lo avesse detto io non ti avrei rivista.
Ma, probabilmente, sarebbe stato meglio così.
***
Il sole è particolarmente fastidioso stamattina.
Non so perché. Ma sentirmelo bruciare dritto negli occhi, mentre ero
ancora nel più profondo dei sogni, stamattina non è stato affatto
piacevole.
Strano. Perché di solito amo svegliarmi così.
Sentendo il dolce tepore del sole sul viso. Quasi… quasi come una
carezza.
Un buongiorno speciale, tutto per me.
Un buongiorno che il sole mi riservava ogni qual volta ne avevo voglia.
Bastava solo lasciare le persiane leggermente aperte, la sera prima.
Ma stamattina l’ho trovato terribilmente fastidioso.
Stamattina no, stamattina non volevo svegliarmi.
E, quel sole caldo e luminoso, così in contrasto con il mio umore, mi ha
reso incredibilmente nervosa.
Si, lo so, a volte faccio dei ragionamenti talmente idioti che, quasi, mi
viene da ridere da sola.
Però è vero che il sole mi ha dato un terribile fastidio,
stamattina.
E questo mi preoccupa un po’.
Ma comunque, la prima cosa che ho pensato, quando sono riuscita a
riprendermi dal torpore causatomi dal sole, sei stato tu, Akito.
Inutile anche dirtelo, vero…?
Chissà se sei già ritornato nella tua casa a Kyoto.
Chissà cosa ci facevi qui, ieri sera…
A volte mi verrebbe voglia di prendere quel maledetto telefono e di
chiamarti per darti appuntamento in un qualsiasi posto.
Solo per parlarti un po’.
Solo per vederti ancora, anche per cinque minuti.
Mi basterebbe, credo.
Si, credo di si.
Appena riesco ad alzarmi da questo letto ecco che qualcuno suona il
campanello.
Dio, ho un’incredibile voglia di non aprire e di tornare a
dormire.
Però, come prevedibile, mi precipito giù per le scale con chissà quale
speranza a bruciare nel petto.
Devo imparare a sperare di meno, la prossima volta.
- Ciao Sanachan…
- Ayachan sei tu…! Che ci fai qui…?
Mi sposto un poco, giusto per lasciarle lo spazio per oltrepassare la
soglia del portone.
Lei non mi guarda neppure e , subito, si dirige a passo svelto verso il
divano in salotto.
La seguo, senza dire una parola e mi siedo accanto a lei.
- Sana io davvero… davvero non capisco..
No Aya, sono io che non capisco quello che vuoi dirmi.
- Cosa..?
Le chiedo, senza tanti preamboli.
- Considerato il fatto che sono sicura che tu sappia che ieri sera Akito
è stato qui, voglio chiederti che diavolo ti è passato per la testa…
Mi guarda, confusa.
- … Sana… perché non l’hai fermato…?
La guardo anch’io per un istante. Ha gli occhi dolci, Aya. Molto dolci.
Sembrano gli occhi calmi e protettivi di una madre.
- Io… ho avuto paura…
- Sana ora basta avere paura. Tu lo ami..?
Mi limito a fare un cenno con il capo in segno di assenso.
- Allora io non devo dirti più nulla.
- Ma… ma io.. non so dov’è ora…
Si alza lentamente dal divano.
- Ora è insieme a Tsuyoshi a casa mia… vuoi venire con me…?
Rimango in silenzio qualche istante.
Sento una mano di Aya posarsi leggera su una mia spalla, come per
infondermi coraggio.
Senza pensare un minuto in più, mi alzo e la seguo fuori dal
portone.
Ora basta.
È finito il momento per avere paura.
***
Il divano di Tsuyoshi è terribilmente scomodo.
Ci ho dormito tutta la notte e, adesso, ho un mal di schiena
terribile.
Mi sento completamente indolenzito.
La stanza è ancora immersa nel buio.
Strano, dovrebbe essere abbastanza tardi.
Prendo l’orologio vicino a me.
Segna le 10:30…
Mi guardo intorno e noto che la porta della camera degli ospiti, in cui
mi trovo, è ancora chiusa.
Penso che ormai Aya e Tsuyoshi saranno svegli.
Ma decido che, in fondo, non è poi così tardi.
E penso che, magari, un’altra oretta di sonno non può farmi altro che
bene.
***
Ora che ci penso, è da tantissimo tempo che non vado in macchina con
Aya.
Veramente, ora che ci penso, è anche da tantissimo tempo che non vado più
da nessuna parte con Aya.
La guardo mentre è concentrata sulla strada.
La guardo e mi viene in mente l’Aya bambina delle elementari che
arrossiva non appena si parlava di ragazzi.
L’Aya che sembrava la più ingenua tra noi e che, invece, si è dimostrata
la più saggia in molte, moltissime occasioni.
Mi viene nostalgia a pensare che un tempo passavamo quasi ogni giorno
insieme senza annoiarci mai a parlare delle cose più stupide che, comunque, per
noi erano importanti.
Ora invece, non posso fare a meno di notare che, quasi, non ci
riconosciamo più.
Che siamo capaci di non vederci e non sentirci anche per settimane intere
senza sentire “veramente” l’una la mancanza dell’altra.
Ed è triste.
Perché è come se tutti gli anni trascorsi insieme ci avessero quasi fatte
stancare della presenza dell’altra.
Quasi come se avessimo esaurito ogni argomento. Anche il più
stupido.
È come se non avessimo più nulla di cui parlare.
Ed è una cosa che non sopporto perché è come se tutti i miei rapporti
fossero così vuoti e privi di importanza da essere dimenticati con il semplice
scorrere del tempo.
E non voglio che sia così.
Non con Aya, non con Tsuyoshi, non con Fuka.
E non con te, Akito.
- Ho saputo che hai in progetto un nuovo film…
Quasi sobbalzo, nel sentire la voce di Aya.
- Già. Una bella storia davvero…
- Farai la protagonista…?
- Già. Sarò Keily.
- Puoi raccontarmi la storia…?
Non credo che in realtà le interessi davvero. Apprezzo comunque il suo
tentativo di fare conversazione.
- Keily è una giovane ragazza di 22 anni che ha perso i genitori in un
incidente stradale, almeno questo è quello che le ha raccontato sua zia Judy, la
sua unica parente in vita. Ma Keily non è convinta che i suoi siano morti per un
incidente, perché, nel periodo subito prima della loro morte arrivavano a casa
loro strane telefonate minacciose… così Keily inizia ad indagare per scoprire la
verità… e viene aiutata da un ragazzo, Ken, che dice di essere il figlio di un
lontano parente di suo padre, morto anche lui in uno strano incidente… così,
insieme, cominciano ad indagare…ma.. non voglio svelarti la fine, Aya…! Se
vorrai sapere come va a finire sarai costretta ad andare al cinema a
vederlo…! La vedo sorridere un poco e riservarmi uno sguardo
dolcissimo.
- Sembra una bella storia… chi interpreta il ragazzo…? È un attore che
conosco…? - Non credo.. è al suo primo film…non lo conosco bene neanch’io in
realtà…
- Capisco. Allora quando uscirà nelle sale mi precipiterò al
cinema…
Sorrido, guardandola.
Forse non è proprio come pensavo io.
Forse abbiamo ancora molto su cui parlare e molti motivi per essere
amiche.
Sorrido ancora, notando che siamo quasi arrivate a
destinazione.
Sento il cuore salirmi in gola, ma va bene così.
Perché è una sensazione stupenda.
***
- Aya… sei tornata! Dov’eri finita…?
- Tsuyoshi dov’è Akito…?
- Credo dorma ancora, perché…?
- Devo parlargli…
Vedo Tsuyoshi sobbalzare non appena mi sposto da dietro le spalle di Aya
e gli faccio notare la mia presenza.
- I.. io…
Cominciaa balbettare. Al
solito. Tsuyoshi non cambierà mai.
- Vado a chiamarlo.
- No!
Lo fermo.
- Vado io…
- Ma…ma…
Cerca di dire Tsuyoshi. Ma Aya lo ferma, costringendolo a seguirla in
giardino.
Ecco. Sono rimasta sola.
Sola con te che dormi nella stanza degli ospiti.
Aspetto ancora qualche secondo prima di incamminarmi nel
corridoio.
Ma poi vado. E la porta è lì. Chiusa. Dal buio che riesco a scorgere,
immagino tu dorma ancora.
Sorrido. Sei sempre stato un terribile dormiglione.
Con un enorme respiro, poso la mano sulla maniglia dorata e la abbasso
leggermente, per non svegliarti.
Entro e i miei occhi ci mettono un po’ per abituarsi all’oscurità della
stanza.
Ma poi, in penombra, ti vedo. Accucciato sul divano letto, coperto fino
al naso, con alcuni ciuffi biondi ribelli sulla fronte.
Dio..! non ti ricordavo così bello.
Che sciocca.
Mi inginocchio di fronte al tuo viso addormentato, restando qualche
istante a fissarti in silenzio.
Poi parlo, lentamente, a bassa voce, quasi impercettibilmente. Quasi se
avessi paura a farti sentire la mia voce.
- Ciao Akito… è tanto tempo che non stiamo così vicini, vero…?
Non pretendo nessuna risposta. I tuoi occhi ambrati sono ancora ben
chiusi.
- … mi sei mancato da morire… mi è mancato tutto di te… specialmente il
tuo non sentire niente mentre dormi…
Sorrido lentamente, accarezzandoti piano la fronte.
- … sai che ho iniziato a girare un altro film…?è una storia d’azione e
anche, anzi, soprattutto d’amore… sarò la protagonista, Keily... è un bella
storia… davvero.. credo sarà un grande successo.. ma sai una cosa…? Il mio più
grande successo è stato aver incontrato te, Akito… è stato poter stare con te
per tutta la mia vita… non potrei amare nessun altro…
Mi appoggio lentamente sul tuo petto, inspirando a fondo il tuo
profumo.
Sorrido, notando che non è mai cambiato.
È identico a quello che sentivo tutte le volte che mi stringevi forte tra
le braccia.
E, per un istante, è come se il tempo non fosse mai passato.
Mi scosto un poco, perché ho l’impressione che tu stia per
svegliarti.
- … Nel film che girerò interpreterò il ruolo di una ragazza che,
improvvisamente, si ritrova sola… e che riesce a farcela solo con l’aiuto di un
ragazzo, Ken… mi rendo conto di essere identica a Keily.. sai…?
Mi avvicino al tuo orecchio e ti sussurro quasi
impercettibilmente.
-… sei tu il mio Ken.. la mia ancora… l’unica certezza… perdonami
Akito…perché sono stata una stupida…
Poi, stanca per la notte quasi insonne, mi addormento poggiata sul tuo
petto.
***
Apro gli occhi e mi sembra di essere in un sogno. Un posto che non
conosco, che non mi pare di aver mai visto.
Un profumo dolce, dolcissimo.
Questo si, che lo riconosco.
È il tuo, Sana… ed è un profumo caldo, avvolgente.
Poi, ascolto le tue parole, scorrono lente nella mia mente ancora quasi
addormentata ma che, comunque, riesce a percepire benissimo ogni singola sillaba
che pronunci.
Suona incredibilmente diversa, la tua voce adesso.
Triste, pesante, forse… distrutta.
Strano. Sono completamente sveglio ma non ho assolutamente voglia di
aprire gli occhi e di farti vedere che non dormo più.
Smetteresti di parlare.
E non è questo quello che voglio.
Ora voglio ascoltarti, voglio ascoltare tutto, ma proprio tutto quello
che dici, senza farmi scappare neanche una virgola.
Voglio stare così, in questo stato di dormiveglia, in questa stanza
immersa nel buio, solo con la tua voce nelle orecchie.
Ed è bella. E sento che potrei restare così per moltissimo tempo senza
stancarmi mai.
Riempiendomi la mente solo delle tue parole.
Mi basterebbe davvero. Mi piacerebbe davvero.
Non parli più. Credo ti sia addormentata.
Decido di aprire gli occhi e ti vedo lì, con il capo poggiato leggero sul
mio petto e i primo impulso è quello di abbracciarti forte e di dirti che mi sei
mancata da impazzire.
Ma Akito Hayama non si lascia andare a questo genere di cose… non è un
tipo sdolcinato.
Per questo ti allontano, anche abbastanza bruscamente, per farti
svegliare.
Voglio che mi dica tutto quello che mi hai appena sussurrato, guardandomi
negli occhi.
Su quello che ti dirò io, te lo giuro, non posso davvero fare
pronostici.
***
- Avresti potuto fare di più… lo sai vero…?
Sobbalzi, aprendo gli occhi, quasi come se ti avessi svegliata da un
bellissimo sogno.
- A… Akito…
Non dici nient’altro. Non ne sei più capace. Non sai dire nulla, se non
balbettare con voce tremante il mio nome.
Ed è ridicola, quasi. Questa tua repentina mancanza di
coraggio.
Il coraggio che ti viene sempre nei momenti sbagliati. Quando non serve,
quando non è necessario.
Quando proprio potresti farne a meno.
Quel coraggio che hai, perché io so che ce l’hai, avresti dovuto farlo
uscire fuori quando ti ho cacciato di casa, quando è morto nostro figlio, quando
sei andata a letto con Kamura…
Sai come sono, Sana. Sai quanto ti amo.
Mi sarebbe bastato poco per tornare ad amarti come un tempo. Inizialmente
ti avrei respinta, questo è ovvio, ma mai, mai ti avrei sbattuto fuori dalla mia
vita.
Non ieri, non adesso. E non lo farò mai.
- I… io… da quando sei sveglio…?
Ecco. Prevedibile domanda. Hai paura che possa aver sentito quello che
hai detto…? Che possa aver riso di te, mentre fingevo di dormire…?
Bè Sana, non ho affatto riso di te.
- Giusto il tempo di notare che ti eri addormentata…
Sospiri. Sembri sollevata.
Meglio così.
Magari quelle cose che mi hai detto, magari ora me le dici in faccia,
guardandomi negli occhi.
- Cosa ci fai qui…?
- Aya mi ha detto che ieri notte hai dormito qui e così ho
pensato…
- Hai pensato..?
- Ho pensato che avevamo tante cose su cui parlare.
Bene. È già qualcosa che tu voglia parlare.
Dio mi sento un tale idiota…! Mi hai tradito, accidenti…! Con
Kamura…!
E io non ce la faccio, proprio non ci riesco ad odiarti.
Ma guardaci Sana… siamo quasi ridicoli, qui, chiusi nella stanza degli
ospiti di Aya e Tsuyoshi, ancora quasi completamente al buio, seduti sul letto
come un genitore ed un figlio, in uno di quei momenti in cui il genitore ha
scoperto qualche marachella fatta da suo figlio e sta decidendo la giusta
punizione da dargli.
Assurdo…!
Io e te non siamo mai stati così. Non noi. Non Akito e Sana.
Noi siamo sempre stati bene, ci siamo sempre capiti con uno sguardo.
Noi… non avevamo bisogno neppure di parlare.
E ora, invece… non riusciamo a guardarci negli occhi.
- Bè… allora parla… cosa vuoi dirmi…?
Non potevo farti domanda più esplicita di questa. Voglio spronarti a
parlare. Parla Sana perché quello che mi hai detto poco fa è stato
bellissimo.
- Perdonami…
Un sussurro, uno solo. Gli occhi scuri fissi sul pavimento, la frangetta
rossa a coprirli protettiva, le mani strette a pugno sulle ginocchia
tremanti.
Non basta, Sana. Non basta ancora.
- Guardami…
Scuoti un poco le spalle, come impaurita dalla mia richiesta. Esiti
qualche istante, poi alzi lo sguardo lentamente, fino ad incrociare il mio
sguardo.
Restiamo fermi per alcuni lunghi, lunghissimi momenti. Così,
semplicemente a guardarci. Perché ci basta. Per un po’ ci basta solo
questo.
- Akito perdonami… sono stata… una stupida…
- Lo so… ma sono più stupido io…
Mi guardi curiosa.
- Perché…?
Ora sono io ad abbassare lo sguardo.
- Perché non riesco ad odiarti come dovrei… nonostante tutto non ci
riesco…
Alzo gli occhi e vedo distintamente due lacrime solcarti, silenziose, il
viso pallido. E mi fa male il cuore. Mi fa un male terribile.
- … io ti amo… ti amo da impazzire Akito… e ti amerò comunque…
Non parlo. Non rispondo. Cosa c’è da rispondere infondo…?
Ti amo anch’io. È così ovvio. Così palese.
Guarda i miei occhi. Guardali bene. Sono gli occhi di un uomo che ti ama
e che, nonostante il male che gli hai fatto, vuole ancora che tu sia sua
moglie.
E te lo dico, semplicemente parlando.
- Io voglio averti accanto per tutta la vita, così come ti promisi quel
giorno sull’altare…io…
Ti dico avvicinandomi al tuo viso.
- … posso davvero essere il tuo Ken…
Sorridi. Tra le lacrime, sorridi.
Un sorriso semplice, pulito, caldo. Felice. Quello della Sana che
conosco.
Ed è bello. E mi basta davvero questo sorriso.
Qualcuno potrebbe dirmi che sono un uomo senza orgoglio, qualcun altro
che sono stato un’idiota troppo precipitoso.
Io dico che tu mi basti. Che il tuo sorriso è tutto quello di cui ho
bisogno.
E se, per avere questo, devo rinunciare al mio orgoglio, alla mia
virilità e a tutte queste cose da uomini, allora lo faccio.
Perché è quello che voglio. Ma soprattutto perché va davvero…davvero bene
così.