MYSTIC FALLS, UN
TUFFO DOVE
IL MARE È PIÚ BLU
POV
TALIA
Correvo
con la mia Porshe nera, accanto a me mia sorella si era addormentata,
così come
Lucas, Cassandra e Simon sui sedili posteriori.
“Certo
che siete molto di compagnia…” pensai.
Alcuni
nostri amici ci avevano invitato a trascorrere un po’ di
tempo con loro e noi
avevamo accettato.
Così
ci siamo ritrovati a dover partire dalla nostra amatissima e assolata
Miami per
raggiungere quel buco di cittadina chiamata Mystic Falls.
Mentre
pensavo queste cose attraversai il confine della città,
segnalato dal cartello
“Benvenuti a Mystic Falls”.
Sapendo
che mia sorella Annabeth e i miei amici non si sarebbero svegliati
tanto
facilmente, afferrai il mio Samsung e misi su la musica al massimo
volume senza
nemmeno scegliere la canzone.
Sorrisi
appena sentii le familiari note di Firework – sia benedetta
Katy Perry! –
invadere l’abitacolo.
I
miei passeggeri si svegliarono all’improvviso e io risi della
loro espressione
spaesata ed assonnata, mooooolto assonnata.
-Siamo
arrivati?-
-Sì,
Cassie, siamo appena entrati in città, ora dobbiamo solo
trovare casa nostra-
Annabeth
prese la cartina della cittadina e mi indicò dove dovevo
andare. Appena
arrivammo rimanemmo a bocca aperta.
“casa”
non era il termine giusto. Quella che avevamo davanti era una reggia in
stile
inglese ottocentesco.
Poi
qualcuno mi fece “Buh!” e io feci un triplo salto
mortale sul sedile.
Ero
già pronta ad insultare chi aveva interrotto quel momento
magico quando vidi
una chioma dorata riempire la mia visuale e sentii una risata
cristallina
risuonare nelle mie orecchie.
-Rebekah!-
saltai addosso alla mia amica vampira Originale e la strinsi in un
abbraccio da
piovra.
Appena
ci staccammo, indicò un punto alla mia destra.
-La
nostra casa è lì. Potete entrare quando volete,
Kol ed Elijah sono appena
tornati-
-Appena
tornati? E dove erano andati?-
-Oh,
lunga storia. Poi vi racconterò. Adesso andiamo a scoprire
la vostra nuova
casa-
Annuimmo
e prendemmo i nostri bagagli.
Appena
entrammo rimanemmo di stucco.
L’arredamento
rispecchiava per intero i nostri gusti. I mobili erano di legno chiaro,
semplici ed eleganti. Dalle grandi finestre entrava tanta luce che
rischiarava
il posto. Enormi lampadari pendevano dal soffitto come gigantesche
ragnatele
illuminate.
Ci
spostammo nel salone, dove ci accolsero delle poltroncine color
pastello,
ognuna diversa. I muri erano coperti da scaffali che aspettavano solo
noi per
essere riempiti.
Esplorammo
il resto della casa e mia sorella scoprì sul retro un
piccolo patio in stile spagnolo
e un giardino sconfinato, dominato da una collinetta su cui sorgeva un
grazioso, e romantico, gazebo bianco.
Mentre
ci dividevamo le camere, che erano tante di più del nostro
numero, Rebekah era
rimasta sulla soglia della porta e ogni minuto che passava
s’imbronciava sempre
di più.
Stava
per perdere la pazienza quando Cassandra la invitò ad
entrare, solo allora si
calmò.
-Allora,
vi piace?- ci chiese.
Noi
ci guardammo scotendo la testa.
-Di
più?- sperò.
-Sì-
rispose solamente Annabeth.
L’Originaria
ci fece un gran sorriso e battè le mani, eccitata.
-Bene!
Allora vi porto a fare un giro della città. Forza!-
Noi
non ci opponemmo, anche se sapevamo come sarebbe andata a finire: lei a
fare
shopping a modo suo, e noi a reggerle gli infiniti pacchetti e
pacchettini che
comprava come tanti appendini ambulanti.
Uscimmo
dall’ennesimo negozio con l’ennesimo vestito che
Rebekah avrebbe indossato solo
tra mille anni, “sempre che lei sia ancora viva e
non dentro ad una bara”
pensai.
Ero
stanca, mi facevano male i piedi e anche i miei amici e mia sorella
erano nelle
stesse condizioni. L’unica ancora pimpante e fresca come una
rosa era
l’Originaria che si era appena fermata davanti ad una vetrina
e saltellava
indicandoci un paio di scarpe tacco 14. Inutile dire che ci
trascinò dentro al
negozio con la forza.
Appena
entrammo capii subito che ci avrebbe messo una vita solo per trovare il
colore
giusto per le scarpe, così posai i sacchetti a terra che
avevo in mano.
-Ragazzi,
io sono stanca. Vado a prendere qualcosa al bar qui di fronte. Come si
chiama?
Ah, sì, il Grill. Ci vediamo dopo-.
Me
ne andai prima che i miei interlocutori potessero dire una sola parola
contro
di me.
Entrai
al Grill, che a quell’ora del pomeriggio era pieno di giovani
liceali, e
raggiunsi ancheggiando il bancone, sedendomi accanto ad un ragazzo moro
con in
mano un bicchiere di liquido ambrato.
Ordinai
un whisky al bel ragazzo biondo che faceva da barista, e lui me lo
servì
subito.
Non
feci in tempo a berlo che qualcuno me lo prese dalla mano.
-Le
ragazzine non dovrebbero bere alcolici a quest’ora del
pomeriggio-
A
parlare era stato proprio il ragazzo cui mi ero seduta vicino.
Lo
guardai di sottecchi.
-Potrei
riavere la mia ordinazione?- chiesi, gentilmente.
Lui
fece un mezzo sorriso e scosse la testa.
-Te
l’ho già detto perché l’ho
fatto- mi rispose.
-Sì,
ma io so quello che faccio. Per favore, posso bere in santa pace il mio
whisky?-
-Lo
dicono tutte, sai?- temporeggiò.
A
quel punto mi arrabbiai sul serio.
-Rubi
a tutte l’ordinazione per fare colpo? No, sai,
perché con me non attacca, e non
lo farà mai- sputai acida. Ero consapevole che i miei occhi
blu elettrico lo
stavano fulminando, ma non me ne preoccupai. Dopotutto, se
l’era cercata lui,
mica io.
Mossi
la mano per cercare di riacchiappare il bicchiere, ma lui fu
più veloce. Scostò
la mano e con quella libera mi afferrò il polso sinistro. Fu
in quel momento
che notai che era mancino. Difatti teneva il mio whisky con la sinistra.
Scesi
dallo sgabello e feci per andarmene ma lui bloccò la mia
fuga, trattenendomi.
-Dove
credi di andarmene?- sussurrò malizioso. Avvicinò
così tanto il suo viso al mio
che potei vedere per bene i suoi occhi.
-Non
sono affari tuoi- tentai di rispondergli duramente, ma mi stava
destabilizzando, e ciò mi faceva paura. Non mi era mai
successo prima.
Lui
trangugiò il mio whisky e ripose il bicchiere sul bancone
prima di afferrarmi
anche l’altro polso.
-Ti
vieni via con me- mi disse fissandomi negli occhi.
Io
mi divincolai ma la sua presa era forte e non accennava a lasciarmi
andare.
-Damon,
lasciala! Subito!- Rebekah era entrata nel locale e stava guardando
irata il
ragazzo, Damon.
Lui
mi mollò come se scottassi, così mi potei
massaggiare i polsi arrossati.
-Chi
sei? Come conosci Rebekah?- mi sussurrò, facendo lo stesso
giochetto con la
pupilla di poco prima.
-Non
credo siano affari tuoi- rispose lei prima che potessi farlo io.
-Andiamo-
mi esortò gentilmente. -Non rispondergli, gli faresti solo
un favore- mi
sussurrò con un tono di voce non udibile ad orecchio umano.
Io
annuii impercettibilmente, poi girai la testa per non far vedere il
turbamento
che gli occhi di Damon mi avevano causato. Dicevano che i miei occhi
incantavano le persone, ma quelli di Damon mi avevano completamente
stregato.
Guardandoli avevo fatto un tuffo dove il mare era più blu.
POV
DAMON
Ero
frustrato. Non ero riuscito a soggiogarla. Dato che era con la
BarbieOriginal,
doveva avere per forza la verbena da qualche parte. Forse la indossava,
o era
in circolo. No, la prima opzione era da escludere, non avevo avvertito
minimamente l’odore di quella maledetta pianta; quindi doveva
averla bevuta,
magari non intenzionalmente. Forse l’Originaria voleva
proteggerla senza dirle
cos’era veramente. Sì, doveva essere
così.
Ero
talmente immerso nei miei pensieri che non sentii arrivare mio fratello
fino a
quando non mi posò la mano sulla spalla. Trasalii, ma cercai
di non darlo a
vedere.
Però
purtroppo aveva visto tutta la scena con la ragazza di cui non sapevo
il nome.
Lo capii dal sorriso di scherno che mi stava rivolgendo.
-Allora,
fratellone, hai fatto cilecca questa volta?-
Dio,
quanto avrei voluto strappargli quel sorrisino derisorio dalla faccia!
Decisi
di cambiare leggermente argomento.
-Hai
visto con chi era quella ragazza?-
-Sì,
era con Rebekah, e allora?-
E allora???
Sono arrivati degli umani che non conosciamo, e lui mi dice
“e allora?”
-Nulla,
solo mi era sembrato strano il fatto che la BarbieOriginal si sia
relazionata
con degli umani-
-Forse
li aveva soggiogati per farsi trasportare le borse-
-Forse-
gli concessi -ma era troppo gentile con loro. Sembravano quasi amici-
Stefan
mi guardò come se fossi un alieno e scosse la testa. Forse
pensava che stessi
dando di matto. Probabilmente sarei diventato veramente pazzo se avessi
continuato in questo modo. Più ci pensavo, meno avevo
risposte.
Dovevo
muovermi se non volevo ammuffire dietro a quella ragazza che era andata
via con
Rebekah.
Ma
la vedevo ancora davanti a me con i suoi magnifici occhi blu come il
mare in
tempesta spalancati dalla paura quando avevo tentato di soggiogarla;
rivedevo
il movimento del vento che causava nei suoi corti capelli neri, come i
miei;
avevo impressa nella mia mente la sinuosità dei suoi passi
mentre si
allontanava da me; avevo marchiato a fuoco nella memoria il suo profumo
di mandarino
e bergamotto italiano che mi aveva colpito con la sua misteriosa
potenza.
L’amore
per Elena mi aveva rammollito, ma mi aveva anche reso capace di provare
qualcosa che non fosse l’odio verso mio fratello. Grazie a
lei avevo riscoperto
cosa significasse amare, dopo il disastro con Katherine. Devo tutto a
lei, la
mia piccola Elena.
Ma
allora perché continuavo a pensare a quella misteriosa
ragazza?
Mi
alzai di scatto e imboccai la porta del Grill, deciso a scoprirlo.
Angolino
della scrittrice:
Salve
a tutti!!!
Mi
chiamo Laura e questo è il mio primo tentativo di fanfic,
anche se chi ha già
visto la mia pagina, sa che sto provando a scrivere un libro.
Perciò, siate
clementi!!! Non mi aspetto granchè, ma mi farebbe molto
piacere se recensiste.
Non chiedo tanto, anche solo qualche parola di incoraggiamento o di
critica a
me vanno bene, mi aiuteranno a migliorare!
Chi
saranno i nostri misteriosi ragazzi? E come mai conoscono gli
Originari? Sarà
tutto spiegato dopo, non immediatamente, ma dopo…
Più
in basso vi ho messo la foto di Talia. Non l’ho messa anche
degli altri ragazzi
perché altrimenti non riuscivo a pubblicare. Sorry!
Tanti
bacetti.
Talia
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