Nessuna paura
Sora si riparò gli
occhi dall’accecante luce del sole pomeridiano. I riflessi sul mare brillavano
così forte da sembrare cristalli rotti, specchi che riflettevano raggi taglienti
come lame.
Accolse la vista con
un po’ di fastidio, ma si abituò presto, come ci si abituerebbe a qualsiasi
difetto presente su qualcosa di desiderato tanto a lungo. Era come quando, da
piccolo, chiedeva per Natale giocattoli che sembravano molto più belli di come
si rivelavano una volta aperta la scatola, ma era così felice di averli
ottenuti, così soddisfatto all’idea di poterli mostrare a tutti quanti il giorno
dopo, che non importava se le sue aspettative fossero state o meno deluse,
perché quello che importava era l’appagamento.
La felicità, in fondo.
E a proposito di
felicità, vide subito che sulla spiaggia, seduta sulla sabbia senza nemmeno un
telo, Kairi era in attenta contemplazione del mare.
Si avvicinò a lei di
corsa, temendo che un soffio di vento potesse portargliela via - come si era
sempre portato via tutti i miraggi che lo avevano accompagnato durante il suo
interminabile viaggio.
Sollevò un sacco di
sabbia, che era tanto leggera e secca da volargli fin quasi negli occhi. Quando
le fu dietro alla schiena, e quando vide che la propria ombra incontrava la sua,
intrecciandosi per terra come chiara prova della loro esistenza, sospirò a pieni
polmoni perché fu finalmente certo che lei era lì. Loro erano lì. Ed erano
insieme.
Ormai era tornato da
almeno un mese, ma questi pensieri lo rendevano ancora così puerilmente felice
che gli veniva voglia spesso voglia di stringerla, o anche solo di posarle una
mano sulla spalla, di far passare tra le dita una ciocca dei suoi
capelli…qualsiasi cosa, per godersi la sua tangibile, dolcissima presenza.
Kairi si girò, con
una mano aperta sopra gli occhi, e gli rivolse un sorriso luminoso.
Non era sorpresa di
vederlo, al contrario, era come se lo avesse aspettato fino a quel momento.
Kairi lo guardava
sempre in quel modo, nel modo in cui metti a fuoco una sagoma amica in
lontananza, e ogni volta sembrava corrergli incontro, con quei suoi occhi
azzurri e brillanti, anche se restava immobile.
A volte Sora pensava
che non ci fosse niente nel mondo in grado di dare tanta gioia.
Potersi aspettare.
Avere l’assoluta
sicurezza che il momento di vedersi arriverà, e arriverà presto.
Era come continuare a
tornare a casa.
Sora si sedette
accanto a lei, e strinse con soddisfazione la sabbia caldissima tra le mani.
Lei lo rimproverò
felice, pungolandogli il naso con una matita: "Pigrone, ma quanto hai dormito?"
– Sora notò che non stava guardando il mare, ma era invece concentrata su un
blocco da disegno.
"Non me ne parlare,
sto morendo di sonno…"
"Sei rimasto ancora a
fare compagnia a Riku, vero?"
Sora appoggiò i
gomiti sulle ginocchia e sospirò.
Da quando erano
tornati, Riku faceva la vita di un gatto fuso con un pipistrello.
Passava le giornate
dormendo nel rifugio segreto, per terra, come un animale selvatico, e quando il
buio calava lui si alzava, mangiava, camminava, guardava il mare e tornava a
dormire. Sora aveva cercato in vano di cavarlo fuori da quel buco umido e buio,
ma aveva presto dovuto arrendersi davanti alla sua ormai nota ostinazione.
"Io non lo capisco…"
sospirò Kairi scuotendo lentamente la testa e tornando ad esaminare il disegno
schizzato sul foglio, ma non aveva usato il tono di chi non capisce davvero.
Kairi non era una
stupida. Non era mai stata egocentrica, una principessa che aspetta senza
muovere un dito che il suo principe azzurro la vada a cercare. Era coraggiosa,
invece, e sapeva guardare in faccia le cose.
Era una dote che Sora
doveva ammettere di non possedere, per questo in lei la ammirava così tanto.
Tuttavia il fatto che
Kairi fosse così sveglia in quell’occasione non era completamente una fortuna.
Era chiaro che Riku
non avesse intenzione di farsi capire da lei, né da nessun altro.
E Sora odiava essere
consapevole di questo, e di dargli ragione, in fondo.
La notte, quando il
sole calava e il mare diventava blu scuro, Sora si sdraiava sulla sabbia
e…respirava.
Era felice di essere
tornato. Felice come non avrebbe mai immaginato di poter essere.
Ma solo di notte,
quando tutto taceva, e solo le onde del mare lambivano i suoi pensieri, gli
sembrava di riuscire a respirare. Il giorno era troppo frenetico. Così luminoso,
e accecante, così pieno di rumore, che Sora non poteva fare altro che seppellire
i pensieri e i ricordi che ogni tanto bussavano nella sua testa sotto una
valanga di immagini e di parole, muovendosi, ridendo, comportandosi come se
tutto fosse stato normale.
…Normale.
…le cose sarebbero
mai più state normali, per loro…?
Guardò il profilo
sereno di Kairi, la sua pelle rosa, i capelli che prendevano una colorazione
quasi rossa alla luce, ed era chiaro, dolorosamente chiaro, che
nonostante la sua sensibilità, nonostante il suo coraggio, nonostante la sua
forza, lei non avrebbe potuto capire, e non doveva capire.
Non era giusto che
capisse.
Kairi, che era così
bella accarezzata dalla luce…
Sora scosse la testa,
allontanando i pensieri malinconici. C’era la notte per diventare pensierosi. Il
giorno era fatto per godersi ogni momento.
"Che cosa sarebbe
quella roba?" domandò scavezzando il collo sul disegno di Kairi. Ovviamente si
accorse che quella roba non era un titolo lusinghiero, ma era troppo
tardi per ritrattarlo, e lei gli dette un colpetto in testa col blocco,
arrabbiata. Poi lo girò al contrario sulle ginocchia e disse: "Sarebbe una cosa
che non è venuta. Uffa."
Sora cercò di
appianare le cose: "Posso vederlo bene?"
"A che serve, tanto è
una roba."
"Ma dai, scusami,
l’ho visto di sfuggita, e poi c’era il sole. Fai vedere, per favore."
Kairi gonfiò
graziosamente le guance, poi sospirò e gli porse il blocco.
"Faccio schifo, dillo
pure, tanto lo so."
"Ma dai, sono dei
fiori, giusto?"
"Sì, ma quali?"
"Se non lo sai tu…"
"Io lo so! Sei tu che
non lo capisci perché non sono capace!"
"In tua difesa si può
dire che non conosco bene i fiori…"
"E’ un biancospino."
Sora rise come un
castoro nervoso, e cambiò discorso: "Non sapevo che disegnassi."
Nel dirlo si rese
conto di quanto triste, e lunga, fosse stata la loro lontananza.
Mentre lui spazzava
via Heartless a Keyblade spianato, Kairi…lei viveva.
Andava a scuola.
Guardava il sole sorgere e tramontare. Parlava con i compagni di classe, rideva,
disegnava, e faceva tutte quelle cose che era giusto che facesse.
Ad essere ingiusto
era che lui l’avesse trascinata in quel casino.
Era ingiusto che
l’avesse fatta aspettare, e preoccupare.
Era ingiusto che
l’avesse messa in pericolo così tante volte che lei avrebbe dovuto odiarlo, e
non guardarlo con quell’affetto che gli riempiva il cuore.
Kairi meritava ogni
più piccolo attimo di quella vita meravigliosa e normale.
Quella vita
meravigliosa e normale che Sora, dopo aver tanto lottato per renderle, le aveva
infine tolto un’altra volta. Chi gli assicurava che questa volta sarebbe durata?
Quando lei parlò,
come se fosse destino che con poche parole dovesse cancellare ogni suo
turbamento, si sentì subito meglio.
"Ho cominciato da
quando siamo tornati qui insieme. Non so perché, mi è preso così. Ma è meglio
che smetta, mi sa, sono negata nella maniera più assoluta…" ammise, ridendo.
Sora, allora, guardò
con più attenzione il blocco. Rimase in silenzio per un po’, senza sapere lui
stesso a che cosa stesse pensando, finché non disse solamente, in un sussurro:
"Naminé."
Kairi lo guardò
dubbiosa, con i suoi occhi rotondi da cerbiatta.
"…Naminé…credo che
lei disegnasse…"
Invece di esserne
turbata, lei accolse questa pseudo-rivelazione con gioia. La sua bocca si
schiuse, poi sorrise felicemente. Sinceramente, Sora trovava un po’ strana la
sua tranquillità davanti a certe cose, come quando a undici anni lui e Riku
erano convinti di aver visto un mostro marino, e invece di scappare a riva Kairi
si era immersa con gli occhialini per vederlo da vicino (cosa che ovviamente li
aveva costretti a seguirla, e mentre Riku poteva essere effettivamente
interessato ai mostri marini, Sora non era completamente convinto di volerne
incontrare uno dal vivo).
Poi Kairi guardò il
blocco e fece una smorfia: "Qualcosa mi dice che era più brava di me, vero?"
"Non mi ricordo. Non
bene, almeno. Però forse sì, era brava…non ne sono sicuro, però."
"Forse Roxas lo
saprebbe!" disse lei emozionata. Sora, come se lo avessero colto sul fatto in un
momento imbarazzante, arrossì.
"Non lo so, forse, io
che ne so?"
"Credi che loro si
conoscessero bene?"
"Non lo so…forse."
"Io la vedo più come
una cosa…mmmh, di affinità, sai. Magari non si vedevano spesso, ma era come se
fossero sempre uniti" nel dirlo intrecciò le dita delle mani e gliele mise
davanti agli occhi "Capisci?"
"Non lo so, forse…"
"Non lo so, forse,
non lo so, forse…queste risposte non mi servono a molto, Sora!"
Sora si grattò
imbarazzato la testa e Kairi disegnò un cuoricino sul blocco.
"…come ti senti con
questa cosa…?"
"Con che cosa?"
"Avere un’altra
persona dentro di te."
"Tecnicamente non
sono delle altre persone" rispose Sora scrollando le spalle.
"Sì lo, so, non
tecnicamente, però…" tracciò con la matita un lungo segno sul foglio "…Naminé
aveva dei pensieri…" prese un pugno di sabbia e lo lasciò scivolare tra le dita
"…lei parlava, rideva, e aveva paura…"
"Non aveva un cuore"
rispose Sora, troppo duramente. Kairi scosse la testa, sorridendo tristemente:
"Lo so, però…comunque sia, la cosa più strana è che non mi sento affatto strana.
Piuttosto da quando l’ho incontrata è come se fossi…completa. Lei è me, ma è
contemporaneamente una mia amica che vive lontana, e so che sta bene…anche se in
realtà mi vive così vicina."
Sora scavò nella
sabbia con un piede. Non voleva dirle che lui non provava nessuno dei quei
sentimenti piacevoli, e non solo. Non provava niente. Quando pensava a certe
cose c’era come il vuoto, dentro di lui. La sensazione di avere dei ricordi, e
delle emozioni da incanalare, ma di non riuscire a farlo.
Kairi domandò
imbarazzata: "Quello che dico ha il minimo senso?"
Lui le sorrise:
"Certamente che ce l’ha."
"Anche tu ti senti
così?"
Sora rifletté per un
attimo sulla possibilità di mentire, poi capì che in quel frangente sarebbe
stato inutile. Non era abituato a dire bugie, e voleva farlo abbastanza poco da
essere credibile quando vi era costretto.
"Quando è successo,
Riku ha detto che sarei stato sempre lo stesso. Ma io non mi sento così. A volte
mi sento…invaso."
Kairi tacque.
Difficile capire perché. Poteva essere scossa, o semplicemente rispettosa. Lei
era sempre stata così, estranea al desiderio di riempire il silenzio con parole
tutto sommato inutili.
Sora invece odiava il
silenzio.
Avrebbe voluto ridere
e urlare così forte da coprire tutto il silenzio del mondo.
Tuttavia, adesso,
quel silenzio…
Senza muoversi di un
solo centimetro da dov’era seduta, Kairi si inclinò fino ad appoggiare la testa
contro la sua spalla, con gli occhi chiusi.
Sora si agitò solo
per un attimo, ma quello subito successivo si rilassò in modo sorprendente.
"…Sora…"
"Mh?"
"…non senti mai
come…come dei sentimenti, che non riconosci come tuoi, sul subito…ma poi ci
pensi, e ci ripensi, e ad un certo punto è come se in fondo, da qualche parte,
anche tu avessi provato quegli stessi sentimenti, ma in modo molto meno…"
Non continuò. Sora
attese a lungo, poi terminò: "doloroso."
"…allora capita anche
a te?"
Lui annuì.
Un’ammissione pericolosa, viste le circostanze.
Kairi si spostò i
capelli da davanti al viso.
"Quando ero qui da
sola, e vi aspettavo, e quando non riuscivo a ricordarmi bene di te…mi sentivo
molto sola. Però avevo sempre quella speranza…quella sensazione che vi avrei
rivisti, prima o poi. Quella fiducia in voi. Ma a volte, da quando siamo
tornati, io siedo qui, o sono a casa mia, o magari sono in mezzo alla gente…e mi
sento sola in modo desolante. Mi sento così sola, e spaurita, che mi viene da
piangere. E vorrei tanto urlare, e chiedere aiuto, ma a stento respiro, come se
una mano mi tappasse la bocca…"
Sora cercò di
guardarla e vide che stava strizzando gli occhi.
"Ehy…"
"…forse Naminé si
sentiva in questo modo…" disse Kairi d’un fiato "…forse si sentiva sola,
sperduta, e prigioniera…e non aveva nemmeno un cuore per sperare che qualcuno
andasse a trarla in salvo…"
"Ehy, ehy" si
preoccupò, alzando poi senza pensarci un braccio per cingerle le spalle, e lei
chiuse subito gli occhi.
"Se ci penso mi sento
così in colpa…"
"Ma cosa stai
dicendo, non è mica colpa tua!"
"Lo so" singhiozzò,
strofinandosi gli occhi col dorso della mano "ma a volte questi sentimenti sono
così soffocanti che vorrei poterla almeno abbracciare…"
Sora non sapeva cosa
fare. Ormai poteva saltare in testa ad un drago di vento, attorcigliare Jafar
nella sua coda, colpire il Baobao con un fulmine e massacrare mille Heartless,
ma quando si trattava di trovare le parole per consolare qualcuno, nella
fattispecie la ragazza più importante del mondo, era praticamente paralitico.
Come sempre fu Kairi
a risolvere tutto con un gesto semplicissimo: gli prese la mano.
"…forse io ho
rischiato di dovermi sentire proprio come lei…ma sono stata fortunata ad
arrivare su quest’isola, e ad incontrare voi. Da quando sono rinvenuta su questa
spiaggia, non mi sono mai sentita sola. Anche quando mi sembrava di esserlo
perché eravate lontani, eravamo comunque vicini. Anche quando sono saltata in
quel portale."
"Quella comunque è
stata una cosa un po’ stupida…" bofonchiò Sora.
Kairi rise: "Sì, però
vi ho ritrovati, giusto?"
Lui le sorrise a sua
volta: "Giusto."
"E non ne ho mai
dubitato nemmeno per un secondo."
"Beh, questo è perché
sei pazza e hai il cuore più grosso della tua testa…"
Kairi spalancò gli
occhi, poi divertita lo colpì in testa col blocco da disegno e rise: "Oddio, da
che pulpito viene la predica! Che paura, per un attimo mi sei sembrato identico
a Riku, che impressione!"
"Vero vero? L’ho
fatto apposta! In effetti sono soddisfatto di com’è uscita!"
Kairi incrociò le
braccia sul petto e simulando una voce profonda che faceva quasi paura sul suo
faccino delizioso disse: "Questo è perché sei pazza e hai il cuore più grosso
della tua testa!"
Sora, per dare una
maggior credibilità, le spostò tutta la frangetta davanti agli occhi. Lei rise e
lo ripeté, facendo lo sguardo arcigno. Poi, cercando di riprendere fiato, disse:
"oddio, speriamo che Riku non salti fuori adesso o ci uccide!"
Sora scosse la testa:
"Non credo che il problema esista…"
Kairi, allora, gli
prese nuovamente la mano. Sora, nonostante si sentisse improvvisamente triste,
fu contento nel rendersi conto che aveva smesso di sobbalzare sorpreso quando si
toccavano. Era consolante, e piacevole.
"…vorrei che Riku
tornasse a scherzare con noi…"
Kairi gli prese la
mano tra le sue e gli disse dolcemente, ma con assoluta sicurezza: "Un giorno
succederà."
Sora annuì, con la
sensazione disgustosa di avere come un sedimento in fondo allo stomaco. Della
sporcizia che siccome era così tappato, trattenuto, otturato come un lavandino,
non riusciva a lavarsi via.
Lui capiva Riku, e in
un certo senso era pronto a giustificarlo, ma quell’atteggiamento lo faceva
sentire così…accusato.
Non ne poteva più di
sentirsi in colpa per averlo lasciato andare. Di non essere stato abbastanza
sveglio o abbastanza forte o abbastanza veloce da riportarlo a casa subito.
Quando lo vedeva lì,
accartocciato per gli affari suoi, Sora si sentiva il fallimento peggiore
dell’universo.
E si chiedeva: ha
avuto senso aver aiutato tante persone?
Aveva avuto senso, se
alla fine non era riuscito ad aiutare proprio lui?
…
…aveva avuto senso…?
"…Sora…?" lo chiamò
dolcemente Kairi.
Lui le sorrise e lei
lo ricambiò, serena.
Andava bene anche
così.
Non importava che
Riku lo facesse sentire come se si stesse aggrappando con i denti ad un filo che
pendeva dalle tenebre. Finché Kairi gli dava tutta quella luce, non aveva paura.
…non aveva…
…nessuna…
…paura…