dolore
Dolore. I miei sensi non percepivano
altro che dolore, ma era l'unica cosa che mi dava la certezza di
essere ancora viva, perché non sentivo nient'altro. Mi sentivo come
se fossi stata investita più volte da un tir. Ero cosciente di
essere sveglia, chissà dopo quanto tempo, ma non riuscivo a
muovermi, ad alzare le palpebre. Ero sprofondata nell'oscurità,
piena di agonia e non riuscivo a risalirne, quello che mi permetteva
di non affogare era sapere che Harry mi era vicino, io non lo
sentivo, ma il mio cuore si. Avrei voluto stringerlo tra le mie
braccia, ma non le sentivo più, forse era l'effetto della morfina. E
in tutto quel dolore i ricordi di cui avrei voluto liberarmi, che
avrei voluto strappare via dalla mia mente non facevano altro che
riaffiorare, come un incubo da cui non puoi svegliarti. Non avrei mai
dimenticato il suo odore, le sue mani che toccavano avide il mio
corpo contro la mia volontà, la sua voce piena di odio e disgusto.
Non avrei mai dimenticato la lama fredda e tagliente di quel coltello
affondato più volte nella mia carne, le ferite causate dall'asfalto
e dai suoi calci e schiaffi a cui più volte ero stata sottoposta.
Non avrei mai dimenticato l'impotenza e la vergogna mentre mi
imbavagliava e legava mani e piedi, mentre mi strappava i vestiti e
le lacrime scendevano bollenti sul mio volto senza poter far altro.
Non avrei mai dimenticato quell'uomo senza volto, la paura e il
terrore che crescevano in me, di cui ero diventata prigioniera, che
mi tenevano in pugno e poi la caduta. Avevo ceduto, avevo smesso di
combattere, cercare di liberarmi, di urlare senza che la mia voce
potesse uscire dalla mia gola. Avevo lasciato che quasi mi uccidesse,
non avevo più niente. Non avrei mai dimenticato il ritmo scandito
dei suoi passi mentre mi seguiva. Camminavo sui marciapiedi vuoti di
Londra, era tardi, quasi mattina, e stavo tornando a casa da Harry e
sapevo di non essere sola. Mi voltai per vedere a chi appartenessero
i passi dietro ai miei, ma i lampioni di quella strada erano
fulminati. Sentii i passi farsi sempre più veloci e dirigersi verso
di me. L'adrenalina iniziò a scorrermi nelle vene e iniziai a
correre, sempre più forte mano a mano che il mio cacciatore si
avvicinava, voleva me, la sua preda. Dopo parecchi metri svoltai a
destra ma fu una pessima decisione, era un vicolo ceco. Nel frattempo
ero stata raggiunta e con un calcio dietro la schiena, tra le
scapole fui buttata a terra. Indietreggiai strisciando sull'asfalto
senza ancora riuscire a guardarlo in faccia. Mi ritrovai a
supplicarlo, di non farmi del male, di lasciarmi andare. Rise, rise
della mia innocenza, della mia paura, del tremore nella mia voce.
Piangevo senza controllo, come un agnello prima di essere macellato,
provai ad urlare, ma non avevo abbastanza fiato e non c'era nessuno
che potesse sentirmi. La mia flebile richiesta d'aiuto fu subito
stroncata da un fazzoletto infilato nella mia bocca e legato dietro
la nuca. Cercai di slegarlo ma di nuovo fui bloccata da una corda
stretta attorno ai polsi e poi alle caviglie dopo avermi costretta a
sdraiarmi a terra con un altro calcio che questa volta mi aveva
incrinato qualche costola oltre a lasciarmi dei lividi. C'era
silenzio, solo il mio respiro represso insieme alle mia grida e il
suo. Ero riuscita a intravedere un sorriso, cattivo, mentre estraeva
il coltello dalla tasca. Mi immobilizzai, anche il mio cuore aveva
smesso di battere, lo avvicinò lentamente al mio collo e lo infilò
sotto alla camicia. Fui percossa da brividi e fremiti, per il terrore
e il freddo della lama ghiacciata. Ridusse la stoffa blu a brandelli,
lo stesso con quella di jeans dei pantaloni. Si era messo a
cavalcioni su di me strappando anche le bretelline del reggiseno.
Appoggiò la punta di ferro sul mio ombelico facendo un po' più di
pressione e facendola scorrere su tutto il mio corpo, anche sul viso.
Bruciava e un po' di sangue fuoriusciva dalle ferite. I singhiozzi
aumentavano e continuavo a gemere, i miei lamenti per lui erano come
la risata di un bambino per me. Iniziò a picchiarmi e sentivo le sue
mani ovunque, cercavo di scalciare, dimenarmi ma era completamente
inutile. I suoi denti mordevano il mio seno e l'interno della mia
coscia, più forte che poteva, quasi volesse staccarmi la pelle a
morsi come un leone fa con la sua antilope. Sentivo altro sangue
caldo scorrermi addosso. Avvicinò la sua bocca alla mia e anche se
muovevo la testa da una parte all'altra per evitarlo gli bastò una
mano per tenermi ferma. Con l'altra cercò di abbassarmi il
fazzoletto per cercare di baciarmi ma cacciai un urlo fortissimo.
Nello stesso istante aveva trafitto il mio fianco con il coltello.
Credetti di morire, sfilò la lama e la rinfilò nella mia gamba
lacerando l'arteria femorale. Da quel momento in poi non capii più
niente, mentre mi spogliava completamente sentivo il coltello
trafiggermi altre tre volte, non riuscii a fare altro che stringere i
denti e pregare che finisse il prima possibile, non avevo più le
forze. Dopo quello che mi parve l'eternità, se ne andò, lasciandomi
morire in quel vicolo buio, completamente ricoperta di sangue,
addirittura i capelli ne erano rappresi, e cercando di fare un po' di
pressione con le dita dove mi sembrava peggio. Soffrivo così tanto
che desideravo con tutta me stessa di farla finita, stavo aspettando
la morte con impazienza, sicuramente, sarebbe stato più calmo, più
tranquillo, ma non arrivò o se era quella dovevo essere al centro
dell'inferno. Persi conoscenza e qualcuno doveva aver chiamato
l'ambulanza perché quando ripresi il controllo del mio corpo sentii
delle voci che evidentemente appartenevano a dei medici. Comunque non
aprii gli occhi e non mi mossi, non avrei sopportato le loro domande.
Stavo aspettando solo Harry. Rimasi sola per dieci minuti più o
meno, poi la porta scorrevole si aprii ed entrò lui, me ne accorsi
dal suo profumo quando si sedette accanto a me. Ero ancora debole,
non avevo la forza di muovermi ma volevo che sapesse che stavo
meglio, sapevo che anche lui stava male per colpa mia.
- Harry...- mormorai con un filo di voce.
- Megan!- riuscii a sentire il sollievo
nella sua voce. Mi afferrò la mano e io la strinsi con quanta forza
avevo, era come un ancora di salvataggio per me. Cercai di aprire gli
occhi allora e fui accecata da una lampada al neon. Mi guardai
intorno, per essere un ospedale era molto carino, ben arredato, le
pareti erano dipinte di un bel blu e il comodino e il davanzale
della finestra erano ricoperti di vasi di fiori. Nella stanza c'era
solo il mio letto, meglio così.
- Come ti senti?- lo guardai negli occhi, quegli
smeraldi diffondevano in me pace e tranquillità. Mi sentivo a pezzi,
letteralmente, ma anche se non ero una brava attrice cercai di non
farglielo capire. - Ora che ci sei tu con me, sto meglio.-
sorrisi. Era vero, non chiedevo altro che averlo al mio fianco per
stare bene.
- Ascoltami Megg- adoravo il suono del mio nome
pronunciato da lui.- so che adesso per te è difficile perciò non ne
parleremo ma quando starai meglio voglio che quel figlio di puttana
marcisca in prigione e devi aiutarmi.- quanta rabbia c'era in quelle
parole.
- Harry ti prego no, cercarlo
significherebbe ricordare e io non voglio, starei male e farei stare
male anche te.-
- Ma Megan quel mostro deve avere quello che si
merita.-
- Lo so, capisco quanto tu soffra, ma pensa a quanto soffra io,
voglio solo riposare e andarmene da qui il prima possibile.- facevo
fatica a parlare e se ne accorse.
- Va bene, vado a chiamare i dottori,
devono visitarti.-
Solo quando mi lasciò sola mi accorsi dei
tubicini e degli aghi attaccati alla mia pelle, ricoperta di bende,
fasciature e gessature, anche la mia testa era fasciata. Lascia che
mi controllassero le ferite con gli occhi socchiusi, ero stata in
coma per due giorni, poi mi addormentai di nuovo. Quando mi
risvegliai Harry si era addormentato con la testa sulla mia coscia
sana e il volto rivolto verso di me. Allungai la mana fino ai suoi
capelli e affondai le dita tra i suoi ricci, accarezzarli era
estremamente rilassante. Ogni volta che lo guardavo rimanevo
estasiata, non avevo parole per descrivere quanto lo amassi, da
quando lo avevo incontrato ogni cosa che mi teneva legata alla mia
vita aveva perso ogni senso se lui non ne faceva parte, sarebbe stato
inutile. Si stava agitando nel sonno e si svegliò con la paura negli
occhi.
-Sei qui?!-
- E dove vuoi che
vada!- esclamai.
- Non lasciarmi
Megan ti prego, non farlo mai, promettimelo.- aveva gli occhi lucidi,
stava per mettersi a piangere.
- Non devi assolutamente preoccuparti di questo,
ho troppo bisogno di te, non avrei la forza di allontanarmi, lo sai
benissimo... Ma perché adesso hai questo dubbio?-
- Perché Megg questi due giorni sono
stati i più orribili delle mia vita- mi disse afferrandomi
delicatamente il viso con le mani. - non ho fatto altro che sperare e
pregare che ti risvegliassi, sapevo che ogni secondo che passava le
probabilità che uscissi dal coma diminuivano e non potevo
permetterlo. Non mi sono mai allontanato dal tuo letto, non ho
mangiato, non ho dormito, come se pensassi che uccidendomi ti avrei
ridato la vita. So che un giorno ci separeremo comunque vada,
potrebbe essere una malattia, un incidente, o semplicemente la
vecchiaia, ma non sono pronto. Megan non ora, non in questo modo. Io
voglio passare il resto della mia vita con te, il più tempo
possibile perché io ti amo, più della mia stessa vita, è difficile
da spiegare, non esistono parole adatte per spiegarlo anche se è una
cosa semplicissima...-
- Non ce n'è bisogno, lo so.-
gli risposi interrompendolo.
- Allora sai anche che se tu te ne
andassi io ti seguirei.-
- Non ti azzardare mai Harry Styles,
qualsiasi cosa mi accada tu continuai a vivere la tua vita.-
- Pensi che continuerei a considerarla vita? La mia vita è dove ci
sei tu.- - Anche se
fosse l'inferno?-
-
L'inferno è sapere che non ci sei.- non aveva saputo trattenere le
lacrime. - Smettila, ti
prego- gli dissi. - vivremo una lunga vita insieme e il nostro tempo
arriverà quando deve, vieni qui.-
Mi sporsi
in avanti verso di lui e posai le mie labbra sulle lacrime calde che
scendevano lungo le sue guance asciugandole. Poi sentii la sua bocca
incatenare la mia, le sue labbra carnose, bollenti e morbide si
muovano con movimenti decisi ma delicati al tempo stesso, come se
fossi stata qualcosa di estremamente fragile e preziosa, che avrebbe
potuta ridursi in mille pezzi al movimento sbagliato. La sua lingua
stava disegnando il contorno delle mie labbra e lasciai cullarmi sul
suo petto, stratta tra le sie braccia. Le nostra ciglia si sfioravano
solleticandomi la pelle. Adoravo il suo sapore,sentirmi sua, ogni
parte di me gli apparteneva completamente. Si allontanò contro la
mia volontà e mi accorsi di un ghigno gli era spuntato sulle labbra
che sapevano di fragola e baci sognati. Si fece serio all'improvviso.
- Mi vuoi sposare?- mi chiese guardandomi dritta negli occhi.
- Si.- e lo baciai ancora.
Non ero sicura di quanto tempo avremmo passato insieme, di
quello che nascondeva il futuro ma ero assolutamente sicura che avrei
voluto passare ogni secondo, attimo, che mi rimaneva con lui e con
nessun altro al mondo.
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