Di nuovo qua, in tutti i
sensi ^_^
Questo non è esattamente il sequel
di
Original Sin che in tanti mi hanno
chiesto, ma si colloca in quel breve intervallo tra The Ground Beneath
Her Feet
e Original Sin.
Spero che vi piaccia comunque e di non aver
sbagliato i riferimenti!
*****************************************************
HOGWARTS LEGEND
[ Part#1: It Was a Dark
and Stormy Night…]
Suddenly!
A movement in the corner of the room!
And there is nothing I can do
The
Cure, Lullaby
La donna canticchiava tra sé, la
voce tremante nella solitudine della sua casa, isolata nella campagna.
Quella sera in casa non c’era
nessuno, a parte lei. Il marito era ancora in ufficio, i figli adulti
ormai
abitavano per conto loro, i figli più giovani erano a
scuola. La donna continuò
a cantare prestando orecchio distratto alla musica che usciva, insieme
a una
quantità di fruscii, dalla vecchia radio in un angolo.
Dalla pentola sulla cucina
economica si sollevava una nube di vapore profumato di spezie e di
verdura, che
si mescolava al gradevole odore del fumo di legna del camino, dove un
grosso
ciocco di betulla crollò nel rumore familiare delle braci
che si sgretolavano.
Nell’acquaio che perdeva, una
goccia d’acqua scandiva con regolarità il pigro
scorrere dei secondi.
L’orologio sulla parete invece non produceva alcun ticchettio
o suono tipico:
non possedeva nemmeno le ore e i minuti e sul quadrante, al loro posto,
c’erano
i luoghi e le situazioni in cui potevano trovarsi i componenti della
famiglia,
ognuno rappresentato da una delle lancette.
La donna udì un rumore strano e
interruppe a metà il movimento della bacchetta; il
cucchiaio, che rimestava la
zuppa, crollò contro il bordo della pentola e giacque
immobile.
- Chi è? – domandò, la voce ferma
che vibrava di un sottofondo di inquietudine – Chi
c’è? -
Le rispose solo il silenzio, così
lei sollevò la bacchetta e, ripetendo a mente un incantesimo
di difesa, si
avviò verso la stanza di soggiorno.
Sollevata, constatò che non c’era
nessuno e dopo aver compiuto una breve perlustrazione della casa,
tornò ai suoi
fornelli. Gettando un’occhiata alla finestra si accorse che
era socchiusa:
strano, avrebbe giurato che era sprangata. La richiuse e
ricominciò, in santa
pace, a dedicarsi alla cena. Sul quadrante dell’orologio
appeso alla parete, la
lancetta che rappresentava proprio lei, si spostò dalla
postazione “pericolo
mortale” a quella “casa”…
***
Little
child, be not afraid
The rain pounds harsh against the glass
Like an unwanted stranger
There is no danger
I am here tonight
Vienna
Tengs, Lullabye
for a Stormy Night
Naturalmente era una notte buia e
tempestosa.
A stento c’era da specificare
questa cosa, perché ogni volta che succedeva qualcosa di
sinistro era sempre una notte buia
e tempestosa,
tanto che c’era da chiedersi perché mai, la gente,
quando vedeva calare la sera
e cadere dal cielo qualcosa di più di una semplice
pioggerella, non cominciasse
a prendere tutte le precauzioni del caso: Incantesimo Anti-Maniaco,
qualche
lampada stregata invece delle semplici candele pronte a spegnersi
sempre al
momento meno opportuno…
(Una Mano della Gloria che
avrebbe immancabilmente fregato il maniaco in questione, pensava
Malfoy).
… Oppure, magari, la semplice
precauzione di chiedere chi diavolo fosse alla porta, invece del
solito,
distratto Alohomora dalla cucina o
dalla vasca da bagno, preludio inevitabile a cruenti rituali che si
concludevano immancabilmente con la famiglia affranta che, il mattino
dopo, si
doveva esibire nelle Olimpiadi del Gratta
e Netta per ripulire la casa dal sangue e da tracce di
materia cerebrale.
(Ammesso che l’aggredito
possedesse un cervello, pensò Malfoy rivolgendo
un’occhiata oziosa a Potter. In
caso contrario la gente si sarebbe risparmiata parecchia fatica).
Tante volte l’aggressione era
perpetrata con l’aiuto di una Pozione Polisucco e, in vista
di quella
eventualità, le mamme streghe di solito invitavano i
rampolli maghi – oltre che
a non accettare passaggi su scope o Cioccorane dagli sconosciuti
– a tenere la
gente fuori dalla porta un’oretta prima di aprire,
controllando di tanto in
tanto dallo spioncino se non sapevano ancora effettuare un Incantesimo
Trasparente.
(Dilettanti. Malfoy
sogghignò, lui conosceva quell’incantesimo da secoli, parecchie volte gli era tornato
utile per rendersi conto che sotto il maglioncino della divisa di
Hermione
Granger non c’era solo un gran cuore dal coraggio
Gryffindor).
Poco male che fuori della porta
ci fosse l’ansiosissima e protettiva mammina bloccata con
venti gradi sotto
zero dalle sue stesse raccomandazioni.
Malfoy era pronto a scommettere
che, la protagonista della storiella che stava raccontando Ron Weasley,
fosse
appunto una signora di mezza età, ansiosa, trascurata e grassa, con un cespuglio di capelli color
rame e l’aria
preoccupata, che stava cucinando per una nidiata di cenciosi figlioli
uno più
stupido dell’altro.
Una mamma a caso di un tizio
lentigginoso a caso, insomma.
In ogni modo, nonostante le sue
virtù di narratore fossero avvincenti quanto quelle del
Professor Ruf, il Re
delle Donnole era arrivato al clou della storiella –
raccontata all’amico
dell’amico, dal cugino in terzo grado che era emigrato in
America nel
quarantotto – cioè quando alla malcapitata madre,
rimestando lo stufato, era
capitato di vedere un dito umano andare su e giù nella sua
pentola insieme alle
patate e alle carote e aveva cacciato un urlo che aveva fatto accorrere
i
vicini, i quali, via camino, si erano precipitati da lei, e avevano
trovato un
cadavere a pezzi nel suo giardino, tra la pegola e le tane degli gnomi.
Potter sembrava improvvisamente
tutto interessato.
- Quale dito? -
Il medio, pensò Malfoy.
Ginevra Weasley sembrava sul
punto di mostrarglielo addirittura, realizzando una sua peccaminosa
fantasia,
tuttavia dovette ricordarsi, all’ultimo momento, che erano in
pubblico.
- Il dito di chi? –
insistette Potter.
Sicuramente il Ministero della
Magia Svedese non avrebbe avuto nessuna difficoltà ad
assegnare quel tale premio,
che Malfoy non riusciva mai a ricordare come si chiamasse, intitolato a
quel tale
mago che aveva inventato l’Incantesimo Dinamitardo: con ogni
probabilità tutti
i membri del Comitato sarebbero saltati in piedi urlando
”Potter! Potter!”,
così il Bambin Sopravvissuto avrebbe avuto
un’altra onorificenza da aggiungere
alla sua ampia quantità di boria.
Hermione Granger, che purtroppo
adorava il suo migliore amico,
ma per fortuna si rendeva anche conto che, a volte, non era
propriamente un
asso nel cogliere l’essenziale di un discorso, gli diede
un’amichevole pacca
sul ginocchio e disse, paziente – Harry, credo non sia questo
il punto –
Potter sgranò gli occhioni verdi.
Passaporta per la Svezia
pronta per l’uso, uno, due…
- E qual è? -
…Vi ringrazia per la vostra scelta
e si augura di avervi come ospiti al
più presto!
- Harry – il tono di Ginny
Weasley avrebbe indotto le legioni infernali ad aprire la prima sciovia
per
spostarsi da un girone all’altro – E’ una
leggenda metropolitana -
Potter si massaggiò il mento e
considerò prima la sua migliore amica e poi la sorella del
suo migliore amico –
Come quella del libro della strega che viveva a Bath e dei Sonetti di
uno
Stregone? –
- Quelle sono vere! Me lo ha
detto papà! – disse Ron Weasley, in tono indignato
– E anche il fatto del libro
che bruciava gli occhi! -
Potter gli rivolse un’occhiata
sorpresa e non rispose. Il Re, in maniche di camicia e con gli
avambracci
muscolosi scoperti, distolse lo sguardo dalla scatola dei biscotti al
burro per
puntarlo sul Migliore Amico, assumendo un’espressione
profondamente ferita,
tipo qualcuno che ha ricevuto la classica coltellata
nell’arteria inguinale
durante un fraterno abbraccio.
- Papà ti ha detto anche che
esisteva Babbo Natale – intervenne impietosamente la Weasley.
- Oddio, Ron – sospirò Hermione –
Non mi dire che ci hai creduto.
E’
solo una leggenda metropolitana -
- Leggenda metropolitana – intervenne
una voce limpida e vivace, vicino al tavolo verde, con il tono di chi
ha
trovato due parole particolarmente piacevoli da ripetere.
La ragazza dai lunghi capelli
d’oro filato trattenuti da un nastro di velluto blu, fece
dondolare la scarpa
di vernice azzurra dal piedino snello fasciato di seta e
annuì un paio di
volte.
- Ne ho sentito parlare. Per
esempio, in giro si dice che i testi delle canzoni di Celestina Warbeck
contengano messaggi sublimi –
- Subliminali, Tessie, cara
– corresse amorevolmente Reese Hewitt –
Quella vecchia storia degli inviti a unirsi ai Mangiamorte e a usare
Artigli di
Drago e Pietra di Luna -
Jalice Love guardò le due amiche
e sorrise – Avete ragione entrambe. I messaggi sono
subliminali, ma le canzoni
di Celestina sono … - sospirò – sublimi
–
- E poi naturalmente, c’è quella
faccenda delle canzoni delle sorelle Stravagarie. Sapete, pare che
sentite al
contrario contengano messaggi satanici… -
Anthony Goldstein, adagiato in
una poltrona di pelle sfondata, che un tempo aveva fatto bella mostra
di sé
nello studio di Vitious, faceva roteare in un bicchiere panciuto del
Firewhisky
Gran Riserva di cui, prima o poi, suo padre avrebbe notato la scomparsa
dalla
cantina della loro casa nel Somerset.
Nel suo regno, la saletta del
Club dei Duellanti, sereno e a suo agio, con la cravatta allentata e il
colletto sbottonato, rivolse un sorriso indulgente alle Blue Ladies. I
suoi
occhi bruni, così profondi nella penombra del fuoco, si
fermarono su Tess
Steeval con un’espressione di dolcezza quasi dolorosa.
Spostandosi verso la parte
opposta della saletta, lo sguardo del Caposcuola di Ravenclaw
incontrò quello
di Malfoy e il suo sogghigno canzonatorio, così
abbozzò con un lieve scrollare
di spalle e ricambiò il sorriso.
Malfoy guardò, di nuovo,
interessato, quel gruppetto di Ravenclaw, svampite fino a chiedersi se
avessero
ingurgitato una tonnellata di Lunaria dopo aver subito un Incantesimo
di
Memoria riuscito male e magari fatto una nuotatina in una piscina di
Firewhisky.
Infine si domandò se davvero
Celestina Warbeck lavorasse per la Causa.
Un sospiro turbò l’aria che stava
respirando, costringendolo a dimenticare ogni altro pensiero per
seguirne il
suono fino a lei.
Labbra pallide accese dalla stretta
nervosa di denti candidi.
Denti gentili, di cui ricordava
il morso sulla spalla nuda, subito lenito dal tocco di un respiro dolce
e
affannoso.
La sensazione di tenerla tra le braccia, di
sentire sotto le labbra le
sue palpebre serrate e le ciglia, la sua bocca socchiusa e poi bere il
suo
grido sommesso, le mani nelle sue e su di lui.
Immagini che non dimoravano più
tra l’incubo e l’immaginazione, ma erano il ricordo
di quanto era successo la
notte precedente, e quella prima ancora.
Ricordo e anticipazione.
Icicle dreams are the memories gone by
Have you ever seen a lullaby on fire
Darling
Violetta, Beautiful
Ciglia scure che, per un istante,
si alzarono per incrociare il suo sguardo, poi si riabbassarono sulle
fiamme
del camino, le guance che si imporporavano per un calore che non era
soltanto
quello del fuoco.
Ricordo.
Lui osservò affascinato quel
rossore, la mano che gli correva alla spalla per tracciare idealmente
il
marchio delle sue labbra; il graffio che le sue unghie gli avevano
disegnato
sulla schiena palpitava piano, un dolore dolce che si alzava e
abbassava al
ritmo delle fiamme nel camino, gonfiandosi e poi piegandosi in
un’onda ardente.
Che bruciava, lenta, costante,
intensa.
Anticipazione.
Lasciò ricadere bruscamente la
mano con cui aveva preso a massaggiarsi, inconsapevole, la spalla, e
distolse
lo sguardo da lei, spezzando quel contatto di respiri e pensieri; e
all’improvviso, fu come se intorno a lui qualcuno avesse
alzato bruscamente il
volume: tutti parlavano ad alta voce, contemporaneamente, con
l’applicazione di
chi cerca di coprire un rumore di fondo fin troppo nitido.
Fingendo di guardare, a caso,
verso il tavolo da gioco, incrociò gli occhi blu di Tess
Steeval, che gli
restituì uno sguardo sagace e poi sbirciò, con
intenzione, verso Hermione Granger.
Malfoy la guardò male e quella,
per tutta risposta, ammiccò, per niente disturbata dalla sua
irritazione.
- Tipo la storia della pianta
carnivora nella serra numero sette? – stava dicendo Terry
Steeval – Quella che
ha ingoiato uno studente di Hufflepuff che poi è spuntato in
primavera dentro
un baccello gigante? -
- Non esiste una serra numero
sette – disse Ginny Weasley, piegandosi verso Jalice per
farsi accendere una
sigaretta, un gradevole odore di menta e cioccolato si diffuse come una
nuvola
intorno alla sua figurina snella – A meno che non sia la
famosa serra che compare
solo nelle notti di novilunio –
- Esatto – rispose Terry, ridendo
– Altra leggenda di Hogwarts –
- Beh – intervenne King Weasley –
C’è anche quella del ragazzo che è
entrato a bere qualcosa alla Testa di Porco
e dopo ha un vuoto mentale completo. Ricorda solo di essersi svegliato
in una
vasca da bagno piena di ghiaccio e che stava malissimo: lo portano di
corsa al
San Mungo e lì scoprono che gli avevano fatto Evanescere un
rene –
- Se invece del rene si fosse
trattato del cervello, avrei giurato che eri tu il protagonista della
storia –
intervenne una voce scocciata e fredda, proveniente dalla parte opposta
del
camino rispetto a quella dove si erano asserragliate le Tre Grazie del
Gryffindor.
- Ma come sei gentile – replicò
Ron Weasley, contrariato.
Nell’ombra, un piede, calzato di pelle
di drago verniciata, oscillava con un movimento che tradiva una certa
impazienza,
l’altro piede piantava saldamente un tacco nella trama lisa
di un tappeto
raffigurante un gruppo di unicorni; le caviglie snelle, appena scoperte
dall’orlo di un paio di costosi pantaloni neri, continuavano
in un paio di
gambe flessuose della cui proprietaria, seduta sul bracciolo di una
poltrona,
si poteva intuire solo un’aureola di capelli biondi che
balenava nell’ombra non
raggiunta dai bagliori del camino.
Un sottile profumo selvatico e
raffinato, rose canine e bruma, si allargava come una rete intorno a
lei.
Impigliata in quella rete, una
mano grande e abbronzata, gemelli d’oro che chiudevano un
polsino perfettamente
inamidato, si mosse, tamburellando le dita sulla spalliera della
poltrona, come
percorsa da un fremito nervoso.
- Daphne, - intervenne una voce
profonda, distaccata, accanto a lei – stai riempiendomi la
camicia di cenere -
Il volto del giovane rimaneva
celato nell’identica ombra che nascondeva quello della
ragazza; nella luce
scarsa, che le fiamme del camino aggiungevano a quelle di due candele
su uno
scaffale, si delineavano spalle larghe e capelli neri sul bianco
immacolato di
una camicia dal taglio magnifico.
- Ne hai un altro centinaio, di
camicie – rispose quella, pungente – Se la cosa non
ti sta bene, spostati –
- Sempre una nobildonna – la
canzonò l’altro.
La voce aveva accordi profondi,
di rara armonia, e un’eco amara che, anche
nell’inflessione salottiera, non
riusciva a dissolversi completamente.
Con un gesto distratto della
bacchetta, il giovane chiamò a sé un posacenere
di vetro. Lo porse alla
ragazza, che lo prese senza una parola di ringraziamento, sfiorandogli
appena
la mano, per caso, con la naturalezza indifferente e familiare delle
battute aspre
che si erano scambiati un istante prima.
- Non c’è di che – mormorò
lui,
in tono amabile.
Daphne Greengrass emise uno
sbuffo di fumo alle rose selvatiche, che in parte voleva essere un
verso di
scherno, e si tese in avanti dal bracciolo della poltrona
dov’era appollaiata
alla destra di Blaise Zabini, gli occhi verdi erano sarcastici come la
sua
voce.
- Va bene, - disse – Adesso
ascoltate questa -
***
Il castello che ospitava la Scuola
di Magia e
Stregoneria di Hogwarts era un intero mondo: superfici che si
estendevano per
piani e piani, mansarde inesplorate, sotterranei che sprofondavano
nella terra e
poi corridoi labirintici che si dipanavano per miglia e miglia; senza
contare
gli ambienti segreti, quelli itineranti e quelli che comparivano e
scomparivano
a seconda delle condizioni atmosferiche, dei bisogni di chi li cercava,
dell’avvicendarsi dei giorni o dei mesi…
Hogwarts era anche un immenso magazzino:
stanze e stanze in disuso, stipate di vecchio mobilio e oggetti perduti
e mai
rivendicati o, semplicemente, di cui negli anni si era persa memoria
della
funzione e del proprietario. Soffitte e ripostigli, cantine e armadi,
nascondigli collegati da passaggi segreti o vegliati da quadri e statue
dotate
di ingegno e volontà, gallerie interne e montacarichi che
correvano all’interno
delle mura massicce.
Era naturale, nel caso qualcuno
lo decidesse, avere la concreta possibilità di nascondersi
al suo interno.
(Era innaturale e disumano,
obiettava qualcuno, a mezza voce, che vista
la quantità di spazio a disposizione, gli allievi fossero
barbaramente
costretti a stipare i loro effetti personali in un unico
baule quattrostagioni).
Tra l’altro era perfettamente
inutile che qualcuno cominciasse a obiettare che la scuola era
perfettamente
protetta da intrusioni.
(Grasse risate nella zona
Slytherin della platea, mugugni di protesta da parte dei Gryffindor,
qualche
occhiataccia che rimbalzava da un lato all’altro del camino).
A memoria di studente, infatti,
risultava che chiunque, a cui fosse venuto il capriccio di scorrazzare
per il
Castello, ci fosse riuscito senza incorrere in eccessive
difficoltà.
Questa considerazione poteva
essere foriera di parecchi brontolii di malcontento dalla curva
Gryffindor; ma,
sinceramente, non erano nemmeno da prendere in considerazione le
obiezioni di
un branco di storditi che se ne erano andati in giro per giorni, tronfi
di
orgoglio, perché un Mangiamorte sotto mentite spoglie aveva caldamente raccomandato loro di
diventare Auror e, a posteriori, non si erano nemmeno sentiti presi per
il …
(Qualcuno tossicchiò con
discrezione).
…Per il deretano.
Senza, ovviamente, fare menzione
della piccola svista in cui tutti
erano incorsi il primo anno non accorgendosi che lo stesso Signore
Oscuro aveva
goduto dell’ospitalità del Castello,
dell’eccellente sangue degli unicorni
della sua riserva e della piacevole compagnia dei suoi nemici giurati;
lasciando
da parte vecchie pazze inquietanti (e vivamente rimpiante dagli
Slytherin) -
libere di torturare gli allievi, senza considerare che c’era
gente che era
stata segnalata a Gufo Azzurro ed era finita in galera per molto meno -
tra i
delinquenti che avevano piantato felicemente le tende in quel di
Hogwarts, si
registrava una sensibile percentuale di gente scappata da Azkaban,
insieme a
quella che ovviamente sembrava scappata dal Reparto Psichiatrico del
San Mungo.
Morale della favola: Hogwarts era
impenetrabile meno di quanto Azkaban fosse a prova di evasione, con la
buona
pace dei Presidi che erano i Più Grandi Maghi
dell’Universo Creato e delle
prigioni sulle isole sperdute nel mare che magari avevano anche
l’arsenico
nella carta da parati.
Tant’era che quando Sirius Black aveva
deciso di entrare nel dormitorio di Gryffindor non aveva certo trovato
gli
Squadroni della Morte a fermarlo, ma un cortese bigliettino di
benvenuto con
tutte le parole d’ordine; inoltre, quando dopo la Coppa
del Mondo di Quidditch,
qualcuno aveva avuto il sospetto che il Lato Oscuro si trovasse in vago fermento
e non si era trovato di meglio da fare che assumere un Mangiamorte
che insegnasse agli allievi a difendersi dai
Mangiamorte, tutti avevano perso all’istante il diritto di
proferire verbo
sull’argomento sistemi di sicurezza.
Tutto ciò premesso e ritenuto,
tempo prima, era successo che, nei dintorni del Castello,
all’interno dei
ripostigli dello stesso e nei pressi della Foresta Proibita - vale a
dire
ovunque si trovassero fratte, in senso reale o figurato, conformi a
ospitare i
momenti di intimità delle coppiette – era iniziata
a circolare una voce
abbastanza allarmante: dalle frequenze di Radio Strega Network e di
Radio
Strega Rock era giunta la notizia che un pazzo maniaco era scappato da
Azkaban
e si aggirava nei dintorni di Hogsmeade.
Poco male, avevano pensato tutti,
ricominciando a tubare in piccionaia coi rispettivi, non che ci fosse
da
preoccuparsi in maniera eccessiva: tanto, quando un pazzo maniaco
evadeva da
Azkaban, di solito lo faceva per accoppare Potter e non per nuocere ai
privati
cittadini.
La considerazione che, però,
negli anni, si era registrato un sensibile numero di vittime
collaterali, aveva
presto raffreddato gli entusiasmi
provocando un crollo verticale dei desideri.
In effetti, a pensarci bene, sempre
più spesso, c’era qualcuno che ci rimetteva le
penne o che, per lo meno, veniva
acchiappato per i capelli prima di farlo. Tanti raggiungevano la Terra
dei Più (in altre
parole Azkaban), altri, tra un inciampo nei pressi di qualche Velo, per
colpa,
poniamo, della zietta di qualcuno,
e
un incidente in un cimitero, lasciavano inesorabilmente questa valle di
lacrime.
Come dimenticare, per esempio, la
buonanima di Cedric Diggory?
Su quello che era successo nel
cimitero di Little Hangleton tutti avevano qualcosa da dire e da
commentare.
Certo, chi aveva visto Mastro Gazza portare fuori carriole di detriti
dalla
Camera dei Segreti, aveva rivolto un pensiero di sincera partecipazione
a
quelli che, il giorno dopo il fattaccio, erano andati al cimitero per
mettere
fiori sulla tomba dei cari defunti e, vedendo il disastro, avevano
ricevuto un
colpo tale da rischiare di defungere
a loro volta.
(Tra l’altro, ingiustamente
vilipesi e accusati di omertà, gli Slytherin avevano, al
solito, viste ignorate
le loro opinioni in merito. Che sciocchezza, avevano tuonato dai
sotterranei:
non si trattava affatto del ritorno del Signore Oscuro, ma di un delitto passionale! Insomma, nessuno
aveva notato che la benedett’anima era stato avversario al
Tremaghi nonché
rivale in amore di Potter?).
Insomma, fatte tutte queste
considerazioni, le coppiette non si erano più sentite tanto
al sicuro e avevano
cominciato a dare segni di agitazione; avevano abbandonato il
ripostiglio
coniugale o l’aula nuziale, e avevano fatto ritorno nei
dormitori a tremare in
santa pace ognuno sotto il proprio baldacchino.
A quanto si diceva, il pazzo
maniaco in questione aveva anche un aspetto particolarmente
raccapricciante e
un uncino al posto della mano.
Una di queste coppiette, che
aveva trovato la giusta privacy in uno stanzino delle scope presso il
terzo
piano, a un certo punto della notte aveva sentito dei rumori strani
provenienti
dal corridoio.
All’inizio non ci avevano badato.
Probabilmente lui, che era un autentico porco,
era occupato a fare tutt’altro che preoccuparsi di una cosa
trascurabile come
la possibilità di finire sbudellati.
Lei invece, con ogni probabilità,
era angosciata all’idea di morire di una morte infinitamente
peggiore.
***
- Fermati. E’ la seconda volta
che sento un rumore. Forse c’è qualcuno fuori
della porta -
Un respiro impaziente aveva fatto
eco alle sue parole, poi labbra tenere si erano posate di nuovo sulla
sua
spalla per un breve bacio.
- Sarà quel guardone di Potter –
aveva risposto lui, in tono leggero – Sei preoccupata per la
tua reputazione,
mia sfacciata Caposcuola? Tranquillizzati: dubito che, anche se dovesse
continuare a spiarci, riuscirebbe a capire cosa stiamo facendo -
- Idiota – il pugno di lei sulla
spalla nuda gli aveva strappato una risatina – Non mi sento
tranquilla -
- Hai paura che sia il maniaco
pronto a levarci le budella? –
- Peggio: – aveva proferito lei
in tono lugubre - la
Professoressa McGranitt
pronta a espellerci
–
I know what you want
And I'll give you everything
In twilight morning while all the world sleeps
Cinnamon sins are all safe here with me
Darling
Violetta, Say you love me
La risata sommessa che aveva
fatto eco alle sue parole si era spenta contro il suo seno. Lei aveva
mosso una
mano per immergerla trai suoi capelli, seta di luna sotto le dita, ed
era rimasta
assorta nella sensazione di averlo tra le braccia, la sua guancia sul
petto e
il respiro che le solleticava la pelle, mentre lui rideva ancora,
piano.
Era passato così poco tempo,
ancora, e amarsi era sempre un po’ essere ai
ferri corti.
Una lotta silenziosa tra parole
eluse e sospiri trattenuti e poi abbandonarsi, non senza avere
combattuto,
quando tutto diventava semplicemente troppo.
Lui le risalì con le dita lungo
il fianco e girò il volto per imprimerle sulla carne un
bacio gentile,
l’ennesimo marchio invisibile che lei, la mattina dopo,
avrebbe cercato nello
specchio e nei propri occhi.
Gli passò l’altro braccio intorno
alle spalle, con la mano ridiscese, assorta, a godersi la linea della
sua nuca
e della schiena. Sotto le sue dita i muscoli del dorso si mossero,
mentre lui
le passava un braccio attorno alla vita.
- A cosa stai pensando, mia
piccola Mezzosangue? -
Rispose da solo alla propria
domanda, puntellandosi sui gomiti e scivolando su di lei fino a che i
loro visi
si toccarono. Posò la fronte contro la sua, poi
abbassò il capo per baciarle il
collo, i suoi capelli morbidi e sottili le accarezzarono il viso e la
gola.
A cosa stai pensando?
Lei rilasciò le gambe in modo che
si separassero naturalmente, chiuse gli occhi, assorbita solo dalla
sensazione
di avere addosso il suo peso.
Cosa sogni quando dormi e quando sei sveglia.
Solo te, solo di te.
Prometti che sarà sempre
così.
Te lo prometto.
Qualcuno, fuori dalla porta,
produsse un suono simile a un grattare contro il legno…
Your eyes speak so silently
They tell me what you want from me
There is no more I can do
I’ll always be inside of you
Darling
Violetta, Beautiful
***
La testa le ciondolò sul petto un
attimo e lei la rialzò automaticamente, svegliandosi di
colpo. In preda al vago
vuoto di stomaco e al disorientamento conseguente al brusco risveglio.
Si
guardò intorno, fino a che non mise a fuoco un paio
d’occhi grigi fissi su di
lei.
Appena sveglia, lo cercava come avrebbe
cercato una qualsiasi luce.
Si era assopita per qualche
minuto e Daphne Greengrass era quasi giunta al termine del suo
racconto.
Allarmata dai rumori, la ragazza
del ripostiglio, aveva puntato la bacchetta contro la porta e aveva
scagliato
l’Incantesimo di Disarmo.
Per precauzione, i due avevano
usato un passaggio segreto, per abbandonare il ripostiglio, invece
della porta
sul corridoio: la mattina dopo, andando in perlustrazione, avevano
trovato,
appeso alla maniglia della porta del loro ripostiglio, un uncino di
ferro…
Hermione rabbrividì, battendo le
palpebre per scacciare le ultime tracce di sopore.
- Quel maniaco, povero infelice –
sospirò Blaise Zabini, – Era sicuramente qualche
complesso irrisolto a
spingerlo a comportarsi così -
Parecchi sguardi si spostarono si
di lui, alcuni incuriositi, altri decisamente meravigliati per quello
sfoggio
di fine criminologia.
Daphne Greengrass e Draco Malfoy
invece lo guardavano come se gli fossero spuntati improvvisamente una
certa
quantità di tentacoli dalle orecchie.
- Voglio dire, - Zabini scosse il
capo – un uncino al posto della mano: era naturale che
soffrisse. Con ogni
probabilità non poteva indossare un vestito senza strapparlo -
L’intera Club House piombò nel
silenzio più assoluto, spezzato solo dal sospiro partecipe
di Tess Steeval.
- Oh Blaise, sei sempre così
sensibile -
***
Tra le leggende che giravano a
Hogwarts, naturalmente, non potevamo mancare quelle sugli insegnati.
- Io ne so una favolosa su Piton
-
- Che è un Mangiamorte? –
Insinuazione a mezza voce di
Weasel, occhiata da parte degli Slytherin. Non si capiva bene se
volesse
significare che i Gryffindor cominciavano a diventare monotoni o
sincera
incredulità perché ci avevano messo anni ad
afferrare il concetto – in ogni
modo, si guardarono malissimo, poi Ginny Weasley continuò a
raccontare.
Uno studente di Gryffindor, un
giorno era stato interrogato da Piton. Si trattava di un ragazzo che
notoriamente
in Pozioni andava molto male ed era cliente affezionato dei
commercianti di
calderoni; ma l’interrogazione non giungeva inattesa,
così lo studente era
preparatissimo.
Arrivare alla cattedra era già
stata un’impresa di grande coraggio, visto che lo studente
era letteralmente
terrorizzato da Piton. Trattandosi però di un Gryffindor,
faceva parte del suo
destino sopportare simili sfide alla sorte.
Dapprima balbettando poi,
facendosi pian piano quasi sicuro, aveva risposto brillantemente a un
fuoco di
fila di domande, tanto che Piton era addirittura livido
A un certo punto il professore
aveva tentato l’ultima domanda: lo studente avrebbe dovuto
illustragli la
preparazione della Pozione Antilupo, i modi e i tempi in cui andava
assunta.
Lo studente aveva risposto
perfettamente e anche Piton alla fine era stato costretto ad abbozzare,
dichiarandosi tacitamente sconfitto.
Improvvisamente tutto gentile, il
professore di Pozioni aveva detto allo studente che si complimentava
con lui e
con un colpo di bacchetta aveva fatto apparire sulla cattedra una
grossa
confezione di zollette di zucchero colorate.
Le aveva offerte allo studente,
pregandolo di accettarle in segno di stima per addolcire le sue Pozioni
Antilupo.
Lo studente aveva accettato,
tutto trionfante…
Hermione Granger sbuffò in segno
di dissenso, scuotendo il capo – Io non lo avrei fatto
–
…e Piton aveva sorriso.
Già vedere Piton sorridere era
uno spettacolo tale che la gente di solito ricorreva a ogni sorta di
scongiuri
conosciuti; vederlo sorridere a un Gryffindor, naturalmente, non poteva
preludere che a qualcosa di estremamente piacevole.
Per gli Slytherin tutti.
- Lo zucchero annulla
completamente gli effetti della Pozione Antilupo. A posto:
insufficiente -
Malfoy che aveva cominciato a
sogghignare non appena aveva sentito parlare di zucchero,
scoppiò in una risata
e considerò la Weasley
con aria di sufficienza.
- Anche io ne conosco una simile
– intervenne, la voce fredda, lo sguardo che si fissava su un
punto a caso della
stanza, per non dare nemmeno l’apparenza di rispondere a una
persona che
considerava così in basso - Però
l’insegnante in questione è la McGranitt
-
- Sentiamo –
Anthony Goldstein si protese in
avanti, gli avambracci sulle ginocchia, la camicia bianca che creava un
contrasto piacevole con la carnagione olivastra – Par condicio – aggiunse, con un
sorriso, rivolto ai Gryffindor che
si erano rabbuiati – Slytherin ha diritto di replica
–
Dietro l’intonazione affabile si
avvertiva una certa ilarità. I Ravenclaw erano del tutto
immuni al senso di
rivalità che correva tra le due Case: di volta in volta
divertiti o irritati
per i risvolti esasperati della situazione, consideravano i loro spazi
neutrali, nei quali si era i benvenuti, ma si doveva fare di tutto per
non
turbarne l’armonia.
Era la forza della personalità di
Anthony che permetteva a tre Gryffindor di guardare in cagnesco tre
Slytherin
da un lato all’altro di in caminetto senza che si saltassero
più o meno
metaforicamente alla gola.
Malfoy e Potter si ignoravano accuratamente,
con una tale, perfetta, padronanza che solo gettare un Mantello
dell’Invisibilità
addosso a uno dei due avrebbe permesso di raggiungere un effetto
migliore.
Tutto ciò in onore del quarto
Gryffindor, quello che spostava ansiosamente lo sguardo
dall’uno all’altro
ragazzo, senza riuscire a rilassarsi veramente per un solo momento.
Tranne cadere addormentata per qualche istante
e fare un sogno che le
sembrava chiunque le potesse leggere negli occhi, nel momento in cui
aveva
incontrato quelli di lui.
Hermione abbassò gli occhi sul
ricamo d’ombra che il parafuoco di ferro battuto disegnava
sul tappeto, poi li
spostò sui gemelli Steeval, poco distanti da lei. Due teste
bionde chine l’una
verso l’altra in una confidenza affettuosa che lei aveva
sempre immaginato
potesse esistere tra fratelli. Terry, seduto su una sedia al contrario,
le
braccia incrociate sulla spalliera e il maglione della divisa annodato
al collo
per le maniche, si piegava all’indietro per farsi accendere
una sigaretta dalla
sua gemella, mentre un gradevole odore di brezze marine si diffondeva
per la
stanza.
Tess, seduta sul tavolo verde,
intercettò lo sguardo di Hermione e le sorrise.
Era un sorriso di generico
incoraggiamento, comprensivo e allegro. La piccola Blue Lady le
soffiò un bacio
sulla punta delle dita insieme a un nuvola di fumo al gelsomino e
articolò una
frase affettuosa, in silenzio.
Ti voglio bene, Capogranger.
Poi si piegò in avanti per
accostare il viso a quello di Anthony, sulla poltrona accanto a Terry,
includendo idealmente anche lui in quel cerchio di calda vicinanza.
***
La storia raccontata da Malfoy
suonava più o meno così: una triste mattina, un
povero, incompreso,
ingiustamente disprezzato Slytherin – situazione, la sua,
tristemente consueta,
in quella scuola dittatoriale, dove una stupida cicatrice contava
più di intere
generazioni di sangue purissimo e di un padre Consigliere –
si era recato alla
cattedra a ritirare il compito di Trasfigurazione.
La
Professoressa – siccome
erano tra persone corrette non si facevano nomi: si poteva solo dire
che trattavasi
del braccio destro del peggiore Preside che Hogwarts avesse mai avuto,
donna di
estrema parzialità, sempre pronta ad avere un occhio di
riguardo verso la sua
Casa, non come quell’icona di assoluta equità che
era il Professor Piton –
aveva squadrato il ragazzo in questione, dalla cima dei capelli biondi
fino
alla punta delle scarpe in pelle di drago acquistata a peso
d’oro da onesti e
laboriosi bracconieri, infine aveva proferito, gelida:
– Signor Malfoy, quando ti ho
chiesto di documentare un caso pratico di Trasfigurazione Umana a
Semispecie Animale
non volevo certo invitarti a fornire il signor Paciock di un paio di
orecchie
da coniglio -
Ferito nel suo orgoglio di studioso
dedito con abnegazione alla
ricerca, lo studente Slytherin si era limitato a proferire una
contegnosa
protesta – mi premurerò
di informare mia
madre, forse ha dimenticato chi è mio padre,
lei-non-sa-chi-sono-io - prima
di chiudersi in un dignitoso silenzio.
Forse considerando tutti i
galeoni che i Malfoy avevano sborsato per fornire la scuola di
attrezzature
nuove di zecca per le aule di Pozioni e delle munifiche donazioni per
rimpolpare, con grande lungimiranza e spirito educativo, la Sezione
Proibita della
Biblioteca, la Professoressa si era
lasciata indurre a osservare con
attenzione lo studente incompreso.
- Va bene – aveva decretato
infine – che cosa preferisci? Un Accettabile qui oppure un
Oltre Ogni
Previsione in giardino? -
Ovviamente il senso di giustizia
del giovane Slytherin aveva preteso solo quello che gli spettava di
diritto –
Un Oltre Ogni Previsione in giardino –
Sul bordo del suo compito era
subito comparsa la sigla in lettere violette OOP e poi…
- Relascio -
Con un preciso incantesimo di
Esilio, la
Vecchiaccia
aveva spedito il compito della povera vittima Slytherin fuori dalla
finestra
dritto dritto in cortile.
Per la verità la storia non era
nulla di particolare. Alla fine però, tutti gli Slytherin
esibivano dei
sogghigni molto soddisfatti a fronte dei cipigli scuri dei Gryffindor.
- Non sarebbe da lei comportarsi
così! -
La voce irata di Harry Potter gli
valse uno sguardo gelido da parte di Malfoy, profondamente seccato per
essere
stato interrotto in una delle sue fantasie narcisistiche preferite.
Potter non aveva inteso
rivolgersi a lui direttamente e, naturalmente, lui non avrebbe mai
messo da
parte la sua dignità per rispondergli, così si
limitò a squadrarlo con astio
per poi distogliere subito lo sguardo e fissare le fiamme del camino.
Daphne Greengrass, invece, era
quel tipo di persona che, quando riteneva qualcuno un idiota non
riusciva a
esimersi dal renderlo partecipe della cosa, così
lasciò esplodere una risatina
sgradevole.
– Taci, Potter, nessuno ha
inalberato dignità ferite quando avete dipinto Piton come un
maniaco che
distribuisce zucchero ai ragazzini –
Lo sguardo che in quel momento
stava rivolgendo a Harry Potter aveva una dotazione di disprezzo
sufficiente da
aspergersi con generosità anche sui due Weasley che, al
solito, non
abbandonavano il fianco del Fanciullo Che Li Avrebbe Seppelliti Tutti.
Blaise Zabini non avrebbe abdicato
alla sua dignità nemmeno per l’attimo occorrente a
prendere atto della presenza
di gente come Potter e i Weasley, così finse di non notare
quei tafferugli
mascherati da sguardi, erigere e smontare barricate ai lati di un
camino, sotto
l’attenzione sempre meno paziente dei Ravenclaw.
Draco Malfoy esibiva un sorriso
di una dolcezza scivolosa e infida come marmo bagnato, pronto a
ospitare passi
falsi e venature scure sul candore apparente. La soddisfazione celata
solo da
una pudicizia di facciata, da zitella che si segna la croce sul petto
davanti al
nudo di una statua antica, sogguardò una burla silenziosa,
all’indirizzo di
Potter.
Hermione Granger, accorgendosene,
gli rivolse un’occhiata di irritazione esasperata e lui
sentì il proprio
sorriso incrinarsi. Tuttavia resistette, uno sforzo di muscoli facciali
e di occhi
sempre più freddi di muto rimprovero.
Senso dell’humor Gryffindor: rigorosamente
eterodiretto, si disse, con rabbia, alzandosi di scatto per raggiungere
un
tavolino apparecchiato con un vassoio in argento e bicchieri di
cristallo
pesante e, cosa più importante, la bottiglia di Hogden Gran
Riserva del signor
Goldstein padre.
Un tossire garbato sfumò la nube
di tensione al grado di nebbia leggera – Io ne conosco una
molto interessante!
– disse Tess Steeval, scambiando un’occhiata con
Reese Hewitt e poi con Jalice
Love che sembrarono capire al volo.
- Quella della compagna di
stanza? – domandò Jalice – No, ti prego,
mi terrorizza -
- Oh, è cruenta – commentò Reese,
rabbrividendo delicatamente.
Malfoy pensò che al momento non
poteva essere più cruenta di certe sue fantasie. Il suo
sguardo saettò su
Potter e poi su Weasley, prima di tornare al bicchiere che stringeva
nella
destra, sfaccettature di cristallo, pesanti sporgenze intagliate dove
la luce
si confondeva col riverbero alcolico di un abbandono contraffatto.
Ambra
liquida avverso bagliore di fuoco che giungeva dal camino bagnandogli
la mano e
tenendo il resto nell’ombra.
Dove gli spettava restare.
Ingoiare un sorso, insieme al
liquido salato che qualche anno addietro gli avrebbe bagnato le guance,
prima
che il senso dell’ingiustizia inflitta ad altri medicasse di
sano
disincanto
gli occhi con cui guardava il mondo, era segnare un punto fermo nella
parabola
discendente di quella serata.
Con l’anima nello stomaco,
ustionato dall’acido che gli scendeva per la gola, fece un
gesto distratto
della bacchetta e attirò a sé un portasigarette
d’argento, il cui proprietario
si limitò a lanciargli un’occhiata simile a
sartiame teso a sostenere un
sussulto di orgoglio rabbioso, di quelli che non fanno prigionieri
nemmeno
nelle proprie file.
Blaise Zabini rilassò la schiena contro
l’imbottitura pesta della poltrona, un sorriso malinconico e
saputo, eluso nel
doveroso tributo di ilarità alla storiella che stava
raccontando Tess Steeval. Accanto
a lui Daphne Greengrass fumava in silenzio, secchi gesti della mano che
avvicinavano alle labbra la sigaretta consumata e una smorfia sempre
più
evidente: lo sguardo tempestoso di Weasley che si rifiutava di
incontrare il
suo e lei che, al solito, tirava dritto davanti a quella freddezza.
Nature morte di rapporti intorno
a un fuoco, fiori secchi non abbastanza lontani dalle fiamme.
- E’ una storia vera – stava
dicendo Tess.
- Siamo pronti a scommetterci –
Terry scosse il capo con un sorriso mentre Reese Hewitt annuiva con
aria saggia
– No, Terry, Tessie ha ragione: ce lo ha raccontato un amico
di Roger Davies
che aveva un cugino in secondo grado che frequentava Hogwarts quando
è successo
–
Terry si allentò il nodo della
cravatta e accettò il bicchiere che Ginny Weasley gli
porgeva. La studiata
cortesia di Terry, allo stesso modo della vivacità di Tess,
riuscivano dove
nessun silenzio avrebbe potuto. Da quando lui e Ginny si erano
lasciati, il
ragazzo sfoggiava un imperscrutabile buonumore, come un vestito di
eleganza trascurata,
non abbastanza formale da necessitare di giustificazioni, ma
così gradevole da
non sollecitare troppe indagini.
- E’ successo a un settimo anno
Ravenclaw – la voce limpida di Tess era un refolo di aria
pura nel fumo
vagamente opprimente della saletta – Una delle ragazze, che
occupava la stanza
dove stiamo noi adesso, aveva l’abitudine di portarsi in
camera i ragazzi, la
notte. Le altre sopportavano, un po’ per
solidarietà femminile e un po’ per
fastidio -
- Il chiasso era parecchio –
specificò la bruna Jalice suscitando un coro di risatine
grate per averle dato
l’occasione di riempire quel silenzio ancora teso.
- Così le ragazze presero
l’abitudine di chiudere i baldacchini e Imperturbarli
– continuò Tess – anche
perché la situazione andava pian piano facendosi
letteralmente insostenibile.
Così successe che una sera, durante le vacanze di Natale,
quando le altre del
settimo erano partite, una delle ragazze torna in camera per mettersi a
letto
e, al solito sente dei rumori provenire nel buio, dal letto della
compagna –
Hermione cincischiò, distratta,
un orlo della gonna e ne lisciò le pieghe sulle ginocchia
prima di azzardare
un’occhiata furtiva verso la zona oltre le spalle di Zabini
dove, nella
semioscurità vicino agli scaffali, il cerchio di una candela
solitaria arrivava
appena a illuminare dita bianche e nervose dalle quali si alzava una
spirale di
fumo profumato al bergamotto. Il volto restava in ombra tanto da
lasciare solo
all’intuito la linea impassibile delle labbra e il distacco
degli occhi, il
profilo affilato del viso che le avrebbe nascosto fino
all’ultima briciola dei
suoi pensieri se anche fosse riuscita a intravederlo.
We'll
laugh as we die
And we'll celebrate the end of things
With cheap champagne
My
Chemical Romance, Drowning Lessons
La ragazza, continuò a raccontare
Tess, si era spogliata al buio, senza nemmeno accendere una candela
oppure
illuminare la bacchetta. Aveva chiuso le tende del baldacchino e le
aveva
Imperturbate, poi si era addormentata.
Il mattino dopo si era svegliata
e subito, un’enorme scritta sulla parete, in rosso che
sembrava sangue sbavato,
aveva attirato la sua attenzione: Sei
contenta di non aver acceso la bacchetta stanotte?
Sul suo letto, tra le cortine
impudicamente aperte, la sua compagna di stanza giaceva sgozzata e col
sangue
che colava dai polsi…
- Che schifo – commentò la Greengrass
guardando
Weasley.
Jalice afferrò la mano di Reese,
in cerca di conforto – Stanotte non dormirò
– si lamentò – se
c’è qualcosa che
mi terrorizza è l’idea di trovarmi davanti un
pazzo –
Gli altri la guardarono,
inespressivi. Qualcuno si stava sicuramente domandando, con queste
premesse, come
riuscisse a ovviare quando si guardava allo specchio.
- Anche io sono letteralmente
terrorizzata ogni volta che sento questa storia – gemette
Reese – Poi passo
giorni e giorni a immaginarmi che ci sia qualche squilibrato nella mia
stanza –
Altra tornata di occhiate
accuratamente neutre che si spostarono, discrete, da lei, a Jalice, a
Tess.
- Poi guardo bene e ci siete solo
voi – sospirò, con un sorriso affettuoso tutto per
le amiche.
Appunto.
- Non è veramente possibile che
sia successo – intervenne Ginny Weasley – Voglio
dire: come sarebbe stato
possibile evitare che la notizia si diffondesse? –
- Ma si è diffusa – disse Terry –
tramite l’amico del cugino di secondo grado di Roger Davies,
no? -
Ginny gli fece una smorfia,
mentre Anthony Goldstein scoppiava a ridere – Una volta
l’ha raccontata quando
ero anche io presente, c’era anche Cho Chang se non ricordo
male –
- Fammi indovinare – replicò
Ginny, serafica – vi siete ritrovati con la sala comune
allagata di lacrime? -
***
Vista l’ora tarda era piuttosto
normale che i racconti scivolassero verso l’intimo
coinvolgimento della paura.
Quel delizioso solletico da gustare al sicuro tra le mura di una stanza
riparata
e della compagnia di altre persone.
Il testimone era passato a Terry
Steeval che, col consueto garbo, cercava di riunire tra le dita le fila
dell’attenzione, intrecciandoli in una parvenza di armonia.
Tre ragazzini del primo anno,
stava dicendo, si erano persi nella Foresta Proibita e non sapevano
come
uscirne…
- Sicuramente non si trattava di
Piccoli Gryffindor – mormorò Draco Malfoy
chinandosi verso l’orecchio di Blaise
Zabini – Tant’è che la Foresta Proibita esiste ancora -
Harry Potter trasalì e gettò
un’occhiata in tralice verso Hermione. Vedendo che anche lei
si irrigidiva
masticò un’imprecazione e fissò,
rabbioso, le fiamme del camino.
Era uno di quei momenti, che si
succedevano con triste cadenza, nell’ultima settimana, in cui
la spiava,
ansioso di vedere confermato quel timore superstizioso che lo
accompagnava dal
famoso giorno in cui lei gli aveva rivelato tutto.
Che cosa aspetti di vedere? Ron
rideva, ai suoi timori, forse
esorcizzando i propri. Forse capelli
biondi spuntarle in testa?
No, ma forse l’ombra argentea e
fredda di uno sguardo alieno emergere di riflesso nel calore dei suoi
occhi?
Harry, devo parlarti.
La rabbia e l’impotenza, vedere
sbriciolarsi tra le dita anni trascorsi insieme.
Lei gli aveva mentito.
Se ne era innamorata, anche se non
glielo aveva ancora detto.
Proprio di lui, la lezione d’odio.
Lui che aveva vinto la più
disperata delle battaglie semplicemente rendendo le armi.
E adesso a lui, Harry, toccava restare fermo
davanti a una verità che
non aveva nessuna intenzione di digerire.
Il fumo negli occhi e il calore
delle fiamme non gli piacevano. Arrivavano troppo spesso a ricordargli
lunghi
minuti di sopore tormentoso in cui gli occhi gli bruciavano di immagini
che non
avrebbe voluto vedere, il sudore che si asciugava sgradevolmente sotto
la
maglietta; la cicatrice che prudeva in maniera fastidiosa, piaga che
suppurava
di pensieri suoi e altrui, moti di un animo che era il complementare
del suo.
L’altro lato della moneta con cui avrebbe pagato il pedaggio
per la strada che
aveva scelto di percorrere.
Ascoltava con una parte della mente
le parole di Terry Steeval, chiedendosi, anche a quel riguardo, se
fosse solo
un’eco della sua rabbia o semplice amarezza, quella che
provava.
Per una sola volta, durante il
corso di quella serata assurda, aveva incrociato lo sguardo di Terry e
aveva
compreso che gli era anche stata negata la banalità di una
rivalità amorosa. In
quel blu limpido non aveva visto traccia di odio o di rivalsa, solo la
rispettosa compassione di chi abbandona, con un colpo di remo, le rive
di
un’isola distrutta.
E Ginny era sempre lì, a
fumare, tranquilla. Con quella derisoria calma
che era un colpo calcolato a quanto cercasse di opporle del suo
orgoglio. Lei
che aveva siglato col suo nome la clausola secondo la quale riservava
solo a se
stessa il privilegio di ferirlo.
A quel bacio silenzioso nel
parco, quando lei lo aveva messo con le spalle al muro per costringerlo
ad
affrontare quello che stava succedendo tra Hermione e Malfoy, era
seguito un
silenzio ancora più pesante.
Generale di strategie
sanguinarie, esasperante temporeggiatrice, lei si era ritirata nelle
retrovie;
aveva scavato trincee in cui lui inciampava in continuazione.
I
miss you,
I
miss you so far
And the collision of your kiss that made it so hard
My Chemical Romance, Cemetery Drive
L’infelicità sul viso di Hermione
era una patina in cui specchiare la propria, il suo silenzio
intrappolato la
misura di uno dei tanti suoi fallimenti.
Il calore del camino era opprimente
e lui così intorpidito da non essere nemmeno capace di
raccogliere abbastanza
energie per spostarsi. Respirare l’aria consumata di braci lo
stordiva e gli
dava un leggero e costante dolore di testa.
Rimandava di istante in istante
la gravosa operazione di spostare una gamba o sgranchirsi la schiena,
piegata
sotto il peso di un torpore che gli riempiva la testa di ovatta e la
mente di
frammenti luminosi che scomparivano all’orizzonte di un
tunnel troppo lungo e
buio.
I tre bambini nella Foresta Proibita
avevano tredici anni d’età e
l’esperienza per muoversi con spavalderia nel buio
delle notti di Hogwarts, ma non abbastanza per dominare
l’inquietudine, rumore
di fondo che accompagnava i loro passi.
Harry pensò che avrebbe voluto
fermarli e avvertirli.
Non sapeva che cosa avrebbe detto
loro, forse si sarebbe limitato a guardarli senza riuscire a spiccicare
una
parola che potesse illustrare la paura e l’amarezza, il
dolore e la speranza,
la disperata certezza di dover correre incontro a una fine, una
qualsiasi,
purché fine fosse.
In ogni caso, si disse, avrebbe dovuto
avvertirli.
***
Little child
Be not afraid
The wind makes creatures of our trees
And the branches to hands
They're not real, understand
And I am here tonight
Vienna
Teng, Lullabye for
a Stormy Night
La nebbia livida, bassa trai
tronchi degli alberi, creava un rimando di finto chiarore laddove il
tetto
fitto di fronde lasciava filtrare un raggio di luna. Sotto i loro piedi
lo
scricchiolio delle foglie secche e dei rametti morti era la protesta
sommessa
di quel cimitero vegetale che chiedeva soltanto di essere abbandonato a
se
stesso nella sua notte infinita.
I tronchi degli alberi, così
larghi che non sarebbero bastate le braccia di un adulto per
circondarle, si
innalzavano come colonne leggendarie a sorreggere un cielo fitto di
foglie buie,
in cui si annidavano nuvole di nebbia abitate da creature che di
angelico non
avevano nulla.
Se le frecce dei centauri,
scagliate per superare quella cortina di rami, intrecciati ad
accogliere il fondo
dell’inferno, potevano giungere a toccare il cielo, i loro
sguardi spauriti non
potevano. Si limitavano a velarsi di spavalderia non appena
incrociavano quello
degli amici, correndo poi ad assicurarsi che la luce sulla bacchetta
fosse
ancora abbastanza viva, lucciola nella notte, da consolare in segreto
il loro
cuore.
- Secondo me dobbiamo tornare
indietro -
La voce della ragazzina aveva
quella nota perentoria che, avevano imparato bene, andava assecondata
oppure
poteva tradursi nel preludio di qualche solenne baruffa.
- Hermione, non so nemmeno come si
fa a tornare indietro -
Ron alzò gli occhi al cielo o
meglio, alle foglie – Stiamo girando in tondo –
disse – Forse ci conviene
trovare un modo per chiamare aiuto –
- La Professoressa McGranitt
ci espellerà – sbottò Hermione con aria
tragica.
Un attimo prima la prospettiva,
per esempio, di finire divorata da un ragno gigantesco, non
l’aveva turbata in
quel modo.
- Sbagliato – disse Harry – Prima
ci ucciderà -
Hermione soppesò attentamente le
sue parole, con l’aria di chi decisamente preferisce la morte
biologica a
quella civile.
- Che ore saranno? – domandò Ron
e con un gesto carico di ribrezzo si allontanò dal filo
argenteo teso trai rami
di un arbusto basso – Ragni, dannazione -
- Non lo so – ripose Hermione,
esasperata – Guardando la posizione delle stelle potrei
arrivare a capirlo, ma
le stelle non si vedono. Qui non si vede un bel niente –
Non aveva nemmeno finito di
parlare che un braccio la tirò bruscamente di lato; un corpo
magro e alto si
frappose tra lei e una pioggia di foglie che si riversavano verso di
loro.
Era sempre stato così: proteggersi
a vicenda, e dietro la sua forza lei
aveva delle fragilità inaspettate, tenere.
- Harry! -
Anche adesso, mentre dava le spalle a lei e la
faccia a una minaccia
sconosciuta, c’era una goccia di serenità che
cadeva nel lago oscuro del
pericolo, allargando cerchi sempre più ampi intorno a
sé.
Uno scoppio di risa allegre
indusse sia lui che Ron ad abbassare le bacchette, stupiti, mentre
Hermione si
faceva largo tra loro due, varcando la soglia immaginaria della prima
linea.
- Vi siete persi? -
Un altro, allegro, scoppio di
risa seguì quella domanda retorica.
- Che razza di domande, certo che
si sono persi -
- Pivelli –
Erano in tre, e chi aveva
proferito quel commento oltraggioso era un ragazzo alto e snello, sui
diciassette
anni, coi capelli bruni e gli occhiali sghembi, un sorriso bianco e
accattivante che si fermò subito sull’unica
ragazza presente, Hermione,
accentuandosi. Il ragazzo sollevò una mano, con un gesto che
sembrava dettato
da una lunga consuetudine, e si arruffò i capelli
– Possiamo riportarvi noi, al
Castello – il tono di voce si era abbassato e aveva assunto
una sfumatura
decisamente affascinante.
Questo gli volse un’occhiata
torva da parte di Ron e l’ammorbidirsi del cipiglio di
Hermione che, tuttavia,
non abbassò la bacchetta di un millimetro. Negli altri due
ragazzi invece
scatenò un’ondata clamorosa di ilarità.
Quello dai lisci capelli neri si
appoggiò con un gomito al tronco di un albero e
crollò il capo in avanti scosso
dalle risate. Quando sollevò la testa, i capelli oscillarono
intorno ai
lineamenti del viso che sembravano scolpiti col cesello, e gli occhi
catturarono ogni essenza d’argento che danzasse
nell’aria: la seta umida e
lucente delle ragnatele, i raggi di luna, il bagliore perlato della
nebbia, la
stessa freschezza del vento.
- Ramoso, stai attento prima di
andare a pascolare nei giardini altrui – la sua voce era
dolce e pastosa,
l’accento elegante aveva la stessa armonia del gesto
seducente con cui si
scostò una ciocca dalla fronte.
Il terzo ragazzo nascose, con
garbo, un sorriso dietro il dorso della mano. Aveva capelli castani e
un
maglione troppo largo per lui, sdrucito sui gomiti ossuti; vivaci occhi
scuri
velati di dolcezza e malinconia, appena dissipata dalla scintilla della
gaiezza; un’aura ineffabile di forza tranquilla si irradiava
da lui simile alla
vibrazione di una nenia gentile, nel buio.
- Lunastorta, che cosa ne dici? –
il ragazzo con gli occhiali gettò la testa
all’indietro e si unì al coro di
risate – Questo screanzato mi ha dato del farfallone. Per tua
norma, Felpato,
io sono un tipo fedele! -
- Non c’è da stupirsi che i suoi vecchi
lo abbiano buttato fuori di casa, coi modi che si ritrova -
commentò Lunastorta
staccando le spalle dal tronco dove era appoggiato, per affiancarsi
all’amico
con gli occhiali.
- Screanzato? Farfallone?
–
il ragazzo dai capelli bruni e lisci inarcò un sopraciglio,
una pennellata di
nero sulla pelle vellutata – Ti sei controllato per riguardo
alle signore? –
- Davvero, Felpato, dovremmo
mostrare la strada ai pivelli, prima che il vecchio Argus decida di
appenderli
per i pollici a qualche trave… -
Si scambiarono sguardi di
identica complicità e poi esplosero in una nuova risata, di
cuore, per qualcosa
che, era evidente, conoscevano loro soltanto.
La faccia di Ron era sempre più
contrariata, mentre squadrava con evidente diffidenza quei tre ragazzi
che
erano apparsi da nulla.
Tuttavia i suoi timori, come
quelli di Hermione, erano del tutto infondati. Quei ragazzi erano
studenti di
Hogwarts e lui sapeva benissimo che facevano parte del Gryffindor,
anche se non
riusciva a collocarli esattamente in nessun momento vissuto a scuola.
Indossavano la divisa, in vari
gradi di domestica trascuratezza che assumeva un aspetto di volta in
volta
disinvolto, nel ragazzo con gli occhiali che portava il maglione sulla
camicia fuori
dai pantaloni e la cravatta allentata; un po’ gualcito e
fuori moda nel ragazzo
dai capelli castani che gli altri avevano chiamato Lunastorta; e,
infine, di
negligente eleganza nel ragazzo dagli occhi grigi.
Quest’ultimo portava i baveri della
camicia candida rialzati a sfiorargli il tratto deciso e delicato della
mandibola, come se l’avessero sorpreso un istante prima di
mettersi la
cravatta, semivestito e non per questo meno attraente.
Accorgendosi che lo guardavano sorrise,
con una grazia irresistibile che parve convogliare ogni barlume di luce
disciolto nella notte.
- Andiamo – disse – Raccogliamo
questi ragazzini e riportiamoli
alla base. Comincia a essere tardi e la Foresta
è un posto pericoloso -
Gli altri si dichiararono
d’accordo e voltarono appena loro le spalle, incamminandosi e
invitandoli
tacitamente a seguirli.
Harry tese una mano con un nodo
di pianto e di gioia nella gola dei quali non riusciva a comprendere il
motivo.
Sapeva soltanto che voleva seguire quei ragazzi con tutte le sue forze;
che si
sarebbe accontentato di osservare da lontano e di sorridere alla loro
spensieratezza nello sforzo di custodirla dentro di sé a
ogni costo.
Il suo sguardo scivolava sul
sorriso del ragazzo chiamato Lunastorta, con affetto, per poi
soffermarsi su
Felpato, e allora una morsa gli stritolava il petto e lui non riusciva
a
spiegarsi il perché. I suoi occhi però erano
sempre, irresistibilmente attratti
dall’altro ragazzo, Ramoso.
Lo seguivano nelle sue evoluzioni
disinvolte quando, insieme agli altri amici, intesseva il tragitto
nella
Foresta con le sue burle e l’eco della sua voce piena e
allegra sembrava
diffondersi nel buio disperdendo all’istante i fruscii che
prima lo avevano
spaventato, proteggendolo dagli occhi malevoli che lo avevano spiato.
Insieme agli amici giocava a
nascondersi tra i tronchi poderosi, velati dalla nebbia spessa e
viscida della
notte; nulla sembrava spaventarlo, come se fosse realmente
invulnerabile, lui e
gli altri, alle minacce nascoste nel folto della Foresta. A un certo
punto
sparì alla vista ma, prima che Harry sentisse le ginocchia
mancargli e
l’angoscia farsi troppo forte per poterlo sopportare,
sbucò da dietro un
cespuglio dritto sulla schiena di Lunastorta che fece un salto e
cacciò un urlo
poco virile.
- Non è divertente James, non è
affatto divertente! -
James.
- Sì che lo è! Terribilmente
divertente – l’altro rise – Che cosa
credevi fosse, Moony? Un licantropo forse?
-
Questa battuta gli valse una
risata da parte di Felpato e un’occhiata esasperata da parte
di Lunastorta che
però fu svelto a lasciarsi rabbonire, quando James gli diede
un’amichevole
stretta al collo.
Harry sentiva Ron e Hermione vicini,
che camminavano accanto a lui, ma non si voltò verso di
loro, non voleva che lo
vedessero così, a sorridere come un idiota battendo le
palpebre per disperdere
le lacrime.
Gli altri tre ragazzi
cominciarono a cantare una versione stonatissima dell’inno di
Hogwarts, decorandola
con gemiti agghiaccianti, strofe in falsetto e versacci buffi, mentre
continuavano a rincorrersi tra gli stracci di nebbia che si
impigliavano,
strappandosi, trai rami bassi dei cespugli, alla luce della luna che
andava
facendosi sempre più forte a mano a mano che uscivano dal
folto del bosco.
La sagoma del Castello emergeva dalle
brume del lago, le mura poderose ingentilite dalle luci delle finestre.
I tre ragazzi li salutarono con
la mano, sembravano terribilmente lontani, adesso.
- La prossima volta state
attenti, pivelli, si possono fare brutti incontri nel bosco!
– urlò Felpato.
- Per esempio dei lupi mannari –
gli fece eco Ramoso.
Papà, aspetta.
- E falla finita! – Lunastorta
diede un pugno scherzoso sul braccio di James.
- Ramoso, perdonami a battuta
ovvia e trita, ma forse sarebbe il caso di andare a controllare cosa
sta
facendo la tua ragazza … -
Non andartene, è troppo presto e io
non sono ancora pronto.
I tre ragazzi esplosero in una
risata che sembrò soffiare insieme al vento, intrecciandosi
alle foglie tenere
e mosse i fili argentei a cui erano appese campanelle invisibili che
continuarono il loro rintocco struggente, anche quando il vento ne
portò l’eco
lontano da loro.
***
- Harry! -
La mano aggrappata al braccio con
cui si puntellava il mento provocò una frana del volto,
occhiali, frammenti di
espressione, tutto.
Terry Steeval aveva concluso il
suo racconto e Anthony Goldstein stava facendo
un’osservazione, la voce calda e
riposante come sempre – Ci sono parecchie varianti di questa
storia. Di solito
però si conclude con un ritorno tranquillo e chi riporta
indietro i dispersi è
un gruppo di sconosciuti che poi si scopre essere gli spiriti di altri
ragazzi
che invece non sono mai più tornati a casa -
Mai più tornati a casa.
- Oppure è una singola persona
che lascia indietro un oggetto suo, utilizzato per risalire alla sua
identità,
scoprendo immancabilmente che si tratta di una persona morta nei luoghi
o nelle
circostanze in cui si è manifestata o magari una persona
collegata in qualche
modo a quella a cui è apparsa -
- Molto più rassicurante di
quella del tizio che si appende alla coda delle scope e poi abbatte il
pilota a
colpi d’ascia – disse Terry con un gran sorriso
– Almeno questo tipo di storia
contiene un messaggio positivo –
Incurante della conversazione,
Hermione continuò a fissare Harry, toccandolo appena, in un
gesto inconsapevole
e rassicurante.
- Harry, tutto bene? -
Il ragazzo riscosse girando
automaticamente il viso verso una spalla, un istintivo gesto di
protezione,
mentre il braccio correva sugli occhi.
- Mi ero addormentato, scusa
Hermione -
La lana ruvida del maglione
strofinata contro le palpebre era un ottimo alibi per il rossore degli
occhi,
il sonno la scusa adatta per potersene finalmente andare.
Il sorriso che rivolse all’amica
si sgretolò, veloce, gli occhi si abbassarono sulla mano che
ancora indugiava
sopra il suo braccio.
Un tenue sorriso segnò la
riconciliazione per un litigio mai avvenuto, intorno al quale giravano,
timorosi, da qualche giorno a quella parte.
Harry, ti devo parlare.
Il colore livido del cielo,
all’interno della stanza del settimo
Gryffindor e l’unica parola che lo aveva soffocato come un
boccone avvelenato,
prima di sputarla addosso a lei.
Vattene.
- Va tutto bene? – le domandò lei,
sommessa.
Hermione sollevò una mano per
posargliela, di nuovo, sul braccio, ma l’indecisione tradita
da quel gesto
incontrò la condanna ferita di un paio di occhi grigi che la
trafissero prima
di ritornare nel buio da cui erano usciti.
Quella domanda non si riferiva
soltanto agli alle palpebre arrossate e all’espressione
smarrita che sapeva di
portare stampata in viso. Harry lo comprese e, istintivamente,
posò una mano su
quella di lei.
- Sai, - disse, in un tono che
avrebbe voluto scherzoso – credo di averti sognata -
L’impulso successivo fu sollevare
lo sguardo per scandagliare le ombre dall’altro lato della
saletta.
Sapeva di trovarlo come l’altro
sapeva benissimo che l’avrebbe cercato.
Lei era l’unica cosa che potevano
avere in comune due nemici: un campo su cui massacrarsi.
You're
running after something
That you'll never kill
If this is what you want
Then fire at will
My
Chemical Romance, Thank you for venom
Adesso Draco Malfoy lo stava
osservando, il volto parzialmente mascherato dalle ombre, dove la luce
della
candela non arrivava a toccargli il viso.
Nonostante questo, nella rigidità
delle spalle, nel tamburellare delle dita sul ripiano del tavolo, nella
linea
delle labbra, poteva leggere ogni carattere dell’ultimatum
che gli aveva porto
qualche giorno prima, in quel parco invaso da un sole autunnale che
creava
l’illusione di una primavera risvegliata per sbaglio dal suo
sonno segreto.
Lentamente, il giovane si piegò
in avanti, appoggiando entrambi gli avambracci sul tavolo. La studiata
pigrizia
di quel gesto non dissimulava la tensione che emanava dalla sua
persona, né il
deliberato chinarsi del volto, per gettargli uno sguardo, da sotto in
su, che
era l’aperto invito ad arretrare oltre la linea di confine,
nella zona di sua
competenza, quella, per intendersi, più lontana possibile
dalla sua ragazza
Harry Potter aveva sempre saputo
che al tavolo delle trattative ci sarebbe stato qualche intoppo.
Le delegazioni erano più occupate
ad sgomberare le ambasciate che a preoccuparsi dei protocolli, i
generali
affilavano le spade.
Sì, si disse Harry, prima o poi
qualcuno sarebbe stato sorpreso in clandestinità oltre la
frontiera e
giustiziato a vista, senza processo.
***
If you weren’t ever coming back
Why didn’t you just tell me that
Dressed in sex and stardust lies
Subconscious dreams are so unkind
Sometimes I hear your voice
Darling Violetta, Beautiful
- Draco, vecchio mio, hai trovato
qualcosa di interessante sul fondo del bicchiere? -
Una breve risata, gaia e priva di
spensieratezza.
- No, infatti adesso sto cercando
sul fondo della bottiglia -
Era evidente che Blaise Zabini,
da buon amico, aveva deciso di aiutarlo nelle ricerche,
perché si versò una
razione generosa di liquore nel bicchiere, poi lo sollevò in
un brindisi
generico e nemmeno troppo ironico, alla riuscita di quella serata.
Hermione osservò lo sguardo
silenzioso che si lanciarono poi attese, paziente, che Draco
ammettesse,
tacitamente, di aver notato la sua presenza.
Si era alzata - turbando appena
il filo delle chiacchiere tranquille dei ragazzi Ravenclaw, la quiete
argentina
delle voci femminili, il fermo calore di quelle maschili, parasoli di
seta
cinese in un uragano - e lo aveva raggiunto sospinta
dall’irritazione e da
quella strana nostalgia che la coglieva ogni qual volta
c’erano pause di
distacco tra loro.
Blaise Zabini non girò nemmeno lo
sguardo nella sua direzione, ma, impassibile come una scultura,
abbandonò il
campo, lasciandolo nelle sue mani, come se lei avesse saputo
esattamente cosa
farsene.
In silenzio appoggiò entrambe le
mani sul ripiano del tavolo, lucido e profumato di cera, studiando le
graffiature e le macchie lasciate sulla sua superficie dagli anni.
Draco le
girò intorno, un movimento in apparenza distratto, con cui
si avvicinò al
vassoio d’argento con la bottiglia di cristallo e i bicchieri
che si trovava
alla sua destra.
Cincischiò col tappo sfaccettato
della bottiglia, lasciò cadere qualche goccia nel bicchiere
ancora pieno per
metà, le gettò, da sotto le ciglia, uno sguardo
che avrebbe liquefatto anche il
granito.
Lei sollevò il mento e sostenne i
suoi occhi, le mani premute con forza sul tavolo; forse, si disse lei,
per
impedirle di mettergliele intorno al collo e non
per delle carezze; e forse, ammise con una parte infinitesimale
dei suoi pensieri, per evitare che tremassero.
Era passato troppo poco tempo,
lui le faceva ancora quell’effetto.
Sogguardandolo spostarsi di nuovo
intorno a lei, lento, senza toglierle di dosso quegli occhi freddi,
sfiorandola
con deliberata casualità, si domandò se mai si
sarebbe abituata completamente
alla sua presenza.
Era una trazione sottile, una
vibrazione dei sensori della pelle che avvertivano la sua vicinanza e
poi qualcosa
di più primitivo, mentre le girava intorno con
l’ipnotica regolarità della
fiera che aspetta solo il momento perfetto per attaccare.
- Sembri nervosa -
La dolcezza ironica della sua
voce bassa, intima, racchiudeva appieno mille corollari ai suoi
pensieri che
lui aveva intuito con una sicurezza istintiva.
- Non mi stai rendendo le cose
facili - sussurrò.
- Non ho mai detto che lo avrei
fatto –
Limpida e di gola, la sua voce
era una lusinga impalpabile, era la certezza di qualcosa di tenero e
oscuro che
avrebbe consumato insieme a lei da lì a poco.
Dietro quella calma apparente,
era contrariato e non si dava nemmeno la pena di nasconderglielo,
semplicemente
il suo autocontrollo era l’abito che avrebbe smesso solo se
provocato oltre
misura.
La guardò ancora, nuda
riprovazione questa volta.
- Che dolce, - disse con una
tenerezza ineffabile che le fece risuonare dentro una sinfonia di
campanelli
d’allarme – ti ha sognata -
Il disprezzo era tangibile al
punto che avrebbe potuto tagliarlo con un coltello o forse, era esso
stesso un
coltello.
- Allora ci senti, Malfoy – gli
rispose, calma – quando decidi di farlo -
La tensione adesso era talmente forte che lei
fantasticava, con timore
e anticipazione, sul momento in cui l’avrebbe sentita addosso.
Anche i momenti in cui lo odiava erano confuse
vampate di calore e
collera incandescente in cui le carezze e gli schiaffi si sarebbero
confusi
fino a rivelare quel nucleo di violenza che risiede in ogni passione.
- Abbastanza da farmi recedere
dalla decisione di ammazzarlo – spiegò lui in tono
discorsivo – Sai, non vorrei
che il suo sonno eterno fosse allietato da sogni che possono irritarmi
–
- Ti rendi conto da solo
dell’assurdità dei tuoi argomenti o preferisci che
sia io a sottolinearla? –
Se la sua lingua poteva essere
più rapida e velenosa di quella di qualsiasi serpente, non
poteva certo credere
di poterla tacitare con così poco.
- Credo di averti già detto che
devo avere un motivo valido per
discutere con te. Non ritengo tale l’oggetto di questa
conversazione -
- Allora perché l’hai cominciata?
–
- Attenta –
- Sono attenta –
Si studiarono per un lungo momento,
in silenzio. Le chiacchiere di sottofondo erano una nenia monotona, la
calma
relegata in un punto lontano dalla loro tregua armata. La luce del
camino
illuminava il cerchio di persone tenendo, per contrasto, loro due in
un’alcova
d’ombra. Intimità soltanto apparente, Hermione
poteva immaginare che molti
degli altri avessero un orecchio rivolto alle chiacchiere salottiere e
l’altro
a captare le loro parole.
- Che cosa vuoi farne di questo
momento, Malfoy? – gli domandò, con
semplicità – Trasformarlo in un litigio? -
Lui spalancò leggermente gli
occhi, facendole capire di averlo preso in contropiede, tuttavia
piegò la testa
di lato come se volesse soppesare attentamente le sue parole prima di
risponderle, così i capelli scivolarono a sfiorargli la
guancia, soffici,
biondi come miele chiaro. Lei tese una mano, nel gesto amato e
consueto,
ravviandoglieli dietro l’orecchio, seta soffice e pelle calda
e delicata sotto
le sue dita. Lui non si mosse, tranne il reclinarsi impercettibile
della testa
per assecondare il suo movimento e accentuare il contatto con la sua
mano. Gli
occhi grigi rimasero inchiodati ai suoi, nuvole chiaroscure li
attraversavano,
velandone la limpidezza di una miriade di pensieri.
- Stai cercando di manipolarmi? -
Gentilezza quasi priva di sottintesi
nel suo tono, adesso. Lei comprese di poter prolungare quella carezza e
gli
lasciò scivolare la mano verso la nuca, posando il palmo sul
suo collo.
- Dei due, non sono io a
chiamarmi Draco Malfoy -
Vide la scintilla di una risata
incendiargli lo sguardo prima di raggiungere le labbra.
Spostò la mano dal suo
collo alla spalla dove le labbra di lui la raggiunsero per un rapido
bacio.
Che cosa vuoi farne di questo momento?
Dopodichè lasciò ricadere la mano
mente lui indietreggiava di un passo. Le tenne discosta una sedia,
formale ed
educato, per invitarla tacitamente a sedersi, poi prese posto accanto a
lei.
Subito accolse l’invito della mano che lei lasciò
tra le loro sedie, nascosta
dal tavolo, e le sue dita, fredde come ogni volta che si innervosiva,
strinsero
quelle di lei, lasciandosi scaldare.
Il contraccolpo di emozione al
cuore era previsto, ma non per questo fu meno violento. Hermione si
portò la
sua mano in grembo e la coprì anche con l’altra,
crogiolandosi nella sensazione
di essere libera di riempirla di carezze.
Lui, con un sospiro, si sollevò
quel tanto che bastava per unire la sedia alla sua.
***
And I feel like
I'm being eaten
by a thousand million shivering furry holes
and I know that in the morning
I will wake up
in the shivering cold
and the spiderman
is always
hungry …
The Cure,
Lullaby
Qualcuno aveva tirato fuori un
cesto di noci e castagne e adesso si stavano divertendo ad aprirle a
colpi di
bacchetta e a gettare i gusci nel fuoco.
Nemmeno un minuto prima, Daphne
aveva praticamente fatto esplodere il guscio di una noce i cui
frammenti
avevano accidentalmente raggiunto
la
faccia di Ronald Weasley.
Poco male, pensò Blaise,
eventuali cicatrici si sarebbero potute confondere comodamente con
quella marea
di ineleganti lentiggini, inoltre per suo sommo giubilo il Migliore
Amico
avrebbe avuto qualcos’altro di sgradevole in comune con
Potter, a parte
l’idiozia, ovvio.
Zabini scosse il capo, perplesso:
da che esisteva il mondo, una cicatrice era più o meno una tragedia. Bene inteso, non che il Ragazzo
Sopravvissuto avesse
chissà quali lineamenti perfetti da preservare, ma al suo
posto lui sarebbe
corso dal miglior Guaritore di Magia Estetica in circolazione per
rimediare al
disastro, non se ne sarebbe andato in giro tranquillo e orgoglioso con
quello
sfregio a sfigurargli la fronte (la sua era liscia e marmorea anche
senza
ricorrere alla Fattura del Botulino).
Anzi, a pensarci bene, visto che
aveva l’aria di una deturpazione irreparabile, nei suoi
panni, avrebbe
preferito che il famoso Avada Kedavra fosse andato a buon fine. Ma
quelle, del
resto, erano scelte personali e non poteva pretendere che tutti
possedessero il
coraggio di affrontare la morte in nome di un nobile ideale.
Spostò di nuovo lo sguardo da
Harry Potter, che sembrava abbacchiato e aveva, se possibile,
l’aria ancora
meno intelligente del solito, a Ronald Weasley, soffermandosi su di lui
con una
blanda curiosità accademica che era più o meno
l’unico motivo che poteva
spingerlo a notare l’esistenza di quel bipede a pelo rosso.
A proposito di creature
inferiori, il Re stava osservando, da un pezzo, con palese diffidenza,
i
ciocchi di legno ammucchiati in una cesta vicino al camino. Blaise
estrasse dal
taschino della giacca il portasigarette d’argento e si
infilò una sigaretta tra
le labbra; prevedibile come un’armata di Gryffindor nel luogo
giusto al momento
sbagliato, Daphne gli sventolò la mano impaziente sotto il
naso e lui vi depose
il portasigarette che, un attimo dopo, gli veniva ributtato in grembo
senza
garbo né ringraziamento.
- Di nulla – mormorò nascondendo
un sorriso che ebbe in risposta solo uno sbuffo irritato.
La cesta, per quanto lo
riguardava, conteneva normalissimi
ciocchi di legno, a meno che tutti non si fossero sbagliati di grosso e
non
fossero in realtà Mangiamorte che, per cause di servizio,
avevano corretto con
la segatura la loro Pozione Polisucco.
Sui normalissimi ciocchi, però,
brulicava una certa quantità di ragnetti scuri che
zampettavano alacremente
forse sospettando che, se non si fossero affrettati a sgomberare il
campo,
molto presto sarebbero finiti arrosto.
Colto da improvvisa ispirazione,
Blaise, mascherando abilmente il movimento della bacchetta con quello,
banale,
per accendere la sigaretta, mormorò – Relascio
Uno o due ragnetti volarono dalla
cesta al bordo del tappeto, quasi sul piede di Ronald Weasley. Il Re
impallidì
e si tirò precipitosamente indietro nemmeno avesse avuto
davanti la
McGranitt in sottoveste
e di umore particolarmente romantico.
Terry Steeval aveva raccontato
una sfilza di storielle abbastanza raccapriccianti, da quella della
vecchietta
che per asciugare il cane aveva puntato la bacchetta e detto Incendio; a quella della studentessa di
Hogwarts che riceveva gufi anonimi in continuazione e aveva scoperto
che
provenivano dalla guferia della scuola solo tre minuti prima di essere
sgozzata. Ginny Weasley aveva rincarato la dose con quella della tizia
che, per
scommessa, era andata di notte nel cimitero di Hogsmeade ed era rimasta
impigliata con l’orlo del mantello al bordo di una pietra
tombale, così,
credendo che fosse una mano sbucata dalla tomba, ci era rimasta
d’infarto a
causa dello spavento.
Seguendo l’estro del momento,
Blaise richiamò l’attenzione generale con un gesto
leggiadro della mano.
- Ho sentito una storia abbastanza
verosimile -
Soddisfatto, si accorse di essere
riuscito a dare alla propria, splendida voce, l’intonazione
desiderata, a metà
tra la confidenza e una certa, pudica, reticenza, che poteva soltanto
stimolare
la curiosità.
Le Blue Ladies lo guardavano con
occhi amorevoli, che rilucevano di tutta la loro predilezione per lui.
Daphne sbuffò.
- Verosimile – ripeté, con
evidente scherno.
- Non sto scherzando – replicò
lui, serio – Tempo fa l’ho sentita raccontare dal
nostro chiarissimo docente di Cura
delle Creature Magiche alla nostra illustrissima
insegnante di
Trasfigurazione. Vi dirò, sembrava anche molto preoccupato -
- C’era stata una moria di Vermicoli
Venefici? – intervenne una voce fredda e strascicata alle sue
spalle.
Sussulti di Gryffindor indignati,
nella loro trincea dall’altro lato del camino, una voce dolce
di donna, con
parole indistinte di rimprovero, sedava quel guizzo di Umorismo Malfoy.
Blaise si schiarì, con
discrezione, la voce, e attese, paziente, che si facesse silenzio, poi
continuò
– Una situazione simile si era verificata anni or sono e
aveva creato non pochi
problemi alla scuola. Purtroppo, sembra che ci siano fondati motivi per
ritenere
che la storia si stia ripetendo
–
Teste che annuivano da parte dei
Ravenclaw, pieni di sincera curiosità; sguardi giustamente
allarmati da parte
dei Gryffindor che, di solito, quando la
storia si ripeteva, finivano immancabilmente per ritrovarsi
pietrificati in
Infermeria, a sgozzare galletti o con una sorella che sgozza galletti,
a un
rendez-vous con un Basilisco, in mezzo a uno zoo di Animagi e mannari e
Piton
incavolato come una bestia, oppure legati a un lapide con una fetta di
braccio in
meno e, di sicuro, con il numero dei parenti vivi in forte calo.
- C’era una specie di creature
maligne – disse Zabini, in tono accuratamente vago, dosando
bene e parole – che
vivevano nel castello. Molto pericolose, a quanto pare -
- Oh! – i fatati occhi blu di
Tess Steeval erano sgomenti – Parli degli alligatori che
vivono nelle fogne di
Hogwarts? –
Molte paia d’occhi si spostarono
da Zabini a lei e Jalice Love mormorò a bassa voce
– E’ vero, questo fatto
degli alligatori, me lo ha raccontato l’amico di un cugino
del fratellastro
della cognata di Warrington –
- Allora sarà sicuramente vero –
esalò Reese in tono ancora più sommesso
– il cugino del fratellastro della
cognata di The War è una fonte attendibile -
Blaise attese nuovamente che si
creasse la giusta aspettativa e lasciò cadere lì,
con studiata gravità – Non si
tratta di alligatori, ma di una rarissima specie di ragni velenosi
–
Ebbe la soddisfazione di vedere
Weasley che impallidiva nemmeno avesse avuto davanti la McGranitt
in sottoveste
e di umore particolarmente romantico che inoltre
lo invitava a una cosa a tre con Piton.
- Dannato inferno – imprecò il Re
– Non è vero -
- Pare che questo tipo di ragni
ami nidificare nelle travi delle Torri
– continuò Zabini ignorando l’obiezione
e suscitando un’ulteriore deflusso di
sangue dal viso di Weasley.
- Il nostro professore emerito di
Cura delle Creature Magiche stava
per l’appunto raccontando all’eccellentissima
professoressa di Trasfigurazione, che anni fa un ragazzo era stato
punto nel
sonno, in testa, da quello che sembrava un innocuo ragnetto. Si era
svegliato,
ma naturalmente non aveva dato importanza alla cosa. Qualche giorno
dopo lo
avevano portato d’urgenza in infermeria a causa di dolori
atroci alla testa e
di allucinazioni terribili –
In breve, era stato necessario
trasferire il ragazzo al San Mungo dove, avevano presto scoperto una
realtà
molto sgradevole: quando il ragno aveva punto il ragazzo, aveva deposto
delle
uova che si erano schiuse nella sua testa…
Il volto di Ronald Weasley aveva
assunto una gradevole sfumatura tra il verde e il grigio che, pensava
Zabini,
si accordava molto male col colore chiassoso dei suoi capelli.
- Io credo che andrò a dormire –
Ronald Weasley si alzò, precipitoso, fissando la porta con
un desiderio che lo
proiettava già a miglia di distanza da lì.
- Non è una cattiva idea – Harry
Potter si alzò a sua volta.
Ginny Weasley si attardò per dare
la buona notte alle Blue Ladies e ai ragazzi Ravenclaw, Ron Weasley
guardava di
sottecchi in direzione di Daphne che, fissava il pavimento, in attesa.
Le chiacchiere delle Blue Ladies
e gli accenti più profondi di Steeval e Goldstein, che
salutavano i ragazzi
Gryffindor non riuscivano a distendere quel momento così
teso che tutti, in un
modo o nell’altro, non potevano fare a meno di avvertire.
Infine Daphne parve
decidersi e, con riluttanza, fece per avvicinarsi a Weasley.
Blaise Zabini abbandonò il
braccio sinistro lungo la sponda della poltrona e mosse la bacchetta in
silenzio – Aracnis
– esalò, appena
con un filo di voce.
- Ma che roba è? – esclamò Daphne,
sorpresa, per nulla spaventata. Con un gesto infastidito, ma
tranquillo, spazzò
via dal braccio un paio di ragnetti che zampettavano tranquilli sul suo
maglione bianco aderente.
Ronald Weasley invece la guardò,
inorridito, e fece un salto indietro, Daphne lo fissò a
bocca aperta, lasciando
ricadere lungo il fianco la mano ancora tesa verso di lui.
- Weasley, - proferì, la voce
molto simile al suono prodotto dall’attrito tra due faglie di
ghiaccio – che
razza di comportamento è mai questo. Non puoi controllarti?
-
Con le orecchie rosse per
l’imbarazzo, Ronald Weasley, forse per dimostrare di essere
ancora all’altezza
del suo soprannome, si diresse regalmente verso la porta seguito dal
lampo
freddo di un paio di occhi verdi che si soffermarono su di lui, duri
come sassi
nelle mani di un teppista.
- Daphne – disse lui,
con una mano sulla maniglia, – Vieni
via? -
Lei non rispose, ma non prima di
aver atteso, con ostinata pazienza, che lui si voltasse a guardarla.
- Sì, ma non con te –
***
Don't you
forget I get what I want
All I want is you
Red rubies, daffodils
Gentle breezes and windowsills
Starlight silver radiation
Darling
Violetta, Spoiled and Rotten
Il parafuoco proveniva dalla sala
comune di Slytherin. Un cimelio dell’anteguerra, non si sa
quale. Serpenti di
ferro battuto che si intrecciavano intorno a tralci di spine,
proiettando ombre
contorte sul tappeto.
Sulla sua mano, tatuaggi di impressioni
volatili, destinate a perdersi
nel fumo che saliva verso il buio del cielo.
- Hai finito di giocare alle
ombre cinesi? -
Brusca, la voce di Daphne
Greengrass non conteneva traccia di quelle incrinature acute,
accuratamente
femminili, che denunciavano la raggiunta frontiera di una gracile
tolleranza.
Ma lei, in fondo, creatura
cantata nei miti, corpo di dea e cuore di serpente, portava nelle mani
una
capacità di sopportazione così imprevedibile da
essere un’arma troppo infida
anche per essere usata in una guerra.
Rischiava di esplodere nelle mani sbagliate.
Seduta al suo fianco, a respirare
fumo di legna e di rose selvatiche, bruma nel buio, indurita da
un’ira
silenziosa, si piegava appena, ma solo come un nerbo pronto a scattare
in tutta
la sua brutalità.
- Sì, ho finito, di giocare -
Le sfumature si aprivano,
delicate corolle di fiori mortali, intorno all’essenza della
sua voce, nettare
dorato e veleno.
Centellinò le parole come la
feccia di un calice, un attimo prima di rovesciarlo per sacrificare le
ultime
gocce; come la conta dei secondi prima di scagliare una maledizione,
quei tre
istanti scanditi solo per indicare, sadici, la spada di Damocle che
cala e
troppo brevi per evitare la sua lama.
Lei infatti vibrò del gesto con
cui si volse di scatto a guardarlo, fredda e tempestosa – Hai
intenzione di
stare zitto? –
Quel sibilo di taglio aveva
smesso di scalfirlo da tempo perchè riconosceva le
implicazioni della
vicinanza; essere il primo bersaglio significava, in ultima analisi,
essere il
bersaglio più prossimo. Bersaglio
e scudo,
poi la freccia avvelenata della
provocazione.
- E tu hai intenzione di
lasciarti ancora umiliare così? -
Daphne si alzò, la grazia innata
che non celava del tutto l’impeto d’ira che aveva
dettato quel movimento, e si
diresse verso il tavolo e le bottiglie di Firewhisky.
Anthony Goldstein continuò a
raccontare, indisturbato, la gustosa storiella della ragazza scoperta
accidentalmente dal futuro sposo mentre intratteneva
il di lui testimone in quello che sarebbe dovuto essere il nido futuro
d’amore.
- …Lui però esce di casa senza
farsi notare e non dice nulla. Il giorno dopo si presenta lo stesso
sull’altare
e alla domanda di rito: vuoi tu prendere come tua legittima eccetera
eccetera,
risponde tranquillamente un bel no;
poi dice ad alta voce, al testimone, “Magari puoi sposartela
tu questa Donna
Scarlatta, così continuate quello che stavate facendo ieri
notte nel mio letto”;
infine si gira verso gli invitati e conclude “Andate pure
alla cena nuziale, tanto
pagano i genitori della Donna Scarlatta” -
- Lodevole – disse Blaise,
distrattamente – Un’uscita in grande stile
–
- Ma questa non è una leggenda
metropolitana – disse Jalice Love – E’
successo davvero a un amico di un mio
amico –
- L’ho sentita anche io questa
storia – intervenne Reese Hewitt – Me
l’ha raccontata un cugino del
Northumberland di Susan Bones, che lo aveva saputo da un amico di un
altro
cugino alla lontana, però forse ho capito male
perché doveva parlare a bassa
voce: eravamo al funerale di Diggory … -
- Ma dai… -
- Stai scherzando -
- Giura –
Reese guardò le amiche, perplessa,
forse un po’ dispiaciuta perché la sua parola era
stata messa in dubbio – Non
sto scherzando: giuro che eravamo
al
funerale di Diggory -
Anthony Goldstein spostava lo
sguardo dall’una all’altra, seguendo quel surreale
scambio di battute stile
palleggio dei pazzi, del tutto impotente, non riuscendo a capacitarsi
di aver
scoperchiato un tale vaso di Pandora.
- Non ci riferivamo a quello,
cara. Lo sappiamo che eri a quel funerale: ci sei venuta con noi
– disse Tess,
in tono affettuoso – In ogni caso, chi era lei? La sposa,
intendo -
- La sorella maggiore di Josie
Macnair – rispose Reese, immediatamente - Non mi ricordo mai
come si chiama … -
- Stella – intervenne Jalice.
- Giusto, Stella. E’ successo a
lei –
- Noooo …e com’è finita? –
- Beh – Reese scrollò le spalle –
Tu avresti dato della Donna Scarlatta alla figlia di un boia per ben due volte di seguito? –
***
Justin Finch Fletchley,
segretario del Club dei Duellanti, fece capolino dalla porta della
saletta,
denominata, forse con un po’ troppo ottimismo “Club
House”, che era quasi
mezzanotte.
L’esodo dei Gryffindor verso la
loro Torre e l’inoltrarsi della notte, avevano causato un
ulteriore slittamento
verso la fase di relax. I ragazzi, che per quasi tutto il pomeriggio
erano
stati occupati a tenere lezioni al Club dei Duellanti per dimostrare ai
professori che consideravano il duello una disciplina sportiva e non un
metodo
per il regolamento dei conti, erano a dir poco estenuati; la lunga
serata di
racconti a lume di camino non era stata riposante se non in parte,
così, dopo
che anche le Blue Ladies si erano ritirate – Tess si era
sbracciata dalla
soglia stile sposa di guerra che penzola dal parapetto del Queen Mary
in
partenza per l’Europa, dichiarando che andavano a mettere a
punto due cosine
per La Festa
– gli ultimi rimasti si godevano
chiacchiere a bassa voce, su argomenti poco impegnativi.
Terry Steeval si era quasi
addormentato e Daphe
Greengrass
continuava a fumare chiusa in un silenzio cupo; anche Hermione si
assopiva a
tratti, sprofondando nei cuscini pesti di una poltrona accanto al
fuoco,
svegliandosi quando sentiva la voce di Draco intrecciarsi a quelle di
Anthony
Goldstein e di Blaise Zabini.
Draco si era seduto per terra, la
schiena appoggiata alla sua poltrona, le lunghe gambe incrociate sul
tappeto.
Schiacciava noci tra le dita e gettava i gusci nel camino, il bicchiere
al suo
fianco, adesso, conteneva solo succo di zucca, e
l’espressione del suo viso
aveva riacquistato una serenità che lei amava osservare in
tutte le sue
sfumature, dal gesto disattento con cui avvicinava le mani bianche al
parafiamma per scaldarsele, a quello, rilassato, con cui sciolse il
nodo della
cravatta che lasciò a penzolare intorno al collo.
Lei aveva una mano abbandonata
sulla pelle consumata del bracciolo e per sfiorare i suoi capelli le
sarebbe
bastato spostarla di poco, ma al momento si stava godendo la semplice
consapevolezza
di averne la facoltà, di poter semplicemente protendersi per
poterlo toccare a
piacimento. Lui non si sarebbe opposto, ma avrebbe socchiuso gli occhi
nell’espressione che ben conosceva, un felino soddisfatto, un
serpente che
raccoglieva le spire, permettendole di scaldare la sua pelle morbida e
fredda.
Come se avesse colto il filo dei
suoi pensieri, Draco si voltò sollevando il viso per
guardarla.
Lei aveva una mano trai suoi
capelli e poi sulla sua spalla ancora prima di rendersene conto.
Draco la coprì con la propria e
lei fu grata di non aver partecipato alla conversazione,
perché in quel momento
sentiva una stretta alla gola che le soffocava la voce.
Quella di lui era velata, mentre
rispondeva al saluto generico di Justin Finch Fletchley che entrava
nella stanza.
Malfoy si schiarì la voce, senza
lasciarle la mano, e accolse il suo segretario con un sogghigno.
- Torni sul luogo del misfatto?
Le tue fidanzate sono appena andate via -
Justin fece una smorfia, ma,
naturalmente, una rimostranza così blanda e garbata non
poteva avere ragione di
quella faccia di bronzo, così Malfoy scoppiò
apertamente a ridere e gli rivolse
un’occhiata apertamente canzonatoria. Anthony Goldstein si
unì alla sua risata.
- Anthony, anche tu? -
Justin era il tipo di ragazzo che
avrebbe reso furiosa d’orgoglio la metà delle
madri e indotto l’altra metà a
cercare di accalappiarlo per la propria figliola.
Il suo inglese colto e i suoi
modi aristocratici facevano venire in mente battute di caccia e cognomi
con un
paio di secoli cadauno e contea d’ordinanza; energiche nonne
nobildonne, in
ghette e cappello di paglia, che si coltivavano da sole i piselli
odorosi,
mentre stuoli di cameriere lucidavano tiare e corone ducali.
Alle ore trascorse a snocciolare
declinazioni latine e alle conferenze in frac all’ombra di
Horace Warpole e
Percy Bysshe Shelley, Justin aveva preferito respirare i fumi di un
calderone e
mandare a memoria formule magiche; ritratti che parlavano a quelli
lugubri dei
suoi antenati, incidenti che mai avrebbe potuto raccontare alla nonna
col
parasole e alle debuttanti che presto avrebbero cominciato a piazzargli
sotto
il naso.
Ogni tanto Hermione lo
sorprendeva soppesare camicie splendenti di alcuni compagni e scarpe di
disarmante lucore, confrontandole con le proprie giacche, vecchie e di
splendida fattura e con le proprie valigie ereditate dal padre; poi
scuoteva
impercettibilmente la testa, nell’unico atteggiamento
blasè che si concedeva,
probabilmente chiedendosi quale fosse il concetto di “nuovi
ricchi” nel Mondo
dei Maghi.
Era il classico tipo che ci si
sarebbe immaginato, imbacuccato in un vecchio giaccone di Burberry, a
portare a
spasso un paio di cagnoni affettuosi in una tenuta di campagna, mentre
mamma
organizzava il tè delle cinque.
Era il tipo che, da qualche
giorno, mezza Hogwarts, compresa la povera, tragicamente incredula,
professoressa Sprite, si immaginava coinvolto in un torrido convegno
amoroso
con Jalice Love e Reese Hewitt, contemporaneamente,
proprio all’interno del Club dei Duellanti.
- Malfoy, – protestò Justin – avrei
dovuto lasciare che ti rispedissero nel Wiltshire -
- Invece di essermi grato per
essere diventato l’eroe di Paciok -
Hermione sospirò rumorosamente
per manifestare la sua disapprovazione, Malfoy si limitò a
farle una carezza
furtiva sulla mano. Lei gli affondò un’unghia
aguzza nel palmo e lui sobbalzò,
rivolgendole un’occhiata di rimprovero.
- In ogni caso, credo che per
stasera tu abbia finito di battere la fiacca, Malfoy –
riprese Justin, in tono
decisamente soddisfatto – Sta succedendo qualcosa di strano e
sembrano tutti
molto preoccupati. Stanno chiamando a raccolta i Caposcuola e Pansy non
si
trova, credo ti toccherà intervenire -
L’espressione di Malfoy si era rabbuiata,
quella di Justin, invece, era alquanto compiaciuta.
Desolante.
Malfoy riusciva a instillare
insani propositi di vendetta anche nel Piccolo Lord.
- Accidenti – Malfoy si passò una
mano sul collo – Dove sarà Pansy? -
- E’ nelle cucine – rispose
Blaise, pronto.
- E a fare cosa? –
- Sta stirando le mie camicie –
Tre paia d’occhi perplessi si
spostarono automaticamente su di lui, i restanti due paia erano rivolti
al
soffitto in un atteggiamento di muta esasperazione.
- Deve fare esercizio – Blaise
scrollò le spalle – E’ letteralmente un
disastro -
- Ovunque sia – Justin sembrava particolarmente
contento di rincarare la dose – Ti conviene andare a
recuperarla, Malfoy. Piton
vi sta cercando e anche la McGranitt, nessuno dei
due sembra particolarmente contento di
non avervi ancora trovato –
- Accidenti –
Justin non fece in tempo a godersi
la sua contrarietà, che Padma Patil entrò a
precipizio nella stanza. Era
vestita in modo approssimativo, la camicetta sotto il maglione della
divisa
sembrava sbottonata e i capelli neri erano fissati sulla nuca da un
semplice
spillone di legno.
- Anthony – i suoi occhi neri si
fermarono sull’altro Caposcuola di Ravenclaw –
Abbiamo un problema -
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L’ispirazione
di questa storia
immagino sia abbastanza chiara: in parte
Urban Legend e in generale le leggende metropolitane che si raccontano
in giro,
alcune riadattate allo scopo.
Per prima cosa volevo
ringraziare moltissimo
tutti quelli che hanno
recensito Purify: è stata una sorpresa grandissima trovare
tante persone dopo
tutto quel tempo che non pubblicavo nulla. Grazie davvero a tutti,
è stato
bellissimo ritrovare, insieme a nomi nuovi, anche nomi di persone che
leggevo
tra le recensioni quando pubblicavo tempo fa ^____^
Questa storia
è sempre dedicata
alle persone che mi si sciroppano e che
si sciroppani i paragrafetti parziali nel periodo di stesura con
annessi e
connessi di dubbi, lamentele e insulti ai Fondatori.
A Opalix soprattutto,
che era con me quando
è nata l’idea di questa
fanfic e dopo averglielo comunicato si è astenuta
dall’accoltellarmi nel sonno.
Ha invece diviso con me, con enorme disinvoltura,
l’imbarazzante momento
dell’affitto di DVD non propriamente da Festival di Cannes,
ricambiando lo
sguardo sornione del tizio dietro il bancone e sollevando il Malfoyesco
sopraciglio come a dire “Vabbuò, siamo quasi a The
Skulls …e
allora?”
A Euridice che mi ha
controllato la timeline
(ergo se ho sbagliato
qualcosa è colpa sua :DD) e che ha detto arf e sniff con
grande
partecipazione e
che quando le abbiamo riferito, tutte orgogliose, di aver visto un film
che
iniziava con un ululato a schermo nero ha detto, con aria di enorme
sufficienza: “Dilettanti”
A Chiara che ha dei
gusti più
raffinati, ma che non disdegna di
scendere di tanto in tanto (precipitare,
meglio) al nostro livello.
Wherena, se ripassi ...grazie!! Non sono ancora brava con questo
programma per l'HTML, quindi scusatemi!
Questa fic ha una
seconda parte
che è già pronta, devo solo correggerla, quindi
per la pubblicazione non
impiegherò una vita.
Grazie ancora a tutti
^_^
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