Stanchi dei soliti
capitoli inconcludenti? Stufi di non capire un accidente di quello che vi
propino? Tranquilli, non vi dirò “Ecco il dodicesimo capitolo, è carino, ma non
succede niente.” ‘Sta volta no. Cominciate a leggere solo se avete tempo, perché
è un po’ lungo e richiede un briciolo di attenzione.
Quando iniziai a pensare a come sviluppare questa storia, non
avevo le idee chiare. Nacque grazie ad un sogno e, sebbene fossi folgorata
dall’idea che avevo avuto, era tutto molto confuso: i personaggi erano solo
abbozzati, la trama era messa pure peggio, e lo sviluppo degli eventi era la
parte più ostica. Tuttavia, avevo stampate a chiare lettere delle scene, delle
singole parti che “sapevo” sarebbero state così, indipendentemente da come
avessi sistemato il resto. Aggrappata a quelle scene fondamentali, misi un po’
ordine nella storia, ottenendo quello che avete letto finora. Una di queste è la
scena finale del capitolo qui sotto. Ho davvero bisogno che mi diciate cosa ne
pensate, perché queste “scene-madri” sono la vera essenza di Praedicio, ciò da cui è cominciata, con cui continuerà e terminerà.
Ve lo chiedo davvero come favore: citate una frase, uno scambio di battute che
vi sono piaciuti particolarmente, o qualcosa che secondo voi non regge o poteva
essere scritto meglio, perché, pur non essendo venuto esattamente come volevo
che venisse (“Dove sei, sospirata perfezione? Vieni fuori, vigliacca!”), questo
scritto rappresenta il mio tentativo di realizzare qualcosa di decente.
P.S. La parte sottolineata è la canzone scritta da Wantz. Avremo
modo di parlare ancora di questa inaspettata attività del caro
magonzolo.
Capitolo 12: L'inizio delle
danze
Imbarazzo.
Davvero, non sopportava che la guardasse in quella maniera penetrante, quasi
volesse perforarle il cranio. I suoi occhi la fissavano truci senza mai sbattere
le palpebre; trasmettevano il tacito messaggio che il loro proprietario, chiuso
in un inattaccabile mutismo, si rifiutava di comunicare a voce: "Senti il peso
della mia disapprovazione." Tutto il volto era contrito in un'espressione
adirata. Il massimo era la bocca, storta in una smorfia sprezzante ma al
contempo incredula, come se si domandasse "Ma porca miseria, può esistere
davvero un essere così idiota?" Le braccia incrociate lasciavano intendere un
chiaro desiderio di distacco, e le dita che tamburellavano incessantemente
sembravano esprimere un altro pensiero del loro proprietario: "Perché? Perché
proprio a me?"
<
Oh, insomma, Wantz, mi sembra di averti già chiesto scusa almeno un centinaio di
volte. >
Il
ragazzo non rispose, limitandosi ad un semplice < Tsk. >
Nel
caminetto della stanza che avevano affittato scoppiettava allegramente un
fuocherello, in netto contrasto con l'atmosfera tesa che regnava nella camera.
Solita scena: un tavolo al centro della stanza, ove giacevano i resti del pranzo
appena terminato, un camino, una finestra, un letto, sedie varie, una delle
quali era a fianco del letto. Nello specifico, ricordava molto il giorno che i
due si erano incontrati: lei a letto e lui sedutole accanto. Solo che, allora,
Jillian dormiva. E, dormendo, non poteva parlare. Wantz provò un sentimento
passeggero molto simile alla malinconia.
<
Ti ho già detto che non è colpa mia, e comunque mi dispiace. Che altro posso
fare? >
<
Muoverti a tornare in sesto. > grugnì.
<
Ah! > esultò lei. < Hai parlato! E' dall'altro ieri, da quando mi sono
sentita male e mi hai portato in questa cittadina, che non mi parlavi più.
>
<
Se fai tutto questo rumore torno al mio mutismo. > minacciò.
<
No-no. > si affrettò a dire < Sto calma. >
Il
ragazzo sospirò e si rilassò, lasciando cadere le braccia penzoloni lungo la
sedia.
Jillian
lo guardò con aria interrogativa. < Posso sapere perché ti sei arrabbiato
così tanto?>
<
A prescindere dal fatto che continui a farmi perdere tempo... >
<
Touchè. > ammise la ragazza.
<
... mi hai fatto prendere un colpo. >
Jillian
gli rivolse uno sguardo interrogativo, cui il ragazzo rispose con un gesto
stizzito, sventolando la mano sinistra con noncuranza.
<
Ma sì. Dici che ti senti strana e urli "Ommiodio" come un'oca, logicamente io
penso a chissà che… >
< Ti sei davvero preoccupato per me? >
<
Non ho strillato come un'oca. Non avevo fiato sufficiente per riuscire a
strillare. > ribatté stizzita.
<
Allora è colpa mia: troppi anni a contatto con orchi e simili mi hanno reso
paranoico e sempre pronto al peggio. Questo è un male. > annuì, con finta
convinzione.
<
Smetteresti di usare quel tono? Non riesco a capire se mi prendi in giro o meno.
> Osservò il mago guardare fuori dalla finestra, nel tentativo di ignorarla.
< Mi dispiace davvero di averti fatto preoccupare. Ma sul momento anch'io ho
pensato che mi stesse succedendo chissà che cosa e ho avuto paura. Non ti pare
comprensibile? >
<
E invece era tutta colpa di insulse funzioni fisiologiche. >
< Anche lui dice di aver a cuore la mia incolumità. Chi dei
due mente? >
<
Ehi! Adesso non offendere. Non posso prevedere in anticipo quando capita, e
tantomeno sono in grado di evitarlo. > A ben pensarci, forse sarebbe stato
meglio se, come aveva temuto sul momento, si fosse trattato di qualche
maledizione o malattia particolare, e non del semplice arrivo delle
mestruazioni.
<
Succede sempre così? > chiese il ragazzo, dubbioso.
<
No, a volte non accuso nessun sintomo. Ma altre mi sento come se dovessi morire
da un momento all'altro. >
Wantz
non seppe se rivalutare il genere femminile per le pene che deve universalmente
sopportare oppure ringraziare il Creatore per aver dato questa soddisfazione
alla popolazione maschile.
<
Ad ogni modo, > riprese la ragazza < penso che riuscirò a rimettermi
completamente in un paio di giorni. >
Wantz
reagì come se avesse ricevuto una sprangata in testa. Si alzò, deciso a uscire,
onde evitare di porre fine alle sofferenze della ragazza a modo suo.
< Chi mente? Quale verità cela dentro di sé una falsità? >
<
Dove vai? Sei sempre stato in giro da quando siamo qui. > chiese.
<
Umm. Questo posto è pieno di polli. > disse lui.
<
Polli... da spennare? >
Want
uscì dalla camera ridacchiando.
< Chi di voi due è falso? >
Reduce
dall'ennesima vendita di efficaci, ma a suo parere futili, creme per il viso
(detestava essersi specializzato in robaccia simile, ma la richiesta era alta e
i guadagni stabili, per cui si era rassegnato ad avere a che fare con vecchie
grassone in cerca della giovinezza perduta), Wantz guardò la donna allontanarsi
tutta appagata del suo acquisto e inspirò a fondo l'aria scossa da un debole
venticello, assaporando quel momento di rara quiete.
<
Non hai mai la sensazione di essere una specie di truffatore, vendendo quelle
robe? > gli aveva chiesto una volta la sua "presenza di fiducia".
<
Perché mai? Se sono intrugli spalmabili e fraudolenti che vogliono, non vedo
perché non accontentarle. > aveva risposto lui, candidamente.
<
Il fascino misterioso di creme e lozioni. > ammise.
<
Inoltre, non scordate che... >
<
... che sei un mago ciarlatano, Wantz. Lo so. >
Perso
nei suoi pensieri, fu riportato bruscamente alla realtà da uno sciame
schiamazzante di comari che si avvicinava a tutta velocità. "Le voci corrono
veloci", constatò il ragazzo, schifato dall’orribile rima ottenuta e rassegnato
a giocare un'altra volta all'erborista miracoloso.
Sommerso
di richieste una più egoistica dell'altra, si chiese per un attimo che cosa
avrebbe detto Jillian dei suoi "polli".
"Sicuramente"
pensò "sarà l'ultimo sei suoi pensieri; maledetta fortunella al caldo."
Aveva
ragione. In quel momento, Jillian aveva altri pensieri.
Ma
non del genere che poteva immaginare lui.
***
<
Felice di vedere che sei tornata. >
<
Solo una momentanea follia può avermi allontanato. Ti chiedo perdono.
>
<
Non scusarti ulteriormente. Non occorre. >
<
Tu però sei stato davvero impietoso, nello sgridarmi. >
<
Ho dovuto esserlo. Questa è una partita che non posso perdere.
>
<
Di cosa parli? >
<
Di te. >
***
< Vieni a riprendertela, se ti riesce.
Ti aspetto, mago. >
La
mano sulla maniglia, Wantz fu preso da un brivido, una scossa che gli lasciò
addosso una fastidiosa sensazione di pericolo. Riprese controllo di sé ed entrò
nella camera, fiondandosi subito verso il letto. Jillian dormiva, ignara delle
consuete paranoie di cui era vittima il ragazzo. Andava sempre più vicino
all’assomigliare ad un animale che si basa esclusivamente sui suoi istinti.
Tuttavia, quella sensazione… Quell’oppressione che lo aveva colto mentre
mercanteggiava lo aveva spinto a tornare lì, cercando di cancellare dalla mente
quelle immagini tanto fittizie quanto terrorizzanti. Protagonista indiscussa di
quelle visioni, la ladruncola.
Vederla
immersa nel mondo dei sogni, incurante del mondo esterno, lo tranquillizzò. Le
scostò il volto, premuto contro il cuscino, per controllare che non avesse la
febbre. Il lineamenti delicati gli sfuggirono di mano, la ritrasse d’istinto e
indietreggiò. Trafficando con li laccio della collana all’interno della mano,
Wantz non riusciva a staccare gli occhi dalla faccia della ragazza. “Incurante
del mondo esterno”.
<
Maestro! > esclamò, tirando fuori il pendente della collana, uno splendido
zaffiro di un blu-azzurro così intenso da incantare e capace ti attirare
l’attenzione anche dell’osservatore più distratto. < Venite fuori, maestro!
>
Dalle
pietra si sprigionò una luce bianca accecante, e quando essa svanì, al suo posto
era comparsa la presenza, macchia scura indistinta.
<
Wantz, sai bene quanto mi costano queste uscite non programmate. Spero che si
tratti di una necessità impellente. > lo ammonì.
<
Lo è. > assicurò lui, riponendo la collana al suo posto. Si avvicinò di nuovo
alla ragazza, chinandosi su di lei. < Maestro, ditemi voi che cosa fare,
perché io non so più cosa pensare. >
< Che cosa ti preoccupa? >
chiese avvicinandosi.
< Sorride. > rispose
voltandosi verso di lui. < Adesso sorride. >
***
Voci.
Al di fuori del “bianco”, due voci concitate giungevano sino a lei come una cosa
lontana, attutite da una distanza incolmabile.
<
No. Mi rifiuto di farlo. >
<
Non ci ti è concesso discutere. >
<
E chi discute? Mi rifiuto e basta. Non c’è nulla da discutere.
>
<
Ne abbiamo già parlato a lungo e siamo arrivati ad un’unica soluzione, ricordi?
QUESTA soluzione. >
<
Non voglio. Io… Ho promesso che… >
<
Sai bene anche tu che non potrai mai adempiere alla tua promessa. Non sei in
condizione di poterlo fare. >
<
Ma non lo voglio fare. >
<
Quanto tempo vuoi ancora perdere in indugi? Le scelte non sono tante: o entri
nella sua testa e lo cacci, o lasci che resti lì e si faccia i suoi comodi.
>
<
Non ficcanaso nelle menti altrui. >
<
Ora no. Tempo fa però la trovavi una cosa molto comoda. >
<
Avete intenzione di vincermi seppellendomi di rimorsi? Non vi facevo così
vigliacco. >
<
E tu hai intenzione di lasciare che continui a manipolarla? Non credevo che
potessi essere così spietato da… >
<
Smettetela! Sapete meglio di me che non lo desidero affatto.
>
<
E allora perché esiti? Per una promessa utopica? Non sei mai stato poi così
severo con te stesso da non concederti sgherri, o sbaglio?
>
<
No. Non è per quello. >
<
E per cosa, allora? >
La
seconda voce, che nel corso del dialogo era apparsa alterata, pose quell’ultima
voce con tono più dolce, quasi paterno, come un genitore che, dopo un attimo di
dubbio, riconosce da un semplice gesto il figliol prodigo creduto smarrito.
Ma
egli, anzi, la prima voce, non replicò. Non al suo interlocutore, almeno. La
risposta arrivò infatti a lei, la percepì dentro si sé come un qualcosa di
sospirato a lungo, desiderio silenzioso e lontano dall’avverarsi che diventa
all’improvviso realtà. Realtà.
<
Perché voglio provare a fidarmi di lei. >
La
figura dagli occhi rossi le si parò davanti, e con il suo arrivo svanirono le
due voci provenienti dall’esterno. Dall’esterno del “bianco”.
<
E’ tutto a posto. > le disse, riferendosi appunto al silenzio tornato a
regnare.
Jillian
lo guardò negli occhi, quegli occhi rossi che non capiva, con aria di sfida.
Sotto lo sguardo stupito della figura (uno sguardo stupito rosso), cominciò a
sparire, riavvicinandosi al mondo esterno.
<
Sì. > convenne lei, sentendo le lacrime che le rigavano le guance e
scomparendo del tutto. < Ora è tutto a posto. >
***
Jillian
si sollevò di scatto, e Wantz, preso alla sprovvista, alzò le braccia in una
posizione difensiva. La presenza fu più reattiva di lui e svanì in uno sbuffo.
Il mago si raddrizzò e fissò basito la ragazza, che riusciva a sembrare
addirittura più fuori luogo di lui.
<
Cosa… > esordì lei, guardandosi attorno.
<
Non lo so. > disse Wantz.
<
Nemmeno io. > confermò la ragazza.
<
Non sai perché piangi? >
Alzando
le mani al viso, Jillian constatò che aveva ragione. Si passò il dorso della
destra sotto gli occhi per asciugarsi.
<
Non sto piangendo. Quando piango singhiozzo. Sempre. E ora non lo sto facendo.
Quindi non sto piangendo. >
<
A-ah. > annuì lui, piegando la testa di lato. < Infatti non stai
piangendo. >
Jillian
tirò su col naso. < No. >
<
Ti stanno solo sudando gli occhi. Come ho fatto a confondermi? >
<
Esatto. Mi stanno sudando. > Ci mise un po’ a capire la stupidità di quanto
avevano appena detto, e dopo averci riflettuto bene rise, di gusto. Davvero. Per
essere la prima battuta che sentiva da Wantz non era male, poteva aspettarsi di
peggio. Le piaceva. Era divertente. E allora per quale motivo le risa si erano andate
via via trasformando in singhiozzi?
<
Uh… > mormorò, cercando inutilmente di fermare le lacrime. Il ridicolo era
che non sapeva neppure perché stesse piangendo. Qualcosa le diceva però che
aveva a che fare con “lui”. Anzi, con “loro”, i suoi due “lui”.
<
Dovresti smetterla, sai? Altrimenti ci rimango male. So di non essere un
eccellente buffone, ma così esageri. >
Anche
qui sorrise, ma la risata venne soffocata dai singulti.
<
Mi dispiace… > biascicò. < Mi dispiace… >
<
Non importa. E’ un po’ stupido piangere senza motivo, ma… >
<
Non è per quello. > lo interruppe con voce tremante.
<
Per cosa, allora? > chiese.
<
Io… Non lo so. > disse, nascondendo il volto tra le mani. < Sento solo di
dovermi scusare con te e… Sento che dovrei dire che mi dispiace per… Non lo so!
Che tu ci creda o no, è come se qualcosa mi impedisse di trovare dentro di me
ciò che vorrei dirti, benché esso voglia uscire e io tenti di recuperalo. E’
assurdo, puoi anche non credermi se vuoi, eppure… >
<
Ma io ti credo. >
Jillian
alzò il volto, cercando incredula il ragazzo con gli occhi gonfi di pianto:
attraverso una coltre di lacrime, vide, seppur indistintamente, Wantz che la
guardava con un’espressione talmente triste che si domandò se non dovesse essere
lui a gemere. Si sedette sul letto al suo fianco e frugò nella “sacca delle
meraviglie”.
<
Voglio farti vedere una cosa. > disse infine, quando ebbe trovato quello che
cercava.
E cinquanta anni dopo
l’inizio della ricerca del guardiano, il destino cominciò il suo lento corso
finale.
Cominciando dall’incontro di
coloro che diedero inizio alla fase finale.
Il mago e la
ladra.
Una convivenza forzata, ma
necessaria alla risoluzione finale.
Poiché solo insieme
riuniranno tutti i pezzi della profezia, unendo quelli già in loro possesso e
reperendo quelli ancora mancanti.
Sarà difficoltoso. Molto
difficoltoso.
E lungo. Molto
lungo.
Ma sarà l'unico
modo.
E loro ce la
faranno.
Ormai
assuefatta all’idea di fare la figura della fessa, Jillian non tentò nemmeno di
nascondere il suo stupore. Teneva il frammento tra le dita con delicatezza,
quasi avesse paura che le si sbriciolasse in mano. Dopo una contemplazione
ragionevolmente lunga, si voltò verso il mago, seduto accanto a lei. Avrebbe
voluto dirgli tante cose, e avrebbe voluto chiederne molte di più, ma non le
venivano le parole.
<
Non è falso. Te lo assicuro. > disse Wantz, togliendola da quel silenzio
difficile.
<
Questo significa che… >
<
Che alla fine hai fatto bene a ficcanasare. > concluse lui, visto che la
ragazza era ricaduta nello sbigottimento.
Guardò
Wantz con riconoscenza. < Non hai idea di quanto io sia felice. Finalmente
posso smettere di chiedermi se è giusto che io mi interessi della profezia. Non
ho più motivo di domandarmi se tutti gli sbagli fatti siano almeno serviti a
qualcosa. Signore, ti ringrazio per questa possibilità. E ringrazio te, Wantz,
per avermi mostrato la prova che se sono qui con te non è un errore, che alla
fine è questo il mio posto. >
<
Non ringraziarmi. Non lo merito. >
<
Si, invece. Mi hai dato una possibilità, sebbene pensassi che io non fossi in
grado di farcela. So che è così. Ciò nonostante hai deciso di fare una prova e
di vedere come sarebbe andata. Ora, questo ritaglio ci da la conferma finale, ma
tu mi hai accettata, pur con qualche remora, senza avere nessuna certezza e
neppure obbligo di farlo. Non ho idea di cosa ti abbia spinto a farlo, ma ciò
che conta è che lo hai fatto, e io te ne sarò eternamente grata. >
<
E’ questo il punto. > disse lui, voltando il capo e guardando altrove. <
Io sapevo già che eri menzionata dalla profezia. > Prese dalle mani della
ragazza i pezzi di pergamena cuciti insieme e diresse su di essi la sua
attenzione. < Questi frammenti sono in mio possesso da moltissimo tempo, da
ben prima che ci incontrassimo. >
Jillian
lo fissò, senza però ottenere uno sguardo in risposta. Il ragazzo teneva
ostinatamente gli occhi sulla pergamena.
<
Wantz… >
<
So cosa vuoi dirmi. Se ti avessi detto subito la verità ti saresti evitata una
gran quantità di angosce, avresti smesso di sentirti fuori luogo, perché ho
capito che era questo il tuo problema: il sentirti estranea a qualcosa che
volevi ti appartenesse a tutti i costi. > La ragazza manifestò l’intenzione
di dire qualcosa, ma il mago la ignorò. < Tuttavia, non avevo la minima
voglia di prendere della zavorra con me. Volevo continuare da solo, come avevo
sempre fatto e… Confesso di non aver fatto nulla per aiutarti a superare le tue
incertezze. Anche adesso che ti ho fatto vedere questi… Penso di averlo fatto
solo per avere la coscienza a posto. >
<
Lo dissi già una volta: per avere una coscienza, bisogna avere anche un cuore.
Per quanto mi riguarda, penso che tu sia soltanto, come dire, “arrugginito” nel
sentirli entrambi. Devi imparare di nuovo a rispondere ai loro impulsi. Mi
chiedo che cosa possa averti indurito così tanto da renderti immune ad essi.
>
Wantz
sbatté le palpebre, guardandola stupefatto. < Com’è che adesso la vittima
sembro io? >
<
Sei proprio di coccio, eh? Mi sembrava che avessi qualche difficoltà e ho
pensato di evitarti questa fatica inutile. > Siccome il ragazzo non capiva,
spiegò: < Devi re-imparare anche a chiedere scusa. >
Il
mago sembrò leggermente offeso. < Non mi hai dato modo di finire. >
<
Perché mi sembrava che saresti andato per lunghe, e, personalmente, visto che si
avvicina l’ora di pranzo, vorrei mangiare senza sentirti farfugliare
giustificazioni incomprensibili. >
<
E chi ti dice che volessi scusarmi? > ringhiò lui, decisamente
contrariato.
Jillian
gli rispose con un sorriso che lo lasciò spiazzato e fece crollare le sue già
deboli difese. Scosse la testa, mugugnando parole indecifrabili, rassegnato a
terminare lì il discorso. La ragazza sogghignò, ma si fece subito seria e gli
prese le mani, chiudendole sui frammenti. Sentì che quelle del ragazzo erano
fredde, probabilmente era appena rientrato da una delle sue misteriose spedizioni al villaggio.
Gliele strinse e cercò i suoi occhi, riuscendo finalmente a catturare il suo
sguardo.
<
Questo è il nostro legame. Non ho nessuna intenzione di romperlo. Hai letto cosa
dice, no? “Ce la faranno”. Non sarò certo io a contraddire una profezia
formulata dai tre Savi. > Sorrise, notando che il ragazzo sembrava a disagio.
< E non penso che lo farai nemmeno tu. >
<
Non ci penso proprio. > sbuffò.
< Quelli sono capaci di risuscitare e cercarmi per mari e monti solo per
potermi maledire. >
<
Scommetto che non gli darai questa soddisfazione. >
Wantz
esibì un ghigno alquanto malevolo. < Mai. E non aspettarti atteggiamenti di
favore. Hai sprecato addirittura la tua unica occasione di sentirmi chiedere
scusa. >
<
Ti dispiace. Questo mi basta. Per ora. > aggiunse, lasciando andare la presa
e permettendogli così di rimettere il tutto nella tracolla.
Wantz
non rispose; sembrava che stesse riflettendo. < Coscienza e cuore. Sei sicura
di averlo detto a me? >
La
ragazza ci pensò su. < No. In effetti, non l’ ho detto a te. > “L’ ho
detto a qualcuno che non l’ ha capito” rifletté. Appena terminò quel pensiero,
una fitta le attraversò la testa come una saetta. Il dolore si confuse con un
rumore di voci schiamazzanti che provenivano dalla strada. Mentre lei cercava di
trattenersi dal gemere Wantz si alzò e andò alla finestra a controlla cosa fosse
tutto quel baccano. Jillian lo vide strabuzzare gli occhi e andare a passo mesto
verso la porta.
<
Che succede? > chiese.
Il
ragazzo sospirò. < Branco di dame alla ricerca dell’erborista miracoloso.
>
<
Mi spiegherai mai che cosa combini a mia insaputa? >
<
Solo se fa parte del contratto. > rispose lui, facendo chiaramente
riferimento alla profezia.
***
<
Esci dalla mia testa! >
<
Ah, detesto perdere. >
<
Esci dalla mia testa! >
<
E va bene, lo ammetto: hai vinto tu, mago. >
<
Vattene! Ti prego, vattene! >
<
E per questo, mi vendicherò. >
***
Scrisse
l’ultima strofa, facendo qualche svolazzo con l’inchiostro, soddisfatto del
risultato ottenuto. Ammirò la pergamena tendendo bene le braccia.
<
Non è questione di fiducia o meno. Non è nelle sue possibilità farcela. >
disse la presenza alle sue spalle.
<
Lo so. > dichiarò il ragazzo, soffiando sulla pergamena per asciugare
l’inchiostro. < Finito. >
<
Ho come l’impressione che non mi stessi ascoltando. >
<
Affatto. Solo, ormai è inutile discutere. Siamo arrivati al dunque. >
La
presenza annuì, sbirciando sul foglio che il ragazzo teneva tra le mani.
<
Questa tua nuova composizione è proprio azzeccata. >
<
Trovate anche voi? >
<
Oh sì, rende benissimo l'idea della brutta situazione in cui ci troviamo...
>
Wantz
notò qualcosa muoversi sotto di loro e abbassò la pergamena per controllare:
dall’albergo uscì Jillian, le mani premute contro le tempie, correndo in maniera
alquanto scoordinata. Sul volto aveva un’espressione sofferente e stringeva i
denti. Si alzò, facendo attenzione a non cadere dall’albero e sistemandosi il
mantello. I fogli su cui aveva appena finito di scrivere svanirono dalle sue
mani, e lo stesso fecero penna ed inchiostro.
<
... e meglio ancora quella in cui si trova la ragazza. >
Lui
sbuffò, sorridendo amaramente. < Cosa ne dite, allora, di farla finita?
>
<
Dico che mi sembra il momento adatto. >
Wantz
sbatté il pugno destro contro il palmo sinistro, ridendo sommessamente.
<
Si dia inizio alle danze, allora. >
Quando caddero le foglie,
i cieli divennero grigi.
La notte continua a circondare il
giorno,
un usignolo canta la sua canzone
d’addio.
Nasconditi meglio dal suo inferno
gelido:
su ali fredde, Lui sta arrivando.
Quello
che stava facendo era assolutamente stupido. Correre non serviva a diminuire il
dolore. Correre non l’avrebbe aiutata a scacciare dalla sua testa quella
presenza indesiderata. Incespicò, finendo a sbattere contro un albero. Stremata,
tentò invano di alzarsi, e si lasciò scivolare lungo il tronco fino a terra,
accasciandosi inerme. Non tentò più di opporsi alla voce ossessionante che aveva
cominciato ad assillarla non appena Wantz era uscito dalla stanza. Rimase lì,
limitandosi ad ascoltare.
< Ho avuto fin troppo
pazienza con te, ragazza mia. Dici di esserti pentita e poi ricadi nello stesso
errore. Non va bene. >
Errore…
E’ un errore provare a fidarsi di lui?
<
Questa volta non posso far finta di nulla, capisci? Devo averti, in qualunque
modo, con le buone o le cattive. E ora il rischio è troppo alto, sei troppo
vicino a quel mago; perciò userò le cattive. Ho provato ad irretirti, adescarti,
lusingarti…Sono stato tutto ciò che potevi desiderare… E allora perché? Perché
hai scelto lui? >
Jillin
scossa la testa, sforzandosi per l’ennesima volta di riprendere il controllo di
sé.
<
Che cos’ha lui che io non ho? >
<
Lui è vero. >
< Tra il falso e il
sincero ho scelto il primo perché non ho saputo capire il secondo. E Lui ha
approfittato delle incomprensioni tra noi per allontanarmi ancora di più.
>
“Accidenti.”
pensò con disappunto “L’ ho persa.”
Si guardò intorno, chiedendosi
perché, con tanti posti a disposizione, quella sciocca doveva essersi andata a
ficcare proprio in una foresta. Salì su un albero, cercando si vedere in
lontananza, nonostante la selva formata dalle fronde. Alla sua destra vide che
le piante andavano diradandosi fino a formare una piccola radura. Sentì qualcosa
di molto animalesco agitarsi dentro di lui. Scese con un balzo e riprese a
correre: non avendo idee migliori, si sarebbe rassegnato, ancora una volta, a
dare retta a quei suoi fastidiosi istinti.
Non lo capisci?
Quando lui ti abbraccia
il tuo cuore diventa una pietra.
Lui viene di notte quando sei completamente
sola
e quando Lui sussurra
il tuo sangue scorre freddo.
Nasconditi meglio prima che lui ti
trovi.
Non
si chiese da dove venisse quella luce accecante, sebbene avesse avuto la
sensazione che fosse uscita dal suo corpo nel momento in cui aveva finito la
frase “Lui è vero”. Non si chiese perché all’improvviso nella sua testa c’era
finalmente la più completa assenza di rumori. Non si chiese nemmeno come tutto
ciò fosse possibile. Si concentrò solo sul ragazzo che, dissoltasi la luce, era
apparso davanti a lei. Quella fisionomia indistinta che aveva “visto” nella sua
mente; quella presenza estranea che albergava dentro di lei dal giorno dopo la
morte di Alec. Non l’aveva mai visto in volto, sempre sfocato e. confuso, ma non
c’era dubbio che fosse lui. Quegli occhi… Quanta gente al mondo poteva avere gli
occhi rossi?
<
Si può sapere chi sei? > riuscì a chiedere.
<
Ah, è incredibile che tu sia riuscita a cacciarmi fuori. Sul serio, non era
nemmeno ipoteticamente plausibile una simile eventualità. Ora sì che la faccenda
è problematica. > Ammiccando, esibì un ghigno trasudante perfidia. A
Jillian venne istintivo paragonarlo con i
sogghigni beffardi che Wantz era solito rivolgerle: in essi, maliziosi in
maniera eccessiva, non v’era traccia di cattiveria.
<
Come sei diverso da lui... Non dovresti stupirti della mia scelta. > disse,
evitando accuratamente di fissarlo negli occhi
<
Mi sorprendo che tu ti sia accorta di questa diversità. Da cosa l’ hai capito?
> disse, avanzando alquanto minacciosamente verso di lei. Nella sua mano
apparve una lama splendente, ma dall’aspetto decisamente affilato. Il ragazzo la
alzò, con fare quantomeno sospetto, se non preoccupante.
Jillian,
ancora vittima di fitte al capo, fece uno sforzo incredibile per parlare <
Lui è vero, mentre tu… Tu sei… >
<
Soltanto una bugia. > disse una voce alle sue spalle.
Ora che è in collera
potrebbe toglierti la vita.
Non hai capito?
Non hai capito?
La rovina del nostro mondo.
Notte eterna che oscura il giorno.
Manto glaciale indissolubile.
Ora capisci?
Logica
avrebbe voluto che la lama, siccome era stata abbassata con violenza, la
colpisse in pieno con pari furore. Fortuna volle che non fu così. Aprendo gli
occhi, chiusi d’istinto nel presentimento di essere spacciata, vide con stupore
che innalzi a lei era comparsa una seconda figura, avvolta in un mantello
svolazzante, che aveva parato con il suo braccio il fendente scagliato. Quando
il mantello, dopo tutti gli ondeggiamenti dovuti ad un’entrata in scena tanto
veloce quanto tempestiva, si abbassò, Jillian poté vedere il volto del suo
proprietario, contrito in un’espressione che definire irata era un complimento
ai collerici. Si raddrizzò, facendo perno sulle braccia.
<
Wantz? >
Nasconditi meglio prima che lui ti
trovi.
Il
mago si girò verso di lei, alzando un sopracciglio. < Dubbi in proposito?
>
Jillian
lo fissò per un attimo senza parole, poi scosse le testa. < No. Per quale
motivo dovrei averne? >
<
Effetti postumi da allucinazione. > spiegò lui. Piegò le gambe e si raddrizzò
di scatto, scagliando via l’arma bianca e il suo possessore, che non solo parve
non aver accusato per nulla il colpo, ma guardò con scherno Wantz, ridacchiando.
Il ragazzo fissò quella creatura con sospetto: sembrava in tutto e per tutto un
essere umano, eccezion fatta per gli occhi, rosso sangue. Eppure, non lo era; e
non era neppure un ibrido, ne era sicuro: non percepiva la sua presenza
spirituale. Era come se, pur essendo lì davanti a lui, sogghignante, in realtà
non ci fosse. Valutò silenziosamente il suo avversario, quando sentì che alle
sue spalle Jillian si era alzata.
<
Resta indietro. > le raccomandò, voltandosi appena per valutare le sue
condizioni fisiche: era spossata e provata, sia dalla corsa che dalle sofferenze
psichiche, ma dimostrava una volontà ferrea nel cercare stabilità sulle gambe e
rifiutandosi di crollare a terra sfinita. < Hai già fatto fin troppo.
Ribellarsi e addirittura liberarsi di lui… Deve essere stata una faticaccia.
Confesso che non avrei mai creduto ti fosse possibile. Ora lascia che me ne
occupi io. >
<
Ma che cosa… Chi… > farfugliò, staccandosi dall’albero e riacquistando
faticosamente equilibrio.
<
Dopo. > tagliò corto lui. Avanzò di qualche passo verso l’essere ghignate,
fissandolo truce. Jillian guardò la sua schiena, chiedendosi se il ragazzo fosse
davvero arrabbiato come lasciava vedere. Perché, dopo settimane a contatto con
lui, era quasi certa che, sotto l’aria scocciata, stesse cercando di nascondere
la sua preoccupazione.
Wantz
si fermò, digrignando i denti. < Che cosa sei? > sibilò.
<
Un ricordo. > disse l’altro. < Una reminescenza di un qualcosa che è stato
e ora non è più, sradicata dalla mente del suo proprietario e resa reale per
essere usata come suo servitore. >
Il
ragazzo rise sprezzante. < Ma quale reale? L’Oscuro è un illuso se crede
davvero che basti una sua versione giovanile per eliminarmi. >
<
Quindi avevi capito anche che sono Lui, o meglio, quello che Lui era? Notevole.
Pensavo che fosse già tanto che ti fossi accorto della mia intrusione nel
cervello della ragazza. Invece, a quanto pare sbagliavo di grosso. >
<
Questo succede perché non doveva esserti concessa la facoltà di pensare.
> ringhiò Wantz, nel disperato tentativo di guadagnare del tempo per
decidere cosa fare.
La
giovane copia dell’Oscuro Signore lo guardò dall’alto in basso. < Non sei la
persona giusta per parlare di esperimenti da non fare, ragazzo mio. >
Il
ragazzo si irrigidì, sbarrando gli occhi: tremante di rabbia, si piegò in
posizione d’attacco. < Che vuole da lei? Perché si interessa alla ragazza?
>
<
Interessante. Sarà bene riferirlo. > disse, annuendo con convinzione. Lanciò
un’occhiata derisoria a Wantz e, lentamente, sotto lo sguardo sbigottito del
ragazzo, cominciò a perdere consistenza. < Finché non capirai questo, mago,
non potrai fare nulla. >
Wantz
perse il controllo e si gettò addosso a quella sfida vivente alla natura, ma
quello svanì nello momento in cui tento di afferrarlo, lasciando dietro di sé
una risata rauca e sprezzante. Il ragazzo, trovando il nulla invece
dell’avversario, cadde a terra. Furente, sbatté un pugno sul suolo freddo, a
capo chino. Sollevò la testa di scatto e urlò, rivolto al cielo < Non mi
sottovalutare, bastardo! Vaglielo a dire, dittelo da solo, come ti pare, ma
sappilo: io non te lo permetterò, qualunque cosa tu abbia in mente! >
Si
alzò, soffiando aria dal naso per esprimere il suo disappunto. Sbuffò, posando
la mano destra sul fianco ed esibendo la miglior aria scocciata che gli riuscì,
visto che, per una volta, più che scocciato, era semplicemente avvilito.
Nasconditi meglio prima che lui ti
trovi.
Altrimenti sarò io il tuo rifugio.
"Non
era rimasto nulla che indicasse il suo passaggio e lasciasse presagire il dolore
che si era portato dietro. Nulla che ricordasse l'alone di angoscia che aveva
rovesciato su di noi, le false speranze con cui aveva illuso e la sofferenza che
aveva inferto. Anzi, no: una cosa c'era."
Wantz
si voltò verso la ragazza, rimasta in piedi a pochi passi da lui, sconcertata,
le mani alla bocca, lo sguardo allucinato. La raggiunse e la guardò con un velo
di tristezza sul viso.
<
E' stato tutto... soltanto una bugia. > le disse, sorridendole
mestamente.
"Perché
sorridi adesso? Perché?" pensava lei, angosciata. "Se lo avessi fatto prima… in
modo normale… E invece lo fai adesso, quando non me lo merito assolutamente,
mentre prima mi avrebbe aiutato a capire. E’ sincero, è un sorriso triste, ma
sincero; come te. Tu sei sempre stato te stesso con me. Ed è proprio questo il
problema: io non l’avevo capito."
Jillian
fu scossa da alcuni singhiozzi, e chiuse gli occhi. < Mi dispiace. >
mormorò con voce tremante. < Mi dispiace... >
Si
tuffò addosso al mago e affondò il viso nel suo petto, piangendo e biascicando
scuse. Il ragazzo non la allontanò e lasciò che si sfogasse. Lei piangeva e
scuoteva il capo, dicendo che non voleva, non sapeva cosa gli era preso, che era
stata una sciocca a lasciarsi abbindolare in quel modo... Parlava come al
solito, spavalda e suscettibile, tentava di mostrarsi sicura, magari offesa per
essere stata presa in giro, ma non riusciva ad arrestare il pianto. Cercando di
arrestare i singhiozzi, alzò il volto per guardare Wantz e vedere la sua
reazione a ciò che gli aveva detto.
"Sì,
decisamente era rimasta una traccia della visita dell'Oscuro."
Il
ragazzo non la stava guardando. Fissava un punto imprecisato davanti a sé.
Con
l'abituale espressione indecifrabile le disse: < Aspetto finché non hai
finito. >
Jillian
lo interpretò come il tanto sospirato via libera. Riprese a piangere, senza
frenarsi, aggrappata alla schiena del ragazzo, questa volta senza alcun timore o
imbarazzo.
Oltre
le spalle della ragazza, Wantz vide delle foglie turbinare in aria, trasportate
non dal vento, ma da una forza invisibile.
"Le
lacrime versate da Jillian."
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