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Tabella: Inverno |
01.Maglione di lana |
02.Regalo |
03."Buon Natale, idiota" |
04.Neve |
05.Capelli spettinati |
06.Labbra fredde |
Progressi: 2/6 |
Titolo: Il Lungo Addio – In The Past You Gave Me
Autore: SHUN DI ANDROMEDA/KungFuCharlie
Fandom: Kamen Rider W
Personaggi: Oyassan, Philip, Shotaro, Akiko, Terui, Un Po' Tutti
Pairing: Philip/Shotaro, Akiko/Terui
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale
Rating: Verde
Disclaimer: “Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama
ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di
proprietà di Toei Animation, che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è
stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione, non
esistenti in Kamen Rider W, appartengono solo a me.”
Tabella: Inverno
Prompt: 2) Regalo
Note: Il romanzo “Il Lungo Addio” è scritto da Raymond Chandler. Spoiler dal
Taisen Decade x W e dagli ultimi episodi della serie.
§§§
IL
LUNGO ADDIO – IN THE PAST YOU GAVE ME
That which I had seen in a place without light,
That which I had heard in the midst of loneliness;
Everlasting words
in the past (which) you gave me
Stay The Ride Alive, Gackt
Dicembre 2008
In quel
freddo Sabato di Dicembre, Shotaro sedeva al tavolino da bar nel bel mezzo
dell'ufficio, con le lunghe e snelle gambe lievemente a penzoloni mentre
scriveva qualcosa su di un vecchio quaderno.
C'era un
bel silenzio nella stanza immersa nella penombra di quel primo pomeriggio
invernale, mentre, all'esterno, i nuvoloni pesanti minacciavano neve, tanta
neve.
Non
sentiva troppo freddo, aveva acceso la stufa, che rilasciava nell'agenzia un
tepore piacevole: con le orecchie tese a captare il benchè minimo rumore, il
ventitreenne trascriveva rapidamente l'ultimo paragrafo dei rapporti che doveva
finire di compilare per quella sera, fischiettando sottovoce un motivetto.
Scritto
l'ultimo kanji con un movimento fluido del polso, abbandonò infine la penna sui
fogli di carta, stiracchiandosi con un mugolio soddisfatto prima di balzare giù
dalla sedia e correre alla piccola libreria accanto alla scrivania del suo Boss:
la biblioteca di Narumi Soukichi era molto ben fornita, lo era sempre stata, ma
c'era un solo libro, tra tutti, che amava leggere e rileggere, il preferito del
suo maestro.
Con mano
tremante e infinita cautela, estrasse il volume dalla copertina vecchia e
sdrucita dal posto che occupava nel ripiano più alto della libreria e,
stringendoselo al petto, andò ad accoccolarsi sulla morbida poltrona del Boss,
che si trovava giusto accanto alla stufa.
Sbirciando l'orologio a muro, vide che non erano neppure le 14: Shotaro
ricordava che il Boss aveva detto che, prima delle 18, non sarebbe tornato in
ufficio perchè doveva vedere una cliente e si era raccomandato che finisse di
rimettere in ordine tutti i rapporti prima del suo ritorno.
Aveva
appena finito, no?
Quindi
nulla gli impediva di sfogliare a piacere quel romanzo, giusto?
Cosa che
fece all'istante, concentrando la propria attenzione sull'inizio del terzo
capitolo.
...Tre
giorni prima di Natale ricevetti un assegno al portatore di una banca di Las
Vegas, per la somma di cento dollari. Lo accompagnava un biglietto scritto su
carta intestata di un albergo. Terry mi ringraziava, mi augurava un buon Natale
e ogni felicità...
Quel
libro era senza dubbio uno dei suoi preferiti, se non IL suo preferito: si era
sempre chiesto come potessero due persone, appena conosciutesi, sviluppare un
legame di amicizia così intenso, così vero, un legame che difficilmente, in
condizioni normali, avrebbe potuto esserci.
Accanto a
Narumi Soukichi come assistente, in quell'anno, aveva imparato moltissime cose,
aveva aiutato moltissime persone, eppure non aveva ancora incontrato nessuno in
grado di far scoppiare quella “scintilla” - come il Boss la chiamava - che era
scoppiata tra Marlowe e Lennox in quel parcheggio male illuminato del
Dancers, in una Los Angeles fin troppo
cosmopolita e patinata per i suoi gusti, che suscitava il suo interesse
unicamente per quelle due figure che si gravitavano attorno come pianeti
gemelli. E credeva che, ormai, a ventitrè anni, sarebbe stato stupido,
oltre che infantile, sperare ancora di poter vivere un'esperienza del genere.
Di poter
avere un amico del genere accanto a sé.
Perchè
era questo quello che desiderava, l'aveva sempre desiderato fin dal giorno in
cui il Boss gli aveva intimato di leggere quel libro durante l'estate
precedente, particolarmente calda e secca, un desiderio che Hidari Shotaro aveva
ingenuamente coltivato fino a quel momento, nascondendolo a volte dietro un
comportamento fin troppo simile a quello che Philip Marlowe teneva tutti i
giorni tra quelle pagine che lo vedevano protagonista.
Desiderava una parte destra, lui, che era Hidari, desiderava un “Migi”, o un
“Right”, per dirla all'inglese.
Left and
Right.
Hidari to
Migi.
Desiderava qualcuno che facesse scoccare la scintilla, due persone in un solo
corpo, figurativamente parlando.
Nervosamente, si passò una mano tra i capelli corti, alzando poi lo sguardo e
indugiando sul cappello bianco appeso proprio sopra la sua testa, lo stesso che
il Boss indossava ogni giorno ma che ancora a lui non era permesso farlo.
“Potrai
indossarlo quando sarai divenuto un vero uomo”
Queste
erano le parole che gli rivolgeva quasi quotidianamente.
“Quando
avrai capito quella scintilla, potrai indossarlo.”
Le parole
che il Boss aveva usato per concludere il suo discorso erano state pronunciate
mentre la mano di questi andava a sfiorare con le dita la fascia nera che
decorava quel fedora bianco come la neve, un cappello meraviglioso che era un
po' il marchio di fabbrica di quel taciturno detective originario di Osaka che
aveva acconsentito a prendere con sé, quasi adottandolo come un figlio, quel
bambino - divenuto un ragazzo che divora la strada della vita con una rapidità
sorprendente – che tanto lo aveva ammirato durante l'infanzia.
Ma quella
scintilla, Shotaro l'aveva capita eccome, la desiderava ardentemente!
Stretto
nel suo gilet nero, il ventitreenne, ipnotizzato dallo scorrere delle parole,
non si accorse del ritorno del suo Boss neppure quando, per l'oscurità
incipiente, questi andò a inciampare nei gradini dell'ingresso.
Rimase
imbambolato a leggere fino al momento in cui un coppino non lo prese dritto in
fronte, facendogli cadere di mano il volume con un lamento a stento trattenuto:
“Ti sei distratto.” notò semplicemente Narumi, muovendosi a tentoni nel buio per
accendere la luce, “Come facevi a leggere?” chiese ancora, dandogli le spalle
per avvicinarsi al cucinino.
Shotaro
si massaggiò la fronte stiracchiandosi: “Ormai lo conosco a memoria, Oyassan.
Posso citarle interi passi, mi basta lasciare andare la mente da sé.”
L'uomo
non rispose, si limitò ad armeggiare con il bollitore, e lo fece per parecchi
minuti prima di bloccare Shotaro sul posto con le sue parole, proprio mentre il
giovane si allungava per riporre il libro nello scaffale: “Puoi tenerlo, te lo
regalo.” annunciò improvvisamente.
Stupefatto e incredulo, Hidari restò in punta di piedi con il corpo del tutto
poggiato contro la struttura in legno bianco dipinto e le mani colte nel
movimento di spingere in dentro la costa del libro.
“Tiralo
giù e mettilo sotto il tuo cuscino.”
Evidentemente ci aveva sentito bene.
“E'
sicuro, Oyassan?” azzardò lui, scioccato e al tempo stesso emozionato.
“Si,
sono sicuro. Mettilo via prima che ci ripensi. Poi cambiati e preparati, verrai
con me.”
Quella
doveva essere di certo la notte delle sorprese: “E dove andiamo?” domandò con
curiosità Hidari.
“A
salvare un ragazzino. Io esco un attimo, tu sbrigati.”
Dicembre 2010
Distesi
al buio e in silenzio, con le mani intrecciate e i cuori che battevano
all'unisono, Philip e Shotaro ascoltavano quietamente i rispettivi respiri
appena accennati.
Pace,
immersi nella tranquillità che il sapersi vivi e uniti porta con sé.
Erano
sdraiati sul letto della camera di Hidari e, ad entrambi, sembravano passati
giorni, sospesi in una bolla di sapone e irreali, da quando Philip si era
riappropriato all'improvviso della vita che gli spettava di diritto, ritornando
in uno sfolgorante alone di luce verde, non più semplice ammasso di dati
miracolosamente plasmato nella forma umana che la città aveva imparato ad amare,
ma vivo, composto da carne pulsante e respiro autentico.
Un corpo
tangibile, finalmente.
E invece
erano passate solo un paio d'ore, nulla di più: ore che però la mente del
detective aveva recepito come infinite, nel breve lasso di tempo in cui era
rimasto separato dal ragazzo che aveva imparato teneramente a chiamare Aibou,
il suo insostituibile partner.
Subito dopo la sconfitta di Energy, Philip ci
aveva messo un po' a riprendersi, forse a causa del nuovo corpo: per parecchi
minuti, il ragazzo era rimasto abbandonato tra le braccia di Akiko prima e poi
tra quelle di Shotaro mentre Terui chiamava un'ambulanza per soccorrerlo.
Per tutto il tempo, Hidari non aveva fatto
altro che accarezzare i capelli del più giovane, sussurrandogli qualcosa
all'orecchio.
Poi, finalmente, i soccorsi erano arrivati e
Shotaro, strepidando e gridando, era riuscito a strappare il permesso di seguire
Philip in ospedale.
E'
sotto la mia tutela!
Questo era stato il grido irritato del
detective, l'arma che aveva usato per poter accompagnare Philip.
Ed era
vero, virtualmente. Malgrado la mancanza di documenti ufficiali, Philip era
ancora minorenne e spettava a lui, Hidari, prendersi cura del sedicenne, del
“Prezioso Aibou che il Boss mi ha affidato”.
In una
vaga nebbia di ricordi, il maggiore ricordò i momenti trascorsi all'ospedale, il
risveglio del moro, l'arrivo di Terui con un paio di colleghi...
Il
riconoscimento di Philip come Raito Sonozaki e il riconoscimento del suo stato
di unico erede della defunta famiglia, stato che però il ragazzo rifiutava
mentre, accanto a lui, Shotaro lo teneva stretto con un braccio attorno alle
spalle.
E infine
il ritorno a casa.
Da
allora, da quando Hidari si era portato cautamente in spalla il minore su per le
scale, erano rimasti in quella stanza, assieme, desiderosi unicamente di stare
quanto più possibile in quella situazione.
Forse
avrebbero dovuto chiamare gli amici, dire loro che Philip era tornato a casa,
che il viaggio-studio all'estero era finito, -niente più bugie- ma nessuno dei
due sembrava intenzionato a essere il primo ad alzarsi, a interrompere quel
contatto, così semplicemente erano rimasti lì.
All'improvviso, il moro rotolò su di un fianco, andandosi ad accoccolare contro
il petto del compagno mentre questi gli accarezzava la fronte tiepida e
sospirava con un lieve sorriso a sfiorargli le labbra: “Ho sonno, Shotarou...”
biascicò Philip.
Hidari
annuì, sistemandosi meglio con la schiena per far stare più comodo l'altro: “Ci
vorrà ancora un po' prima della cena. Se vuoi dormire un po', fai pure ma
prima... Volevo darti qualcosa...” sussurrò in un soffio di voce lievemente
incrinata dal pianto.
Con
l'interesse risvegliato, Philip puntò i suoi grandi occhi scuri in quelli del
detective, liquidi di commozione mentre gli allungava un pacchetto ben
infiocchettato: “Volevo regalartelo per il tuo compleanno...” ammise, abbassando
lo sguardo per non far notare l'imbarazzo, “Anche se, ora come ora, non saprei
che data tenere... Quella scritta sui documenti oppure quella che avevamo deciso
noi...” borbottò, “Comunque, volevo regalartelo. Spetta di certo più a te che a
me...” e gli allungò un pacchetto.
Philip lo
prese, lo soppesò per parecchi secondi, forse cercando di capire di cosa si
trattasse, salvo poi levare con cura la spessa carta rossa e verde da regalo e
ripiegarla con precisione.
Accomodato in grembo a Shotaro, con la poca luce che filtrava abbastanza dalle
veneziane per illuminare decentemente il letto dove si trovavano, Philip scartò
un libro, vecchio all'apparenza, ma tenuto con grande cura.
Hidari lo
strinse con cautela a sé: “Sai cos'è?”
“Il
Lungo Addio, scritto da Raymond Chandler nel 1953.” replicò pigramente l'altro.
Il
detective annuì: “Me lo regalò il Boss, voglio che lo abbia tu.” sussurrò:
“Spetta a te, aibou.”
Philip
non rispose, la copertina lo attirava: era certo di averla già vista da qualche
parte, ne era sicuro al cento per cento, ma la sua memoria non contribuiva ad
aiutarlo. Eppure, gli dava una piacevole sensazione di calore, una sensazione
che si prova unicamente quando si è amati, esattamente come in quel momento.
“Perchè?”
gli chiese con tono neutro, saggiando con le dita la grana della carta: “E' un
dono di Narumi Soukichi, sei certo di volerlo dare a me?”
“Certo
che sì, razza di stupido.” lo rimproverò Shotaro con tono irritato: “Il Boss ti
ha chiamato Philip in onore del protagonista di questo libro, spetta più a te
che a me. Senza contare che...” il detective si morse il labbro inferiore,
incapace di parlare e andare oltre.
Diamine!
Per tutto
quel tempo, il suo sogno si era realizzato, lo aveva avuto davanti agli occhi, e
ora non aveva il coraggio di dirlo, di esternare tutta la sua gioia per aver
trovato quella scintilla a cui tanto agognava, per aver trovato il “suo” Terry.
Ventiquattro anni di attesa avevano portato a quello, come poteva lasciare in
sospeso una cosa del genere, dopo tutto ciò che avevano passato assieme, dopo
tutti i sentimenti messi in gioco in quel lungo anno in cui, da perfetti
estranei uniti dal trauma della morte e da un legame strano e sconosciuto, erano
diventati le due parti cui Hidari anelava tanto?
La
Sinistra aveva trovato la sua Destra a cui unirsi.
“Grazie,
Shotarou.”
Con un
tenero sorriso, limpido e vero, Philip gattonò fino a trovarsi col volto a pochi
centimetri da quello del compagno prima di gettargli le braccia al collo:
“Grazie, Shotarou, per avermi donato un passato, e una famiglia.” mormorò
nell'incavo del suo collo.
“Grazie
a te di essere tornato da noi, aibou...” riuscì a biascicare il maggiore, pur se
a fatica, il groppo in gola non ne voleva sapere di scendere: “Grazie
davvero...” a stento riuscì a trattenere un singhiozzo.
Con le
braccia avvolte attorno al tronco del busto del compagno, Philip riuscì ad
accarezzargli con facilità la schiena nel tentativo di calmarlo con parole
unicamente loro, speciali perché veicolate e legate a un'alchimia di anime
davvero rara e importante, la loro.
Quando
finalmente il ventiquattrenne si decise a tranquillizzarsi, questi aumentò la
presa sul corpo fin troppo fragile del suo aibou, incapace di lasciarlo andare
per alcun motivo.
Si, forse
era vero che poteva avergli donato un passato, e il calore della loro famiglia,
che di normale non aveva nulla, tra informatrici e informatori, una ragazzina in
procinto di sposarsi con un ispettore di polizia, un Babbo Natale sempre fuori
stagione: eppure il dono più grande, era stato Philip a farlo a Shotaro.
Ed era
stata la sua amicizia.
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