DISCLAMER
DISCLAMER:
Autore:
AmarantaB
Summary:
Il Celebrity Deathmatch ;) House contro Cameron.
Quando l’amore non viene accettato, spesso si
commettono immensi sbagli. Ma è proprio vero che chi ama, sa sempre perdonare?
Spoilers:
No one peeps!! ;)
Pairs:
House/Cameron... ma non escludo qualche colpo di scena!
Timeline:
E’ una sorta di AU. Diciamo che questa storia parte a metà della seconda
stagione, e poi vive di vita propria!
TOMORROW NEVER KNOWS
Da una canzone dei The
Beatles
NEAR THE END
Capitolo 1
Vuoti di memoria non c’è posto per tenere
insieme tutte le puntate di una storia,
piccolissimo particolare ti ho perduto senza
cattiveria.
(Samuele Bersani, “Giudizi Universali”)
Allison aprì con
prepotenza l’ingresso del Princeton.
Non aveva nessuna voglia
di lavorare quel giorno, e a dirla tutta, avrebbe preferito evitarlo per i
prossimi dieci anni.
Come di consueto, aveva
trascorso una nottata terribile e, come di consueto, la metà dei pensieri erano
rivolti a quel dannato misantropo senza cuore.
Non che non se lo fosse
tolto dalla testa, questo no, ma doveva prendere atto che nei momenti di
maggiore sconforto era inutile non tentare di pensare a lui.
Stranamente, in quel
periodo, House era sinonimo di problemi.
Anzi, non era nemmeno
troppo bizzarro. Dopotutto, per quel che la riguardava, Gregory House era sempre
strano un enorme problema.
Ingombrante come un
elefante all’interno dei caravan del circo.
Ridacchiò al pensiero.
Le piaceva quella
metafora, avrebbe dovuto tenerla a mente.
Superò il banco delle
infermiere, ed entrò decisa nell’ascensore.
Fortunatamente, almeno
per quella volta, poteva evitare di dividerlo con qualcuno.
La lieve pressione del
mezzo che cominciava la corsa, le fece fischiare leggermente le orecchie.
Tipico.
Per levarsi quel
fastidio, avrebbe dovuto deglutire per una buona mezz’ora. Sbuffò, leggermente
infastidita.
Una lieve scossa la
informò che la corsa era finita.
Uscì senza guardarsi
intorno, speranzosa solo di arrivare in ufficio e trovarlo confortevolmente…
vuoto.
E così fu.
Sicuramente, a breve,
sarebbe esploso un meteorite. Era raro che i suoi desideri venissero esauditi
con quella semplicità.
Si tolse la giacca e,
con un gesto fluido, infilò il camice bianco.
Quel capo, la faceva
sentire diversa.
Era una sorta di
protezione da qualsiasi dolore, sia fisico che mentale, e indossarlo la faceva
sentire immune.
Un’immunologa immune!
Probabilmente a forza di
frequentare House, aveva incorporato un po’ del suo sarcastico senso
dell’umorismo.
Bhè, dopotutto era
un’arma che poteva tornarle utile.
Si sedette, e cominciò a
classificare alcune cartelle cliniche.
Non avevano casi
interessanti per le mani, e il lavoro di classificazione aspettava solo di
essere portato a termine.
Prese una penna, e
scribacchiò qualcosa sul suo block notes. Non amava particolarmente quel genere
di compiti, ma se non altro la sua scrittura era comprensibile. Avrebbe pagato
pur di non dover decifrare la scrittura dei suoi colleghi uomini.
Per non parlare di
quella di Greg.
La sua era simile
all’aramaico antico.
Spesso si era dovuta
sforzare fino all’inverosimile, per capire cosa diavolo andasse scrivendo su
quella dannata lavagna bianca.
Un lieve spostamento
d’aria, portò con se la robusta figura di Foreman.
“Buongiorno, Cam”.
Lei gli rispose con un
cenno della testa, e l’uomo buttò gli occhi al cielo.
Compiendo i suoi stessi
gesti di qualche minuto prima, anche Foreman indossò il suo camice.
“Dimmi che è arrivato
qualche caso interessante”, mormorò lui.
“Spiacente”, sorrise,
“Dovrai sederti e classificare le cartelle insieme a me”.
Lui le voltò le spalle,
e si versò una generosa sorsata di caffè nella tazza accanto al bollitore.
“E Chase?” chiese.
“Non è ancora arrivato”.
“House?”
Lei fece spallucce. “Le
opzioni sono due: o e in giro per l’ospedale, o è ancora a casa a dormire”.
Lui annuì e si sedette.
Non le offrì il caffè,
ed Allison lo trovò un gesto molto poco gentile.
L’interfono suonò,
spezzando il pesante silenzio della stanza.
“Si?” rispose lei.
Era la Cuddy.
“Benissimo. Arriviamo
subito”.
Fece per riattaccare, ma
di scatto, rialzò la cornetta, “Potrebbe ripetere per favore?”
Foreman la scrutò con
rinnovato interesse.
“Non so dove sia, mi
spiace. Ci siamo soltanto io e Foreman”, annuì, lasciando andare un sospiro,
“Arriviamo”.
Foreman la guardò
riappendere la cornetta, con una buffa espressione interrogativa a dipingergli
il volto.
“Era la Cuddy, ci vuole
consegnare un caso”.
“Bingo!” sorrise lui.
L’ufficio di Lisa Cuddy,
era grande quasi quanto la sua fama di donna dai nervi d’acciaio.
I toni della tappezzeria
e dei mobili erano insolitamente caldi, per uno studio ospedaliero. Un tipico
tratto femminile.
La donna stava spiegando
con tono estremamente professionale i sintomi di una giovane donna di ventidue
anni.
Da quello che risultava
dall’anamnesi, la ragazza di nome Meredith, aveva contratto un tipo molto
particolare di fungo della pelle. Il suo corpo era ricoperto di crosticine
sanguinolente, che le deturpavano irrimediabilmente il volto.
Terribile!
“Credo che non si tratti
solo di un fungo…” mormorò la Cuddy, accavallando le gambe.
“Pensa sia una sorta di
allergia da contatto?” domandò Chase in piedi, accanto al muro.
Era arrivato in ritardo,
e la Cuddy, nonostante il gran daffare, non gli aveva risparmiato una bella
lavata di capelli.
Lei lo guardò dal basso
versò l’alto.
“Potrebbe essere”,
mormorò, “Ma non sono io il genio delle malattie infettive”.
Guardò l’orologio, e
nonostante i tentativi, la sua rabbia era decisamente percepibile.
“Dove diavolo si sarà
cacciato House?”
La porta si spalancò, e
il dottore fece il suo ingresso. Un sorriso smagliante, e gli occhi divertiti.
“Ciao Raggio di Sole, mi
cercavi?”
Lei lo fulminò con lo
sguardo, “Ti avviso che le tue ore di ambulatorio sono notevolmente aumentate”.
“E perché mai?” domandò
lui con espressione innocente.
“Perché sei
maledettamente in ritardo, e perché abbiamo bisogno di te”.
Lui la guardò
compiaciuto, tenendo il bastone tra le gambe.
“E levati quel sorrisino
dalla faccia. Se non fossi stato così dannatamente bravo, ti avrei sbattuto in
mezzo ad una strada”, si alzò, aggirando la scrivania, “E non sono ancora fuori
tempo massimo per farlo!”
Lui si strinse nelle
spalle, e guardò Cameron, “Oh ma io ho la mia bella immunologa che mi renderà
immune dalle tue minacce!”
Cameron fece una
smorfia. Lo aveva detto lei, di aver incorporato il suo sense of humor…
“Non ci sperare!” gli
rispose, acida.
Lui si finse
impressionato, “Cos’è? Vi siete messi d’accordo per caso? Tutti contro House?”
“Sarebbe divertente!”
ridacchiò Foreman, incrociando le braccia.
“Cioccolatino, non mi
sembra di aver chiesto il tuo parere”, lo rimbrottò House.
“Greg piantala. Abbiamo
un caso”, lo zittì la Cuddy.
“Oh fantastico! E per
questo che siamo tutti qui? Per un caso?” scosse la testa, perplesso, “Che
stranezza!” borbottò.
“Vuoi piantarla di fare
l’idiota una buona volta, e ascoltarmi?”
Lui sporse in avanti il
capo, sorridendo, “Naturalmente raggio di sole!”
Lei sbuffò. Non c’era
modo di chiudergli la bocca, e se c’era, di certo lei non era stata informata.
“Meredith Burns,
ventidue anni. Il suo medico di famiglia sostiene di aver rilevato un fungo
della pelle. La ragazza ha il corpo pieno di croste e protuberanze infette. Una
sorta di varicella alla massima potenza”.
Lui annuì, “Quindi?”
“Come quindi?” domandò
lei sbalordita.
“Io cosa dovrei fare?”
Lei scosse la testa,
incredula, “Devi fare una diagnosi. Ti paghiamo per questo”.
“Hai detto che è un
fungo della pelle, no?”, le sorrise, “E allora chiama un dermatologo”.
“Lo prediamo!” Cameron
si era alzata in piedi, prendendo la cartella dalla scrivania della Cuddy.
“Ce ne occupiamo noi”,
ripeté, “Se non è un fungo, scopriremo di che si tratta”.
“Ehi, ehi!” House le
piazzò il bastone dinanzi, “Da quando in qua tu decidi di accettare un caso? Mi
sono perso qualche puntata?”
“Ti manderò il cofanetto
dvd con tutta la serie a casa, non temere”, lo canzonò lei serissima.
“Greg”, Lisa lo fissò
negli occhi con risolutezza, “Non te lo sto chiedendo. Te lo sto ordinando”.
Cameron bussò
leggermente alla porta dell’ufficio di Greg.
Lui l’aveva fatta
chiamare da Chase, dicendo che doveva necessariamente parlarle.
In privato.
Se fosse successo
qualche tempo fa, avrebbe saltellato dalla gioia, ma adesso…
Non le andava di
rimanere troppo tempo da sola con lui. La sua maschera di rabbia e freddezza,
non sarebbe durata tanto a lungo.
Atrocemente conscia dei
suoi limiti, abbassò la maniglia ed entrò nell’ufficio.
Lui era seduto, i piedi
mollemente abbandonati sopra la scrivania, e le mani incrociate dietro la nuca.
Alla sua destra, il
computer diffondeva un’aria classica.
Wagner. Tristan und
Isolde.
Scelta interessante.
“Pensavo non venissi”,
disse lui senza cambiare di un centimetro la sua posizione.
Insousciante.
Se c’era un aggettivo
che poteva definirlo in quel momento, era sicuramente quello. Insousciante.
“Sei il mio capo. Se mi
chiami, devo venire. E’ la regola.”
Lui la guardò con
espressione indecifrabile.
“Bene. Allora il tuo
capo ti chiede una cosa”, la fissò negli occhi, “Che diavolo ti prende?”
Allison lo guardò senza
capire, “Cosa intendi?”
Lui tolse i piedi dalla
scrivania, poggiandoli a terra senza grazia.
“Quello che ho detto”.
Lei fece un paio di
passi avanti, entrando nel cono di luce della lampada pied-à-terre.
“Non riesco a seguirti
Greg”.
Lui si alzò in piedi,
prendendo distanza dalla sua esile figura.
Un rifiuto.
L’ennesimo.
“Per essere
un’immunologa, manchi sicuramente di perspicacia, mia cara”.
Lei lo ignorò
volutamente.
“Possiamo andare dritti
al punto? Avrei del lavoro da fare”, lo incalzò.
“Cos’è che ti rende così
caustica? Hai le mestruazioni per caso?”
Uno a zero per lui.
Cameron era arrossita,
chinando lievemente il capo.
“Senti House, non ho la
benché minima intenzione di starmene qui a prendere i tuoi insulti. Hai detto di
volermi parlare… bhè, parla”.
Lui strinse il bastone
nella mano destra.
“Hai qualche problema
con me, per caso?” indagò.
Lei ridacchiò, “Come se
questa fosse una novità.”
“Ebbene, elencami questi
problemi. Non mi piace lavorare con gente che non riconosce la mia autorità.”
Stranamente
professionale.
Allison si domandò se
per caso, non ci fosse qualcosa dietro.
“Sai benissimo che tipo
di problemi ho, Greg. Non c’è bisogno che mi umili ulteriormente elencandoteli”.
Lui annuì
impercettibilmente.
“Credo che questi
problemi ti impediscano di lavorare al massimo delle tue possibilità”.
Lei non disse nulla, si
limitò a tenere lo sguardo fisso sulla sua bocca.
Non poteva guardarlo
negli occhi.
Non doveva
guardarlo negli occhi.
“L’hai detto tu. Non
io”.
“Ma non stai smentendo
le mie illazioni, e questo prova che ho ragione”, le offrì un sorriso
compiaciuto, “Come sempre”.
Lei sbuffò, “Continuo a
non capire dove tu voglia andare a parare Greg.”
Lui la guardò furente.
“Sei in ferie.”
“Che cosa?” gridò lei.
“Hai capito. Sei in
ferie. Ti chiamerò io quando sarò convinto che potrai tornare”.
Allison scosse la testa,
non credeva alle sue orecchie.
“Stai scherzando, vero?”
Lui le si piazzò
davanti, sostenendo il suo sguardo.
“Non è più il momento di
scherzare. Sei fuori Cameron. Vattene a casa.”
“Tu… non puoi farmi
questo”.
Aveva le lacrime agli
occhi.
“Certo che posso”, la
contraddisse lui, “Sono il tuo capo, rammenti?”
“Sei un bastardo, ecco
cosa sei”, ribatté lei con voce venata.
“Non si discute,
Cameron. Sei in ferie per un po’. Vattene a sciare, o al mare, o stai a casa e
rifletti sulla tua misera vita. Fai quello che ritieni più giusto, ma per il
momento sei fuori. In questo stato non mi servi.”
“Non ti servo??” stava
scuotendo la testa con furia, “Cosa pensi che sono? Il tuo gingillo? Non puoi
farmi questo House. Non ne hai il diritto”.
“Ma ho il dovere di
fornire ai miei pazienti l’assistenza medica migliore. Tu non mi aiuti in questo
scopo. E adesso, fuori”.
Allison guardò l’uscio,
poi lui, poi nuovamente l’uscio.
“Me la pagherai House”.
Lui la guardò uscire
dalla stanza con lunghe falcate.
“Bon voyage, Cameron”.
“An when
you feel you’re near the end,
will you
just turning over the stars again.”
David
Gilmour, “Near the end”
TO BE CONTINUED...
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