Guardian
Angel
Gerard adorava le notti senza luna, senza stelle, senza niente. Amava il
cielo spento e più nero dei suoi capelli, un cielo che non
lasciava speranze, di un buio che sembrava dilatarsi anche oltre
l'orizzonte, oltre l'infinito, come se potesse inghiottire
improvvisamente tutto il mondo.
Gerard amava le notti senza luna, senza stelle, senza niente. Quelle
notti vuote e spaventose che da bambino lo facevano tremare fortissimo,
quelle notti così silenziose che si dilatavano verso
l'infinito e che venivano spezzate dal solito rumore di spari che
sembrava non finire mai. Bang,
bang, bang. Sempre così, fino alla mattina
successiva, finché qualcuno non andava a raccogliere i corpi
spezzati di persone che non si sarebbero alzate più, che non
avrebbero più vissuto.
Morte,
tutte morte,
cadaveri bianchi stesi nel buio di quelle notti spente.
Gerard sospirò, passandosi una mano sul viso.
Perché doveva pensare a quel genere di cose proprio ora?
Era seduto su una panchina qualsiasi, una di quelle panchine dove i
ragazzi innamorati scrivono promesse di amore eterno che poi sarebbero
state comunque infrante, perché il per sempre esiste
solo per le persone sole. La panchina era al buio, benché
lì accanto ci fossero due lampioni che gettavano la loro
luce cruda e ancestrale sui marciapiedi di quella città
senza nome - forse un nome ce l'aveva anche, ma Gerard non voleva
pensarci, non era importante.
Gee frugò nelle tasche della sua giacca ed
afferrò il suo pacchetto di Malboro rosse: era stropicciato
e distrutto, doveva assolutamente ricomprarne un'altro prima di partire
verso l'ennesima città senza nome, pronto a salvare vite. La
sua si stava distruggendo contro un muro freddo di false promesse e
ricordi orribili, ma nonostante ciò riusciva comunque a
salvare vite. Spesso si chiedeva come potesse riuscirci, quando la
prima persona che aveva bisogno di essere salvata era lui.
L'eroe che muore dentro;
faceva tanto film di animazione di terza classe senza né
capo né coda. Peccato che lui non fosse uno stupido
supereroe, non lo era: era una persona,
uno schifo di persona un po' sbronza e un po' drogata seduta su una
panchina, in una notte senza luna, senza stelle, senza niente.
Si era sistemato il cappuccio della sua felpa preferita sulla testa,
come se quel semplice gesto potesse proteggerlo dal mondo esterno, ma
Gee sapeva che niente lo avrebbe protetto dagli spari, niente. Che senso
aveva, ormai? Tutto sembrava così sfocato, così
inutile e privo di senso, tranne che stare lì su quella
panchina a fumare la sua ultima Malboro.
Che scena patetica.
Gerard sentì un violento senso di repulsione per se stesso:
voleva solo togliersi la pelle di dosso, strapparsi la faccia ed
indossare una maschera qualsiasi, diventare qualcun altro. Chiunque, andava
bene chiunque, tutti tranne Gerard Way.
Aveva preso due tiri dalla sua Malboro quando sentì un
rumore di passi, lì vicino. Qualcuno si stava avvicinando.
Gerard sapeva perfettamente chi fosse, ma se ne fregò lo
stesso: solo un idiota come lui
poteva venire a cercarlo, solo lui.
E infatti, eccolo: Frank apparve quasi dal nulla, come un fantasma
sputato fuori da quella notte senza niente perché troppo
bianco per coesistere con il nero che lo circondava. Frank era
semplicemente troppo bianco per stare accanto al nero, e Gerard lo
sapeva.
Che metafore del cazzo che faceva. Andava avanti con quelle schifose
metafore del cazzo che sembravano piacere a tutti tranne che a lui.
Gerard sospirò, passandosi una mano sulla faccia, mentre
Frank si sedeva accanto a lui, in silenzio.
- Che ci fai qui? - domandò dopo qualche minuto il
più piccolo, sistemandosi comodo sulla panchina.
Non ricevette risposte: Gerard si limitò ad osservarlo in
silenzio, prima di scuotere la testa e tornare a fissare il cielo
spento e vuoto.
- Perché non sei rimasto alla festa? - chiese ancora lo
Iero, a voce bassa. Non era neanche ubriaco: quel minuscolo esserino
bianco di Frankie reggeva l'alcool che era una meraviglia, Gerard non
lo aveva mai visto veramente ubriaco. Frank invece non aveva mai visto
Gee sobrio; era come se Gerard vivesse in un continuo stato di
ubriachezza perenne. E non era certo un male, ma Frank moriva ogni
volta che doveva sorreggerlo mentre vomitava in un cassonetto, moriva ogni fottuta volta.
Gerard sospirò, ma non rispose. Non la conosceva neanche
lui, la risposta: perché era lì,
perché non era rimasto alla festa, perché se
n'era andato da solo? Perché era uno schifoso asociale del
cazzo, perché preferiva sedersi su una panchina piena di
promesse d'amore come il drogato che effettivamente era
anziché stare in mezzo alle persone della sua vita.
Ma ovviamente non lo disse: che
senso aveva, dopotutto?
- Mi piacciono le notti così - borbottò il
più grande, dopo qualche istante. - Spente, fredde, vuote.
Notti senza senso -
- Gee, sei completamente fatto, vero? - era una domanda retorica,
entrami sapevano la risposta, quindi Gerard lo ignorò.
- Non c'è niente,
è tutto buio, tutto vuoto, tutto spento. Non c'è
un cazzo di niente,
Frank -
- Ci siamo io e te -
- Ma io non sono niente - affermò Gerard, ridacchiando - Non
sono niente
-
Frank si sentì stringere il cuore, ma non sapeva cosa fare.
Gerard lo spiazzava, distruggeva tutte le sue bariere, lo lasciava
scoperto e vulnerabile davanti a quella valanga di nero che era la sua
anima. Gerard era nero e Frank era bianco: erano diversi, forse troppo
per comprendersi fino in fondo. E non comprendersi significava
soffrire.
- Ti sbagli -
disse Frank, dopo qualche istante, ma non appena le parole
abbandonarono le sue labbra si rese conto di aver detto la cosa
più idiota del mondo. Era sempre così con Gerard:
non sapeva mai cosa dire per non farlo soffrire, per farlo stare un po'
meglio. Forse non c'era un modo per farlo stare meglio, forse non
esisteva.
Gerard sbuffò, voltandosi.
- Quante stronzate spari, Frank. Spari un sacco di stronzate -
- Non su cose del genere -
- Continuo a sentire solo stronzate uscire dalla tua bocca -
- Non è vero che non sei niente, Gerard. Tu... tu sei... sei qualcosa -
- Qualcosa?
- Gerard scoppiò a ridere - Qualcosa, Frankie? E cosa
sono? Cosa? -
- Sei... Gerard, non lo
so! - esclamò Frank, voltandosi di scatto verso
di lui - Che cazzo vuoi sentirmi dire? Dimmi cosa devo dire per farti
stare meglio, perché non so più che fare con te, non lo so più
-
Gerard smise di ridere e guardò Frank negli occhi, in
silenzio. Si perse negli occhi di Frankie, immerso in quella notte
buia. Quei due stramaledetti occhi sembravano brillare come due
schifosissime stelle, ed erano meravigliosi, i più belli che
Gerard avesse mai visto. Quando Gee guardava negli occhi di Frank, ci
vedeva l'universo intero: pianeti, soli, galassie e tutte quelle altre
stronzate scientifiche che non aveva mai voluto imparare quando andava
a scuola. Quando Gerard guardava negli occhi di Frank, si perdeva in
essi, si annullava nel loro colore e nella loro profondità.
Fu facile, poi, avvicinarsi e posare le sue labbra su quelle del
più piccolo. Lo strinse a sé possessivamente,
come se non ne potesse fare a meno e lo baciò con le sue
labbra sottili e screpolate. Sentì il corpo di Frank tremare
tra le sue braccia, sentì le labbra del più
piccolo modellarsi sulle sue, dischiudersi rapidamente, proprio come se
anche lui non avesse aspettato altro che questo. Gerard fece scivolare
la sua lingua nella bocca di Frank e approfondì il bacio in
maniera quasi disperata, cercò di buttare in quello
stupidissimo bacio tutto il dolore, la rabbia e il bisogno che sentiva
dentro, cercò di buttare un po' di nero dentro Frank, di
sporcare tutto quel bianco per poterlo tenere con sé in
quella notte buia, magari fino alla fine del mondo. Perché
alla fine dei giochi, era di questo che aveva bisogno: Frank, le loro
lingue che si intrecciavano, il suo sapore sulle labbra e nella bocca,
il suo profumo addosso. Era di questo che Gerard aveva bisogno, solo di
questo, ma dirlo sarebbe stato così patetico, e
preferiva non farlo.
Quando si divisero, Frank strinse Gerard a sé. Fu un
abbraccio quasi disperato, come se entrambi avessero bisogno di
stringersi per rimanere in piedi, per non affondare nel buio di quella
notte così vuota. Gerard affondò il viso nel
petto di Frank, respirò il suo profumo ed ebbe quasi
l'impressione di sentirsi bene.
- Sei il mio angelo custode, Frankie
- sussurrò, in quella schifosissima notte vuota e buia,
stringendosi a Frank come se fosse l'unico modo per rimanere a galla,
come se non potesse fare altro di più.
Frank rimase in silenzio, perché, come al solito, non
sapeva cosa dire.
Strinse Gerard a sé con più forza, affondando il
viso in quella matassa scomposta che erano i suoi capelli.
Si ubriacò del suo profumo, immerso nel silenzio ancestrale
di quella notte spenta.
"Lo sarò
sempre, Gee".
_Cris
Corner
Sì, ho scritto un'altra Frerard.
Sì, sono una drogata di Frerard.
*porge cassa di pomodori* Colpitemi senza pietà, me lo
merito.
Non so neanche perché sto appestando questo povero fandom
con questa... questa
cosa, ecco.
Semplicemente, avevo voglia di postare.
L'intera shot è stata ispirata dalla prima frase della mia
precedente Frerard.
Be', erano un paio di giorni che volevo parlare un po' di Gerard, ed
ecco qui.
Ovviamente è ambientata nel periodo più nero
della vita di Gerard (YOU DON'T SAY?), e... boh, non so che dire.
L'ho scritta ascoltando
"The Ghost Of You".
Questa shot sprizza nonsense da ogni poro, già.
Così come le note autrice, e come l'autrice stessa.
Ho voglia anche di ringraziare qualcuno, quindi ringrazio Saya e Lia che mi sono
sempre vicine in ogni momento, anomys
che è una persona favolosa e mi tira sempre su di morale, Maria (muahahah, uso
il suo vero nome, mi sento molto trasgressiva) perché
è la mia costante fonte di ispirazione e l'adoro da morire,
la mia Charlie
perché le voglio un casino di bene che neanche si immagina
e... boh, non ho nessun'altro da ringraziare.
Ora mi eclisso!
Un bacione graaande grande,
_Cris
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