Titolo
Titolo: I’m Sherl-Oki
Fandom: Sherlock (BBC)
Pairing/Personaggi: Sherlock Holmes, John Watson
Rating: Pg
Charapter: 1/1
Beta: Stateira ♥
Words: 1060 (fiumidiparole)
Genere: commedia
Warning: crack, stupidità galoppante?
Summary: Non era mai un buon segno quando c’era troppa quiete. “Sherlock” e “troppa quiete” erano due concetti diametralmente opposti, antitetici. Eterni nemici, se la si voleva mettere giù in termini poetici.
Note: Scritta per lollare e basta. E perché Sherlock è così scemo che una cosa del genere la farebbe di sicuro con la giusta quantità di noia a tediarlo.
Comunque, diamo un paio di precisazioni: prima di tutto il titolo si riferisce al fatto che, qui in Italia, il farmaco più famoso a base di Ketoprofene è l’Oki.
Secondo: non ci sono casi documentati sugli effetti collaterali da sovradosaggio, quindi
me ne sono andata per un’idea. Prendetela come viene e non pensateci troppo, in pratica XD
DISCLAIMER: vorrei tanto possedere John, ma no, né lui né nessun altro mi appartiene .__. Neanche Sherlock, no *sigh*
Se c’era una
cosa che John Watson aveva imparato dalle esperienze della sua vita è che c’è
troppa calma a precedere una tempesta – soprattutto se quella tempesta porta il
nome di Sherlock Holmes – e che nonostante uno creda di essere preparato, non lo
è mai, mai abbastanza.
Era passata
una settimana dall’ultimo caso che aveva tenuto il suo sociopatico coinquilino,
nonché migliore amico, con la mente concentrata e solo questo avrebbe dovuto far
scattare la spia interna di John.
Non era mai un
buon segno quando c’era troppa quiete. “Sherlock” e “troppa quiete” erano due
concetti diametralmente opposti, antitetici. Eterni nemici, se la si voleva
mettere giù in termini poetici.
Quindi, quando
alle tre di notte di un martedì, John si riscosse dal sonno con la spiacevole –
ma netta – sensazione di essere osservato, sapeva già chi avrebbe trovato
appollaiato sulla sedia addossata al muro.
-John,- lo
chiamò una voce. Lenta, calma, profonda. John aprì gli occhi di scatto, la
sonnolenza completamente svanita. -John, svegliati. John, devi svegliarti, non
posso fare da solo, John. Ho bisogno del mio blogger, John. John. John?
John prese un
respiro profondo e si voltò, mettendosi a sedere.
-Che cosa c’è,
Sherlock?- chiese, accendendo l’abat-jour.
Sbatté le
palpebre per riabituare la vista e scacciare via il sonno, mentre Sherlock
strizzava le sue e se le riparava con una mano. Lui ne approfittò per osservarlo
e cercare di capire cosa stesse succedendo.
Era senza
vestaglia, il pigiama gli cadeva largo dalle spalle e aveva i capelli stravolti;
gli occhi erano rossi e a mezz’asta, le mani che stringevano le gambe al petto,
il mento premuto sulle ginocchia. Dondolava lentamente.
Aveva l’aria
stravolta – e non quella da “Non ho un caso, la mia mente si sta deteriorando”,
quanto più quella da “Mi sono strafatto per un esperimento scientifico, John
non guardarmi così, è per un esperimento”.
Sospirò.
Odiava quell’espressione.
-Di che cosa
si tratta, stavolta?
-Ketoprofene
sale di lisina,- rispose quello prontamente, facendo poi un profondo respiro e
stendendosi quasi sulla sedia, i talloni puntati contro il pavimento e le
braccia abbandonate lungo i fianchi.
-Sale di...
Sherlock, ti sei fatto di antinfiammatorio?
-Avevo mal
di testa.
-Quanto ne hai
preso?
-Quanto ce
n’era in casa?
-Più di mezza
confezione!-
John imprecò,
mandò le lenzuola per aria e saltò giù dal letto, accovacciandosi davanti a lui.
Gli prese un polso – freddo – tra le dita e ne controllò il battito: debole.
-Dannazione,-
morsicò tra i denti, tirandolo in piedi con delicatezza. -Stenditi,- gli ordinò
poi, posizionandogli il cuscino sotto i piedi. -Non muoverti,- aggiunse,
ammonendolo con il dito, mentre Sherlock lo guardava con un sorriso placido e le
dita intrecciate sullo stomaco.
Aprì l’armadio
e si passò una mano tra i capelli, cominciando poi a scartare i campioni di
medicinali che si era portato dall’ambulatorio – lo sapeva che avrebbe finito
per usarli a causa di Sherlock, lo sapeva. Stupido incosciente.
Si fece
scivolare una pillola di carbone attivo sul palmo della mano e richiuse l’anta,
tornando accanto all’altro.
-Questa
dovrebbe bastare, ingoiala,- gli ordinò, sostenendogli la testa per aiutarlo a
mandarla giù con un sorso d’acqua. Sherlock eseguì, tornando poi a stendersi,
quel sorriso rilassato impresso sulle labbra.
John uscì
dalla stanza, tornando qualche secondo dopo con una bacinella, giusto in tempo
perché l’altro gliela strappasse di mano e ci riversasse il contenuto del suo
stomaco all’interno. Il dottore avvicinò la sedia al letto e si sedette,
cercando di sistemarsi il più comodamente possibile. Si spianò le rughe dalla
fronte con il pollice e guardò il suo coinquilino strafatto di antinfiammatorio
chino ad abbracciare la vaschetta blu.
-Sarebbe
bastata una sola bustina, idiota,- disse, pinzandosi la radice del naso. -Cosa
diavolo ti dice il cervello?-
-Volevo
testare il sovradosaggio, studiarne gli effetti collaterali,- rispose quello,
alzando appena il viso verso di lui. -Sai che non ci sono testimonianze di
overdose da sale di lisina? Dovevo sperimentarlo.
John prese un
respiro profondo, stringendo le labbra, irritato.
-Tu... sei un
idiota.
-Preferisco
considerarmi un pioniere.
-Visto che sei
tu quello che sta vomitando per un’overdose da antinfiammatorio,
perdonami, ma credo che continuerò a considerarti solo un idiota.
Sherlock
brontolò qualcosa di indefinito,rifilandogli tra le mani la bacinella e
raggomitolandosi su un fianco, dandogli le spalle. John sospirò, ripose
l’oggetto fuori la porta e tornò alla sua postazione accanto al letto,
strofinandosi gli occhi e imponendosi di rimanere sveglio per controllare quello
stupido del suo amico.
Era quasi sul
punto di crollare quando Sherlock sussultò e biascicò qualcosa.
-Cosa?-
chiese, avvicinandosi un poco, cercando di capire se stesse male. Sherlock si
agitò un po’, rotolò verso il bordo del letto, verso di lui, e aprì gli occhi.
Erano annebbiati e lucidi e John si preoccupò di misurargli la temperatura con
una mano sulla fronte.
-Rosso,- disse
Sherlock, volgendo lo sguardo su di lui, che aggrottò la fronte.
-Rosso? Cosa è
rosso, Sherlock?- domandò, controllandogli le pupille. Quello si scostò dal suo
tocco infastidito e sbatté le palpebre.
-Rossi,-
riprese -Capelli rossi ovunque, John. È un’invasione.- Sospirò e si gettò un
braccio sugli occhi, mentre John gli versava dell’altra acqua.
Il dottore
aggrottò le sopracciglia, confuso.
-Quali
capelli? Di che stai parlando?- domandò ancora, spingendolo a bere. Sherlock si
lasciò guidare, nonostante i lamenti, e tornò a stendersi con un sospiro.
-Di quelli del
fandom. Ne è pieno, John, pieno. Sembrano siano tutti convinti che mi
piacciano i capelli rossi. Certo, quelli che non sono convinti che mi piaccia
tu.
John posò il
bicchiere e si voltò a guardarlo confuso.
-Il cosa?
-Fandom, il
nostro fandom, John, quello nato a causa di quel tuo stupido blog,- brontolò
Sherlock, prendendo un lungo respiro, le mani intrecciate sullo stomaco. -Ci
shippano, il che non è una novità, in effetti. Quello che non capisco è
il rosso. Sembro uno a cui piacciono i capelli rossi, John?
-Non ne ho la
più pallida idea,- rispose lui soprapensiero. Poi rimise a fuoco la figura del
consulente e aggrottò la fronte. -Cosa... cosa significa che ci schippano?
-Shippano,
John. Significa che credono che intratteniamo prolungati e continui rapporti
sessuali, guidati da un profondo legame sentimentale.- Sherlock lo guardò e
arricciò le labbra all’insù, divertito. -Ed è tutto merito dei tuoi racconti.
John rimase
fermo, seduto al capezzale di uno Sherlock sempre più lucido e padrone di sé, e
arricciò le labbra, pensieroso. Poi si alzò e marciò fuori dalla stanza.
-Dove vai?-
-A cercare
qualcosa di più forte del Sale di lisina.
Fine.
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