Mi alzo piano, scivolando fuori dalle
coperte, attenta a non
fare il minimo rumore: so benissimo che comunque non riuscirei a
svegliarti, ma
fare le cose con cura è il mio tacito modo di esprimere
amore.
Raggiungo la cucina e preparo la
moka, la metto sul fuoco e
vado in bagno. Nel tragitto inciampo nelle mie stesse scarpe,
abbandonate
davanti alla porta d’ingresso la sera prima. Sorrido,
pensando a cosa mi
diresti: “dovresti davvero cercare
di
essere più ordinata” sbotteresti, con una finta
aria di rimprovero. Io mi
fingerei pentita, sapendo che, in fondo, mi avresti già
perdonata.
Quando torno al piano cottura, il
caffè è quasi pronto, e il
suo odore riempie già l’ambiente. Prendo un
vassoio su cui mettere le nostre
tazze preferite, e mi procuro dalla dispensa delle brioche e della
marmellata.
Mi ritrovo a sorridere ancora, pensando al solito commento che,
immancabilmente, farai: “Se continui a trattarmi
così bene, diventerò un
ciccione, e non ti piacerò più”. Che
dire, sei un brontolone patentato, ma un
adorabile brontolone. Il mio brontolone.
Con la massima leggiadria permessami
dalle tazze piene di
caffè, e attenta a schivare le scarpe che, per principio, ho
lasciato lì
dov’erano, entro in camera da letto, e mi contorco in un
silenzioso numero da
circo, poggiando il vassoio su un angolo del comò per avere
una mano libera che
sposti i tuoi occhiali. Quando sia la ceramica piena di liquido
bollente che le
tue lenti da miope sono in salvo, mi volto a guardarti.
Tu sei lì, con quella tua
aria da bambino e i capelli
spettinati, quasi perso tra le coperte aggrovigliate, mentre ti
concedi, nel
sonno, tutto il disordine che sei così impegnato a
combattere da sveglio. Sorrido,
intenerita, e mi avvicino per
sfiorarti con un bacio la guancia ispida di barba. Al contatto delle
mie labbra
il tuo respiro si fa meno profondo, e sorridi, consapevole che sono
lì vicina.
Ti stiracchi con calma, avvolgi le braccia intorno alla mia vita e mi
attiri a
te. Solo a questo punto apri quegli occhi che mi hanno sempre guardata
con un’intensità
sconvolgente, come se tutto quello che dico, o che faccio, possa
cambiare le
sorti dell’umanità.
Spalanco i miei occhi, e scopro che
il verde dei tuoi è
sparito. Le mie mani non sono sul tuo petto, il tuo respiro non
è sul mio viso,
e tutto quello che mi circonda è il mio letto, rigorosamente
vuoto, e la mia
stanza, difficilmente riconoscibile in una lievissima penombra, dovuta
alla
luce della luna.
Ti ho sognato, di
nuovo. Ho sognato noi due insieme e felici, di
nuovo. Un peso invisibile opprime il mio petto, mentre mi
crolla
addosso la consapevolezza che niente di tutto questo potrà
mai accadere. Perché
chi potrà svegliarsi al tuo fianco è lei.
Lei, che non conosco, e che nei miei
pensieri non può che rasentare la perfezione, se ha meritato
il tuo amore. Lei,
che guarderai rapito, anche se non ha niente di interessante da dire. Lei, che non sarò mai io.
Mi artiglio una guancia con rabbia
mista a disperazione, per
asciugare una lacrima sfuggita al mio controllo, mi rannicchio sul
fianco, e
spero di perdermi in un incubo terrificante che, una volta sveglia, mi
faccia
apprezzare, anche solo per un po’, di essere tornata alla
realtà.
Facsa says:
E' passata un'eternità da quando bazzicavo su questo sito. Solo ora mi sono senitita in grado di condividere qualcosa, e questo qualcosa è una piccola parte di me romanzata quanto basta da far sembrare la mia patetica cotta, degna di una tredicenne, quasi poetica. Spero che vi piaccia. |