8059
Revolution
Gokudera
strisciava i piedi a terra con indolenza e si rigirava un
pezzo di sigaretta quasi finita tra le mani. Si sentiva tutti i muscoli
stanchi e indolenziti. Alle due del pomeriggio, sotto il sole cocente
di Namimori, del resto era abbastanza normale. Buttò la
cicca
della sigaretta sul ciglio della strada. Qualche automobile passava
ogni tanto per la città deserta. Bella storia, la gente era
in
vacanza.
Beati loro, beati loro.
Forse era rimasto l' unico cretino a
non essersi mosso da quel dannato paese. Forse, semplicemente, doveva
rimanere in Italia a non far niente, godersi sole, mare e spiaggia e
cazzeggiare tutto il giorno con i quattro amici che aveva.
Aveva giudicato, quella di andare a studiare in Giappone, una bella
idea. Di sicuro non avrebbe mai pensato di ritrovarsi in un buco come
quello.
Passò davanti a un ristorante di sushi e iniziò a
sentire
lo stomaco brontolare. In quei mesi era dimagrito. Colpa della cucina
giapponese. Era di gran lunga meglio quella di casa sua. Era un
tradizionalista in fondo.
Aprì la porta venendo investito in pieno da una ventata di
aria fredda. Sia benedetta l' aria condizionata.
Il coro degli angeli nel cielo aveva iniziato a cantare Alleluia,
Alleluia.
Il proprietario gli rivolse un sorriso generoso:- Cosa desideri,
ragazzo?
-Faccia lei- grugnì in risposta lui.
Si guardò intorno con aria di sufficienza. I tavoli,
considerando la stagione e l' orario -non se ne era accorto che
già si erano fatte le due e mezza- tutto sommato non erano
poi
così vuoti.
Gokudera aveva ventiquattro anni e studiava matematica, fisica,
astrofisica e altre materie scientifiche per cui ci voleva un gran
cervello se volevi ottenere qualcosa. Aveva pensato a un viaggio di
studio in Giappone, magari studiare in qualche grossa
università
di Tokyo e invece 'sti cazzi, suo padre, un imprenditore impegnato in
chili e tonnellate di scartoffie, aveva combinato un casino e ora si
trovava in una piccola città di provincia, in una fottuta
università di provincia. C' era un tizio, all'
università, che gli stava particolarmente sul cazzo.
Camminava
con un uccello sulla spalla e un paio di tonfa. Doveva essere uno
psicopatico, sicuro. E poi c' era un ragazzino smidollato che aveva
paura persino della sua ombra, non avrebbe concluso niente nella vita.
Gokudera gorgogliò una risata a mezza voce. La gente
così
gli faceva saltare i nervi.
A un certo punto dalla cucina uscì un ragazzo alto, moro,
carnagione abbronzata, sorriso cordiale. Gokudera socchiuse gli occhi
osservandolo attentamente per qualche minuto mentre serviva un paio di
tavoli. Dove diamine lo aveva già visto?
-E' un giocatore di baseball- gli venne in soccorso il proprietario del
locale sorridendo orgoglioso.
-Non mi piace lo sport- aveva affermato incolore.
Il ragazzo aggirò il bancone e disse sorridedo:- In effetti
sei un po' flaccido
-Che cosa?! Ripetilo se hai il coraggio!- Gokudera si era alzato dalla
sedia facendola stridere contro il pavimento, aveva serrato le mani
pronto a spaccare la faccia di quello scimmione.
-Su, calmatevi ragazzi- sospirò l' uomo
L' italiano si risiedette. Solo perchè aveva fame ma
soprattutto
perchè quel ristorante di serie Z aveva l' aria
condizionata,
altrimenti col cazzo che sarebbe rimasto.
Il moro faceva la spola tra i tavoli e la cucina, Gokuder dal bancone
lo guardava. Ora si ricordava chi era, la sua memoria era eccellente,
non poteva far cilecca in quel modo. Quell' idiota era uno dei migliori
giocatori di baseball in circolazione, una promettente stella dello
sport. L' italiano notò che aveva una cicatrice sul mento e
si
chiese come se la fosse procurata.
Gokudera non si accorse dalla presenza improvvisa del moro alle sue
spalle, ebbe solo il tempo di rendersi conto del suo alito contro l'
orecchio e della voce bassa che gli accarezzava il lobo: -Devo piacerti
davvero tanto.
L' italiano arrossì, girandosi verso di lui. Faccia contro
faccia. E che diavolo!
Il giocatore si allontanò ridendo. Il proprietario del
locale
ritornava al bancone e gli chiedeva se fosse nuovo da quelle parti, per
poi aggiugere:- Ehi Takeshi, perchè non uscite insieme? Gli
fai
vedere la città!
Ma cos'era? Un' agenzia di appuntamenti?
Come si era ritrovato a passeggiare lungo il fiume con quell' idiota,
Gokudera non lo sapeva nemmeno
-Qui a Namimori non c' è granchè da vedere- aveva
detto Yamamoto
-Lo avevo notato. Non c' è un cazzo di niente-
berciò l' altro.
Yamamoto lo guardò in tralice leggermente contrariato. Non
era
proprio piacevole sentire offesa la propria città. Lui per
primo
ammetteva che non era certo un luogo attira turisti, però
era
comoda, a misura d' uomo, i bambini potevano giocare abbastanza
tranquillamente e non ultlimo, lui ci aveva passato un' infanzia niente
male.
-Come ti chiami?- domandò a un certo punto
-Gokudera- fu l' ovvia risposta seguita dall' accendersi di una
sigaretta.
Yamamoto gliela tolse dalle mani buttandola via:- Fa male-
spiegò
-Ma che cazzo fai?!- Gokudera guardò in girò per
vedere
se ritrovava la sigaretta. Sbuffò e fece per accendersene
un'
altra. Vide la mano dell' altro in pericoloso avvicinamento ma la
scostò malamente colpendola con la propria:- Non ci provare.
Ho
tutto il diritto di avvelenarmi se voglio.
-Così uccidi anche me. Sai che il fumo passivo è
più pericoloso..-
-Me ne sbatto- lo aveva interrotto- e non farmi la predica. Anzi, se ti
da così fastidio smamma. Sciò.
Takeshi alzò le sopracciglia e infilò le mani
nelle
tasche dei pantaloni scuri dondolandosi sui piedi:- Come ti chiami?-
domandò di nuovo.
-Hayato- sbuffò tra una nuvola di fumo e l' altra- mia madre
era giapponese.
Era. Un verbo al passato, notò l' altro.
Anche sua madre "era".
Annuì.
-E che ci fa uno come te a Namimori... Hayato?- Yamamoto era curioso.
Gokudera lo guardò torvo:- Ma cos' è un
interrogatorio? E non chiamarmi Hayato. Ma chi ti conosce!
-Piacere allora, mi chiamo Yamamoto Takeshi- allungò il
braccio sorridendo. Gokudera tirò dritto.
Sentì la voce di Takeshi alle spalle e per poco non si
soffocò col fumo della sigaretta:- Ehi Hayato, ti piacciono
i
ragazzi?
Gokudera abitava in un piccolo appartamento, adatto ad una persona
sola. C' era la cucina con un divanetto e la televisione, la camera da
letto con la libreria e la scrivania, infine il bagno. Il
condizionatore non ce lo aveva perchè il proprietario era
stato
schifosamente tirchio e non lo aveva fatto mettere e quindi o crepava
dal caldo o
si sparava il ventilatore in faccia sperando che non gli venisse una
bronchite. Non che si preoccupasse per questo, per carità, i
suoi polmoni avevano resistito ad un' infinità
varietà di
sigarette.
Aveva premuto il tasto del ventilatore mentre in un groviglio di mani e
di gambe si spalmava sul divano con Takeshi.
-Spogliami che mi sto sciogliendo- aveva detto cercando di togliergli
la maglietta.
Sentì una risata premere contro il collo e poi si
ritrovò
nudo e un tantino in imbarazzo sotto gli occhi scuri dell' idiota sopra
di lui.
-Non sei poi così flaccido- e rise.
Yamamoto si trovò con un cuscino sulla faccia, poi sorrise
sornione. Era pronto a combattere.
Hayato sollevò le gambe annodandole intorno alla vita di
Takeshi. Non lo avrebbe lasciato andare.
Una piacevole intrusione di dita contro l' apertura del sedere -mica
tanto piacevole all' inizio a dire il vero- e poi i baci sul collo,
Dio, i baci sul collo erano una goduria! E poi Takeshi che gli stava
consumando le labbra. Il suo membro contro la pancia e Gokudera che gli
si strusciava contro, lo sentì gemere e sorrise. Ti ho
fregato, pensò. Si sentiva soddisfatto. Lo stava facendo
impazzire. E poi l' italiano non ne potè più all'
improvviso. Mugugnò, sbuffò, gli
conficcò le unghie nelle spalle, o lo penetrava o venivano
entrambi sul divano senza aver concluso niente. Per Takeshi fu facile
scivolare dentro di lui, incredibilmente facile, non se lo aspettava,
era come se l' altro ragazzo gli avesse aperto tutte le porte.
Gemiti, sussurri e sì, anche parolacce, diventarono una
piacevole routine in quella casa.
Takeshi l' aveva riempita all' improvviso, forse erano entrambi che con
le loro presenze la riempivano. Non si erano giurati amore eterno, non
si erano mai detti ti amo ma Hayato aveva notato che si capivano
vicendevolmente a un livello che sfiorava una perfezione estremamente
imperfetta e caotica, a un livello che era perennemente
elettrico. Erano come due auto in corsa che gareggiavano alla
medesima potenza, un cortocircuito esplosivo, un circolo vizioso come
il serpente che si morde in eterno la coda. Non sapevano come uscirne,
non volevano.
E al tempo stesso sapevano essere dolci, a tratti quieti e pacifici
come il sereno dopo una lunga tempesta, come i paesaggi assolati dell'
Italia del ragazzo, apparentemente immobili e sereni ma con un'
esplosione di vita che brulicava al loro interno, tra le fronde degli
alberi scossi dal vento, tra l' erba alta e le spighe di grano, sul
terriccio bruciato dal sole.
Gokudera non poteva fare più a meno dei sorrisi del moro,
non
poteva fare a meno della sua pelle contro la propria, dell' odore,
della sua presenza che invadeva le stanze del piccolo appartamento.
Una volta, malamente distesi sul letto disfatto, senza le
lenzuola
perchè faceva troppo caldo, abbracciati nonostante l' afa e
la
calura e con il ronzio del ventilatore nelle orecchie, quella volta
aveva saputo che Takeshi era incredibilmente fragile, delle volte.
Quando era un adolescente aveva tentato il suicidio.
-Pensavo di non potere più giocare. Mi volevo buttare dal
tetto
della scuola, per il baseball. E' un motivo incredbilimente stupido per
morire, vero?- aveva ridacchiato guardando il soffitto.
Hayato gli aveva soffiato il fumo sulla faccia, non lo faceva mai di
solito:- Sì, è un motivo veramente stupido.- in
quel
momento aveva realizzato che erano uomini, fragili formichine con
fragili debolezze che si muovevano sulla terra. Anche Takeshi era una
formica. Anche lui poteva essere fragile, poteva spaccarsi. Hayato
pensò che era suo compito tenerlo sano, non precariamente
assemblato per tenere insieme i pezzi, Hayato doveva proprio
restituirgli la forza e la durezza ogni volta che l' altro fosse stato
in procinto di rompersi.
Non che lui fosse più forte o meno fragile o che altro,
anzi,
lui stesso fino a quel momento era stato un cumulo di pezzi rotti
attaccati con la colla. Ma quell' idiota aveva cambiato tutto, stava
cercando di guarirlo dal suo male di vivere col suo sorriso ingenuo e
saggio insieme. Gli sussurrava pacatamente che il mondo non era freddo
e cattivo come credeva, che non bisogna essere per forza cinici,
diffidenti, sospettosi, che non c' è nulla di male a
lasciarsi
andare e godersi la vita, accoglierla a braccia aperte.
Gokudera aveva
anche imparato, per la prima volta, a prendersi cura di un' altra
persona.
Ma ora, se Takeshi fosse sparito per qualche motivo?
Se lo avesse mollato su due piedi, se non avesse varcato la soglia di
casa portando il pranzo dal Take-sushi, se fosse partito imbracciando
la mazza da baseball senza tornare più?
Ecco, questa era indubbiamente la parte peggiore.
Si ricordava perchè aveva sempre fuggito i legami come la
peste.
La paura.
La paura che ti coglie e ti stritola lo stomaco, sale al cuore e te lo
fa scoppiare serrando un grumo di sangue e angoscia nella gola.
E se...
E se...
E se...
Se andasse male io soffrirei.
Ecco.
Ho paura che vada male.
Ho paura della sofferenza.
Aveva già sperimentato la sofferenza così tante
volte da
averne perso il conto. La morte di sua madre quando era solo un
bambino, scoprire che la ragazza che ogni tanto veniva a trovarlo alla
villa era lei -la sua mamma- quando era ormai troppo tardi, i litigi
col padre, la fuga da casa per le strade marce dell' Italia, il ritorno
alla villa con la coda tra le gambe, l' orgoglio in frantumi e le ossa
rotte -i pessimi, pessimi incontri- e poi quel suo continuo lambiccarsi
il cervello su infinite questioni che gli avvelenavano la giornata due
volte su tre.
E Dio, per esempio, esiste? Sono cattolico, incominciava, solo
perchè i miei lo sono. Sì, ok. Ma se fossi nato a
Gerusalemme, tipo, non sarei ebreo? E poi gli antichi non erano
politeisti? Era giunto alla conclusione che gli uomini hanno bisogno di
credere in qualcosa, non possono accettare di essere formiche in terra,
che la vita finisca punto e stop.
E allora c' è una credenza giusta? O magari non esiste alcun
dio.
Ancora non aveva trovato una risposta, ogni tanto ci pensava ma bho,
finiva così. Anche lui in fondo aveva bisogno di credere, se
non
altro perchè sperava che sua madre si trovasse in un posto
migliore.
Yamamoto era più semplice, tutte queste paranoie mentali non
se
le creava, a quanto aveva capito. Aveva capito però che
aveva
anche delle convinzioni solide, rigide, incrollabili e che tanto gli
bastava. Uno più uno fa due, no? Che c' è da dire
ancora?
Forse per lui era una semplice questione di fede in ciò che
credeva, vedeva, faceva.
E fedeltà.
Padre, famiglia, amici. Aggiungi
lealtà e ovviamente lo sport alla lista. Fine. Queste sono
le cose a cui
non venir mai meno.
Quando Gokudera gli aveva parlato dei suoi dubbi sulla religione,
Yamamoto aveva aggrottato le sopracciglia.
-Io sto bene- aveva detto- non trovo nulla di sbagliato nella cultura o
nella religione a cui sono stato educato. Le condivido, mi sento in
sintonia.
Forse era proprio una questione di sintonia. Gokudera fondamentalmente
era un anticlericale convinto. E non stava bene con la sua famiglia,
nel suo paese, nella realtà che aveva vissuto fino a quel
momento. Yamamoto invece sì. Se non c' è sintonia
sorge il dubbio. Bella scoperta.
Cervellotico come sempre, Gokudera. La cosa assurda è che
per arrivarci aveva dovuto parlare con un patito del baseball.
Il patito un giorno si era presentato a casa col solito sushi preparato
dal padre. Quel giorno Takeshi era strano. Non aveva riso limitandosi a
sorrisi più saggi e quasi rassegnati, la sera avevano fatto
l' amore con un' insolita dolcezza. Poteva essere quasi romantico se la
stanza non fosse stata immersa nel disordine, se non ci fosse stato il
fastidioso ronzio del ventilatore e lo sgradevole odore proveniente
dalle scatole di cibo messicano che avevano mangiato per cena.
Fu nel momento in cui i muscoli si rilassano dopo l' appagamento dei
sensi, quando le palpebre faticano a restare aperte per il troppo
sonno, quando Gokudera si era accovacciato sul letto per fumarsi una
sigaretta che Yamamoto si era seduto alle sue spalle intrecciando le
gambe intorno al suo corpo. Aveva appoggiato la fronte contro la sua
schiena assaporando il respiro dell' altro, poi gli aveva baciato il
collo, le spalle, aveva tracciato segni immaginari con le dita alla
luce dei lampioni che filtrava dalle serrande semiabbassate.
-Che diavolo hai? Sei strano- aveva domandato Hayato con tono
insolitamente calmo
-Ci credi ai matrimoni?- una domanda con un' altra domanda.
-No- secco. Passarono i secondi, poi.- perchè?
- Tra un po' inizia la stagione sportiva... e dovrò partire.
-Che diavolo c' entrano i matrimoni?!- iniziava a perdere la pazienza
-Così- lo sentì alzare le spalle.
Gokudera si girò verso di lui, viso a viso:- Parla idiota.
-Tra un paio di settimane dovrei andar via, sai allenamenti...
Gokudera annuì:- Parti- ripetè assorto
-Uhm. Secondo te finisce... finisce così?
Cosa vuoi che ne sappia?, avrebbe voluto rispondere. Hayato
girò il viso di lato aspirando l' ultima boccata di fumo
prima di spiaccicare il mozzicone finito sul posacenere. Fino a due
mesi prima avrebbe detto di no alle relazioni a distanza, avrebbe detto
di no a un sacco di cose. E no, non lo sapeva se finiva
così. Però non voleva, di questo ne era certo.
-La mia famiglia non sa che mi piacciono i ragazzi- buttò
fuori. Sentì una carezza sulla guancia, poi un bacio.
Fronte contro fronte, respiri profondi, pensieri che si rincorrono e il
mondo sbattuto fuori da quattro finestre.
Takeshi pensò di rompersi certamente l' osso del collo. Zero
possibilità, splash contro il muro e il cuore che ti esce
fuori. Era pronto per farselo strappare e parlò:- Mi sposi?
Pazzo Takeshi.
Gokudera si morse le labbra, il cuore si fermò un attimo
solo, spaesato prima di rendersi conto di quello che stava accadendo,
raccolse le energie prima di correre, correre forte. Gli
occhi. Occhi che pizzicavano. Piangere no, non ora, non come una
femminuccia del cazzo.
Annuì.
-Voglio essere sicuro di non aver capito male- e la voce di Takeshi
tremava.
Le mani di Gokudera si posano su quelle del moro che a loro volta soon
sul suo viso accaldato, rosso, su quella faccia sempre pallida e
incazzata, a coprire quelle guance ogni tanto scavate per l'
alimentazione sbagliata, perchè cucinare era una scocciature
e allora era meglio andare avanti a bevande energetiche e intergratori
per essere sempre il migliore.
-Sì- lo dice a voce alta. Forse è la follia
più grande e più assurda delle loro vite
perchè si conoscono da soli due mesi, perchè
Gokudera probabilmente verrà sbattuto fuori di casa a calci
nel culo non appena suo padre scoprirà che gli piacciono i
maschi, che il culo di Takeshi, secondo suo figlio, è il
più bello del mondo, che il suo corpo lo fa eccitare ogni
volta che lo incrocia.
E chi lo sa se vissero felici e contenti o se si erano presi a calci
nel culo dopo nemmeno due giorni di matrimonio.
Era stato un salto nel vuoto, un uragano, una rivoluzione, un casino
più totale giusto per riportare un po' di pace nelle loro
fragili vite.
Era stato inevitabile.
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HARU DICE:
Avevo deciso di non frequentare più il fandom per vari
motivi e onestamente non pensavo di poter mai postare un' altra 8059,
per lo meno non dopo così poco tempo, ammesso che di poco in
effetti si possa parlare perchè credevo davvero di aver
finito le idee e il legame con manga e personaggi. Invece eccola,
uscita dalle mani questa mattina e terminata poco fa. Storia strana,
stile forse un po' diverso. Ci tengo a precisare che ogni tanto ho
violato un filo la santa grammatica -ma neanche tanto a dire il vero-,
specie la consecutio temporum per ottenere uno stile
colloquiale e vicino al parlato, non allo scritto.
Che sia AU, che sia un what if... del tipo "hanno tutti perso la
memoria e che succede?" questo non lo so e non l' ho nemmeno voluto
chiarire nella fic, mi piaceva lasciare questa cosa in sospeso, non
dare troppe coordinate e lasciare il lettore libero di pensare cosa
volesse in merito a certe questioni. Proprio per questo sarebbe stato
facile inserire, ad esempio, il perchè della ferita di
Yamamoto. Avrei dovuto mettere una spiegazione e non mi andava
altrimenti la mia idea di lasciare libera la mente si andava a fare
benedire. Certe cose non vengono spiegate, altre sì. Lo
ripeto non è una dimenticanza, diciamo che sperimento e che
spero vi piaccia. Ho messo ugualmente l' avviso AU, e anche quello OOC,
non si sa mai, perchè in effetti il contesto in cui vivono i
pg, indipendentemente dal motivo che lo ha determinato, è
diverso.
Un saluto,
Haru.
DISCLAIMER: Katekyo Hitman Reborn e i suoi personaggi non mi
appartengono, la storia non è scritto a scopo di lucro.
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