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Distretto 12, tre ore alla
Mietitura.
I lunghi capelli biondi le
scivolano sulle guance, smossi dalla brezza leggera; l’ampia gonna bianca, che
reca un delicato motivo di fiori e foglie intrecciate, fruscia piano sulle sue
ginocchia, senza alcun suono.
È una splendida giornata,
ottima perfino, per mandare al martirio due bambini e due bambine.
Tra non meno di tre ore le
grassocce dita smaltate di Kaily Boss agguanteranno quattro pezzi di carta,
quattro condanne a morte.
Maysilee Donner, sedici anni,
barrica i pensieri e chiude la mente, lasciando gli occhi sgranati e rivolti al
cielo; ne riflettono il colore, l’incredibile lucentezza, perfino gli sbaffi di
nuvole che lo sporcano. Il braccio mollemente teso nel vuoto si agita come in
preda ad una sbornia, senza rigore, ciondolante; parrebbe un movimento casuale,
ma Maysilee sta tracciando i contorni delle nuvole, cercando di associarne la
forma ad oggetti a lei noti.
È un buon diversivo, l’aiuta
non pensare all’imminente Mietitura e trascina la mente verso lidi più piatti e
pacifici.
All’improvviso, però, un’ombra
lunga e stretta cala sul suo viso e la sua amica Nim la fissa dall’alto,
sovrastandola. Poco dopo, però, è già accomodata sull’erba, accanto a lei.
«Belle mutande, Nim» si
complimenta e tira la bocca in un sorrisetto malizioso.
«Tua madre è furiosa, lo sai? È
poco carino trascorrere le ultime ore prima della Mietitura in solitaria» le fa
notare, ma non c’è schernimento nella sua voce. Si direbbe che Nim sia
disinvolta e pragmatica come sempre – come solo essere la figlia di due
farmacisti può averla plasmata – ma nei suoi occhi azzurri è presente una cupa
ombra di rammarico.
«Rilassati, Mani d’Oro,
mancano ancora tre ore. Tu, piuttosto, perché non sei in qualche vicolo a
sbaciucchiare Mellark?»
La pelle pallida di Nim si
sfuma di un rosa accesso che si spande lungo le guance e sul ponte del naso,
propagandosi sin fino alle orecchie.
«Akee non è il mio ragazzo».
«No, giusto, giusto; è
quell’altro, com’è che si chiama?, ah, sì, Everdeen» insinua maliziosa,
sgomitando all’amica che, irritata, strappa un ciuffo d’erba e glielo soffia sul
viso.
«Troy e io siamo solo in
affari; lui procura le erbe medicinali e io lo pago, fine della storia» appunta
infastidita.
«E dimmi, cara, lo scorti tu
nel retrobottega per stivare la merce?»
«Maysilee!» grida sdegnata,
scoppiando poi in una risata, strappando un momento di spontaneità dalla cappa
di disperazione che grava su di loro e sull’intero distretto.
Se ne restano poi in silenzio,
i palmi affondati nell’erba tenera e i nasi all’insù.
«Nim, sento che oggi
pescheranno il mio nome».
Nim volta fulminea la testa,
così velocemente che la treccia le sferza una guancia.
«Improbabile; altre ragazze
hanno molte più nomine di te. Coral, ad esempio, ne ha ben quarantotto e tu ne
hai solo, quante?, trenta?»
Maysilee sorride mestamente.
«Quarantuno, Nim. Quarantuno,
dannatissime nomine».
«Be’, comunque sia, non
prenderanno il tuo nome».
«Supponiamo anche solo per un
secondo che non lo facciano, ma se pescassero te? O mia sorella? Come potrei
guardarvi andare incontro alla morte?»
Maysilee ha la disarmante
capacità di parlare con estrema scioltezza di argomenti duri e delicati come la
morte. Nim, per questo, può solo invidiarla.
«Maysilee, piantala,» sbotta
Nim, tirandosi in piedi e afferrandola dalla collottola per far alzare anche
lei, «nessuna di noi parteciperà a questi Giochi, hai capito?»
«Nim?»
«Cosa?»
«Sul mio vestito pensavo di
appuntare quella spilla che abbiamo fatto insieme da piccole, quella della
Ghiandaia Imitatrice, te la ricordi?»
Nim pare ammorbidirsi e i
suoi occhi azzurri brillano pericolosamente.
«Certo, May. Ne facemmo due,
una per ciascuno» e tira fuori dalla tasca una piccola spilla argentata, che
reca l’incisione di una femmina di Mimo racchiusa in un triangolo.
«Sapevo che l’avresti portata»
mormora dolcemente prima di afferrare la mano dell’amica, abbandonando quel
fazzoletto di terra verde e fiorita che sa bene non rivedrà mai più.
Piazza del Distretto 12,
pochi minuti alla Mietitura.
Rilassati. Stai calma. Il
tuo è solo uno sciocco presentimento, Nim ha ragione: tante altre ragazze
hanno più nomine di te. Rilassati. Rilassati...
Maysilee cerca disperatamente
di isolare il proprio udito, chiudendo fuori il brusio rumoreggiante della folla
che la circonda. Ma i commenti e i singhiozzi di piccole ragazzine impaurite
sono troppo dolorosi per poter essere ignorati. Così come la mano tremante di
sua sorella stretta nella sua.
Sfiora distrattamente la spilla
appuntata al bavero del bel vestito verde menta e Nim, al suo fianco, si
mostra fredda e impassibile. Maysilee la invidia, per questo. Cresciuta tra malati e moribondi,
Nim ha imparato presto a celare ogni
emozione, puntando al conforto di chi le moriva accanto. Solo quando era
sufficientemente lontana dalla farmacia si permetteva di sfogare la propria
isteria, soffocando le urla contro la manica appallottolata della sua giacca.
Istintivamente tende la mano
libera e le stringe le dita; sono calde e sudate, tradiscono tutto ciò che il
suo viso sta opportunamente celando.
Maysilee schiude le labbra, ma
tutte le sue rassicurazioni restano mute quando una scarica elettrostatica
segnala che il microfono di Kaily Boss è stato aperto.
Che la Mietitura sta per
iniziare.
Il Sindaco prende posto su una
piccola piattaforma appositamente allestita e piazza il suo discorso stampato su
un leggio. Inizia a raccontare di quanto sia importante questa cinquantesima
edizione degli Hunger Games, anche nota come Edizione della Memoria; di come due
giovani ragazzi e due giovani ragazze verranno estratte a sorte per portare
gloria e fama al Distretto 12; di come le ribellioni non vadano incoraggiate ma,
al contrario, soppresse e soprattutto di quanta morte e sofferenza sono capaci,
rendendo noto l’imperituro obiettivo dei Giochi: ricordare la rivolta del
distretti che culminò nei Giorni Bui, ricordare le ingenti perdite, ricordare
che Capitol City può schiacciare i distretti come vermi.
Maysilee smette di ascoltare il
sindaco e solleva la testa al cielo: è ancora limpido, ancora lucido, ancora
così azzurro da non trovare contrasto nel riflesso dei suoi occhi.
In quel preciso istante, una
frotta di Ghiandaie Imitatrici plana sulle loro teste; l’attimo dopo, Kaily sta
pronunciando a voce alta e chiara il nome del primo Tributo femmina, il nome di
Maysilee Donner.
È l’abbraccio quasi violento di
Nim a trascinarla indietro e scaraventarla nella raccapricciante realtà che è
adesso la sua vita. O la futura morte.
Sente il proprio collo
bagnarsi, intingersi delle lacrime della sua amica e di sua sorella, entrambe
premute contro di lei.
Maysilee, al contrario, è
curiosamente apatica a ciò che le sta succedendo, alla folla che applaude
mestamente, a Kaily che le ordina languidamente di salire sul palco.
È con un sorriso stralunato e
confuso che si separa da Nim e sua sorella, è a passo lento e strascicato –
quasi ubriaco – che raggiunge il palco.
È quando le osserva dall’alto
che avverte come un colpo secco e sordo contro le costole.
Poi, realizza.
Distretto 12, Palazzo di
Giustizia.
Nim non si premura nemmeno di
chiudersi la porta alle spalle. Corre a rotta di collo verso Maysilee, tenendola
stretta.
Ha gli occhi rossi e gonfi, ma
non piange più; Maysilee può solo esserle infinitamente grata.
«Nim, Nim, ascoltami»
sussurra piano, senza trovare la forza di staccarsi da lei, godendosi quello che
sa essere il suo ultimo abbraccio.
Maysilee ha sempre avuto un'invidiabile perspicacia e intuizione, sente che non tornerà a casa. Non
viva, almeno.
«Prenditi cura della mia
famiglia, bada a mia sorella».
«Lo farò» giura prontamente e
la stringe più forte.
Vorrebbe dirle così tante altre
cose, strapparle altre promesse, ma la voce viene a mancarle e si crogiola in un
disperato silenzio. Chiude gli occhi e le sembra che siano passati appena una
manciata di minuti quando i Pacificatori bussano alla porta, comunicandole che è
ora di partire.
«Nim, nonostante tifi per
lui, Mellark non è quello giusto per te; spero che Everdeen sappia renderti
felice. In caso contrario, il mio spirito lo perseguiterà finché vive».
Nim trova il coraggio, la
forza, di piegare le labbra in un sorriso tremulo.
«Cerca di vincere, May».
«Buona fortuna per l’avvenire,
Nim. Ti voglio bene».
Distretto 12, nove giorni
dopo la conclusione degli Hunger Games.
Le erbe nel mortaio sono
ridotte ad una polvere verde foglia, finissima, che emana un vago sentore di
clorofilla. Il pestello, sebbene non ve ne sia più alcuna necessità, continua a
premere contro la poltiglia, immediatamente prima che la ciotola venga
scaraventata contro la parete opposta, frantumandosi.
Le lacrime ne hanno guastato il
contenuto, Nim dovrà riprodurre la mistura ancora una volta.
Pensava che incanalare tutte le
proprie emozioni nel lavoro potesse aiutarla se non a dimenticare, almeno a
respirare; invece, il ricordo di Maysilee è pressante, violento, ritmico, come
quel pestello macchiato di verde che ancora stringe tra le dita.
In un atto di preservazione
personale, Nim prese la decisione di non guardare nemmeno per un minuto
quell’orrenda edizione degli Hunger Games; ha appreso della morte di Maysilee
tramite sua madre, che è piombata in camera sua e le ha accarezzato i capelli,
senza proferire una singola parola. Il dolore nei suoi occhi era
sufficientemente eloquente.
Da quel giorno Nim ha deciso
di barricare la mente e lasciarsi cadere in uno stato di meccanica inerzia,
eseguendo le piccole azioni quotidiane come tanti input automatici inviati dal
suo cervello: svegliarsi, mangiare, lavorare, andare a dormire.
Le lacrime, però, spesso
l’hanno costretta a riaffiorare in superficie, demolendo le sue deboli barriere.
Ha tenuto il ritmo del proprio, intimo dolore per qualche giorno, poi se ne è
sentita soffocare. L’unico modo per non cedere era concentrare tutte le energie
in qualcosa di diverso, di alternativo, di impegnativo. Ha iniziato a
trascorrere molte ore nella farmacia dei suoi genitori, ha imparato a preparare
intrugli laboriosi e complicatissimi, ha letto svariati libri sulla composizione
di medicine, unguenti e infusi, ha perfino appreso le prime manovre di
rianimazione da applicare su un cuore fermo. Curiosamente, anche la sua vita
sentimentale l’ha tenuta impegnata. Ha accettato di buon grado la compagnia di
Akee, ha stretto amicizia con il cacciatore, Troy Everdeen, mentre barattava
cibo in cambio di cure mediche.
Rapportarsi con Troy è stato
più difficile; ricorda ancora quando, nel Palazzo di Giustizia, Maysilee le
disse che lui era quello giusto per lei. Ha cercato dapprima di incoraggiare
questa previsione, ma dopo pochi scambi di battute ha convenuto con se stessa
che non doveva provare a Maysilee d’aver avuto ragione; Troy è davvero quello
giusto per lei.
Lo stesso Troy che spettinato e
sporco di carbone entra di soppiatto nel laboratorio, muovendosi con cautela,
come Nim immagina faccia durante una battuta di caccia.
«Cosa fai?»
Con estrema lentezza, afferra
un lembo del proprio grembiule e lo tampona sulle guance; non ha paura che altri
possano vedere le sue lacrime, non ha paura delle proprie debolezze che, nel
volere così ostinatamente non celarle, la rendono incommensurabilmente forte.
«Cercavo di preparare un’erba
medicinale contro il mal di stomaco» non prova vergogna per la propria voce
impastata di saliva e pianto.
No, non prova vergogna e le va
bene così, purché nessuno faccia domande.
«Il muro ha il mal di stomaco?»
domanda quasi dolcemente, additando con il pollice il muro alla sua destra,
imbrattato. Nim non se ne rende conto subito, ma solo quando avverte le
proprie labbra arcuate all’insù, in un sorriso involontario.
«Capita. Sei qui per fare
affari?»
La parvenza di sorriso che era
sulle labbra di Troy scivola via e i suoi occhi grigi si fanno cupi come un
cielo temporalesco.
«No. È solo che... Loro
vogliono vederti».
«Loro?»
«I Donner».
Lo stupore si palesa sul viso
di lei, nei suoi occhi azzurri spalancati, nella bocca schiusa in un cerchio di
incredulità. Poi, il panico striscia subdolo dentro di lei e il battito del
cuore le riempie le orecchie, le soffoca la gola.
Non è pronta ad affrontare i
volti affranti dei familiari di Maysilee, non è pronta a rimettere piede in
quella casa che conosce bene almeno quanto la propria, non è pronta ad
incrociare lo sguardo con vecchi oggetti appartenuti a lei.
Per questo non crede a se
stessa quando si sente pronunciare con voce chiara e ferma: «D’accordo».
Prato del Distretto 12, due
mesi dopo la conclusione degli Hunger Games.
Il canarino ruota ritmicamente
la testa, assecondando i versi melodici del proprio cinguettio.
Poi si interrompe, fissando
intensamente i due ragazzi distesi tra l’erba e tra i fiori.
Nim volta la testa.
«Canta ancora» sussurra piano;
ci sono cose che non vuole render note, ci sono cose che necessitano di essere
dette a mezza voce.
Ci sono persone buone e
laboriose come Troy che hanno il diritto di godere di ogni piccolo momento di
pace e sonno.
Il canarino, intelligente come
chi lo possedeva, riprende a cinguettare piano, replicando ai richiami lontani
degli uccelli nel bosco, oltre la recinzione ronzante.
Nim non ha ancora dato un
nome all’animale e forse non lo farà mai. Quel piccolo uccello giallo come il
sole è l’unica prova vivente che attesta la sua profonda amicizia con Maysilee.
Talvolta si è sorpresa a fissarlo e ha quasi avuto la sensazione di scorgere la
stessa Maysilee in quegli occhi così scuri ma così espressivi.
I suoi genitori glielo hanno
regalato dieci giorni dopo la conclusione dei Giochi, sostenendo che dovevano
adempiere ad uno degli ultimi desideri della loro ragazza.
Quella stessa sera, piegata
sulla gabbia, Nim ha pianto ogni lacrima che ha ricacciato indietro per tutto
quel tempo; perfino il canarino appariva mesto, sconsolato. Poi ha deciso che
l’avrebbe tenuto con sé, l’avrebbe curato con le stesse amorevoli cure che era
solita impiegare la sua amica, che avrebbe preservato quel piccolo, giallo dono
di Maysilee.
Nim è convinta che dietro
quel regalo ci sia stato un messaggio ben preciso. Nel loro distretto quegli
uccelli vengono impiegati nelle miniere; cantano ininterrottamente per tutto il
tempo e solo quando si zittiscono anticipano la catastrofe.
È questo il senso di quel
piccolo animale rinchiuso in gabbia: finché continua a cantare andrà tutto bene.
Finché canta, una piccola parte di Maysilee le sarà accanto.
Nim non ha colto
immediatamente il significato di quel regalo cinguettante; l’ha capito dopo
molti giorni, quando l’animale fischiava forte mentre lei piangeva, in una sorta
di rumorosa rassicurazione.
Finché canta, andrà tutto bene.
Troy si agita al suo fianco; il
respiro si fa veloce e superficiale, precedendo le palpebre che si sollevano e
che rivelano i suoi occhi grigi ottenebrati dagli strascichi del sonno.
Sorride pigramente e le bacia
la guancia, tenendola stretta in vita; Nim chiude gli occhi e respira piano.
Il canarino, al loro fianco,
cinguetta piano.
Andrà tutto bene.
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