Buon compleanno Dean Winchester!
Erano
settimane che non vedevo la luce del sole, non respiravo aria fresca e
non guidavo la mia Impala. A dire il vero, mi ero così abituato
a quell’odore pesante di vernice che lo trovavo addirittura
piacevole. Passavo intere ore ad occuparmi della mia nuova casa, a
definire gli ultimi ritocchi. Da un paio di giorni, infatti, avevo
iniziato a pitturare le pareti del nuovo appartamento, un suo regalo.“Vorrei poter fare qualcosa per te, Dean.” -Mi disse lei.- “Per tutto questo tempo ti sei occupato di me e io voglio dimostrarti la mia gratitudine.” Io avevo già in mente un paio di idee, ma ovviamente tenevo sempre per me i miei pensieri perversi. “Non
l’ho fatto per ricevere qualcosa in cambio, Daphne. Non sono quel
tipo di persona. Se ti sono stato accanto tutto questo tempo e ti ho
salvato la vita un paio di volte, è perché sono un
cacciatore e da te mi aspetto soltanto il ‘grazie’ che mi
devi.” Risposi.
Infondo, ma molto infondo era una verità che nemmeno io stesso
accettavo. Avrei voluto molto di più che un semplice grazie da
parte sua. Comunque sia, dopo aver insistito parecchio
sull’argomento, alla fine accettai. Lei era molto ricca, aveva
sterline da spendere, ed io ero un povero fallito che viveva grazie a
tizi che nemmeno conosceva sul serio, appropriandosi delle loro carte
di credito.
Quel
giorno compivo ventisette anni, ma per me era un giorno normale proprio
come tutti gli altri che avevo vissuto o che avrei, ancora per poco,
vissuto. Mancavano pochi mesi allo scadere dell’anno e presto la
mia anima sarebbe marcita all’inferno, mentre il mio corpo
sarebbe stato sbranato da un maledetto cerbero.
Se
volevo morire? Certo che no. In quel periodo avrei fatto di tutto per
vivere al meglio ogni minuto della mia vita, magari anche trovando un
modo per rallentare il tempo. Il tempo! Passava troppo in fretta quel bastardo!
Ero
in cima ad una scala di ferro, con i piedi fissi sul terz’ultimo
scalino di essa, mentre nella mano destra stringevo il rullo intinto di
un forte colore bianco. Così bianco che faceva sembrare la
stanza molto pulita. Non
sapevo il motivo per cui mi impegnavo così tanto per quella
casa, infondo non ci sarei stato ancora per molto. Forse era
l’idea di avere un posto stabile dove vivere, una vera e propria
casa dalla quale tornare dopo una caccia, mi entusiasmava. Passavo
e ripassavo quel maledetto oggetto nello stesso punto del soffitto, e
lo guardavo colorarsi mentre, con tutto me stesso, speravo che da un
momento all’altro uno dei miei telefoni avesse cominciato a
squillare. Magari sarebbe stata Hermione a telefonare, augurandomi un
buon compleanno con la sua solita eccessiva felicità e la sua
voce squillante; oppure Cedric, magari tra una risata, alla fine mi
avrebbe offerto una birra. Ma nulla.
Avevo un disperato bisogno di essere ricordato. Avevo bisogno che qualcuno sapesse che io ero lì, che c’ero ancora.
Avevo attraversato il tunnel e ora mi ritrovavo proprio alla fine, al
capolinea. Volevo soltanto avere ricordi felici prima di andarmene, ma
nessuno sembrava impegnarsi per questo. Non volevo una casa, non volevo
regali per il mio compleanno. Volevo soltanto essere ricordato.
La
rabbia stava quasi per affogarmi, ma restai calmo. Intinsi di nuovo il
rullo nel secchio di vernice bianca, posato sull’ultimo gradino
della scala, quello che fronteggiava appena il mio busto, e continuai a
fare il mio lavoro. Un lavoro che mi faceva sentire quasi un pittore
professionista. Forse era stato l’abbigliamento ad influire in
tale convinzione: portavo un capello verdolino sulla testa, con tanto
di visiera; una canottiera bianca a scavi, contornata da
un’enorme macchia di sudore dietro la schiena e, per finire, un
vecchio paio di jeans che non usavo da una vita. In quel momento
squillò il telefono nella mia tasca. Ma non mi affrettai a
rispondere alla chiamata, sapevo già chi era stato in grado di
pensarmi. “Si!” Risposi portandomi l’affare
all’orecchio, mentre con l’altra mano continuavo il mio
‘capolavoro’. “Dean, sono Sam.” – Come non detto. – “Ahm.. credo di aver trovato qualcosa sul caso che stiamo seguendo. Ricordi che pensavamo fosse uno spirito infuriato?”
– “Si, me lo ricordo. Io ho scommesso sulla bambina.”
Dissi, lasciando il rullo nel secchio. Diventava complicato lavorare e
parlare al telefono contemporaneamente. “Perché sulla bambina?” –
“Le bambine c’entrano sempre. Ti ingannano con quel loro
sguardo angelico e invece sono delle stronze.” Mi basavo sui film
e ovviamente sulla mia esperienza professionale. “Ehm, si.” -Riuscivo
ad immaginare la faccia di Sam dall’altro capo del telefono, la
stessa espressione sconcertata che assumeva ad ogni mia battuta
scadente. Non erano poi così male infondo. Se Ceddy rideva, c’era un motivo. – “Comunque sia, che ne dici di rimandare?” Quella domanda mi spiazzò. “Vuoi rimandare una caccia?”- “Si!” –
“Chi sei tu? E che cosa ne hai fatto di mio fratello?” Non
ero sicuro al cento per cento, ma mi sembrò di avvertire un
piccolo accenno di risata da parte sua. Cosa che mi portò a
sorridere a mia volta. “Ascolta, Dean.. ci ho riflettuto e penso che un giorno di riposo non ci farà male.” – “Ok, sei un alieno.” – “La vuoi piantare? Sono serio!” Mi
rimproverò. “D’accordo, d’accordo. Se pensi ci
sia utile, va bene.” Ribattei, riprendendo a passare il rullo
contro il soffitto. “E poi.. dobbiamo festeggiare il tuo compleanno, no?” Allora non l’aveva dimenticato! “Sei
un mutaforma!” Finsi un tono da panico. Volevo evitare
sentimentalismi e smancerie. Erano momenti imbarazzanti e io non me la
cavavo a gestire certe situazioni. “Idiota!” E
così riattaccò. Non ebbi nemmeno il tempo di rimettere il
telefono al suo posto, nella tasca, che qualcuno citofonò.
Roteai gli occhi scocciato e, lentamente, scesi dalla scala per
avviarmi verso il videocitofono che continuava ad emettere uno strano
suono snervante. Per qualche secondo esitai. Non poteva essere di
già Sammy e, occupata com’era, dubitai seriamente che la
visita fosse di Hermione. “Magari è solo il
postino.” Mormorai tra me e me, arricciando le labbra pensieroso.
Alla fine mi convinsi e schiacciai il pulsante che visualizzò la
schermata della telecamera che, come temevo, inquadrò il viso
sorridente di Daphne. Mi passai una mano sulla faccia e chiusi gli
occhi, tirando un profondo sospiro. “Chi è?”
Domandai, fingendomi ignaro, avvicinandomi con la bocca al
citofono. “Daphne!” -Rispose con la sua voce dal tono dolce, alzando una mano verso la telecamera, agitandola in un saluto. – “Volevo sapere come sta andando la restaurazione!” – “Sta andando bene, Daph. Grazie!” La restaurazione? La restaurazione? Compivo ventisette anni, santo cielo! Qualcuno si ricordava che ero ancora vivo? Ovviamente la mia risposta fu sarcastica, ma lei non lo capì. “Hai intenzione di aprirmi o vuoi lasciarmi a parlare con un macchinario?” Giustamente! Un po’ contrariato, le lasciai la possibilità di raggiungere la porta di ingresso. Vedere Daphne era come fare uso di droghe, bastava vederla una volta per poi desiderare di vederla sempre. Mi
grattai una guancia, mentre con l’altra mano cercavo di scacciar
via quella polverina bianca che si aggirava nell’aria, rendendo
quel posto polveroso. Fissavo la porta, in attesa che il campanello
avesse iniziato a suonare. Poi finalmente arrivò il momento.
Esitai ancora, soltanto per qualche secondo. Abbassai la maniglia e la
aprì, sorridendo forzatamente verso di lei.
Chissà perché quel giorno sembrava più bella del solito.
“Daphne! Che sorpresa! Come mai qui?” Iniziai a fare lo stronzo, facendo le mie solite domande da stronzo. “Beh,
giravo da queste parti e ho pensato di passare a vedere come te la
cavi.” Un altro suo sorriso e sulle sue guancie apparsero quelle
due piccole fossette che io avevo sempre adorato, fin dalla prima volta
in cui mi rivolse un sorriso. “Ah!” Non avrei mai potuto pensare a qualcosa di meglio da dire. “Che
fai? Non mi inviti ad entrare?” – “Certo!”
Affermai, tirandomi indietro per lasciarla passare. Poi chiusi la porta
e senza dirle di accomodarsi, anche perché non c’erano
molte alternative, tornai sulla scala a finire il lavoro iniziato.
“Uhm.. ti sei dato da fare, vedo.” –
“Già! Mi manca soltanto questa stanza da finire, poi
possiamo far portare i mobili e le altre cose.” Si guardava
attorno, incuriosita e forse a giudicare dalla sua espressione, anche
incredula. Forse non pensava che io fossi in grado di svolgere anche
quei tipo di lavori. “Perfetto! Mi occuperò di tutto io.
Non appena avrai finito, chiederò un favore ad un amico
che…” – “Daphne!” La interruppi e lei mi
guardò, alzando lo sguardo verso di me e schiudendo le labbra
carnose, pendendo dalle mie. “Hai già fatto
abbastanza.” Dissi poi, chiudendo l’argomento e tornare a
coprire il soffitto da strati di vernice bianca. Lei annuì, ma
io non la guardai. “Dov’è Sam?” –
“In biblioteca. Dovrebbe tornare a momenti..” Sottolineai
l’ultima frase con un tono di voce più forte, tanto per
farle capire che era meglio se se ne fosse tornata dalla sua
cinquecento rosa. “Perfetto! Ne approfitto adesso, perché
so che non avremo più l’occasione di rimanere soli.” Già, questo lo sapevo anche io… Non
notai che tra le mani reggeva un piccolo sacco nero, come non notai che
quel giorno aveva i capelli tirati in una coda di cavallo. Che avesse
poco trucco, proprio come piaceva a me, e che indossasse dei semplici
jeans attillati, degli stivali di pelle con il suo immancabile tacco
vertiginoso, e un cappotto nero che gli arrivava fino ai fianchi. Notai
tutto questo in quei pochi secondi che mi voltai a guardarla. Perché,
quando io guardavo Daphne, lo facevo per davvero. Osservavo. Ciò
che mi piaceva osservare di più, però, erano i suoi
occhi: azzurri visti a primo impatto, o guardati da una persona
obiettiva; in realtà erano blu, di un blu cobalto e le sue
pupille erano contornate da tante piccole scaglie di verde e, alla luce
del sole, si potevano notare le pagliuzze castane che rendevano il suo
sguardo molto più speciale. “Vieni
qui..” Mormorò, sostenendo sempre quel dolce sorriso che
mi rendeva vulnerabile. Sospirai. Lasciai il rullo nel secchio,
probabilmente per l’ennesima volta, e scesi di nuovo la scala. Mi
avvicinai a lei e mi passò il sacco nero, mentre il suo sorriso
divenne ancora più ampio. D’accordo. Nemmeno lei l’aveva dimenticato.Per un po’ restai a guardarla sbigottito, poi abbozzai un sorriso e lo afferrai per scartare il mio regalo.Però! Era leggero. Mi
avvicinai al tavolo coperto da un lenzuolo bianco, dove temporaneamente
avevo deciso di metterci i miei attrezzi da lavoro, e lo posai su di
esso. Lo aprii e ne tirai fuori una scatola di cartone. Leggera. Vuota.
Quando sollevai il coperchio, inarcai un sopracciglio e scoppiai in una
risatina poco convinta. Mi aspettavo uno scherzo un po’ più elaborato di una scatola vuota, a dire il vero. Mi
tolsi il cappello, lasciando anch’esso sul tavolo e mi passai una
mano tra i capelli chiari, polverosi e schiacciati. Poi alzai le
spalle, come dispiaciuto per non aver riso abbastanza. “Tutto
qui? Mi aspettavo dei coriandoli, un pagliaccio molleggiante o…
che ne so?!” – Dissi andando verso la finestra, per
spalancarne le ante e lasciare entrare la flebile luce solare. Avevo
dimenticato quanto fosse spento il sole di Londra. – “Una
brasiliana che zompa fuori ballando l’Hula-hula?!” La mia
ironia non aveva prezzo. Ma Daphne non si smontò alle mie
parole, richiuse la scatola e si avvicinò a me stringendola tra
le braccia, come se contenesse l’oro più prezioso del
mondo, o una risorsa naturale non ancora scoperta. “Questa
scatola vale molto di più di qualunque altro regalo avrei potuto
farti.” – “E’ una scatola vuota.” La
guardai serio, così serio che il mio sguardo avrebbe potuto
ucciderla. Riaprì la scatola e abbassò lo sguardo nel suo
interno. “Questa scatola contiene tutto quello che fin’ora
abbiamo passato insieme. Tutti i nostri litigi, le nostre
risate…” – Aggrottai la fronte e chiusi la bocca per
un momento, ascoltando quello che aveva da dirmi. “…i
momenti più belli, quelli più tristi, quelli più
strazianti e tutti i ricordi felici. Quello che ho pensato e che penso
ancora di te, ma soprattutto quello che provo per te, Dean.”
– Deglutii, perché non fui più in grado di
ribattere o replicare. Fu lei, per la prima volta, a smontare me.
Alzò gli occhi verso i miei, ma quella volta non sorrideva.
– “Hai fatto molto di più che starmi accanto,
proteggermi, salvarmi la vita. Sei stato forte per me, quando io non
ero in grado di esserlo. Mi hai reso di nuovo umana, ricordandomi come
amare qualcuno.” – I suoi occhi divennero lucidi e mi parve
di sentire il suo cuore battere molto forte. Il mio, invece, stava
scoppiando e miei occhi non avrebbero retto ancora per molto. –
“Dean.. io ti ringrazio per quello che hai fatto. Te ne
sarò infinitamente grata e non ti dimenticherò mai. Ma
è solo questo che posso darti, capisci?”- Una lacrima
scivolò lungo il viso di Daphne, mentre lei, tra un singhiozzo e
l’altro, cercò di continuare il suo discorso. -
“Posso soltanto donarti una scatola vuota, ma piena delle nostre
cose. E un posto riservato nel mio cuore, perché sei una persona
speciale.” Ecco il genere di momenti imbarazzanti che preferivo evitare. Ma quello fu inevitabile. Calò il silenzio. Tirai col naso, mentre tenevo lo sguardo piantato sul pavimento. Perché osservare le mie scarpe diventò improvvisamente molto più interessante, in quel singolo istante? Mi
inumidii le labbra carnose e poi mi decisi a guardarla. Cercai di
nascondere con tutti i modi possibili di essermi emozionato, come da
perfetto essere umano. Sospirai e strinsi i denti, pensando a qualcosa
da dire. Ma cosa avrei potuto dire? Nulla. Per questo restai in
silenzio. Chiuse la scatola incastrandoci sopra il coperchio e poi si
avvicinò a me, avvolgendomi tra le braccia esili e poco forti. Non potevo vedere il suo viso, ma mi piaceva pensare che tenesse gli occhi chiusi mentre mi stringeva. “Una
parte di me ti amerà sempre, cacciatore.” Sussurrò
al mio orecchio. Alle sue parole, un brivido mi percorse la larga
schiena e in un attimo, senza doverci pensare ancora, le cinsi i
fianchi e posai il mento sulla sua spalla. Una lacrima mi rigò
il viso, ed io ero di nuovo l’uomo debole e innamorato. In un
attimo venni invaso dal suo dolce profumo di fragole, qualcosa che non
sentivo da tanto tempo. Così ne approfittai di quel momento,
sapendo che non mi sarebbe più capitata un’occasione del
genere. Non era
qualcosa di chimico. Non si trattava del suo shampoo o del suo
bagnoschiuma. Era la sua pelle a sprigionare quell’essenza. Fu
lei a sciogliere l’abbraccio e fu lei stessa a posare le labbra
sulle mie, in un piccolo, dolce e innocente bacio. Nonostante avessimo
avuto di momenti più passionali, quello fu il momento più
intenso della mia relazione con Daphne. Il momento più bello
della mia vita. “Buon compleanno, Dean.” Mormorò
poi, sorridendomi ancora una volta, prima di sparire dietro
l’angolo ed uscire dalla mia nuova casa e dalla mia nuova, ma
breve vita.
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