Per chi non fraintenda,
narra la leggenda*
degli sposi Higo ed Heitaro
che gli uomini separaron.
Higo era lo spirito del salice
Heitaro nel villo viveva felice.
L’uomo dal taglio il vecchio albero salvò,
lo spirito per ringraziarlo lo sposò.
Venne poi il tempo in cui
l’imperatore un tempio costruì.
In una bianca notte d’inverno freddo,
i villani tagliaron il vecchio ceppo.
Higo scomparve,
Heitaro pianse.
Per chi non fraintenda,
narra la leggenda
degli sposi Higo ed Heitaro
che gli uomini separaron,
ma nell’aldilà si ritrovaron.
Quando la bianca neve scende,
una dolce melodia si sente.
Higo ed Heitaro vagano felici
per render tali gli innamorati divisi.
Un anonimo saggio
Periodo Nara, anno 18
Maya lesse con commozione la storia narrata nella breve filastrocca
appesa all’ingresso della pensione dove avrebbe alloggiato.
Era scesa alla stazione di Nagano e per mezz’ora aveva atteso
l’autobus che l’avrebbe condotta a destinazione.
Nozawaonsen era famosa per lo sci e le sedici stazioni termali gratuite
che offrivano ristoro dopo la giornata passata all’aria
aperta. Probabilmente non avrebbe provato lo sci, ma sicuramente si
sarebbe dedicata a dei bagni rilassanti nelle calde acque delle
sorgenti.
Nei novanta minuti d’autobus che la separarono dal suo
albergo aveva riflettuto sugli eventi che avevano caratterizzato gli
ultimi mesi. Sicuramente il fatto che il signor Hayami non si fosse
più sposato l’aveva tranquillizzata, ma il dolore
sordo che avvertiva nel suo cuore non era mai scemato perché
aveva sempre vividi dentro l’amore per quell’uomo
gentile che mai una volta aveva neanche provato a farsi ringraziare per
quello che le aveva donato; la passione per quell’uomo forte
che l’aveva difesa da tutti, compresa se stessa; il desiderio
per quell’uomo che le procurava brividi con una sola parola
sussurrata, le scaldava il cuore con uno sguardo, la gettava nella
più cupa disperazione quando le si allontanava indifferente.
Ora era arrivata nell’Honshū e non sarebbe tornata a casa
prima di un mese. Per tutto quel tempo sicuramente non
l’avrebbe visto. Era partita una settimana prima per passare
il Natale nell’ambiente accogliente di quella pensioncina di
cui le aveva parlato Rei. Ne avrebbe approfittato per stare sola con il
suo cuore ed i suoi pensieri. Non avrebbe avuto necessità di
fingere un’allegria che non provava.
Fu richiamata al presente dalla signora Fujiwara che la condusse nella
sua camera: era un ampio ed accogliente spazio rivestito in tatami, con
una porta scorrevole che separava la camera da letto dalla piccola
cabina armadio. Il futon era stato preparato insieme al leggero yukata
in dotazione. Dalla finestra si vedevano le bianche distese delle
montagne innevate con gli abeti che si stagliavano contro il cielo
terso.
Si svestì degli abiti da viaggio ed indossò il
leggero kimono. Prendendo l’occorrente per il bagno si
avviò verso la sorgente termale propria
dell’albergo. Pensava di ristorarsi dal viaggio immergendosi
nelle sue calde acque. Arrivata nell’antibagno,
poté constatare che era pressoché deserto: ne fu
felice ché non aveva voglia di scambiare sciocchi ed inutili
convenevoli con emeriti sconosciuti.
Completamente nuda entrò nella pozza. Appoggiando la testa
sul bordo si rese conto che il soffitto era costituito da una grande
vetrata che lasciava scorgere il cielo. Pensò a quanto
dovesse essere bello andare lì a sera inoltrata e potersi
godere il firmamento immersi nelle calde acque della sorgente.
Perdendosi in tali fantasie, giunse a riflettere sulla poesia che aveva
letto pochi attimi prima. Pensava alla povera Higo, spirito del vecchio
salice, strappata dalle braccia di Heitaro per soddisfare il bisogno
dell’imperatore. Pensava al povero Heitaro, che nulla aveva
potuto per proteggere la sua amata. Pur con delle differenze, la storia
sembrava molto simile a quella della Dea Scarlatta. In quella era il
popolo che abbatteva il salice mentre Heitaro tentava di difenderlo; in
questa era lo stesso Isshin che per la pace dell’uomo
abbatteva il susino millenario e, con esso, lo spirito di Akoya.
Entrambe le storie erano fondate sul principio delle anime gemelle:
Isshin ed Akoya, Heitaro ed Higo.
Si riscosse dai suoi pensieri quando un’altra donna
entrò nei bagni termali. Subitamente Maya uscì
dalla vasca, si asciugò approssimativamente e
tornò in camera per prepararsi per la cena.
Scese nella sala comune e consumò una cena frugale: del riso
e un po’ di ramen. Li aveva sempre adorati e ogni volta che
entrava in un nuovo ristorante non riusciva a fare a meno di ordinarli,
se erano nel menù. Era molto presto quando si
ritirò per la notte: l’indomani sarebbe stata la
vigilia di Natale ed aveva intenzione di passarla visitando Nozawaonsen
ed i boschi del circondario. Avrebbe voluto sentire la melodia di cui
parlava la leggenda di Higo ed Heitaro, ma era solo un vano desiderio:
lei non aveva un innamorato a cui ricongiungersi.
Dormì profondamente per tutta la notte. Venne svegliata
dalla sfolgorante luce del sole nascente che si rifrangeva sulla neve.
Solo la neve era capace di dare origine a quella luce tanto chiara e
brillante. Con entusiasmo si alzò e velocemente si
vestì preparandosi ad affrontare una giornata passata
all’insegna del turismo.
Un paio di giorni di svago poteva anche permetterseli. Per la fine
dell’anno sarebbe arrivato anche il resto della compagnia e,
a quel punto, sarebbe dovuta tornare ad essere la Maya controllata e
felice.
Salutò la signora Fujiwara all’ingresso ed
uscì nel freddo di Nozawaonsen. Parecchia gente aveva avuto
la sua stessa idea e vi erano lunghe code per l’accesso agli
impianti sciistici. Per un attimo rifletté se accingersi o
meno a fare un giro all’Higake Course, le piste per
principianti, ma poi si disse che, imbranata com’era, avrebbe
combinato un disastro anche lì. Si diresse pertanto verso
l’ingresso del bosco e ne imboccò lo stretto
sentiero segnato dalle staccionate laterali. Una lunga passeggiata tra
gli alberi innevati sotto il brillante sole invernale le avrebbe
sicuramente temprato lo spirito.
Camminò per un paio d’ore, mentre era accompagnata
dal suono della neve gelata schiacciata sotto il peso dei suoi
scarponcini. Osservò la candida coltre stesa sui rami degli
abeti e degli aceri spogli. Brillanti gocce d’acqua si
infrangevano al suolo quando il sole baciava il gelo. Si udivano da
ogni parte i segni del disgelo diurno: le gocce che inesorabilmente
precipitavano in terra producevano una tintinnante musica.
Giunta in una radura, scorse tra gli alberi quello che doveva essere un
lago gelato. Si avvicinò e vide alcune coppiette che stavano
pattinando sopra la lastra traslucida. Le loro risate le risvegliarono
la malinconia e provò una leggera invidia osservando quei
ragazzi che, felici, trascorrevano la vigilia di Natale mano nella mano.
Si riscosse da quei tristi pensieri e si rese conto che quel luogo le
era stranamente familiare. Mentre si sforzava di ricordare a cosa
somigliasse, le venne incontro un simpatico vecchietto vestito di
pesanti abiti tradizionali.
Con voce gentile l’apostrofò:
“Signorina, non è bello vedere
un’espressione tanto triste sul suo grazioso viso!”
Le espressioni nel volto della giovane si rilassarono. Il modo in cui
il vecchio si esprimeva le ricordava il suo docente di letteratura
giapponese all’Itotsuboshi, così arcaico e compito.
“Non si preoccupi, signore, mi passerà!”
– tentò di rassicurarlo lei.
“Allora mi vuol dire che il suo gentil innamorato
giungerà presto?”
Gli occhi di Maya si incupirono. Il vecchio se ne avvide
perché continuò:
“Mi scusi, sono forse stato inopportuno?”
“No, è solo che…” –
si interruppe, ma poi riprese, in fondo era solo un simpatico
vecchietto sconosciuto – “il mio è un
amore impossibile. Chi mi ha rubato il cuore mi vede e non mi vede. A
volte mi sembra di essere invisibile, altre volte invece… ma
non ne sono sicura…”
Il vecchio stette un po’ in silenzio, come a riflettere sulle
parole che la giovane gli aveva riservato. Poi, mentre entrambi
tenevano lo sguardo fisso sul lago, l’anziano disse:
“Che ne dice di passeggiare un altro po’? Avremo
modo di parlare un po’ meglio!”
Maya si ritrovò a seguirlo senza aver capito bene il
perché. Le sembrava quasi di aver risposto ad un bisogno
impellente. Stavano camminando affiancati ormai da una
mezz’ora. Si stava avvicinando l’ora del pranzo, ma
Maya non aveva fame. Stava ascoltando con vivo interesse i racconti di
vita dello strano vecchio. Non le aveva ancora detto come si chiamava,
ma le sembrava di conoscerlo da sempre: i suoi genitori erano stati dei
poveri contadini e lui aveva seguito il loro esempio. Giunto
all’età giusta aveva incontrato, sotto un vecchio
salice, una graziosa fanciulla di cui si era follemente innamorato. I
suoi occhi e la sua grazia erano ancora fissi nella sua mente. Avevano
vissuto insieme felicemente per molti anni, poi lei era scomparsa.
Maya si disse vicina al suo dolore, mentre il vecchio, guardandola dal
basso con occhi dolci e soddisfatti, semplicemente le disse:
“Gentile signorina, io ho vissuto felicemente e tuttora vivo
felicemente perché la mia sposa è con me sempre.
Sono invece più in ansia per lei. Il suo cuore grida
tristezza, il suo animo è in tempesta. Vorrei veramente che
il suo non fosse un amore impossibile!”
Un lieve sospiro sfuggì dalle labbra della ragazza.
Presi da quei discorsi non si erano avveduti che il cielo si era
coperto ed il freddo vento aveva iniziato a sferzare i rami con
crescente intensità. Il vecchio propose di ripararsi in una
grotta vicina dove avrebbero potuto attendere che il tempo migliorasse.
Mentre si avvicinavano iniziò anche una fitta nevicata. La
visibilità iniziava ad essere ridotta e solo fortunosamente
riuscirono ad individuare la stretta apertura. Si accomodarono sulla
nuda roccia con il volto rivolto alla bufera. Solo grazie al fatto che
si trovasse lì con il vecchio riuscì a non farsi
prendere dal panico: il tempo passava ed in silenzio continuavano a
guardare la tempesta che non accennava a placarsi.
Ormai era scesa la sera ed il freddo le era entrato nelle ossa. Pensava
che ormai fossero partite le ricerche, ma chi avrebbe pensato di
trovarla in quella buia caverna? Il suo accompagnatore appariva
stranamente calmo ed insensibile al freddo. Non un solo brivido
l’aveva colto dacché Maya aveva iniziato a battere
rumorosamente i denti.
Mentre lo osservava, il vecchio si voltò dalla sua parte. I
suoi occhi apparivano gioiosi e saggi anche in quella situazione. Le
poggiò una mano segnata dalle rughe e dagli affanni sulle
sue e in un sussurro le disse:
“Maya, quando giungerà il momento, abbia fiducia
nel suo amore e coraggio nel cuore…”
“Come fa a sapere il mio nome? Chi è
lei?” – già il sonno sembrava
requisirla. Sapeva che non doveva addormentarsi, ma le sembrava
impossibile resistere: gli occhi le sembravano così
pesanti…
“Si rilassi Maya. Si fidi di me. Io sono Heitaro.”
– furono queste le ultime parole che la ragazza
riuscì a comprendere prima di arrendersi.
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* "Per chi non fraintenda, narra la leggenda" sono due versi della
canzone "Figlio della Luna" dei Mecano.
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