"Kairi, Kairi!"
Lei aveva distolto
l’attenzione dalla sabbia e l’aveva rivolta a lui, che subito le aveva detto:
"Lascia perdere queste scemenze, vieni!"
Kairi, alla parola
scemenze, si era sporta con le braccia sulla sua montagnola di sabbia,
temendo che Sora volesse distruggerla. In realtà, casomai, Sora si sarebbe
seduto al suo fianco e le avrebbe dato una sistemata, visto che non aveva forma
e cadeva tutta da una parte, ma in quell’occasione non degnò la presunta
scultura di uno sguardo.
"A fare cosa?"
Lo sguardo di Sora si
era illuminato: "Riku ha costruito una zattera!"
Kairi lo aveva
guardato con un po’ di diffidenza, ma se non altro aveva smesso di stare
avvinghiata alla precaria costruzione. Ci pensò un po’ e domandò: "Ma è sicura?"
"Certo che è sicura,
ho detto che l’ha costruita Riku!"
"E che cosa volete
farci?"
"Vogliamo fare un
viaggio. Vieni con noi!"
"Un viaggio dove?"
"In giro per il
mondo."
"E’ un po’ lontano…"
"Stai tranquilla, ci
portiamo da mangiare. Dai, magari riconosci anche il posto da cui vieni!"
Kairi lo aveva
scrutato per un attimo, indecisa sul da farsi, poi si era alzata: "vado a
chiedere alla mamma se posso."
Sora la fermò,
tenendola per un braccio: "Ma se glielo chiedi ti dice di no! Fai prima a non
chiederglielo!"
Kairi allora aveva
scosso la testa ed era tornata a lavorare sulla sua sabbia senza forma. Sora
aveva sbuffato e l’aveva accusata di essere noiosa. Lei aveva fatto spallucce:
"Se vi fate male in giro per il mondo sono affari vostri."
Riku era arrivato
proprio in quel momento. Sora fece un saltello entusiasta, perché sicuramente
lui l’avrebbe convinta. Riku aveva guardato dubbioso la scultura di Kairi,
cercando di capire che cosa fosse, poi aveva chiesto: "Vieni?"
"No, non vengo. Sora
non vuole che avvisi la mamma."
"Sora ha ragione."
"Visto?" aveva
sottolineato Sora, compiaciuto, come se lo avessero lodato per un bel voto.
Anche se si vergognava ad ammetterlo era chiaro per chiunque che le parole di
Riku fossero come dogmi per lui, e qualsiasi cosa non ottenesse la sua
approvazione era inutile, tempo perso. Lo ammirava in modo cieco, totalmente
privo di prospettiva, quasi religioso, e anche se Kairi a volte lo prendeva in
giro per questo, anche lei non gli aveva mai rifiutato niente. A parte salire su
quella cavolo di zattera, certo.
Siccome lei non
cambiava idea, Riku aveva fatto spallucce: "Vorrà dire che staremo più larghi."
"Ti mandiamo una
cartolina dal mondo."
Kairi aveva sospirato
divertita: "Il mondo non è un posto solo, Sora, ci sono tanti posti, nel mondo."
"E’ la stessa cosa."
A volte Kairi sapeva
essere davvero odiosa. Per fortuna di solito era completamente amabile, e questo
annullava qualsiasi cosa non completamente amabile facesse.
La salutarono e si
avviarono alla zattera.
Col senno di poi,
Sora aveva sempre dovuto riconoscere che non sembrava costruita da un bambino di
undici anni. Certo, era pur sempre un mezzo di fortuna fatto di assi e corde, ma
aveva una logica di fondo, era costruita in modo che tutto quanto avesse un
senso. Era inchiodata, innanzi tutto, e i chiodi erano stati coperti perché non
arrugginissero e loro si facessero male toccandoli. I nodi erano saldi, e il
peso era ben distribuito. A bordo c’erano tre salvagenti, anche se alla fine ne
avrebbero usati solamente due, ed erano stati gonfiati e accuratamente legati.
Non c’era mai stato
dubbio sul fatto che Riku non fosse un bambino come tutti gli altri. Certamente,
non era come Sora.
Riku era stato il
primo a salire sulla zattera. Ci si era mosso un po’ sopra, per mostrargli che
reggeva perfettamente, ma lui non ne aveva dubitato nemmeno per un attimo. Salì
anche lui, e si sedettero insieme.
"C’è un posto in
particolare dove vuoi andare?"
Sora aveva scosso la
testa: "E tu?"
"Voglio vedere i
vulcani."
"I vulcani?"
"Mh. Saliremo su un
vulcano e ci guarderemo dentro, poi quando fa troppe bolle scendiamo perché vuol
dire che sta per eruttare. Allora scapperemo giù e avvertiremo tutti quelli in
città del pericolo."
"…Ci sono le città
sotto i vulcani?"
"Sì. L’ho letto su un
libro."
"Forte."
Riku gli aveva dato
il suo remo, che aveva ingegnosamente costruito legando una paletta per le
pulizie di casa a un bastone rigido. Si era anche portato nello zaino delle
palette di sicurezza, e dell’altra corda, per riparare i guasti. Aveva pensato a
tutto.
Così, avevano
cominciato a remare. Dopo un po’ a Sora sembrava di essere andato così lontano
che cominciò a guardarsi intorno per vedere se ci fossero già i vulcani
all’orizzonte.
Solamente mare.
Non che sapesse bene
come fossero fatti i vulcani, poi. Aveva sempre pensato che fossero invenzioni,
come gli elfi, o le fate. Ma se Riku diceva che esistevano, beh, esistevano.
Anche la riva
sembrava lontana, lontanissima, e quando le onde li faceva salire verso l’alto
lui cercava di vedere se Kairi li stesse osservando dalla spiaggia, ma
ovviamente non vedeva altro che pallini indistinti che si muovevano su una tela
giallo ocra.
Giallo, giallo,
giallo…più andavano avanti, più si lasciavano indietro l’isola, più a Sora
sembrava di stare guardando il mondo al contrario. Adesso la spiaggia che
conosceva così bene diventava così vasta, così difficile da capire, e il mare
era diventato il punto dal quale osservarla per scrutarne i segreti.
Continuarono a
navigare, parlando del mondo, o di quello che da bambini si confonde per tale.
Si scambiavano nozioni su tutto quello che sapevano, e a volte Sora le sparava
davvero grosse per impressionare Riku, che però non gli credeva mai nemmeno pre
sbaglio, se non quando aveva ragionevoli motivi per farlo.
La zattera sobbalzava
all’impatto con le onde, e Sora si era già completamente bagnato il costume,
cosa che in tutta la sua ingenuità non pensava sarebbe successa. Dopo quella che
gli gli era sembrata un’eternità di guardò indietro, e non vide più la riva.
L’aria stava
diventando freddina e il cielo più scuro. Anche il mare era diventato più scuro.
Lo disse a Riku, che con calma gli spiegò che il mare riflette il colore del
cielo, quindi era tutto normale, non si doveva preoccupare. Sora, mentendo,
aveva risposto che non si preoccupava affatto.
Cominciava a fare
sempre più freddo, però. La pelle bagnata si riempiva di pelle d’oca ai soffi
del vento, e ad un certo punto Sora pensò di voler remare verso casa, ma si
vergognava troppo a dirlo a Riku, e così era rimasto in silenzio, sperando che
fosse lui ad avere l’idea.
Riku però non tornava
indietro, mai.
Anche se stavano
tremando restava tranquillo, a guardare il mare.
"Si vede qualche
pesce" gli disse "Più tardi magari riusciamo a pescarli."
"Mmmh…chissà se è
troppo profondo."
"Ce la faremo. Tu sei
bravo a pescare."
Lui aveva annuito
animatamente, ma si era reso conto solo in quel momento che girare per il mondo
in zattera significava non poter mangiare a tavola. Pazienza, si sarebbe
adeguato. Solo che tremava così forte che gli facevano male i denti.
Riku se ne accorse, e
tirò fuori dallo zaino una felpa.
"Non lo sapevi che in
mare aperto può fare freddo?" lo aveva preso in giro, dandogliela.
No, Sora non ci aveva
mai pensato. Aveva sempre dato per scontato che al mare ci fosse sempre il sole,
perché a lui la mamma lo faceva vedere solo in quel modo. Riku invece pensava
sempre a tutto.
Le onde avevano
cominciato a portarli sempre più in alto, e diventavano sempre più veloci.
Appena scendevano da una ecco che ne arrivava un’altra, che spesso li investiva,
e sebbene non ribaltassero la zattera, la bagnavano e la schiacciavano verso il
fondo, facendola indietreggiare.
Sora cominciava ad
avere seriamente paura, mentre Riku aveva sbottato, seccato: "Così ci rimanderà
a riva."
Sora cominciò a
pregare perché questo accadesse, ma la riva era troppo lontana, ormai. Si
avvolse nella felpa di Riku, che però divenne presto inutile perché il mare
gliela inzuppò subito. Chissà se Riku aveva pensato a portarsi dietro un
impermeabile. Glielo chiese e lui, ovviamente, lo tirò fuori subito.
"Lo tenevo per quando
peggiorava il tempo, ma pazienza."
"Peggiorare?"
"Magari più tardi
piove, chi lo sa."
Sora si sigillò
nell’impermeabile, raggomitolandosi. Riku era ancora in costume da bagno e si
vedeva che aveva freddo, ma non lo dimostrava in nessun modo. Lui avrebbe voluto
tanto essere alla sua altezza, ma non ce la faceva.
Poi un’onda sbalzò
forte la zattera, che finì per metà sott’acqua. Sora urlò per lo spavento, e si
tenne il più forte possibile alle corde. Anche Riku si stava tenendo. Arrivò
un’altra onda che li coprì completamente, e quando Sora riuscì ad alzare la
testa e respirare l’acqua gli era finita nel naso e gli sembrava di stare
soffocando. Cominciò a tossire, e prima che si riprendesse arrivò un’altra onda
che sbalzò la zattera così tanto che finì con la testa sott’acqua. Si tenne
fortissimo, terrorizzato, e quando miracolosamente riuscì a risalire abbandonò
tutto il coraggio e urlando cercò di muoversi verso Riku con gli occhi chiusi,
solo che così aveva ancora più paura di cadere, e quando li colse una nuova
onda, anche se più debole, scoppiò a piangere. Per fortuna era difficile
accorgersene in quelle condizioni, e questo gli fece un po’ di forza.
All’improvviso, nel
buio e con gli occhi che gli bruciavano per il sale, sentì Riku stringerlo forte
e dirgli di stare tranquillo. Lui annuì e tirò su col naso, ma così sentì ancora
tutta l’acqua salirgli al cervello. Sentì, perché continuava a non guardare, che
Riku gli aveva messo il salvagente.
"Mettilo anche tu" lo
scongiurò, ma lui non gli diede retta e gli chiese che gusto ci sarebbe stato,
così.
Sora cercò di
convincerlo, ma sentì un’ondata fortissima andargli a sbattere contro, e lo
sbalzò via. Si ritrovò sott’acqua e riuscì a chiudere la bocca solo dopo aver
inghiottito molto. Per fortuna nuotava da quando era piccolissimo, praticamente
era cresciuto trattenendo il respiro, e una volta riuscito a mettere per un
attimo da parte la paura era anche riuscito a risalire a galla.
Tossì in modo
dolorosissimo e si guardò intorno, anche se il sale gli bruciava gli occhi, e
non vide Riku.
Lo chiamò forte, con
tutto il fiato che gli rimaneva, riuscì addirittura ad avere la presenza di
spirito di tapparsi il naso e chiudere bene la bocca quando arrivò un’altra
onda, e usò la corda che teneva legato il salvagente per avvicinarsi alla
zattera.
"Riku!" chiamò
ancora, terrorizzato e disperato.
Lui riemerse proprio
al suo fianco, e si aggrappò al suo salvagente. Sora ebbe paura di essere
trascinato a fondo, ma se l’alternativa era di lasciare Riku solo preferiva
rischiare.
Cercò di tenerlo
stretto, ma in realtà era ancora una volta Riku che stava tenendo stretto lui,
anche se era quello nella situazione peggiore. Respirava male e continuava a
tossire, ma riuscì a farsi forza e a cercare il suo salvagente, che era ancora
legato alla zattera. Aveva perso lo zaino, purtroppo, ma non era un buon momento
per pensarci. Quando fu al sicuro dentro la sua ciambella e Sora stava ormai
piangendo come una bambina, allungò una mano e se lo tirò vicino. Che
umiliazione farsi vedere così da lui. Che umiliazione tremenda. Avrebbe voluto
che il mare lo inghiottisse in quel momento.
Riku lo strinse,
tenendogli un braccio attorno alle spalle, e gli urlò: "Tieni gli occhi chiusi.
Ti stringo più forte quando devi trattenere il respiro, va bene?"
Sora annuì
disperatamente e si affidò completamente a lui. Affidò a lui tutta la sua vita.
Cercò di smettere di
piangere, sforzandosi, ma riuscì solo ad abbassare il volume e singhiozzare.
Riku allora gli
disse, con un tono di voce così tranquillo che sembrava non stesse succedendo
niente di male: "Andrà tutto benissimo, Sora, ok? Non ti lascio andare, non
avere paura."
Sora, con gli occhi
chiusi e le mani artigliate alle sue spalle, rispose che non aveva paura.
E in quel momento
smise davvero di averne.
Quando Sora aprì gli
occhi la prima volta, vide solamente giallo.
Un’immensa distesa
luminosa di sole.
Era la spiaggia? Gli
ballava davanti come se le onde lo cullassero, ma non sentiva il rumore del
mare.
Quell’immagine riempì
i contorni neri, e sbattendole palpebre vide quel giallo andargli incontro,
farsi avanti dolcemente. Ben presto però quella sensazione diventò sgradevole, e
in un attimo si trovò travolto, impotente, soffocato dal giallo.
Quando li aprì la
seconda volta, vide solo un pallino giallo al suo fianco.
Lo mise a fuoco, e
capì che si trattava di un grande fiore.
Poi sentì la voce di
Kairi, e le sue mani che tirando gli portavano via un po’ di coperte.
"Sora! Signora! Papà!
Papà!"
Sora chiuse gli
occhi, non potendosi chiudere le orecchie perché non riusciva a muoversi bene.
Si sentiva come legato, buttato sul fondo dell’oceano.
Qualcuno lo tirò
fuori di lì e lui, riprendendo a respirare lentamente, cercò di guardare.
Sua madre lo stava
abbracciando con forza, ed era terribile, perché si sentiva affogare. Cercò di
spingerla via con tutte le sue forze, finché a furia di dimenarsi non ottenne un
po’ d’aria.
Sua madre continuava
a toccarlo, ringraziando il cielo e ripetendogli che era uno stupido, l’aveva
fatta preoccupare a morte, a morte, a morte…Sora aveva sonno. Girò la testa e
vide di nuovo la distesa famigliare di giallo che si muoveva come il mare.
"Come stai, Sora?"
gli chiese dolcemente Kairi.
Lui scosse la testa.
Quando aprì la bocca gli sembrò di sputare acqua e si asciugò, ma non c’era
niente.
"…bene…"
Kairi gli sorrise
ancora, e lui si sentì bene davvero.
Stava sempre bene
quando Kairi sorrideva, anche quando prendeva un voto tremendo a scuola e sua
madre gli rompeva le scatole per un’ora facendolo sentire uno stupido, o quando
non riceveva nessuno dei regali che voleva per le feste, o quando era
semplicemente giù di corda, chissà perché.
Kairi gli faceva
sempre pensare che in fondo ci fossero delle cose belle.
Dei dottori la fecero
uscire e cominciarono ad appiccicargli strumenti freddi sul petto e a
staccargliene degli altri. Per tutto il tempo tenne gli occhi chiusi, pensando
al giallo. Onde di giallo. Petali di giallo. Matite gialle. Zattere di matite
gialle legate da foglie gialle. Il sorriso di Kairi luminoso come il giallo.
Quando il giallo
fuori dalla finestra si era stemperato nel buio e lui stava per chiudere gli
occhi assonnato, Kairi era arrivata tenendo la mano di suo padre e lo aveva
salutato.
A quel punto Sora
l’aveva fermata, e come se i suoi occhi non si fossero mai aperti fino a quel
momento la riconobbe. La riconobbe davvero. Riconobbe lei, e non solamente
l’impressione della luce che irradiava.
"Riku?" domandò
affannosamente "Dov’è Riku?"
Kairi,
fortunatamente, gli sorrise.
*
"Stupida Kairi"
sbottò Riku rubandogli il mazzo, che era piccolissimo, visto che gliel’aveva già
rubato solo tre turni prima "Se non avesse fatto la spia a quest’ora chissà dove
saremmo…"
Sora sbuffò per il
mazzetto perduto e lanciò una carta a vuoto.
"Ma siamo malati?"
"Ma no, ci tengono un
po’ per spaventarci…"
"Se non siamo malati
perché non ci lasciano andare e fanno venire qualcuno che è malato davvero?"
"Non c’è fretta,
questo posto è così piccolo…" e sospirò con rancore.
Sora osservò il campo
di girasoli che colorava la visuale, e poi guardò Riku.
Con i suoi capelli
bianchi, il pigiama dell’ospedale, la pelle chiara per la poca luce e gli occhi
così brillanti, sembrava un po’ un angelo e un po’ un fantasma.
Sul comodino c’erano
i due girasoli che aveva portato Kairi per loro. Stavano lentamente appassendo,
ma a Sora sembravano belli comunque. Gli ricordavano lei. E in qualche modo gli
ricordavano anche Riku.
Riku raccolse le
ultime carte rimaste e chiuse la partita.
Era una vita che Sora
perdeva qualsiasi gara contro di lui, eppure ancora riusciva ad arrabbiarsi.
Tuttavia, aveva anche cominciato a pensare che fosse normale, e giusto. Come
guardare un film che non finisce come volevi, e quando lo riguardi speri nel
cambiamento, ma lo sai che non succederà, e va bene così. Quel finale per lui
era Riku che sorrideva soddisfatto anche dopo la centesima facile vittoria.
Le loro mamme avevano
aspettato che stessero abbastanza bene per sgridarli fino allo sfinimento.
Erano andate avanti
per ore, e Riku si era preso anche uno schiaffo da suo padre.
Senza fiatare, da
vero eroe.
Quando lo aveva
ammirato, in quel momento.
I loro genitori
avevano detto che li avevano ritrovati in mare, che erano quasi congelati e
svenuti, e che Kairi in persona aveva dovuto dire al soccorso di prendere
l’aereo, perché lei era l’unica ad aver pensato che una zattera costruita da un
bambino potesse arrivare così lontano.
Riku aveva sorriso
nel sentirlo. Aveva sorriso come quando vinceva qualcosa. E Sora pensò di averlo
sempre saputo che da qualche parte, in quella storia, lui avrebbe trovato
qualcosa per cui sorridere in quel modo.
Inizialmente avevano
tenuto il muso a Kairi, che aveva spifferato il loro segreto, ma poi avevano
ricominciato a parlarle perché le giornate in ospedale erano lunghissime e
noiose, e comunque Sora, anche se spinto da Riku, non sapeva quanto sarebbe
stato in grado di non parlare con lei.
Sua madre gli aveva
ripetuto un sacco di volte che era solamente merito di Kairi se erano ancora
vivi, ma per quanto fosse grato alla sua amica, in cuor suo Sora sapeva che non
era così.
Lui era vivo perché
Riku gli aveva detto come respirare.
Solo ed
esclusivamente perché Riku era con lui.
*
Tre anni dopo Riku
scrutava l’orizzonte seduto sul tronco, come se fosse sul punto di decidere
qualcosa. Non era affatto affaticato per la corsa che avevano fatto, e Sora
stava guardando con un po’ di invidia le sue braccia muscolose, pensando che se
avesse avuto anche lui quella braccia forse sarebbe piaciuto di più a Kairi.
Si rendeva conto di
quanto infantile fosse quel pensiero, ma la verità era che lui pensava
continuamente che se fosse stato come Riku, sarebbe piaciuto di più a Kairi. Gli
sembrava semplicemente ovvio. A lui Riku piaceva così tanto che dava per
scontato che tutti dovessero condividere quell’adorazione, e che tutti fossero
impotenti di fronte al suo fascino come lo era lui.
Mentre Sora restava
piccolo e magro, a quindici anni Riku era già cresciuto così tanto che sembrava
un principe. Gli dava fastidio che Kairi sembrasse una principessa. Non voleva
fare il paggetto a vita, ma aveva la tremenda sensazione che quello fosse il suo
destino.
Si sedette anche lui
sul tronco, e allora Riku disse: "Comincio domani."
"Che cosa?"
Lui si era girato e
gli aveva sorriso "A costruire la zattera."
In quel momento,
Kairi li chiamò da lontano e corse verso di loro. Si sedette anche lei sul
tronco, e chiese di che cosa stessero parlando.
Riku le spiegò:
"Dicevo a Sora che voglio costruire una zattera."
Kairi fece dondolare
la testa "Non mi sembra che l’ultima volta sia andata molto bene…"
"La modificherò,
naturalmente."
Poi Riku guardò lui,
e solo lui.
"Tu vieni con me, non
è vero?"
Sora annuì senza un
secondo di esitazione, perché le sue domande non erano davvero domande, non per
lui. Erano sfide, che non vedeva l’ora di cogliere. E poi, anche se lo sapevano
solo loro, erano promesse.
Se lui e Kairi lo
avessero seguito, Riku avrebbe mostrato loro il mondo.
Gli venne in mente
che dopo l’incidente della zattera, quando era tornato a casa dall’ospedale sua
madre aveva continuato a sgridarlo, e a un certo punto gli aveva chiesto "se
Riku si butta da un ponte ti butti anche tu?" Era una domanda retorica, ma Sora
aveva spalancato gli occhi e come se fosse ovvio, quasi offensivo che fosse
stato messo in dubbio, aveva risposto "Certo!"
Non ci poteva fare
niente, anche se stava crescendo. Non era che non pensasse con la sua testa, era
che la sua testa era sempre d’accordo con quella di Riku.
Era che Riku, per
lui, a volte brillava più forte del sole.
"Certo che vengo!"
disse più deciso, facendo un cenno con la testa.
Kairi allora cominciò
a dondolare le gambe, e dopo un po’ disse "Allora voglio venire anch’io."
Sora si girò e le
sorrise felice.
"Oh" la prese in giro
Riku, che sicuramente aveva già pensato ad un posto per lei sulla zattera "Come
mai non devi chiedere il permesso alla mamma?"
Kairi scosse le
spalle e sorrise fiduciosa al mare: "Non lo so…ma questa volta sento che ce la
farete. E io non voglio restare qui, sapendo che voi siete in giro per il mondo
a divertirvi."
Sora incrociò le
braccia sul petto: "Ci serviranno delle provviste."
Riku rise: "La prima
cosa a cui pensi e a mangiare, sei pessimo!"
"Uffa, ho detto la
prima cosa che mi è venuta in menteeee…"
"Ci serviranno anche
delle corde, degli assi, dei chiodi e dei remi. Dobbiamo anche cercare una tela
bella resistente, altrimenti dovremo trovare un modo per fabbricarcela."
Kairi si sporse in
avanti per riuscire a guardarli entrambi: "Io cucirò degli amuleti. Visti i
precedenti, mi sa che avremo bisogno di fortuna, no?"
Sora annuì, poi Riku
scosse le spalle.
"Non ci serve la
fortuna."
"Beh, allora provo a
farne uno per me, e se ci riesco ne farò un altro per Sora. Che ne dici, Sora?"
Sora annuì, poi
sospirò: "E’ a te, Riku, che non serve la fortuna…"
Lui sorrise spavaldo,
in direzione del mare: "Lo so."
Anche se già una
volta aveva rischiato di morire in un’impresa del genere, Sora non era agitato.
Al contrario, gli sembrava che da quel momento in poi anche la sua vita sarebbe
cominciata a salpare.
Avrebbe avuto il
porta fortuna di Kairi, e Riku al suo fianco.
E finché c’era lui,
poteva giocarsi i suoi occhi, Sora non avrebbe avuto paura.
*