Eccomi con
una nuova storia!
Avevo voglia
di cambiare un po': questa fanfic è decisamente meno impegnativa dell'altra (sia
per me che la scrivo che per voi che la leggete!)
Spero che le
Cotton Candy mi perdoneranno, ma credo che qui darò libero sfogo alla mia anima
Huddy.
So che così
mi gioco parecchi lettori ma...ho un paio di scene che mi frullano in testa da
un po' ed è il caso di metterle giù prima che invadano interamente il mio
cervello!
Non so
ancora quanto sarà lunga e se ci sarà la comparsa di qualche altra coppia...buio
completo! La trama è ancora parzialmente un mistero, anche per me!
Aspetto con
ansia recensioni, critiche o consigli...basta che mi fate sapere che ne
pensate!
Buona
lettura!
CAPITOLO
1
Chase fece
un altro sorso dal suo bicchiere.
Era il terzo
cocktail che beveva e aveva passato il confine tra “sobrio” ed “allegro” a metà
del secondo. Finendo il terzo mojito scavalcò con un agile balzo anche quello
tra “allegro” e “ubriaco”.
Gli girava
da testa, si sentiva le guance infuocate e faceva fatica a stare in
equilibrio.
Sorrise.
Erano anni
che non si prendeva la libertà di bere fino a non capire più niente. Forse da
quando aveva iniziato a studiare medicina.
La medicina:
ti entrava dentro, ti occupava il cervello e lo stomaco. Oltre che tutte le
giornate, weekend inclusi.
“E’ da anni
che non mi ubriaco così.” disse strascicando un po’ le parole, all’uomo seduto al tavolo con lui.
“Già, ed è
da anni che non ci vediamo.” rispose questo ridendo. “l’ultimo ricordo che ho di
te è una scenetta molto simile a questa. Per me non è cambiato niente.”
Risero
entrambi, mentre facevano cenno alla cameriera di portargli ancora da bere.
“Ti sei
perso dieci anni della mia vita.” disse Chase in tono accusatorio.
“E non ho
nessuna voglia di sentirmeli raccontare!”
Continuavano
a ridere, senza riuscire a contenersi.
Se fossero
stati in qualunque altro posto probabilmente avrebbero dato nell’occhio, ma
erano seduti a un tavolo dell’Alexander Cafè, dove a mezzanotte passata di
venerdì sera, trovare una persona sobria era come prendere un terno al
lotto.
Chase si
guardò attorno, sperando di incrociare lo sguardo di qualche bella ragazza.
Stava passando una bellissima serata con William, un suo amico d’infanzia, ma
non gli sarebbe dispiaciuto concluderla nel letto di una sconosciuta.
Anche quello
era da anni che non accadeva.
Aveva avuto
una bella storia di qualche anno, e un tira e molla, durato anche questo anni,
con un’amica di vecchia data. Infine era uscito con qualche infermiera.
Poi c’era
stata Cameron: rapporto destinato ad iniziare e terminare in una notte.
Un’avventura di sesso, è vero, ma con una persona che conosceva già bene e che
vedeva tutti i giorni.
Una
sconosciuta era…una sconosciuta!
“Cerchi una
vittima per stasera?” chiese divertito il suo biondissimo compagno di liceo.
Più che
amici, sembravano fratelli.
“In questo
stato non credo che riuscirei a combinare un granché.” ammise Chase, rendendosi
conto che a breve avrebbe dovuto correre in bagno a vomitare. Altro che
donne…
William gli
diede un’amichevole pacca sulla spalla, sporgendosi verso di lui da sopra il
tavolo.
Per poco non
si ribaltarono con tutto il tavolo a seguito.
Ripresero a
ridere convulsamente.
Improvvisamente
Chase si bloccò, spalancando gli occhi sulla porta d’ingresso del locale.
“Merda…”
“Cosa c’è?”
chiese William, voltandosi per seguire lo sguardo dell’amico. Era appena entrato
un gruppetto di persone, ma non riconobbe nessuno.
“C’è il
grande capo dell’ospedale dove lavoro! Se mi vede conciato così…” mentre parlava
non distolse gli occhi dalla Cuddy, pregando che non si voltasse verso di
lui.
“Chi è?”
“La donna
col vestito rosso.”
“Wow!”
William richiamò l’attenzione dell’amico. “Ehi, ma perché ti preoccupi tanto?
L’hai vista bene?”
Chase si
voltò ancora verso Cuddy, e inclinò la testa, studiandola attentamente, per
quanto il suo stato glielo permettesse. “Oddio, è conciata peggio di me…”
sussurrò tra sé e sé, sorridendo.
Lisa
camminava appoggiata al braccio di un bell’uomo, di qualche anno più giovane di
lei.
Arrivata al
tavolo che il cameriere aveva loro indicato, si lasciò cadere pesantemente sul
divanetto. Il gruppo di persone che era entrata con lei, prese posto allo stesso
tavolo. L’uomo che prima la reggeva, le si sedette accanto e la guardò
sorridendo. “Sei ubriaca marcia.” dichiarò, in tono rassegnato.
Di risposta,
Cuddy gli regalo un largo sorriso “Lo so.”
Appoggiò la
testa alla sua spalla, senza smettere di sorridere mentre l’uomo, scuotendo la
testa sconsolato, ordinava da bere.
“E’ il suo
compagno?” William tentò di coinvolgere Chase in una conversazione sensata, per
tenerlo sveglio.
Infatti
l’intensivista si era accasciato sul divanetto, per evitare di esser visto, ma
la posizione semisdraiata, insieme all’alto quantitativo di alcool in corpo, lo
stavano facendo lentamente scivolare in uno stato di trance non lontano dal
sonno profondo.
“Ehm…cosa?”
“Dai Rob,
tirati su!” William gli scosse violentemente una spalla. “Non ho voglia di
portarti a casa in braccio. La nottata è solo all’inizio!”
“Fantastico…”
mugugnò Chase. Doveva avere un pessimo aspetto, e non aveva nessuna intenzione
di farsi vedere così dalla Cuddy. Decise che non sarebbe uscito dal suo
nascondiglio finché lei non se ne fosse andata. Lo comunicò al suo amico.
“Ma sei
pazzo?! Rob ma guardala!” questa volta William tirò con forza la giacca
dell’amico, costringendolo a sollevarsi.
A Chase
venne da ridere: la Cuddy aveva appoggiato le braccia al tavolo e le stava
usando come cuscino. Arrivò la cameriera, e l’uomo che le stava seduto accanto,
con delicatezza, l’aiutò ad alzare la testa e le porse un bicchiere di
champagne. Lei lo prese sorridendogli.
“Non l’ho
mai visto.” disse Chase all’amico,
rispondendo alla sua domanda di pochi minuti prima.
“E’ sposata?
Fidanzata?”
“Non che io
sappia.”
“Bhè,
comunque sia la sua serata è già scritta: berrà ancora un po’ e poi finirà a
letto con l’uomo che le sta accanto.”
Chase annuì
soprappensiero.
“Che c’è?
Avrai mica una cotta per lei?! Per il tuo capo…” William rivolse all’amico un
sorrisetto malizioso.
“Ma no! E’
che…è strana vederla così.”
William
osservò incuriosito Chase che, mentre parlava, impallidiva sempre di più;
l’espressione sul viso sempre più preoccupata.
“Ma cosa
c’è, Rob?”
Chase si
alzò di scatto “Devo vomitare!” e corse verso il bagno.
William rise
tra sé e sé, terminando con un sorso il drink del suo vecchio amico.
Cuddy
terminò rapidamente lo champagne.
Era almeno
il quinto brindisi della serata, senza contare i litri di vino che avevano
consumato durante la cena.
Rimpatriata.
Finiva
sempre così.
Vecchi
compagni del college, tutti seri professionisti, validi medici, uomini e donne
responsabili. Quando si trovavano assieme, ed accadeva per fortuna di rado,
finivano sempre per dare il peggio di sé. Meno male che c’era Brian con lei
quella sera.
“Stai bene
Lisa?” Brian le scostò una ciocca di capelli dal viso.
“Non molto,
meglio che vado a rinfrescarmi un po’.”
“Ti
accompagno?”
“No” rispose
lei sorridendogli e, barcollando, si diresse verso il bagno.
Chase aveva
riversato la cena e i numerosi drinks della serata in uno dei gabinetti
dell’Alexander Cafè.
Si appoggiò
al lavandino, le mani che stringevano forte la ceramica, aspettando che il mondo
smettesse di girare a quella velocità.
Si guardò
allo specchio: capì perché la gente non aveva nessuna difficoltà ad accorgersi
quando beveva.
Ad un certo
punto la porta del bagno si spalancò, e la Cuddy entrò quasi correndo. Sbatté
violentemente la gamba contro uno spigolo, sussurrò un’imprecazione e, urlando
“Questo è la toilette delle donne, esca di qui!” si chiuse dentro uno degli
stanzini del bagno.
Chase rimase
sconvolto dall’assurdità di quella scena; voltandosi lentamente, rivolse la
schiena allo specchio e gli occhi spalancati alla porta dietro la quale era
sparita Cuddy.
“Non mi ha
riconosciuto.” pensò, sentendosi profondamente felice.
Si rese
conto che era un ottimo momento per fuggire da lì.
Non fece
però neanche in tempo a fare un passo, che Cuddy ricomparve ancora davanti a
lui.
Si
guardarono qualche istante, senza avere il coraggio di dire o fare niente.
Lei
stringeva la maniglia della porta, e con l’altra mano si reggeva allo stipite;
lui era appoggiato al lavandino, stringendolo forte per non perdere
l’equilibrio.
“Ehm…” Chase
fu il primo a distogliere lo sguardo.
“Allora
avevo visto bene.” disse lei.
“Sono
entrato nel bagno sbagliato.” si scostò dal lavandino e, cercando di darsi un
contegno, camminò verso la porta d’uscita. Rinunciò subito, rendendosi conto che
sarebbe caduto rovinosamente a terra prima di arrivare a metà strada.
“No…meglio
che sto qui.” afferrò saldamente un altro lavandino e, dando le spalle alla
Cuddy, appoggiò la testa al vetro dello specchio. Chiuse gli occhi.
“Sei
ubriaco.” la voce di lei gli arrivò dal lavandino accanto.
Sentì
aprirsi il rubinetto.
“Anche tu.”
Chase avrebbe voluto sottolineare quest’accusa con uno sguardo di rimprovero, ma
non riuscì neanche ad aprire gli occhi. La superficie fredda e dura dello
specchio era estremamente confortevole.
A un certo
punto gli arrivò in faccia una pioggia gelata.
“Ehi!” si
staccò bruscamente dallo specchio, provocandosi un intenso capogiro. Fece due
passi indietro e, quando toccò con la schiena la parete dietro di lui, vi si
accasciò contro. Lentamente, scivolò lungo di essa, fino a trovarsi seduto per
terra.
Cuddy non
demorse e, convinta dell’utilità del suo gesto, continuò a lanciare acqua gelida
addosso a Chase.
“Ma
finiscila.” mormorò lui, senza neanche la forza di spostarsi dal raggio d’azione
del suo capo.
Rendendosi
conto che non stava ottenendo l’effetto voluto, Lisa smise di tormentare Chase,
e si concentrò per qualche minuto su se stessa.
Si guardò
anche lei allo specchio, e quello che vide non le piacque.
Nonostante
gli strani pensieri che l’alcool la portava a fare, credeva di esser riuscita a
creare un buon piano per uscire da quella situazione con la reputazione intatta.
Guardandosi allo specchio si rese conto che non c’era modo di nascondere la sua
sbronza, neanche sotto un castello di balle ben strutturate. Incominciò a
ridere.
“Sei
conciata peggio di me.” osservò Chase, accennando un debole sorriso.
Cuddy lo
raggiunse con passo incerto, e si sedette accanto a lui. Per terra era tutto
bagnato, prevalentemente a causa del suo idro-attacco all’ubriacatura di
Chase.
Osservò
impassibile il suo bellissimo vestito rosso che si riempiva di macchie
scure.
Alzando lo
sguardo su Chase, si accorse che anche lui guardava ipnotizzato le macchie
d’acqua che si allargavano lentamente sul suo vestito.
Gli tirò una
gomitata nel costato, catturando la sua attenzione.
“Adesso
facciamo un patto.” Lisa cercò di mantenere il suo solito tono autoritario, ma
le parole le uscivano una attaccata all’altra, in una strana filastrocca
ipnotica.
Chase le
rivolse uno sguardo interrogativo.
“Io e te non
ci siamo mai incontrati qui stasera.”
Lui annuì e
lei fece lo stesso.
Rimasero per
qualche secondo seduti uno accanto all’altro, in silenzio, guardando fissi
davanti a loro.
“Dovremmo
tornare là fuori.” continuò lei.
Entrambi
annuirono un’altra volta, senza però accennare ad alzarsi.
“Voglio
tornare a casa mia, voglio la mia vasca da bagno e voglio il mio letto.”
dichiarò Lisa in tono lamentoso.
“Non credo
che il tuo amichetto là fuori ti permetterà di tornare a casa, farti un bagno e
andare a dormire.” rispose divertito Chase. Non si sarebbe mai permesso di
rivolgersi così a lei in un qualunque altro momento, ma l’alcool stava agendo
sulla sua autocensura.
Cuddy lo
osservò perplessa per qualche
secondo, poi scoppiò a ridere.
“Cosa c’è da
ridere?” Chase sembrava infastidito dai bruschi cambiamenti d’umore del suo
capo.
“Brian è mio
fratello!”
“Il
belloccio che sta cercando di annientare con lo champagne tutte le tue
inibizioni?”
“Si. E’ mio
fratello. Dice che sono la perfettina della famiglia e gli piace farmi
ubriacare, così il giorno dopo può riempirmi di frecciatine su quello che ho
detto e fatto durante la serata.” Lisa sottolineò le sue parole con ampi gesti.
Per poco non cavò un occhio a Chase.
Lui la
afferrò per un polso. “Stai ferma.” sussurrò.
Si rese poi
conto che la donna che aveva accanto, quella bellissima donna col vestito rosso
pericolosamente tirato su fino a metà coscia, con le braccia nude a contatto con
le sue e ubriaca almeno quanto lui, era il suo capo. Era Lisa Cuddy.
Lisa.
Cuddy.
“Nonononono”
disse confusamente, lasciandole andare il polso e cercando goffamente di
alzarsi.
“Che è
successo?” chiese lei, incuriosita da quell’improvvisa manifestazione di
vitalità nel suo compagno di pavimento.
“Usciamo di
qui, le cose potrebbero mettersi male.” con un ultimo sforzo, Chase vinse la
forza di gravità e riuscì a tirarsi in piedi.
“Cosa
intendi dire?”
Lui la
ignorò e, sperando con tutto il cuore di non caderle addosso, la prese per un
braccio e la aiutò a sollevarsi da terra.
Quando Lisa
si trovò in piedi, il suo corpo a pochi centimetri da quello di Chase, i suoi
occhi lucidi e intontiti dall’alcool, agganciati a quelli rossi (per lo stesso
motivo) di lui, capì cosa intendeva il collega.
“Ok, usciamo
di qui immediatamente.” disse con voce ferma e, con passo non altrettanto
controllato, si mosse verso l’uscita della toilette.
Lui la
seguì, dando un ultimo sguardo ammirato alle sue gambe.
L’ultimo, lo
giurò a se stesso.
Quando Cuddy
aprì la porta del bagno, e l’insieme di musica e voci dell’Alexander Cafè invase
nuovamente le loro orecchie, entrambi ebbero un momento di vacillamento.
Lisa si
fermò un istante a prendere fiato, mentre Chase la superava, passandole a debita
distanza.
Si bloccò
nuovamente, però, quando i suoi occhi incontrarono quelli della seconda persona
che non avrebbe mai voluto incontrare quella sera.
Agì
impulsivamente, facendo un passo indietro, afferrando la Cuddy per un braccio, e
tirandola con sé nuovamente dentro il bagno.
Chiuse la
porta e ci si appoggiò contro.
“Cosa c’è
ancora?” chiese lei con voce sconsolata.
Si appoggiò
alla parete. Tutto quel movimento le stava facendo venire da vomitare.
“House.”disse
Chase in un soffio, guardandola allucinato.
“Stai
scherzando?”
“No. E’ là
fuori.”
“Merda. Se
mi vede conciata così, me lo rinfaccerà a vita.” Lisa si infilò rapidamente in
una delle toilettes, non sapendo neanche lei se per vomitare o per
nascondersi.
Chase venne
preso dal panico: era ubriaco marcio, si reggeva a mala pena in piedi, era
chiuso nel bagno con Cuddy, e c’era House là fuori.
Il suo capo
aveva materiale per tormentarlo crudelmente per diversi mesi.
Sapeva che
non era la cosa migliore da fare ma fu l’unica azione che il suo corpo gli
permise: si afflosciò sul lavandino più vicino e ricominciò a vomitare.
House aveva
passato una magnifica serata a casa di Wilson: torneo di poker e birra.
Aveva vinto,
ovviamente.
Aveva deciso
di andarsene quando l’ultimo dei suoi compagni di gioco era crollato sotto il
peso della sconfitta e dei numerosi litri di birra.
Non era
Wilson, lui era stato il primo ad abbandonare. Era finito steso sul divano poco
dopo le 22.
Si sentiva
carico: trionfare in quel modo sui suoi compagni di gioco, vederli distrutti per
le ripetute sconfitte, lo esaltava.
Quando
lasciò la casa di Wilson, sapeva che sarebbe passato dall’Alexander Cafè, per
l’ultimo drink prima di andare a casa.
Non era una
sua abitudine, ma quel pomeriggio aveva sentito Chase parlare al telefono,
mettersi d’accordo per un’uscita proprio in quel locale…cose c’è di meglio che
concludere la serata tormentando il più tormentabile dei suoi assistenti?
Conosceva i
suoi postumi da sbornia, ma la sua sbornia no, ed era un tipo terribilmente
curioso.
Spalancò la
porta del locale, e fu accolto da un clima decisamente…”alcolico”.
Appena
dentro, incominciò a guardarsi attorno.
Stava per
constatare, con disappunto, che non c’era traccia della sua vittima australiana,
quando incontrò proprio i suoi occhi.
Chase stava
uscendo dal bagno e, dietro di lui, vide un’affascinante donna in abito rosso.
In una frazione di secondo, riuscì a farsi un quadro della situazione e, notando
l’impaccio con cui i suoi due colleghi si mossero nel tentativo di fuggire al
suo sguardo, un sorriso si dipinse sulle sue labbra.
La serata
sarebbe stata più divertente del previsto.
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