Vischio
Artemisia.
Prologo
Era una notte tranquilla
d’estate.
Una leggera brezza accarezzava i prati
facendo muovere gli steli d’erba a tempo di una musica fatata.
Il mare era in tempesta, la
schiuma rabbiosa si abbatteva sulla battigia e sugli scogli, le imbarcazioni
erano tutte rientrate nei porti.
Le nuvole si muovevano veloci nel
cielo giocando a nascondino con la Luna e con le stelle. Non si intravedeva
uno spiraglio di blu per più di un minuto nello stesso posto.
Nelle viscere della terra il
cuore del pianeta ribolliva instancabilmente. Lava e rocce fuse si incontravano
e si scontravano. Terremoti e scosse sismiche percuotevano il mondo.
Sembrava una notte tranquilla
d’estate.
Il mare di Assahan, lungo la
costa occidentale della penisola del Pompelmo si abbatteva violentemente sulle
scogliere a picco. Schiuma bianca danzava al ritmo delle correnti oceaniche,
profonde, incontrollabili.
La battigia era stata livellata
dall’infrangersi dei cavalloni, sparsi su questa vi era il ricco deposito della
mareggiata: alghe, sassolini, rametti, coralli, conchiglie.
Proprio una di queste, un’ostrica
comune, seminascosta sotto una vecchia cassa della frutta, iniziò a vibrare. Si
mosse sempre più velocemente, una luce abbagliante usciva dalle sue vulve. Un
essere umano dai profondi occhi coloro acquamarina e le manine paffute apparve
avvolto in morbide coperte. Il primo miracolo era accaduto.
L’aria era frizzantina.
Trasportava numerose novità. Quelle novità che non vedono l’ora di essere
raccontate perché importanti e magiche. Magico. Ecco la parola che serve per
descrivere quello che stava per accadere, proprio nella massa nuvolosa che
copriva la luna. Una fitta nebbia scese, fino alle colline del Marengo, oltre i
campi coltivati del villaggio di Genahria e arrivò vicino a una piccola
grotticina, nei pressi di un piccolo paese quasi disabitato, dal nome
impronunciabile.
Un turbine d’aria, e una luce
azzurrina la illuminò a giorno, rivelando stalattiti e stalagmiti. Due profonde
iridi blu notte si spalancarono nel buio. Ecco che nuovamente il miracolo si era
manifestato. Per la seconda volta. Ora bisognava aspettare… un terzo segno.
I vulcani della terra di
Artemisia erano sempre stati noti per il fatto di non essere attivi da centinaia
di secoli. I druidi e gli sciamani più esperti avevano affermato con sicurezza
che per i seguenti 300.000 anni non ci sarebbe stata nessuna eruzione. Nemmeno
l’emissione di un minuscolo lapillo, di pochissima cenere o di una colatine di
lava.
Non avrebbero mai immaginato che
proprio in quella notte estiva il monte (o vulcano) Athanor avrebbe effettuato
la sua eruzione più violenta. E nemmeno che oltre ai numerosissimi lapilli
sarebbe uscita dal cuore della terra una bellissima bambina dalla pelle
olivastra. Era nata la terza prescelta. Il terzo miracolo.
Oh no, non l’avrebbero mai
immaginato…
Estesi prati, foreste, boschi,
praterie e colline. Monti, gole profonde, laghetti, ruscelli efiumiciattoli.
Questo è ciò che circonda una
piccola radurina della terra di Artemisia. Nessuno vi ha mai messo piede prima.
Ne essere umano, fatato, magico che sia. Tutto era così carico, intrinseco,
imbevuto di essenza magica quella notte che non si distinguevano le piante
viventi da quelle normali.
La brezza estiva muoveva ad un
ritmo ben conosciuto dalla terra l’erba, gli steli dei fiori, l’edera sui
tronchi, le chiome degli alberi. Una bellissima orchidea bianca, in mezzo ad
altre miriadi di fuori sbocciò in una frazione di secondo.
Che parve un eternità.
Colori inesistenti, mai visti
prima accecarono l’oscurità. Tutto tacque. Non cantavano più nemmeno le
cicale.
Il pianto di una bimba squarciò
l’aria.
Era appena avvenuto il quarto
miracolo, l’ultima bambina era nata. Ed era la più speciale di tutte.
La profezia si stava per
compiere.
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