AAU
AIUTAMI AD USCIRNE
1. Dipendenza
Avvertenza:
Contiene argomenti e scene un po' crude. Spero di non urtare la
sensibilitą di qualcuno e se cosģ fosse, mi scuso <3
Era finalmente tornata a
casa, nel suo piccolo appartamento di New York. Le piaceva il suo
piccolo spazio, con una cucina, un piccolo bagno e la sua camera. Niente
di cosģ eclatante, certo, ma era il suo rifugio e la sua casa.
Non
vedeva l'ora di raggiungerla. Non ce la faceva pił a stare senza di Lei.
Si, per smorzare e ridurre il tempo c'erano sempre le sue sigarette,
ma non le bastavano.
Voleva di pił, pretendeva di pił e non poteva farne a meno.
Odiava la sua continua e smodata dipendenza da Lei, ma non sapeva che cosa fare oltre a rimanerle fedele.
Non viveva senza, era un bisogno continuo, indispensabile per sopravvivere e, soprattutto, Vivere.
Perchč
non riusciva a evitarla? Non lo sapeva. Forse non voleva ricordare di
non avere pił un padre, morto a causa del cancro e di avere una madre
menefreghista. Queste erano le sue scusanti. Forse non erano abbastanza,
ma le bastavano e cosģ continuava.
Accese la tv per puro hobby, non facendo caso a cosa trasmetteva.
Voleva solo Lei.
Prese
una sedia del tavolo e la trascinó davanti al mobile della cucina,
salendoci sopra. Salģ sul marmo resistente e ghiacciato e inizió a
frugare sopra i cassettoni, alla Sua ricerca. Finalmente toccó la busta
che stava cercando.
Un sorriso furbo e bramoso le apparve sulla faccia infossata e magra.
Due
grandi occhiaie ricoprivano i suoi occhi. Le sue pupille erano tristi e
abbandonate alla vita. Le sue labbra erano carnose ma screpolate e di
un rosa pallido. Ma la cosa che pił la faceva rabbrividire da sola era
il suo corpo. Quei segni rossi, quei tagli e quei graffi fatti in notti
di pura follia. Quei buchi sul braccio, quei lividi violacei le facevano
rivoltare lo stomaco.
Lei sapeva di stare sbagliando. Sapeva che tutto quello non portava a niente ma non smetteva, non riusciva.
Scese dalla sedia atterrando, scalza, sul pavimento di mattonelle bianche di quella cucina buia e cupa.
Cercó di aprire in fretta la busta trasparente con dentro quella povere bianca, semplice polvere.
Aprģ la busta e inizió a disporre il contenuto sulla superficie piana di quel tavolo, sistemandola a strisce.
La sua voglia era aumentata, la voleva, doveva fare in fretta.
Con mani tremanti inizió a cercare disperatamente l'inalatore. Sul tavolo, sul piano cucina, sul divano. Non c'era.
Si lasció cadere in ginocchio, per cercare sul pavimento.
Eccolo! Sotto alla poltrona posizionata al lato della televisione.
Si avvicinó, lo raccolse e tornó da Lei, dal suo desiderio morboso.
La
osservó ancora, con occhi vogliosi, bramosi, per poi avvicinarsi e
inalare. La voleva, la desiderava, la cercava e finalmente era lģ,
dentro lei, dentro il suo corpo e lei stava bene.
Gią alle prime dosi inizió a chiudere gli occhi per godere di quella inebriatezza e eccitazione.
Era finita. Aveva finito.
Riaprģ gli occhi e inizió a sorridere, felice, soddisfatta ed eccitata.
Prese
a saltellare per tutta la casa, cantando e ballando. Durante il suo
cammino incroció la radio, che accese. Si diffuse per tutto
l'appartamento quella canzone dei Guns N' Roses "Don't cry".
Inizió
a muoversi come una pazza, mandando i capelli di qua e di la,
muovendosi e battendo il ritmo con i piedi. Aprģ la finestra, buttandosi
nel gelido tempo dell'inverno. Si affacció, guardó gił dal suo secondo
piano.
Con ancora quella canzone a farla scatenare, salģ sul
davanzale, sempre cantando, sempre con quel sorriso in faccia. Stette in
equilibrio, senza avere paura, quella non le era mai appartenuta, nč
quando aveva scoperto che suo padre era morto nč quando sua madre
l'aveva lasciata sola in una grande cittą a soli diciotto anni.
Decise
di scendere. Chissą quanto era stata cosģ, immobile su quel davanzale.
La canzone era cambiata e la notte era quasi giunta.
Lei non si era accorta di niente. Ogni giorno era la solita storia.
Si sedette sul divano, spossata, stanca e senza energie. Di nuovo, come sempre.
La testa? Le girava. Il suo stomaco? Era sotto sopra. Uno schifo.
Si sdraió, per lenire tutti gli effetti antecedenti che Lei le procurava ogni volta. Ogni giorno.
Sofia
lo sapeva. Sapeva tutto questo. Sapeva che, dopo i minuti euforici di
benessere, si contrapponevano quelli dello schifo eterno. Lo sapeva.
Sapeva
anche che non ne valeva la pena. Non conveniva stare bene per mezz'ora
per poi ricatapultatsi nella vita reale peggio di prima. A cosa serviva?
Lo Sapeva. Sofia sapeva tutto.
Eppure non riusciva a smettere. Non
aveva la volontą, la consapevolezza, un semplice appiglio, un aiuto. Non
aveva tutto questo e continuava.
Ogni giorno lottava, si diceva "Adesso basta". Resisteva. Dodici ore. Un giorno. Ma mai di pił.
Il suo bisogno era eccessivo, forte e indispensabile.
Eppure lei non voleva pił vivere cosģ. Voleva cambiare, avere una vita diversa. Essere INdipendente.
I suoi occhi dilatati le facevano male, la testa le pulsava e tremava.
Coprģ il suo esile corpo con la prima coperta che trovó, senza aprire gli occhi. Ma continuava a tremare.
"Da domani basta sul serio".
Cosģ disse la sua testa che, in quel momento, stava soffrendo. Il suo cervello stava scoppiando.
Non
riusciva pił a ragionare. Quello fu l'unico pensiero coerente che
derivava dalla sua volontą di scelta. Con questo pensiero Sofia, tutta
tremante e sfinita, con i muscoli tutti doloranti e le lacrime agli
occhi, si addormentó.
Con lo stesso prnsiero, quel
giovedģ mattina, si sveglió. Gli effetti si
facevano ancora sentire, ma erano diminuiti.
Uscģ da casa, per andare a lavorare in quel ristorante nei pressi di Brooklyn.
Passó tutta la giornata tra ordinazioni, conti, vendite e piatti da preparare.
Non pensó a niente, rinchiusa la dentro.
Uscendo e tornando a casa le
ritornņ alla mente quanto fosse stata brava. Ancora non aveva
assunto niente. Era riuscita a resistere.
Aprģ la porta del suo appartamento e entró, bloccandosi di colpo.
Adesso non era pił tanto sicura.
Sapete come finķ la sua giornata? Come quella precedente. Come TUTTE quelle precedenti.
Ricadde
nella rete, nel filo spinato. Si era arresa, nuovamente. Era caduta in
ginocchio e sapeva di non riuscire a rialzersi, come sempre. Sapeva di
non riuscire a tenerle testa. Semplicemente aveva ceduto Di NuOvO a Lei.
Alla Droga.
I Suoi giorni passavano cosģ, tra lavoro,
sballottolamento, incontro con i soliti pusher e amici -se cosģ si
potevano chiamare. Nelle sue giornate la Cocaina non mancava mai.
In
realtą Sofia aveva un migliore amico, si chiamava Dan. Lui era un po'
come lei, l'unica differenza era rappresentata dal fatto che Dan non
voleva smettere con quella roba. Non che ne avesse la capacitą o
l'occasione, ma gli mancava proprio la volontą.
A parte questa brutta abitudine, era il ragazzo pił tenero del mondo e un grande amico.
Adesso era uscita da lavoro, era venerdģ e sapeva esattamente dove poterlo trovare.
Si
diresse verso quel palazzo, verso quella ex clinica vuota, in cui non
entrava pił nessuno da anni ormai. Era lģ che si incontravano tutti. Era
lģ che facevano le loro feste, in segreto.
Vide il suo amico da
lontano. Vide Dan seduto a terra con una gamba piegata, un braccio
appoggiato ad essa e la testa china a guardare a terra.
Gli si avvicinó.
- Ei Dan -
Si
chinó e si sedette di fianco a lui, guardandolo. Lui non dava segno di
risposta. Lo costrinse ad alzare la testa e guardarla negli occhi. Era
come se non la vedesse, come se fosse in un altro mondo. Lei si,
assumeva Droga ma non si era mai bucata. Rimaneva sempre lontana
dall'Eroina. Le avevano detto che era quella pił letale.
Molte volte
le era venuta la tentazione. Ma, per non cederle -come sarebbe invece
successo- era sempre scappata e l'aveva sempre evitata.
- Dan, ti stai rovinando definitivamente con questa roba-
Lo scosse, per farlo rinvenire. Ma niente.
Sapeva
che l'effetto sarebbe durato una-due ore, cosģ decise di allontanarsi
per cercare qualcuno che le vendesse qualcosa. Ne AvEvA bIsOgNo.
Vagando per il grande palazzo, lo trovó.
Le vendette quella roba, bianca, irresistibile per lei.
Tornó dal suo amico, che stava lentamente tornando in se.
Si sedette dove era prima.
Cosķ inizió a
disporre su una tavolata la sua dose. Le strisce erano pronte.
Inaló per bene e tutto si ripetč.
Come
ogni sabato sera, andó con i suoi compagni, compreso Dan, in discoteca
per divertirsi, sballottarsi di qua e di lą e conoscere nuova gente.
- Dan, che ne dici se andiamo al bar a prendere da bere?-
Lui stava guardando da un'altra parte. Il solito! Aveva adocchiato qualcuna da abbordare.
- No Sofy, vai tu. Ci becchiamo-
Andó a sedersi e ordinó.
E
intanto pensava, Sofia. Pensava alla sua vita, che vita pił non era.
Alla sua famiglia che l'aveva abbandonata. E cosa le rimaneva alla fine?
Lei.
Era in questi caso che si convinceva del fatto di avere
ragione. In tutto quello che aveva l'unica cosa che le era stata al
fianco era proprio la Droga.
I ragazzi? Tutti uguali. Vogliono solo
una cosa, come sempre. Non hanno un cuore o, pił semplicemente un
cervello, i sentimenti? Non sanno cosa siano.
E cosķ si affidava a Lei e tutto cominciava ad andare a meraviglia.
I suoi pensieri vennero interrotti.
- Ciao Bambola! Mi chiamo Michele -
Sofia lo guardó e non si
degnó nemmeno di rispondergli. Ritornó a guardare in
giro, senza degnarlo di uno sguardo.
Lui peró non sembró averlo notato.
- Eii barista, un rum e cola per me e la pupattola qui -.
"Pupattola? Pupattola?! Ma come osa questo escremento senza cervello?"
Era questo che pensó Sofia, guardandolo con un espressione stupita e disgustata.
Ma
non voleva litigare, non aveva voglia di rispondergli male per poi
scatenare una rissa con il conseguente aiuto da parte dei suoi compagni.
Decise di acconsentire. Avrebbe bevuto quel drink con indifferenza, magari poi se ne sarebbe andato.
Il drink era arrivato.
Lei intanto abbassó lo
sguardo sulla sua borsa per poi frugare dentro, cercare il cellulare e
constatare che erano le 23,45.
Voleva andarsene.
Inizió a bere, mentre il tizio parlava di cose inutili e futili. Lei faceva finta di ascoltarlo.
Lo fece chiacchiere per cinque minuti.
- Si, sono cose interessanti. Č stato un piacere. Scusami, ma ora devo andare-.
Si alzó, ma un senso di vertigine la fece ritornare su quella sedia.
- Ecco brava Tesoro. Siediti. Non ti preoccupare. Aspettiamo un altro po' e poi ti porto in un posto speciale-
"Cazzo, mi ha drogata. Questo stronzo vuole stuprarmi".
Erano questi episodi che facevano diventare ancora pił attendibile la sua tesi. Gli uomini vogliono solo Una cosa.
Non era la prima volta che le capitava una cosa del genere. Ma non si abituava mai.
Lei
accettava tutto, ma non voleva che usassero il suo corpo come un
giocattolo, era una cosa sbagliata e che le faceva rivoltare lo
stomaco.
La cosa positiva del GHB? Il mattino dopo non si sarebbe
ricordata quasi niente. Beh.. Non era molto, ma almeno i particolari
poteva rimuoverli.
Sapeva che tra un po' sarebbe arrivata quella
sensazione di benessere, rilassatezza e un desiderio sessuale forte che
non l'avrebbe fatta pił ragionare.
Una lacrima uscģ dai suoi occhi.
In quei casi lei odiava la sua vita pił del dovuto.
- Bambolina, č ora di andare-, disse con un sorriso folle.
Le pesava la testa, ma ormai non capiva pił niente. Inizió a ridere.
Lui la prese in braccio e la
condusse in una stanza. A un certo punto non sentģ pił il
rumore assordante della musica.
Sofia, per tutto il tragitto, inizió a toccargli il petto, a sbottonargli la camicia, sempre pił vogliosa.
- Tesoro, direi che possiamo dare il via ai giochi-
Si
sentģ buttare sopra un letto. Michele inizió a baciarla, con foga e
senza ritegno, sbattendogli la lingua in bocca, quasi strozzandola.
Lei rispondeva con i suoi baci vogliosi, continuando a toccarlo tutto. Gli aveva gią tolto la camicia.
Guardava la stanza e vedeva tutto sfocato, guardava lui e non vedeva niente. Era tutto buio.
La sua voglia e la sua passione la stavano distruggendo. Non ce la faceva pił.
L'uomo la toccava con foga, spogliandola velocemente.
In poco tempo rimase nuda, davanti a lui. Un animale.
Non voleva perdere tempo, si tolse il resto degli indumenti da solo.
Lei,
vogliosa solo di contatto fisico e con la testa pesante, continuava a
strisciare le mani su tutto il corpo. Gli prese la sua erezione tra le
mani.
Lui godeva.
Le strinse troppo forte le braccia che stava tenendo tra le mani.
Doveva aggrappassi a qualcosa.
Lei gemette dal dolore, ma continuó col suo giochetto.
- Rilassati tesoro. Č tutto ok -
Lui si ributtó
definitivamente su di lei. I suoi baci stavano diventando disgustosi.
Le sua carezze era tutt'altro che coccole.
Le aprģ forzatamente le gambe, non trattenendosi pił.
- Buona, sei davvero deliziosa piccola-
Giocó con la sua femminilitą non con dolcezza, non con tenerezza ma con aggressivitą.
Lei subiva, ancora con la mente annebbiata.
Dopo un tempo indefinito la penetró, con spinte sempre pił forti.
Alcune
lacrime inconsapevoli uscirono dagli occhi di Sofia. Il suo sorriso
causato dall'ectsasy non scomparve e la sua spigliatezza nemmeno.
Lui non si fermó finchč non fu soddisfatto e appagato da tutto quello schifo.
La
mattina dopo? Come ogni santa volta, si trovó in una via di New York.
Buttata lģ, vestita alla ben meglio, con i sensi di vertigine, di vomito
e confusioni.
I suoi ricordi sfocati, le mani di quel porco su di lei, l'annebbiamento.
Quel giorno vomitó l'anima, e riuscģ a stento ad arrivare a casa.
Le braccia le facevano male. Le guardó e non capģ perchč spuntarono due lividi violacei.
Ah Beh.. Almeno il porco aveva avuto la decenza di farle ritrovare la borsa accanto a sč.
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Buongiorno a tutte!
Ho iniziato una nuova storia che, sinceramente, mi sta molto a cuore
per le tematiche e anche per ciņ che racconta e trasmette a me
personalmente.
Gli argomenti sono un po' crudi e forti, perņ sperņ di raccontarli al meglio.
Questo capitolo vuole solo essere un'introduzione, una specie di
narrazione sulla solita routin di Sofia, sullo schifo che deve
affrontare e da cui vorrebbe scappare, senza perņ riuscirci.
Spero di riuscire a non rendere ridicolo nulla e di adattarmi alla
reltą senza narrare cose o situazioni che non esistono. Spero.
Fra
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