La casa
era in subbuglio.
Da
parecchi minuti un'ambulanza strillava davanti alla porta e i
paramedici facevano dentro e fuori in continuazione.
La
ragazza pensò che quello poteva di sicuro essere un momento buono.
Nel
trambusto, nessuno si sarebbe accorto della sua intrusione e, se lo
avessero fatto, avrebbe potuto dire che era una nipote del vecchio
accorsa per l'occasione.
Sorridendo,
soddisfatta dell'idea, estrasse dalla borsa il cellulare e prese a
fingere di parlare, chiudendosi l'altro orecchio con la mano, per poi
avviarsi con nonchalance alla volta della piccola casa di legno
scuro.
Passando
tra i paramedici nelle loro tute catarifrangenti, sentì di sfuggita
parole come “infarto” o “arresto cardiaco”. Non le fecero
nessun effetto: era più che normale che un uomo dell'età del signor
Lindbergh avesse patito un male del genere.
Decisa,
si infilò dentro per la porta e su per le scale.
Passando
a fianco al corridoio che sapeva portare in salotto accelerò il
passo. Un capannello di paramedici, infatti, era concentrato in
quella zona. Con ogni probabilità, era lì che il signor Lindbergh
era morto e di vedere il suo cadavere non se la sentiva proprio.
Dopotutto, gli voleva bene e, se non fosse stato per lui e le sue
lezioni, di sicuro non sarebbe mai riuscita a finire il liceo.
Una
volta imboccata la scala a chiocciola, stranamente sfornita di
personale ospedaliero, seppe che ce l'avrebbe fatta.
Conosceva
perfettamente quella casa; dopotutto, andava a prendere ripetizioni
da Lindbergh fin dai tempi delle medie, e proprio per questo sapeva
cosa cercare.
La
ciotola era lì, al suo posto, nella camera da letto del vecchio
professore.
La
ragazza ne accarezzò delicatamente i contorni. Quante volte aveva
desiderato toccarla...
Era
fatta di pietra nera, non avrebbe saputo dire di che genere, e
intarsiata evidentemente a mano con strani simboli.
Amava
le imprecisioni che dimostravano come quell'oggetto fosse unico al
mondo...
E poi,
ovviamente, c'era la nebbia.
L'aveva
vista per la prima volta tre anni prima, quando aveva utilizzato il
bagno di casa del signor Lindbergh, e ne era rimasta a dir poco
rapita.
La
nebbia -perchè davvero non avrebbe saputo in quale altro modo
definirla- volteggiava senza sosta all'interno della ciotola e, cosa
incredibile, era impossibile da rovesciare.
Lo
sapeva perché, per curiosità, un giorno aveva provato a versarne un
po'sul pavimento, ma quella era rimasta ben ferma al suo posto.
Accarezzando
la pietra fredda, la giovane sorrise.
Lindbergh
sembrava tenere a quell'oggetto in maniera spasmodica e, ora che era
morto, di certo sarebbe stato contento di sapere che l'aveva preso in
custodia una persona a cui aveva voluto bene.
E poi
sarebbe stato davvero bene nella sua collezione...
Guardandosi
intorno con circospezione, la ragazza estrasse dalla borsa un grosso
panno e vi avvolse il pesante bacile, per poi riporlo con cura nella
grossa borsa che portava a spalla.
Solo in
quel momento si rese conto che le voci al piano di sotto si erano
spente.
Che
fossero andati via tutti?
Tranquilla,
scese le scale, il suo pesantissimo tesoro ben stretto al corpo.
Stava
giusto per infilare la porta d'uscita, quando una voce maschile la
gelò.
“Miss
Darrington, è lei? Che accidenti ci fa qui?”
Accidenti
ai suoi genitori, troppo ricchi per essere sconosciuti.
Voltandosi,
la ragazza indossò il suo migliore sorriso innocente.
“Dottore...
Avevo appuntamento con il professor Lindbergh per una lezione oggi...
ma evidentemente se ne è dimenticato, perché non è in casa...”
Il
medico assunse un'espressione sospettosa.
“Quando
è arrivata?”
“Oh,
pochi minuti fa, sono passata dalla porta sul retro.” Evidentemente
soddisfatto dalla spiegazione, il medico passò un braccio intorno
alla spalla della ragazza. “Miss Darrington...”
“Mi
chiami Regina.” “Regina, temo di avere una brutta notizia
riguardo al suo professore...”
Il
cielo dell'America son mille cieli sopra a un continente
Il
cielo della Florida è uno straccio bagnato di celeste
-F.Guccini,
Canzone per Silvia-
Quando
Teddy Lupin uscì dall'aeroporto e prese la sua prima boccata d'aria
americana, gli parve di respirare fuoco vivo.
Non
era mai stato in un paese con il clima della Florida e quel caldo
sembrava penetrargli dentro da ogni lato, incrementato dai suoi
vestiti troppo scuri e troppo pesanti.
Silvia
dal canto suo, gli trotterellava a fianco, eccitata come una bambina.
Le
era piaciuto tutto. Aveva trovato il viaggio in aereo -sul quale si
era fatta riservare il posto in testa, per evitare di rimanere
incastrata tra i sedili- a dir poco entusiasmante, mentre lui si
disperava, terrorizzato, maledicendo il generale per non averli
lasciati materializzare direttamente a Miami.
Si
era poi eccitata da impazzire davanti al tapis roulant che
trasportava i bagagli e, quando una signora americana, impressionata
dalla sua stazza, le aveva chiesto dove fosse diretta e perché,
aveva inventato un'inverosimile storia circa il loro viaggio di
nozze.
E
ora camminava con il naso in alto, senza guardare la strada davanti a
lei, gli occhi brillanti di aspettativa.
“Guarda,
amore! Guarda che cielo!”
“Non
mi chiamare così, idiota.” Fu l'unica risposta che le riuscì di
ottenere.
Tuttavia,
Teddy non riuscì a trattenersi e guardò in alto, trovandosi
davanti ad un azzurro abbagliante, semplicemente il più limpido che
avesse mai visto.
Decise
all'istante che, nel mondo babbano, i suoi occhi avrebbero avuto quel
preciso colore.
“Che
te ne pare?” Domandò, sbattendo giocosamente le ciglia verso
l'amica.
Silvia
ridacchiò.
Teddy
allegro era una novità. Una novità molto, molto gradita.
“Stai
diventando vanitoso, Lupin?”
Teddy
prese una boccata d'aria a pieni polmoni.
Si
sentiva inebriato, sollevato, leggero.
Non
aveva idea del motivo, ma gli sembrava davvero che il solo
allontanarsi dall'Inghilterra gli avesse fatto bene.
“Dove
alloggiamo?” Domandò, sinceramente curioso.
“Un
appartamento poco lontano da qui. Al telefono la proprietaria mi è
sembrata molto amichevole, quindi ho pensato che si potesse fare un
tentativo. Dici che farà problemi per la mia stazza?”
Teddy
si strinse nelle spalle.
“In
America? Credo che abbia visto cose ben più strane. E poi tu soffri
di...”
“...sindrome
di gigantismo, lo so. Sono solo un po'ansiosa. Non voglio farmi
sparare addosso dalla donna che ci ospita.”
La
donna in questione, pochi minuti dopo, dimostrò di non essere
assolutamente in grado di reggere un fucile né, tantomeno, di
usarlo.
Gladis
Goldrow era una vecchina minuscola, tutta ossa e capelli e dotata di
due grandissimi ed indagatori occhi verdi.
Arrivava,
con il punto più alto dei vaporosi ricci bianchi, appena a sfiorare
il gomito di Silvia e Teddy pensò, allegro, che era uno spettacolo
non indifferente vederle vicine.
Mrs.
Goldrow li accolse con entusiasmo, dimostrandosi per nulla intimorita
rispetto alle dimensioni della sua futura inquilina.
Dopo
essersi presentata, afferrò saldamente la mano destra di Silvia e la
sinistra di Teddy e se li trascinò appresso, su per una scala così
stretta che la giovane italiana fece quasi fatica a passarci.
“Ho
spolverato tutto stamattina. Al signor Darrington non piace che le
sue case vengano affittate in disordine, e non posso dargli
torto.” “Pensavo che la casa fosse sua.” Osservò Silvia.
“Oh,
no, mia cara, no. Io sono la custode; l'edificio appartiene tutto al
signor Darrington. Ma non vi preoccupate, lui non c'è mai. Dovrete
fare riferimento soltanto a me. Ma ditemi...da quanto siete sposati?”
“Tre
mesi” Rispose Teddy, pronto.
“E
dove mi avete detto che avete vissuto fino ad ora?”
“Melbourne.”
La donnina strinse gli occhi. “In Australia, Mrs. Goldrow.”
“Ma
certo, certo... mi stavo solo chiedendo perché una bella coppia come
voi dovrebbe lasciare un posto meraviglioso come l'Australia.” “Per
cercare l'avvenura.” Sorrise Silvia e la donna parve soddisfatta.
“Benissimo....
ma state attenti... forse da voi si sta bene, ma qui c'è una guerra
in corso. Non è forte come in Inghilterra, ma si sente forte e
chiara. Se volete scendere nel mio appartamento più tardi, potrei
offrirvi qualche dolce e farvi firmare il contratto. Come avete detto
che vi chiamate?” “Sarah e Lawrence Nguyen.” Replicò Teddy,
prendendo la mano di Silvia nella sua e pregando con tutto se stesso
che il piano funzionasse e che l'accento italiano della sua partner
non fosse un problema.
Mrs.Goldrow,
in ogni caso, annuì, soddisfatta.
“Allora
vi lascio sistemare, ragazzi. Ci vediamo più tardi e mi
raccomando... non fate troppo rumore, se capite cosa intendo. Gli
inquilini del piano di sopra sono piuttosto fastidiosi.”
Ridacchiando
della sua stessa battuta, se ne andò, chiudendosi piano la porta
alle spalle.
Guarda
un po' quello che ho
è
una raccolta preziosa lo so
vi
sembrerà che io sia una che ha tutto ormai
i
tesori, le ricchezze, chi mai al mondo ne ha più di me
se
guardi intorno dirai “Che meraviglie!”
-La
Sirenetta, Il mio mondo-
“Signorina,
desidera mangiare qualcosa?” Regina alzò gli occhi al cielo: a
volte non sopportava davvero di avere così tante persone sempre
pronte a badare ad ogni suo bisogno. Non le servivano i loro servizi:
tutto ciò che serviva era oltre la porta della sua camera.
Se
solo fosse riuscita ad entrare....
“Salve
Lara.” Sorrise, rivolta alla domestica. “Sono a posto, grazie.”
E,
in un attimo, sparì oltre la porta.
Regina
Darrington aveva categoricamente proibito a tutti i componenti della
sua famiglia e della servitù di mettere piede nella sua stanza e il
motivo era a dir poco palese.
In
ogni angolo, su ogni scaffale erano riposti oggetti delle fogge più
diverse e dalla provenienza probabilmente ancora più varia.
Delicatissime
uova di fabergé, soggiornavano fianco a fianco con statuette
africane e Buddha asiatici. Gioielli di immenso valore e bracciali di
gomma, preziosa cristalleria e piccoli rompicapo; tutto aveva una sua
collocazione nella stanza della giovane.
Sorridendo,
Regina si lasciò cadere sul letto, sul quale sporgeva la mensola
dedicata ai suoi oggetti preferiti. Un grosso vuoto era ben visibile
nel mezzo di esso.
Con
estrema delicatezza, la ragazza estrasse il bacile di pietra dalla
borsa. Era pesante e freddo e, fortunatamente, la nebbia che
conteneva vorticava ancora al suo posto.
Emozionata,
la giovane lo sistemò al posto d'onore che aveva preparato per lui.
“Grazie
Aaron..” Mormorò, posando un morbido bacio sulla pietra dura. “Mi
mancherai tanto.”
Una
lacrima silenziosa scivolò sulla sua guancia.
In
silenzio, scelse da un altro scaffale un grosso peluche a forma di
gatto e lo strinse forte al cuore, lasciandosi andare ad un pianto
ristoratore.
Continua....
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