Sakura Cheesecake
Una folata
di vento le scompigliò la coda, facendo tintinnare fra loro le due
palline verdi dell'elastico per i capelli; il suono di quelle due
“caramelle”, così le chiamava lei, che si prendevano
amichevolmente a pugni ormai le era diventato famigliare. Era parte
integrante dell'ambiente cittadino di quella Los Angeles delle
primissime ore del mattino, insieme ai taxi che passavano ronzando
per la strada, i fogli del giornale della sera che vagavano senza
meta sul marciapiede ed il ticchettio della luce dei semafori agli
incroci. Le iridi verdi della ragazza, intrappolate in due occhi dal
taglio leggermente asiatico, si alzarono verso il cielo; poche stelle
e le prime nuvole allungate che si tingevano di rosa. Le cinque
del mattino, ne sono quasi certa. Una nuova folata di vento la
costrinse a chiudere per un secondo le palpebre. Makoto inspirò a
pieni polmoni quell'aroma a cui si stava affezionando; il profumo
dell'oceano mischiato alla vitalità del sole nascente. L'odore del
mattino a Los Angeles era invitante come un vassoio di donuts appena
sfornati. Sorrise mentre riapriva gli occhi al mondo e si tirava
leggermente su la cerniera della felpa: devo sbrigarmi, o rischio
di non combinare nulla. I dolci della colazione non si sfornano da
soli. Iniziò a correre, come se
fosse stata colpita da un fulmine; corse calpestando con le Converse
i giornali a terra. Poteva sentire sempre più insistente il
tintinnio delle chiavi del retrobottega nella sua tasca dei jeans;
fece un salto ed un piccolo gridolino le scivolò fuori dalle labbra.
Non vedeva l'ora di aprire.
*
* *
La
ragazza aveva già infornato i primi vassoi di cupcakes e preparato
due cheesecakes quando Barney, il gestore del locale, fece capolino
da dietro il forno: «Tutto bene tesoro?»
«Sì,
certo» la ragazza sorrise mentre continuava a guarnire con della
frutta fresca una crostata
«Fra
cinque minuti si apre, sei pronta?».
Makoto
posò il coltello e la pesca che stava affettando sul piano d'acciaio
e fissò negli occhi il proprietario stropicciando le labbra: «Pensi
che non lo sia?»
«Affatto»
«E
allora tira su la saracinesca... ho fatto delle cheesecakes
incredibili e delle brioches che sono la fine del mondo e non vedo
l'ora di servirle con il caffè o il succo di frutta». Barney le
sorrise e lei gli alzò il pollice in segno di approvazione; erano
pronti ad affrontare centinaia di bocche affamate, come tutte le
mattine.
*
* *
Martha Quinn sparì dallo schermo del televisore dopo
aver annunciato quello che aveva chiamato “un pezzo che dà la
carica”. Duff strizzò le palpebre e si coprì il viso con il
cuscino; si era dimenticato di chiudere le persiane, come sempre del
resto, ed il sole entrava prepotentemente nel soggiorno di quel
monolocale di West Hollywood. La luce gli bussava sulle palpebre in
modo insistente, ma lui non aveva la minima intenzione di aprire gli
occhi. Nel frattempo dalle casse del televisore arrivavano le prime
note di “I Wanna Dance With Somebody”; il biondo si mise seduto a
fatica sul divano e cominciò ad aprire lentamente le palpebre:
Whitney Houston eh... che brutte tette che ha. Si era
addormentato un'altra volta sul divano; ultimamente lo faceva un po'
troppo spesso, ecco perchè aveva sempre un torcicollo
indescrivibile. Si alzò a rallentatore facendo cigolare come vecchi
infissi le vertebre cervicali e, strisciando i piedi, arrivò in
bagno; puzzava di birra, probabilmente se l'era rovesciata addosso la
sera prima al bar con i ragazzi. Che vergogna... ero così ubriaco
che nemmeno mi ricordo se me la sono rovesciata da solo o ci ha
pensato Izzy; in ogni caso, gli ci voleva una bella doccia, sia
per lavarsi via l'alcool dalla pelle che per riprendersi fisicamente.
Uscì dopo una ventina di minuti, avvolto da una nuvoletta di
vapore, con il collo un po' meno dolorante per l'acqua calda e i
capelli ossigenati attaccati alla faccia; si avvolse un asciugamano
intorno alla vita e con un altro si asciugò la chioma. Poi si
appoggiò al lavabo e si studiò le guance: «McKagan, è l'ora della
barba» gli ordinò il riflesso. Proprio mentre si spalmava
dolcemente una dose generosa di schiuma sul viso, dalle casse del
televisore del soggiorno arrivarono le note di “Old Time Rock And
Roll” di Bob Seger; Duff sorrise al proprio riflesso iniziando a
canticchiare quella canzone e passandosi il rasoio sul viso a tempo
di musica, improvvisando anche una coreografia sgangherata: meno
male che non mi vede nessuno... sarei preso per il culo a vita! Uscì
dal bagno sculettando e simulando l'assolo di sassofono e si diresse
verso camera sua per indossare della biancheria pulita ed un paio di
jeans ormai consumati dal tempo; ora manca solo una colazione con
i fiocchi. Aprì la dispensa della cucina e prese tutto il
necessario per preparare i pancakes; dopo la sbronza della sera
precedente aveva una fame incredibile e quelle frittelle con una
buona dose di sciroppo d'acero sarebbero state la cosa migliore per
riempirgli lo stomaco. Sorrise soddisfatto mentre preparava
l'impasto, come gli avevano insegnato in pasticceria a Seattle, e le
note di “You Sexy Thing” di Hot Chocolate riempivano l'aria; non
l'avrebbe mai ammesso davanti agli altri, si sarebbe rovinato la
reputazione di bassista punk rock, però quella canzone gli piaceva.
Alzò gli occhi al soffitto trattenendo una piccola risata pensando a
Slash che, se avesse udito quell'affermazione, si sarebbe messo le
mani nei suoi riccioli corvini: che scimmione. Proprio mentre
era intento a versare l'impasto nella padella antiaderente, l'acuto
trillo del telefono lo fece sobbalzare così forte che la ciotola che
stringeva fra le mani con dentro l'impasto finì per terra,
rovesciando il suo contenuto. Duff sbuffò imbestialito osservando il
pavimento imbrattato di quella roba gialla e schizzò verso la
parete; chiunque sia stato a farmi combinare questo casino, adesso
mi sente: «Pronto?»
«Siamo già nervosi la mattina presto?» rispose
sarcastico Slash dall'altro capo del filo
«Oh, ma guarda, stavo giusto pensando a te»
«Ma che dolce che sei» gli rispose con tono melenso il
chitarrista
«Piantala Slash! Mi hai fatto rovesciare l'impasto dei
pancakes e...» Duff si accorse che uno strano odore di bruciato
arrivava dai fornelli «oh, no!»
«Cosa?».
Duff non rispose, si limitò a sospirare guardando
l'unico pancake che era riuscito a preparare quasi carbonizzato.
«Oh, sei ancora lì?» Slash sembrava preoccupato.
Duff chiamò a raccolta tutta la sua pazienza per
cercare di non mandare a quel paese il suo amico già la mattina
presto: «Spero che tu mi abbia chiamato per un buon motivo»
«E certo biondino!» è incredibile... è un lecca
culo incredibile «Oggi niente prove, posticipiamo a domani
pomeriggio». Ottimo; avrebbe avuto più tempo per farsi i fatti suoi
e, soprattutto, per fare una colazione decente. Ripulì alla bene e
meglio il pavimento della cucina e poi si sporse dalla finestra;
l'occhio gli cadde qualche metro più là, esattamente dall'altro
lato della strada: la pasticceria... beh, posso sempre fare un
salto lì. Non ho più nulla per far colazione. Prese al volo la
giacca in pelle e chiuse la porta alle sue spalle.
* * *
Makoto sorrideva stringendo fra le mani la caffettiera
ormai vuota; girava per i pochi tavolini per assicurarsi che tutti
fossero soddisfatti della propria colazione e portava via i piattini
vuoti. Proprio mentre era intenta a salutare due amiche, il suo
sguardo fu attirato da una chioma biondissima e indisciplinata che
faceva il suo ingresso nel locale; certamente non era raro in una
città come Los Angeles vedere dei tipi originali ed estrosi, però
quella capigliatura aveva un che di particolare. Vide quella cosa
bionda avvicinarsi al banco e studiare le cheesecakes esposte; ebbe
giusto un secondo per memorizzare il suo profilo. Bellissimo.
Improvvisamente le venne una gran voglia di andare da lui e
consigliargli cosa mangiare. Poggiò ciò che aveva in mano nel
piccolo lavabo del banco e poi si mise davanti a quel ragazzo che,
ancora, teneva il capo chino sulla vetrina. «Ciao» lo salutò con
voce dolce, sorridendo; il ragazzo alzò lo sguardo ed incontrò
quegli occhietti vispi leggermente a mandorla: «Ciao a te»
«Devi fare colazione? Oppure prendi qualcosa da portare
via?». Quelle due nocciole la fissavano curiose; Makoto sentiva
sempre di più le sue guance diventare rosse e bollenti. Quel tipo
era così bello ma anche un po' dannato che la sua presenza la
mandava letteralmente in crisi. Si guardò timidamente intorno,
sperando che le sue due amiche fossero già uscite e che Barney fosse
indaffarato a prendere ordinazioni.
Duff si grattò il mento pensieroso: «Dovrei fare
colazione. Cosa mi consigli...» si sporse leggermente verso il banco
per poter leggere il nome sulla targhetta che la ragazza portava
sulla maglietta «... Makoto?».
La mora sorrise, portandosi una mano alla bocca: «Sì,
lo so, è un nome strano... ho origini giapponesi» ma che diavolo
stai facendo! Stai lavorando, non sei mica in pausa per poter
socializzare! La ragazza tentò di ricomporsi: «Ad ogni modo, la
specialità di oggi è “Sakura Cheesecake”». Duff aggrottò le
sopracciglia, bisognoso di spiegazioni; Makoto continuò: «E' una
cheesecake preparata con confettura di ciliegie, ciliegie
denocciolate e tagliate a metà e guarnita con piccoli fiori di
ciliegio fatti di zucchero».
Il ragazzo arricciò le labbra: «Non è proprio la
solita cheesecake con il cioccolato o le fragole»
«No. Diciamo che...» Makoto arrossì, sentendo gli
occhi del giovane puntati su di sé «l'ho inventata io. Sai, sakura
in giapponese è il nome con cui si indica il ciliegio da fiore»
«Ah» il ragazzo si grattò la testa perplesso «e
questo “sakura” non fa frutta?»
«No. Le ciliegie ce le ho aggiunte io... però ci ho
messo comunque i fiorellini di zucchero per ricordare l'albero».
Duff si limitò ad annuire studiando il dolce, poi fece
schioccare le dita: «Ok, mi hai convinto. Portamene una fetta». La
ragazza sorrise trionfante, poi con gli occhi seguì il biondo che
andava a sedersi ad un tavolino dalla parte opposta del locale. Era
felice di essere riuscita a convincerlo a provare la sua invenzione.
Con il cuore che le martellava nel petto, si diresse verso di lui,
con passo apparentemente sicuro, stringendo nella mano destra una
caffettiera colma e nella mano sinistra il piattino con il dolce;
gliela poggiò sul tavolo sorridendo, con le guance leggermente
arrossate e le mani tremanti: «Ecco a te...» rimase in silenzio, in
attesa che le arrivasse la risposta alla sua domanda non posta
«Duff. Chiamami pure così»
«Duff... carino, molto. Vuoi» avanti Mako, non
agitarti! Sei così tesa che ti trema la voce «vuoi del caffè?»
«Ti ringrazio» il biondo allungò la sua tazza verso
la ragazza che si affrettò a riempirgliela quasi fino all'orlo; poi
lui chinò il capo sul dolce ed iniziò a studiarlo, quasi critico.
Impugnò la piccola forchetta e prese un generoso boccone di torta.
Makoto trattenne il fiato nel vedere Duff chiudere gli occhi,
masticare la sua creazione e poi deglutirla con una certa enfasi; lo
fissava preoccupata, in attesa della prima impressione di quel
cliente che tanto la mandava in subbuglio. Il giovane aggrottò le
sopracciglia, poi si infilò in bocca un altro pezzo di torta senza
proferire parola. Makoto stava cominciando a sudare freddo; non
riusciva a capire il perchè, ma per lei il parere di quello
sconosciuto, in quell'istante, era di un'importanza vitale, ed il
fatto che lui continuasse a stare zitto non le piaceva per nulla.
Dopo aver deglutito il terzo boccone, finalmente Duff parlò:
«L'impasto è buono, non c'è che dire»
Oh...
un piccolo sorriso iniziò a
prendere forma sul viso della ragazza
«Anche il formaggio è fresco e genuino»
Bene...
il cuore le traboccava di
felicità
«Ma la farcitura è terribilmente dolce»
Makoto sgranò gli occhi incredula. Tutti i complimenti
che le aveva fatto nei cinque secondi precedenti sembravano svaniti
nel nulla, assorbiti da quel “terribilmente dolce”; con voce
tremante domandò semplicemente: «Perchè?»
«Perchè sì. Marmellata dolce, frutta dolce,
fiorellini zuccherosi. Hai esagerato. A lungo andare annoia da
morire». La ragazza rimase pietrificata; non sapeva se prendere ciò
che Duff le aveva detto come uno scherzo o se correre in cucina e
scoppiare a piangere. Il biondo si scolò in un sorso la tazza di
caffè, poi lasciò i soldi sul tavolo: «Se io fossi stato il tuo
capo, ti avrei imposto di guarnire con delle griotte, non con delle
semplici ciliegie. Le griotte sono amare, avrebbero bilanciato il
tutto e la torta sarebbe stata squisita». Si infilò il chiodo sotto
gli occhi pieni di lacrime della ragazza e, senza dire una parola,
uscì dalla pasticceria.
* * *
Continuava a vedere doppio attraverso quelle lenti a
contatto fatte di lacrime; non poteva abbandonare la sala, c'erano
ancora dei clienti che dovevano fare colazione, ma se ne avesse avuto
la possibilità sarebbe corsa in bagno e ci si sarebbe chiusa dentro
a doppia mandata e si sarebbe chiesta perchè, perchè non gli è
piaciuta? In fondo non era cattiva, anzi, le era uscita piuttosto
bene; però era troppo zuccherosa. La cosa migliore sarebbe
stata proporre il dolce anche ad altri clienti e vedere cosa
avrebbero detto dopo averlo assaggiato, ma la realtà era che Makoto
c'era rimasta talmente male dopo il giudizio di Duff che non aveva
nemmeno avuto il coraggio di elencarla agli ospiti della pasticceria.
Verso le undici del mattino, anche i più ritardatari avevano
lasciato la sala per recarsi sul posto di lavoro; Makoto si ritrovò
sola a vagare fra i tavoli raccogliendo tovagliolini sporchi
ascoltando svogliatamente Madonna che cantava “Papa Don't Preach”.
Con il capo chino camminò verso il cestino per gettare l'immondizia
e, di nuovo, la sua torta la chiamò per nome, facendole alzare gli
occhi per fare in modo che ammirasse tutte quelle ciliegie e
fiorellini disposti con cura maniacale. Improvvisamente, le lacrime
si riassorbirono ed il suo spirito combattivo si ridestò in un
istante: adesso ti faccio vedere io chi è troppo zuccheroso.
Riordinò come un fulmine l'intera sala, poi, da dietro il banco, si
tagliò una fetta di dolce e si sedette in un tavolino appartato per
poterlo assaporare con calma. Dapprima fissò l'aspetto esteriore
della propria creazione, cercando di essere il più oggettiva
possibile: la base di biscotti non sembra affatto molliccia, il
formaggio è assolutamente fresco e la guarnizione è... dannazione,
la guarnizione forse è quella che mi è venuta meglio: quanto tempo
ho perso per tagliare tutte le ciliegie a metà, levare i nocciolini
e poi posizionarle senza nemmeno far vedere la confettura sotto? E
anche i fiorellini sono messi a regola d'arte. Su questo aspetto non
posso proprio rimproverarmi. Esteticamente la torta faceva un
figurone e Makoto trovò la forza di abbozzare un piccolo sorriso;
poi impugnò la forchetta come se fosse un'arma ed infilzò il primo
boccone. Lo masticò a lungo, proprio come fece Duff, con gli occhi
chiusi e prestando attenzione ad ogni venatura di gusto che le sue
papille percepivano; la base di biscotti è venuta bene, è ben
compatta. Con il secondo boccone si soffermò sulla parte
centrale della torta: formaggio fresco e soffice, non c'è che
dire. Ed ecco che arrivava il momento della verità: la verifica
della farcitura; Makoto affondò i dentini della forchetta nella
torta e se la portò lentamente alla bocca. Masticò a lungo,
meditabonda, sentendo la frutta sminuzzarsi sotto i suoi denti e
mescolarsi alla confettura: non mi sembra zuccherosa, per nulla.
Anzi, la trovo ben bilanciata. Picchiò il pugno sul tavolo
guardando con le sopracciglia corrugate davanti a sé, come se Duff
si fosse materializzato proprio sulla sedia che le stava di fronte,
come se volesse dirgli: hai visto che avevo ragione, brutto
montato ossigenato che non sei altro? Brutto... oddio, brutto no, non
è vero... ma odioso montato ossigenato sì! Si sentiva più alta
di dieci centimetri; con la furia di un temporale, affondò
nuovamente la forchetta nella torta e fece un boccone enorme. La sua
torta era deliziosa, potrei mangiarne fino a scoppiare; ma
quelle furono le sue “ultime parole famose”. Solo due bocconi più
tardi aveva iniziato ad avvertire un crescente senso di nausea;
cominciò a studiare la torta per capire quante forchettate le
mancavano per terminarla: troppe per non vomitare. Già,
vomitare. Deglutì a fatica e poi abbandonò la forchetta nel
piattino. Si prese la testa fra le mani ed ammise amaramente che
quell'odioso montato ossigenato, in fondo, aveva dannatamente
ragione; era stato capace, con soli tre bocconi, di capire che la
torta andava sistemata. E lei, come una stupida, se l'era presa.
Probabilmente quel ragazzo è molto più esperto di me per quanto
riguarda la cucina occidentale, già a partire dal fatto che lui è
occidentale; magari... se passasse di nuovo qui domani mattina potrei
chiedergli qualche consiglio. Guardò il dolce avanzato nel
piattino e, dopo aver fatto spallucce, lo gettò nell'immondizia:
spero solo che abbia ancora voglia di rivolgermi la parola dopo la
figura da scema che ho fatto a colazione... stavo quasi per scoppiare
in lacrime davanti a lui.
* * *
Duff espirò svogliatamente il fumo della sua Lucky
Strike nella brezza che arrivava dal mare; era da quella mattina che
si sentiva stranamente apatico e colpevole. C'era
qualcosa che non andava; non che avesse commesso qualcosa di
legalmente perseguibile dal momento in cui aveva aperto gli occhi,
però si sentiva come se un macigno gli stesse pesando al centro del
petto. Ancora non aveva avuto il coraggio di buttare nel
dimenticatoio lo sguardo triste ed abbattuto di quella commessa della
pasticceria. Makoto... era perfino riuscito a non dimenticarsi
il suo nome. Ripensò alle parole che le aveva detto prima di uscire;
voleva farle una critica costruttiva, gli sarebbe piaciuto regalarle
un pochino della sua esperienza da pasticcere per poter migliorarla,
ma aveva sbagliato il modo con cui aveva parlato con lei. Invece di
guardarla negli occhi e dirle tranquillamente cosa avrebbe cambiato,
si era comportato con sufficienza ed era uscito senza nemmeno
salutarla. Saccente, spaccone, signor “McKaganSoTuttoIo”... è
meglio che mi fermi qui, o l'elenco diventerebbe chilometrico. Gettò
il mozzicone a terra e lo spense con la punta dello stivale, poi
buttò la testa all'indietro, permettendo al vento che saliva dal
Pacifico di giocare con i suoi ciuffi ribelli; doveva chiederle scusa
a tutti i costi, o quella notte avrebbe rischiato di non riuscire a
prendere sonno e sarebbe finito a bighellonare prima per lo Strip,
poi per l'anticamera del suo appartamento con una bottiglia di gin
fra le mani. D'un tratto, senza che nemmeno se ne accorgesse, diede
le spalle all'oceano e cominciò a percorrere a ritroso la strada da
cui era venuto; chissà perchè, poi, me la sono presa così tanto
a cuore... forse perchè mi ricordava me quando ancora combinavo dei
casini in quella pasticceria di Seattle? O anche perchè aveva un
visino dolcissimo? Sì, dolcissimo. Non “terribilmente dolce”
come le aveva detto della sua Sakura Cheesecake. Sei incredibile
Duff, hai memorizzato proprio tutto! D'istinto arrossì, quasi
come se uno dei suoi compagni di band avesse iniziato a parlare della
sua ragazza preferita. No, non devo perdermi in queste cavolate!
Ma il fatto era che aveva una voglia matta di rivedere quei due
occhietti a mandorlina che cercavano di convincerlo a mangiare la
torta; un sorriso da ebete gli comparve in volto, ma subito una voce
nella sua testa cercò di riportarlo alla realtà: e se fosse già
tornata a casa? Fulmineo, si guardò il Jet Black che portava al
polso: le tre e un quarto... se ha fatto apertura stamattina,
significa che tra poco avrà finito il turno. Devo sbrigarmi.
Iniziò a correre più veloce che potè, schiacciando i piedi ai
passanti e travolgendo le vecchiette ogni volta che girava un angolo;
dopo sette minuti circa si reggeva a malapena in piedi ed era in
iperventilazione. Si maledisse infinite volte per tutte le sigarette
che era solito fumare nell'arco di una giornata mentre si aggrappava
al muro del palazzo dove duecento metri più avanti c'era l'entrata
della pasticceria; si appoggiò pesantemente ai mattoni e si passò
il dorso della mano sulla fronte madida di sudore: giuro che se ho
corso per niente... Il rumore della porta che si apriva lo fece
voltare di scatto, in tempo per vedere Makoto che salutava il
proprietario ed iniziava a camminare nella sua direzione. Il ragazzo,
con il cuore in gola, corse verso il bordo del marciapiede dove c'era
posteggiata una Chevrolet; si chinò verso il finestrino del
passeggero per cercare di sistemarsi alla bene e meglio nel minor
tempo possibile i capelli spettinati dalla corsa. «Ma che fai?» una
voce femminile lo stava rimproverando alle sue spalle; augurandosi
che non fosse la proprietaria del mezzo, Duff si girò lentamente,
preparandosi psicologicamente alla trafila di scuse che poteva dire
per essersi fatto beccare in atteggiamenti leggermente sospetti.
Quando i suoi occhi verdi incontrarono quelli smeraldo di Makoto,
sentì che la terra sotto i suoi stivali era sparita per incanto; si
appoggiò pesantemente all'abitacolo della Chevrolet, facendo
scattare l'antifurto: «Oh, merda».
D'istinto, la ragazza si coprì le orecchie mentre Duff
correva verso il muro dell'edificio: «Ma sei un ladro?»
«NO!» ma per chi mi ha preso? Sconcertato, il
bassista l'afferrò per un polso e cercò di trascinarla dietro di
sé, il più lontano possibile da quell'automobile urlante, ma Makoto
oppose resistenza: «Dove credi di andare?»
«Io non la volevo rubare... volevo solo specchiarmi»
«Come?» la ragazza gli strattonò così forte il polso
che lo fece finire in ginocchio
«Ahi! Dannazione, fai piano! Io le mani ce le ho
bisogno!» strillò Duff. Makoto non riusciva a capire una sola
parola di quello che il ragazzo le diceva, così si alzò in piedi ed
iniziò a correre come una saetta, trascinandosi dietro il povero
Duff che, ancora, non aveva ancora smaltito del tutto il fiatone. Si
rifugiarono in una stradina laterale poco distante, dove il rumore
dell'antifurto della Chevrolet arrivava più ovattato; il ragazzo si
gettò a terra ansimante e con la testa che gli girava: «Io...
io...»
«Tu rubi auto!» Makoto gli puntò l'indice contro.
Duff si prese la testa fra le mani e la scosse: «Ma che
hai capito... mi stavo specchiando nel vetro»; la ragazza lo fissò
incredula. Duff annuì: «Sì, mi stavo sistemando i capelli».
Makoto si bloccò per qualche secondo, poi scoppiò a ridere
divertita: «Pensavo che certi atteggiamenti fossero esclusivi di noi
ragazze»
Beh,
anche noi amiamo metterci in ghingheri per la persona che ci
interessa... il bassista si
prese il mento fra le mani: «Senti...»
Makoto lo interruppe curiosa: «Come mai ancora da
queste parti?»
«Ecco,
appunto» il ragazzo si mise in piedi a fatica, poi guardò lei negli
occhi cercando di essere il più convincente possibile: «io... devo
chiederti scusa». Makoto sgranò gli occhi, incredula; forse,
poi così odioso non è. Duff
proseguì: «Ti ho trattata come una stupida, quando in realtà
volevo solo darti qualche consiglio»
«Consiglio?» la ragazza era sempre più confusa
«Sì. Ho fatto il pasticcere per un paio d'anni quando
ancora abitavo a Seattle e...»
«Davvero? Ma è fantastico!» tutto il rancore che
Makoto aveva provato quella mattina era soltanto un ricordo non
nitido nella sua mente; il fatto che Duff avesse fatto il pasticcere
lo rendeva ancora più interessante ai suoi occhi. Smise di
ascoltarlo per un paio di secondi, mentre i suoi occhi si perdevano
nell'ammirare il suo viso, così bello e dannato.
«Hai sentito quello che ho detto?» Duff si rese conto
che la ragazza era assente, così cercò di richiamare la sua
attenzione sventolandole una mano davanti al viso. Makoto trasalì ed
arrossì vistosamente: «Credo di non aver capito bene»
«Ci vieni o no a casa mia per correggere la ricetta?»
lui le fece l'occhiolino
«Quale ricetta?» la ragazza aggrottò le sopracciglia
«Ma quella di Sakura Cheesecake!» Duff, con un
sorriso, l'afferrò per il polso e cominciò a correre verso la fine
della stradina «Andiamo a comprare le griotte, poi la sistemiamo!»
* * *
Quando aveva messo piede nell'appartamento del ragazzo,
Makoto si era sentita come catapultata in un universo del quale
nemmeno sapeva l'esistenza; c'erano un sacco di poster appiccicati
alle pareti che raffiguravano ragazzi che suonavano strumenti ed
avevano delle espressioni al limite della dislocazione della
mascella. Rimase ferma per qualche secondo a guardare, con un misto
di paura e meraviglia, la foto di un ragazzo con i capelli corti
scuri ed una catena chiusa con un lucchetto al collo, che suonava uno
strumento a quattro corde; Duff le parlò da dietro le spalle: «Piace
anche a te Sid Vicious?»
«Chi?»
Duff fece spallucce: «Il bassista dei Sex Pistols. Ma
non importa, vieni pure in cucina che fra poco cominciamo». La
ragazza entrò titubante nella cucina luminosa dove campeggiava un
tavolo enorme, mentre Duff correva da una parte all'altra sistemando
ciotole, cucchiai e tutti gli ingredienti per preparare la torta.
Makoto lo studiò mentre lui era di spalle e si arrampicava sugli
scaffali per prendere tutto il necessario; aveva i capelli provati
dalle decolorazioni, gli occhi un po' rossi per le poche ore passate
a dormire e il viso leggermente segnato dalla stanchezza. Però,
nonostante tutte quelle imperfezioni, lo trovava magnifico. Arrossì
portandosi una mano alle labbra, sperando che lui non la vedesse. Poi
si concentrò sul resto del suo corpo, avvolto in una t-shirt grigia
con una stampa consunta sul davanti ed un paio di pantaloni in pelle
vissuti all'inverosimile; è così... snello! Chissà perchè, ma
ho sempre pensato che i ragazzi pasticceri fossero più paffuti.
«Pronta a cominciare?» Duff le parlò sorridendo,
porgendole con una mano i biscotti per preparare la base. Makoto
annuì decisa, pronta a cominciare la lezione; sorrise anche lei
aprendo la scatola e cominciò a sbriciolare le gallette. Nel
frattempo il bassista si recò in salotto ed accese la radio sui
92.7: generalmente a quest'ora fanno sempre della bella musica.
Si voltò tenendosi leggermente nascosto dietro lo stipite della
porta ed iniziò a studiare la ragazza che preparava la base della
torta; aveva degli occhietti meravigliosi e vispi, un viso armonioso
e i capelli lucidi e castani. Strano... ero convinto che le
giapponesi avessero tutte i capelli neri. Scosse la testa con un
sorriso, poi le guardò le braccia che sminuzzavano i biscotti e le
dita che accarezzavano le briciole; era armoniosa... bella. È
davvero bella. Solo in quell'istante si rese conto che stava
trattenendo il respiro ed il cuore aveva preso uno strano ritmo.
McKagan, controllati! Che poi... ma sì, vedrai che sarà
sicuramente quel caffè schifoso che ti sei bevuto vicino alla
spiaggia. Ma sapeva benissimo che non era così. Senza farsi
sentire si avvicinò a lei, quasi in punta di piedi, e le si mise
dietro, mettendo anche lui le mani nella ciotola piena di briciole:
«Ti do una mano... così facciamo più in fretta». Girò
leggermente il viso verso di lei e sentì un tuffo al cuore nel
notare che aveva le guance rosse; allora forse...
«Ti senti bene, Duff?» Makoto lo guardò battendo più
volte le sopracciglia, come se non riuscisse a mettere a fuoco ciò
che stava vedendo. Il bassista aggrottò le sopracciglia e trattenne
il fiato; lei proseguì: «Sei... sei rosso. Hai la febbre?»
«Rosso? Io?» d'istinto Duff abbassò lo sguardo e
cercò di cambiare argomento «Forse... forse è meglio che inizi a
preparare il formaggio». Sì, è meglio... sennò fa a finire che
divento un boiler se continuo a starle di fianco. Chiuse gli
occhi ed inspirò a pieni polmoni, cercando di frenare il proprio
cuore che sembrava avesse tutte le intenzioni di uscirgli dal petto;
poi, impugnò la frusta e cominciò a preparare la crema. Per un
minuto fra i due ragazzi calò il silenzio, poi dallo stereo
arrivarono le note di “Addicted To Love” di Robert Palmer; Makoto
si pulì le mani dalle briciole e fece un piccolo salto: «Wow, adoro
questa canzone!». Di tutta risposta, Duff si concentrò ancora di
più sulla sua crema: ecco, vedi? Quando meno te lo aspetti arriva
la canzone che descrive perfettamente il tuo stato d'animo...
«A te piace?» Makoto gli toccò il braccio facendolo
trasalire; la ragazza aggrottò le sopracciglia: «Ehi, tutto bene?».
Duff annuì: «Sì, tutto bene. Non...» coraggio
McKagan, non è il momento di avere la bocca impastata «non è
proprio il mio cantante preferito... però orecchiabile».
La ragazza gli sorrise sentendo le proprie guance sempre
più calde, poi guardò la ciotola: «Sembra magnifico questo
formaggio!» e senza dargli il tempo di reagire, affondò l'indice in
quella crema bianca
«Ma cosa fai!» Duff provò invano a schiaffeggiarle la
mano, ma Makoto fu più veloce di lui; si leccò il dito e gli fece
l'occhiolino: «E' buonissimo, sul serio!».
Il ragazzo sorrise, poi prese una griotta, la immerse
nella crema e l'allungò verso la bocca di lei: «Assaggia ora... che
ne dici?».
Makoto chiuse gli occhi, sentendo il cuore esploderle di
felicità, mentre masticava quella delizia; sorrise guardando quegli
occhi verdi che sembravano quasi magici: «E' perfetta»
«Secondo te a lungo andare annoierà?» Duff le
accarezzò il viso con il dorso della mano, facendole diventare le
guance roventi. Makoto non rispose; si limitò a scuotere il capo: è
meravigliosa... è perfetta. Lui è perfetto. Il ragazzo la
fissò, poi si avvicinò lentamente alle sue labbra per baciarle;
sapevano di sakura, di ciliegio in fiore, di nuovo inizio. Le
assaporò ad occhi chiusi, concentrandosi sulla morbidezza della
pelle e sul sapore di quella ciliegia amarognola che lei aveva appena
mangiato. Si staccò dopo un minuto e guardò Makoto con il cuore che
gli batteva all'impazzata: «E pensi che questo a lungo andare ti
annoierà?». Lei, ancora, non disse nulla; si avvicinò al suo viso
e lo baciò di nuovo, gustando le sue labbra. Tabacco e
cheesecake... sa di America, sa di buono. Ecco di cosa sa Duff.
No... credo che non mi annoierò.
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