Oscuro, come una notte egiziana

di _Misery
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Oscuro, come una notte egiziana
 





"Da me tutto bene, nel mio paese tutto va bene, che tutto possa andar bene da te, sorella mia…”
 
Quando la sera sommerge il mondo e il sacro Nilo si fa giallo e nero, di colpo infuocato, laggiù, proprio dove cieli e fianchi del deserto si confondono alla vista, la flotta del Faraone risale le acque con vele spavalde. La bella Tebe non si scorge ancora, ma la principessa Meryetamon[1] cerca respiro nelle rare brezze: è stata una lunga giornata, e adesso può solo attendere il volere degli dei.
Sta già immaginando i canti che potrebbe innalzare al grande Amon una volta tornata al suo tempio, quando la voce roca di sua madre la richiama; Meryetamon s’alza adagio e cerca il padre con lo sguardo: ma Ramesse ha il volto perso nell’orizzonte, tra le dune, come in un tacito comando a quei battaglioni di sabbia, e le porge le spalle purpuree di sole.
Lui sa.
 
A volte, nel cuore della notte, uno strano soffio aleggia sulle labbra aride della regina: quando Meryetamon si tende per versarvi qualche goccia d’acqua fresca, s’accorge con un brivido che è una risata sofferente.
È molto grave, dicono i medici: il caldo e il lungo viaggio devono averla sfiancata, e vani sono stati i tentativi di farla riposare sulla nave, mentre il Faraone benediva i loro templi. L’ha accompagnato Meryetamon, seguita dai passi fedeli del visir Heqanakt, ben consapevole di non rappresentare più che una pallida ombra; ma, al loro ritorno, la bella Nefertari aveva il naso più affilato e uno strano biancore giallognolo sulle guance d’ambra – adesso, le braccia già tremano e quasi scompaiono sotto il lino.
Meryetamon torna a sedersi, pensierosa. La sua unica compagnia è quella di un medico, del visir che ogni tanto fa capolino per recare notizie al Faraone e di quel logorante pensiero che non smette di tormentarla – se sua madre morisse, se Hathor e Mut decidessero infine di riprendersi la regina per cui splende il sole ogni mattina, che cosa accadrebbe al mondo che lei ha sempre conosciuto? E a suo padre?
Potrebbe non rivedere l’alba tebana, continuano a dire, e faresti meglio ad uscire, principessa, sussurrano; Meryetamon solleva la tenda ed esce davvero, lasciando la madre alle ancelle silenziose, ma ecco che Geb ha già corrucciato il suo volto d’ombra e le stelle, le gelide stelle che ogni notte l’avida Nut divora come una scrofa, si sono fatte d’improvviso troppo distanti.[2]
È forte, ma non resisterà a lungo.
L’odore struggente di qualche bevanda speziata imperla l’aria per un attimo – suo padre è ancora desto, ma nessuno osa disturbare la veglia di un faraone –, poi la ragazza siede accanto a un’onda con portamento regale.
Richiamare una madre alla vita, ormai l’ha capito, è una battaglia che né lei né il grande Ramesse possono affrontare, o sperare di vincere.
 
… e l’ingenerato Khepri si fa avanti lentamente oltre la collina, qui, nella Nubia crudele; di colpo, un raggio chiaro tradisce l’attesa di uomini e dèi.
Io non ci sono, pare che stia lasciando questa terra nonostante le mie proteste (e sentano pure la mia collera, è da una bocca divina e amata che strepita), ma non mi è difficile immaginarlo: l’adorato sposo è sempre intangibile, gli occhi ombreggiati e le labbra floride, salde, la fronte che s’increspa raramente – forse pensa a me; la mia bella bambina ha imparato a non piegare mai la schiena, a rispondere al popolo col sorriso timido e sapiente dei sacerdoti e lo sguardo lucente di chi conosce la misteriosa bellezza del cielo; i dignitari fremono senza nemmeno sapere perché.
Poi, ad un ordine che nessuno ha udito, le porte del tempio si schiudono come foglie di loto al sole, e la pietra sembra sospirare; non c’è polvere. Le statue sorridono di luce, piano, una dopo l’altra – gli affreschi brillano e vivono – hanno braccia sottili che accarezzano il ventre della montagna.
Ramesse avanza ed io non ci sono ancora, ma sogno e rido nella roccia. Ecco, mia dolce Istnofret, questo è per te: per tutti i bei figli maschi che hai dato al mio re, sperando di gettarmi in chissà qualche oblio assieme a quelli che mi sono morti fra le braccia; tieni, prendi la mia grandezza e pensa alle piccole, bianche immagini che il Faraone lascerà del tuo povero volto, perché tutti i tuoi eredi non potranno regalarti la gloria di una regina che ha saputo pacificare popoli e farsi tenera oasi dopo battaglie e carestie.
Questo è anche per voi, oscuri nubiani: cercate pure il sole che sorge e temete la nostra potenza, ché queste statue rimarranno sedute per sempre.  
Gli dèi occhieggiano lieti, mio caro Egitto: e io sono ancora con il mio Faraone nato nelle terre di Seth, l’uomo che niente e nessuno riuscirà mai a domare. Gioiscono i cobra sulle corone, cantano le scimmie alla vista del sole – l’occhio di Horus stride e abbaglia, io gioco a senet con Osiride; Hathor è leggiadra attorno a me, i falchi di Ra’ Ho Akthi si fanno assordanti, Hapy torna a intrecciare fiori e papiri su acque in festa, una piuma di Maat scende a brillare sul mio volto, accompagna il nero Ptah fin dove gli Ittiti cadono di nuovo sotto i venti della fiera Sekhmet.
Alla fine, il dolce seshesh di Iside tace il suo cicaleggio; Osiride ha vinto, ma ho vinto anch’io, e adesso ho le sue mani verdi e lui non c’è più… è così che si mostra la morte? Sotto le palpebre, col rispetto degli sciacalli? [3]
Il focolare si spegne, la fiamma cala sul mondo… non temiamo…
 
L’ultima risata langue dietro la tenda, un canneto d’argento sembra inchinarsi al loro passaggio; la schiava geme al suono del ka che scivola via, e se il Faraone s’infuriasse con tutti loro, se decidesse di farli uccidere?
Dormono i dignitari stremati, finalmente, dorme il limo e riposa anche la principessa Meryetamon. La bella Tebe non si scorge ancora: è troppo buio.  
 
“… possano il dio Sole d'Egitto e il dio della Tempesta di Hatti portarti gioia.” [4]

 








 
Las notes *stavolta forse più corte perché non è che non mi vada, ma mi si è appena impallato tutto D:*

Eeee buonsalve! Vi dirò, questa volta ho seguito il consiglio di Erodiade, ho lasciato decantare e corretto la storia con mente fresca e razionale (più o meno… che caldo… ;_;), cambiando peraltro un sacco di verbi (e non lo faccio mai di solito! Wow o:), e ho solennemente giurato di non lamentarmi mai più.
Dunque, arriviamo al succo (perché ho già dimenticato cosa volevo scrivere): Nefertari e Ramses. Io non so perché ho usato la versione Ramesse, ma ho cominciato così e non ho smesso più! Comunque sono belli, taaanto bellini insieme, e a quanto posso vedere in giro vanno anche forti *-* probabilmente sono tra le coppie di sovrani più affascinanti. Insomma, il tutto è ambientato nel viaggio di ritorno da Abu Simbel, dove Ramses II aveva inaugurato i due templi per lui e la sposa (se non sbaglio) – Nefertari però non poté parteciparvi, ho trovato una miriade di fonti secondo cui sarebbe morta più o meno quarantenne sulla nave, mentre l’inaugurazione procedeva/ morta nel tragitto di ritorno a Tebe/ morta all’ingresso del tempio (che è una versione affascinante e ho cominciato proprio con questa, ma poi il tutto m’è venuto pieno zeppo di pathos *come se non lo fosse già quel che scrivo* e quindi l’ho scartata definitivamente).
Ecco, mi diceva petitecherie (che ringrazio :3) che sarebbe stato interessante scrivere dei suoi ultimi anni, quando cadde dalle grazie del Faraone, ma poi… ecco, mi sono fatta prendere un tantino XD e ho trovato pochissimo sui probabili motivi! Attendo delucidazioni :)
Bien, ora inserisco i miei amati numeretti. Per il resto, vi auguro una buona lettura *sperando* e vi ringrazio anticipatamente! In questi giorni la mia vena poetica, quella ‘romanzatamente’ storica e quella delle vere e proprie fanfictions è andata un po’ esaurendosi, diciamo che il mio cervello sta partorendo una specie di… introspettive dovute a parecchie circostanze non proprio piacevoli. Vedremo!
 
[1] Meryetamon o Merytamon è una dei figli di Nefertari e Ramses (che ne ebbe un… centinaio, tipo? Soprattutto da Istnofret o Isinofret, citata più avanti, che non so perché mi stava particolarmente antipatica e così ne ho accentuato l’importanza secondaria è_e), a quanto leggo cantatrice di Amon e sacerdotessa di Hathor.
[2] Geb e Nut sono, sì, la terra e il cielo, e ho trovato che quest’ultima veniva spesso raffigurata come una scrofa che divora i suoi maialini, le stelle, le quali ogni sera rinascevano però come simbolo di fertilità.
[3] Ecco, tutto questo è un po’ un delirio di Nefertari morente. Mooolto romanzato, come dicevo, ma mi è piaciuto scriverlo: me la figuravo lì, incosciente e febbricitante, che immaginava la cerimonia quasi come uno spirito… ma in effetti è anche una descrizione del tempio di Abu Simbel, con le sue statue e i dipinti. Le particolarità che più mi hanno colpito curiosando in giro, devo dire, sono state il gesto di Hapy (fiori di loto e fiori di papiro sono i simboli delle due parti dell’Egitto) e la raffigurazione della sconfitta degli Ittiti, da parte di Ramses, nella battaglia di Qadesh; e poi il senet è un gioco che alcuni pensano rassomigliasse agli odierni scacchi, il seshesh è il sistro, strumento di cui Iside era ritenuta l’inven…trice?
[4] Questa, come la citazione iniziale, è una parte della lettera che Nefertari inviò alla regina degli Ittiti per riappacificare finalmente i loro popoli (e grazie… una volta che hai vinto è facile… XD), invitandola persino a lasciare che una delle sue figlie entrasse nell’“harem” di Ramses.
 
E queste dovevano essere note brevi? Chiedo venia ò_ò ah, il titolo! L’ho trovato sempre per caso leggendo un racconto di Bulgakov, non sono riuscita a trovare il significato preciso di tale modo di dire, ma suonava davvero bene *-*
Salut!:)




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