Attenzione,
qualora foste entrati perché ammaliati dall'allettante scritta
nell'intro: vi assicuro che questa è la meno sasunaruosa/narusasuosa
delle fic partecipanti (sì, sono un caso disperato XD)
quindi vi consiglierei di filare alla svelta a spulciare le storie
delle altre fanciulle (qui)
^^
C'è
un momento in cui gli occhi di Sasuke, appannati, insanguinati,
incrociano quelli altrettanto esausti eppure vivi, intensi, di
Naruto.
Nel
turbinio sfrigolante di Chidori e Rasengan, con le percezioni
esaurite nel resto del corpo se non nella mano tesa verso
l'avversario, solo gli occhi sembrano funzionare a dovere; il resto è
un formicolio appena percettibile, superfluo.
Nel
chakra vorticante, sotto il biondo di capelli sporchi, su un viso
contratto dallo sforzo, l'unica cosa che Sasuke si accorge di sapere
– non lo vede davvero: lo sa. Deve essere
così – è che Naruto, per quanto tempo sia passato,
continua ad avere gli occhi azzurri, limpidi da bambino; fiduciosi,
sciocchi.
Naruto
è uno sciocco, uno stupido senza speranza. Naruto dice di essere suo
amico, Naruto sta per morire per mano sua: Sasuke lo ammazzerà.
Ed
è giusto così.
Poi
toccherà a tutta Konoha e finalmente le cose torneranno a posto. Ci
sarà un equilibrio, i cocci spariranno – quei cocci che ha nello
stomaco e nella testa, quelli che calpesta ad ogni passo e più
cammina più si conficcano in profondità. Non ci saranno più cocci,
nulla da riparare, solo qualcosa di piatto e bianco. Pulito,
finalmente.
Non
sbagliava: sono trascorsi gli anni, c'è passata davanti una guerra,
ma gli occhi di Naruto restano dannatamente azzurri.
Dietro
le palpebre
La
testa, ecco: la testa gli fa male. Ma se fa male significa che ne ha
una, e questo è bene.
Ha
due braccia, ne è certo, anche se il destro è un po' insensibile;
le dita formicolano dolorosamente come gli fosse appena passato un
tornado sopra la mano. Le gambe ci sono entrambe, indolenzite e
stanche, immerse nell'aria densa che lo circonda.
È
solida quasi, preme contro le narici, negli occhi e nelle orecchie,
ma è un bene: significa che anche occhi e orecchie sono al loro
posto. È tutto intero, anche se un po' scombussolato.
«Dattebayo»
borbotta, accogliendo con sollievo il suono della sua stessa voce.
C'è un silenzio immobile che fischia nelle orecchie, un gelo rigido
senza sapore, secco. Nella
confusione che gli volteggia nella testa, la prima vera parola che
pensa è Sasuke, ed è come
se qualcuno gli avesse acceso fuochi d'artificio dello stomaco.
Sgrana
gli occhi e c'è il buio, come un cappa densa e fredda che pesa
addosso. Sforza i muscoli e si mette seduto, senza produrre alcun
suono se non un lieve fruscio di vestiti – e questo vuol dire che è
vestito, il che è confortante.
«Sasuke!»
chiama, roco. Ha la lingua rasposa, il cervello annegato in un nero
torbido.
Cerca
di costringere la mente a focalizzare: c'era Madara, prima, ma
soprattutto c'era Sasuke. Sasuke col Chidori, contro di lui, contro
il Rasengan; si sarebbero ammazzati: questa volta sarebbero morti
davvero e anche se l'ha detto, Naruto – nell'aldilà né
jinchuuriki né Uchiha, solo Naruto e Sasuke, insieme –,
l'idea di Sasuke, Sasuke morto, lo sconvolge e lo schiaccia.
Avverte forte un vuoto nello stomaco teso e un dolore stridente
diffuso: se ha ucciso Sasuke non può restare, se ha ucciso Sasuke
non deve esistere niente, lui non vuole esistere: morti o vivi,
d'accordo, ma in due.
«Sasuke!»
rantola, alto. Non c'è eco, solo nero fitto fuori e dentro; fa per
gridare di nuovo, per esaurire il fiato, ma prima che il panico gli
invada la mente in un momento realizza l'altra opzione.
È
seduto in un mare di nero compatto, sa di esserci ma non c'è.
«Sono
morto?» domanda a voce alta, quasi sollevato, poi sgomento. Si sente
svanire. «Dove diavolo sono?» chiede, più piano. Aggrotta le
sopracciglia – ne dovrebbe avere un paio sulla fronte, ma si tasta
la faccia per accertarsene, non si sa mai – e prende a spiarsi
attorno, perplesso.
Non
c'è niente. Un accidenti di niente a parte nero solido e compatto
sotto, sopra, davanti, nei suoi occhi. Sussulta, nel panico: deve
essere diventato cieco.
«Che...
Dannazione!» sbotta, stropicciandoseli coi palmi. Non sente male,
sembra non ci sia nulla che non vada in lui, ma intorno continua ad
essere tutto maledettamente nero e vuoto. Vuoto di tutto e pieno di
nero: gli verrà mal di testa, gli è già venuto, accidenti.
«C'è nessuno qui! Ehi!»
Deve
essere proprio morto.
È
strano, stranissimo. Inquietante.
«Non
c'è proprio nessuno?» ritenta, incerto e tremante. Non vuole stare
lì da solo. Per quanto, poi? Cos'è, una specie di punizione? Niente
cari defunti, niente assenza di dolore? «È una fregatura! Ehi!»
Ha
paura, davvero. Ha provato tanti tipi di paura da vivo, ma questo è
oltre, è primordiale, nasce nello stomaco e si gonfia, schiacciando
dall'interno: gli manca l'aria. Non può resistere un'eternità così,
c'è da morirne. C'è da morirne già morti.
La
confusione si smorza di colpo quando sente il rumore.
Resta
immobile per un attimo, ascoltando il suo respiro affannoso e quel
suono lontano, acquoso: che sembra un'eco e ronza attorno come non
provenisse da nessun posto in particolare; cola dall'alto come
pioggia, in singhiozzi brevi. D'istinto, Naruto solleva il capo, il
mento in alto a spiare nel nero pesante sopra la sua testa: non c'è
proprio un bel niente, eppure quel rumore è familiare, sembra un
pianto.
Lo
realizza nel momento stesso in cui è saltato in piedi ed è in
quello stesso momento che si accorge di vedersi. Vedersi, sì: si
vede. Vede le sue mani, la sua tuta arancione, le sue gambe e,
giù, dita dei piedi che fuoriescono dai suoi sandali. Sono proprio
le sue: se ordina loro di muoversi, quelle obbediscono. Sconcertato e
intimamente sollevato, perde qualche altro secondo a tastarsi busto e
faccia, in un fruscio di stoffa e capelli. Ci passa le dita nel mezzo,
scompigliandoseli più di quanto non lo siano già. È strano,
vedersi nel buio senza nessuna luce: non emana luce lui, né
proietta ombra. Dove dovrebbe proiettarla poi? Tutto è ombra, lì.
Trae
un profondo respiro, estremamente confuso.
«Prima
o poi si uscirà da qualche parte» delibera, giusto per sentire il
suono della sua voce. Prende a camminare, decidendo che stupirsi
perché i suoi passi non fanno rumore sarebbe superfluo e provando
piuttosto a concentrarsi su quel suono rotto, per individuarne la
fonte. Lo agita: è ansiogeno, umido e freddo.
«Forse
è un genjutsu» propone al nulla, mentre si guarda attorno a
palpebre strette. In ansia, quasi non s'accorge d'aver allungato il
passo e le sue gambe cominciano a correre praticamente fuori dalla
sua volontà: non c'è niente, non si inciampa da nessuna parte, ma
ogni falcata è come precipitare.
«Sasuke!»
comincia a chiamare, semplicemente perché è la prima cosa che gli
viene in mente – il suo pensiero fisso. Lo chiama gridando e
correndo, sempre più forte per sovrastare il rumore di fondo, come
un matto. Magari è già impazzito e non lo sa.
Corre
gridando per metri, probabilmente neanche in linea retta. Corre e
urla e non ottiene niente, il pianto
di fondo si fa a tratti più alto, ma non riesce a capire da
dove venga. C'è e basta, serve solo a confonderlo di più.
«Sasuke!
Dannazio-» ansima, spezzato. «Sasuke!» rallenta, di colpo esausto,
fino a scivolare a terra, quasi liquido. Poggia le ginocchia e i
palmi, la fronte, e ringhia forte di frustrazione, i
pugni stretti.
«Sasuke,
se è un genjutsu non è divertente! Se sono morto non è
divertente» bofonchia, stremato. Digrigna i denti e si tira in
ginocchio; gli gira la testa e ha la vista appannata.
Quel
pensiero, quello d'avere la vista appannata, gli suona strano già
mentre lo formula – come si fa a dire d'avere la vista appannata se
quando ti guardi attorno vedi solo nero? – e la sua mente è così
impegnata a trovargli un senso, che non si accorge d'essere arrivato
davanti al lago.
«Eh?»
commenta solo, lasciando ricadere le spalle prima rigide.
Gira
il capo tutt'attorno e c'è effettivamente un lago, solo che quel
lago prima non c'era e se lui non si è mosso – almeno così gli
pare – significa che è comparso.
O non lo sa, sono supposizioni. Se non comincia a capirci qualche
cosa entro i prossimi dieci minuti ha deciso che si metterà a
lanciare Rasenshuriken al niente, tanto per vedere se riesce a
combinarci qualcosa di costruttivo.
«Calma,
calma» soffia forte dalle narici e si schiaffeggia rapido le guance
con entrambe le mani. «Allora, che roba è questa?» domanda,
facendo leva sulle ginocchia per alzarsi.
È
un lago, o forse un fiume: è nero, come il cielo nero che vi si
specchia dentro, così nero che l'orizzonte si perde;
ma l'acqua c'è, immobile e piatta.
Titubante,
Naruto si avvicina e decide che no: il fatto che una riva
scoscesa tappezzata di erba e terriccio a sprazzi cominci
tranquillamente a mostrarsi sotto le suole dei suoi sandali è
assolutamente illogico. E il peggio è che il jinchuuriki non riesce
a non trovarlo anche altrettanto confortante, in un certo contorto
modo. Non se ne lamenterà, ma quando tutta questa faccenda sarà
risolta – perché si risolverà, senza dubbio –, lui prenderà
Sasuke a capocciate. Sempre che tutto quello sia colpa di Sasuke e
non di Madara o di qualche altra cosa persino più inquietante.
Scende
il pendio breve, inciampicando nei suoi stessi piedi e rischiando
seriamente di rotolare faccia a terra in maniera decisamente poco
ninjesca. Riacquista equilibrio una volta giù, lanciando poi
uno sguardo soddisfatto alla cima del clivo solo per scoprire che
meno di dieci metri più in là c'era una scala. Aggrotta le
sopracciglia e soffoca una mezza imprecazione, scocciato.
«Tanto
sono sceso comunque!» rinfaccia ai gradini muti, prima di dare le
spalle al rilievo e voltarsi finalmente a studiare il lago; è a quel
punto che il cervello gli si inceppa.
Per
un momento rimane senza fiato, completamente ottuso e incapace di
fare qualsiasi cosa, anche pensare.
Quello
deve per
forza essere
un genjutsu: un genjutsu di Madara, qualcosa di perverso e di
folle che procurerà guai. E vorrebbe anche preoccuparsene, peccato
che laggiù, sull'orlo del pontile basso che si tuffa nell'acqua
immota, ci sia Sasuke e quando si tratta di Sasuke il cervello di
Naruto smette di lavorare, si condensa in istinto e trepidazione,
spinge tutto il resto in secondo piano con brutale, preoccupante,
irrimediabile facilità.
«Sas-»
emette il jinchuuriki, fievole. Non si ricorda d'aver ripreso a
muoversi, né tantomeno d'aver cominciato a correre, ma è quello che
sta facendo, quando raggiunge la sponda e procede veloce lungo la
banchina di legno scricchiolante. Mentre si avvicina, intuisce solo
vagamente che c'è decisamente qualcosa che non torna, e non si
tratta della comunque sempre preoccupante situazione generale.
Rallentando,
Naruto sgrana gli occhi e li fissa per un lungo istante sulla nuca
spettinata di capelli neri, sul ventaglio, su Sasuke.
Deglutisce
e in un istante di sgomento comprende che quello non era un
effetto ottico dovuto alla distanza: la schiena di Sasuke è davvero
piccola, le sue braccia sono davvero sottili, come le gambe lunghe e
ossute che terminano in sandali di troppi numeri in meno, immerse
nell'acqua fino alle caviglie. Non avrà più di sette, otto anni.
«Sasuke»
si riprende Naruto in un bofonchio perplesso, fermo ad un passo di
distanza.
Piange.
Sasuke, che piange: se è un genjutsu, è un diavolo di
genjutsu.
«Ahm...
Sasuke, sei proprio tu?» ritenta Naruto, accovacciandosi per cercare
di guardarlo negli occhi, ma quello gli dà le spalle, i capelli che
gli fanno ombra sul viso.
«Ehi?»
ritenta Naruto, ritrovandosi a quattro zampe; aggira la schiena di
Sasuke e cerca di spiarlo dal basso, zitto. Lui finge o non lo vede,
lo ignora.
Naruto
si gratta la testa e si mette seduto a sua volta sul pontile umido,
a gambe incrociate.
«D'accordo»
acconsente al vuoto, senza riuscire a smettere di fissare
il suo vecchio compagno. «Da quant'è che sei qui, tu?»
Di
nuovo, Sasuke non risponde, tutto teso e accartocciato, ma con quel
contegno ostinato che gli impedisce di chinare troppo le spalle o di
farsi vedere in viso. Naruto sospira, a disagio.
«Sai
dove siamo, almeno?» domanda ancora, senza particolari aspettative.
Che difatti vengono deluse da un silenzio tombale.
«Sasuke»
ricomincia, ansioso. Tende
una
mano perché agisce di istinto: è come quando, tra lui e Haku,
Sasuke stava cadendo, e Naruto non aveva potuto fare nient'altro che
prenderlo. Nel vorticare di percezioni nebulose perse nel chakra
rosso, quello che ricorda meglio di qualsiasi altra cosa è proprio
la sensazione del corpo di Sasuke – tiepido e ancora vivo –
contro le sue mani fredde, e le ginocchia doloranti premute sul
pavimento gelido.
Lui e Sasuke si sono sempre toccati a pugni e
pedate, si sono dati un sacco di botte, per scherzo e sul serio; ma
da quella volta Naruto ha continuamente avvertito uno strano,
inesplicabile bisogno di tirarselo addosso, di stargli attorno per
assicurarsi che fosse ancora tiepido e vivo, invece che freddo come
gli specchi ghiacciati di Haku – come aveva creduto che sarebbe
diventato.
Tende
una mano perché è lui ad averne bisogno: stende il gomito e allunga
le dita, lo sguardo fisso sul viso in ombra del ragazzino e una
necessità stordente che gli martella le tempie.
Gli
sfiora appena una spalla, neanche il tempo di coprirla del tutto col
palmo, e il pontile sparisce. Sparisce il lago, sparisce l'erba
attorno, risucchiata nel nero.
Naruto,
il braccio ancora teso, si ritrova di nuovo circondato dal nulla,
sotto una sfera rossa di luce opalescente, enorme sulla sua testa.
Sgrana
gli occhi e poi li assottiglia, alzandosi svelto e mettendosi
istintivamente in guardia.
Ci
sono profili di edifici, adesso, delineati in maniera innaturalmente
netta sotto l'alone della luna, e poi sibili e fischi, tonfi.
«Che
diavolo...» comincia il jinchuuriki, solo per lanciarsi a terra il
momento seguente: un kunai gli è passato vicino all'orecchio, e lo
sa che era un kunai, anche se non l'ha visto, e sa anche che tutto
quel movimento attorno non è nulla di buono, che le ombre che vede
cadere sono corpi, che quello che balugina a tratti sono lame e che
quello che sta rannicchiato lì nel mezzo è Sasuke.
Tenta
di rialzarsi e quasi inciampa l'istante successivo: non cade solo
perché la forza di volontà ce l'ha pure nelle ginocchia, sia mai
detto che le sue rotule abbiano l'indecenza di cedere quando c'è da
andare a recuperare Sasuke, specialmente quando Sasuke ha otto anni
ed è sulla traiettoria di un'ombra lunga che avanza a passi
cadenzati, la katana sfoderata e due sharingan che rutilano nel nero
puntati addosso come fari.
Tutto
– suoni, odori, nero – passa in secondo piano in un unico
turbinio indistinto e Naruto capisce che il suo corpo si è mosso
da solo, quando si vede traslato direttamente tra Sasuke e la
lama e l'unica cosa che avverte è la tensione dei suoi muscoli
e il fischio sottile del metallo che fende l'aria.
Poi
c'è uno schiocco, lo scintillio della katana che sparisce: Naruto
riesce a cogliere solo una macchia nera sul nero tra lui e la spada,
illogica e provvidenziale. L'istante successivo, la luna è spenta e
il fondoschiena di Naruto impatta al suolo senza rumore.
È
come aver chiuso gli occhi. No, il contrario: è come essersi
svegliati. Spalancare le palpebre dopo un sogno particolarmente
vivido e ritrovarsi al buio. Per un momento, Naruto è tentato di
voltarsi a destra, in cerca della sua stupida sveglia a forma di
rospo, quella con il quadrante fosforescente.
Non
c'è nessuna sveglia, però, solo un palpito soffice come un'ala
d'uccello nel rinnovato silenzio nero, qualcosa che la testa di
Naruto decide di archiviare come un acufene, troppo preso dal
tentativo di regolarizzare il respiro: ci prova solerte per ben due
secondi, prima che il sangue gli risalga di nuovo alla testa.
«Sasuke!»
sbraita, rischiando di crollare schiena a terra tutto da solo; prende
a voltarsi attorno ossessivamente e tira un lungo, intenso sospiro di
sollievo quando si accorge che Sasuke è proprio lì accanto, ancora
rannicchiato su di sé. Se sia un bene o meno, Naruto è ancora un
po' indeciso in merito. Si concede qualche lungo secondo per
assicurarsi quantomeno che il bambino abbia tutti gli arti al loro
posto e poi si passa una mano sulla nuca, voltando il capo: è a quel
punto che vede il corvo.
Nel
nero è visibile e invisibile, fatto di riflessi setosi sulle piume
lisce, ma è chiaramente un corvo: sta su due zampe, davanti a
lui, e lo guarda.
C'è
una lunga pausa, in cui il jinchuuriki tira il fiato, i tratti del
viso modellati in una delle sue migliori smorfie dubbiose.
«Tu
che ci fai qui?» domanda, confuso.
«Pensavo
ti sarebbe servito un aiuto» replica il corvo, tranquillo.
Naruto
lo fissa e annuisce piano, il naso arricciato in un cipiglio
compreso. Poi strabuzza gli occhi e salta in piedi, puntando un
indice contro l'animale.
«No,
un minuto, tu sei un
corvo. I corvi non parlano!»
Il
corvo non si scompone, zampetta un poco nella sua direzione senza
produrre alcun suono. Ha uno strano luccichio negli occhi: sono
rossi, i tomoe ben visibili nell'iride. Naruto sussulta, ma non si
muove.
«Naruto
kun» lo sorprende l'uccello con la sua voce bassa e calma,
assolutamente umana. Schiocca il becco e si avvicina con un altro
fruscio vellutato di ali che battono, per accomodarsi composto
davanti ai piedi di Naruto, sotto il suo sguardo a metà tra
l'imbesuito e il sospettoso. «Speravo non si arrivasse a questo
punto, ma è andata così» sospira, con distacco venato da remoto
rammarico. «Sasuke non ti ascolta». Solleva le ali e sistema le
piume, prima di spiccare il volo e atterrare sulla spalla di Naruto.
Lui
scosta il collo ma non si sottrae; ricambia lo sguardo sveglio
dell'animale con un'occhiata scettica.
«Tu
cosa... Insomma, sono morto sì o no?»
«Morto?»
risponde il corvo, quasi lontanamente divertito. «No, non sei morto,
e neanche Sasuke, questo è certo».
Il
sospiro di sollievo non raggiunge le narici, ma le parole
dell'animale hanno comunque il potere d'una colata di luce e calore
in quel posto tanto buio e freddo. Naruto avverte l'oppressione
disfarsi in volute leggere, lo stomaco gli si libera e la testa quasi
si snebbia.
«Se
non sono morto allora cos'è questa?» brontola, più presente a se
stesso. «Una specie di illusione, o...»
«Sì
e no» ribatte il corvo, criptico. «Mi spiace, ma non potrò
aiutarti troppo. Già l'avervi salvato, prima» ammicca anche a
Sasuke, ancora diligentemente immobile lì per terra, «mi ha
comportato un'enorme perdita di chakra. Inoltre non ho il controllo
di questo luogo, penso che nessuno ce l'abbia, ormai. E questo spiega
anche perché esista un posto simile...» aggiunge in tono piano e
meditabondo, lo sguardo perso a scrutare nel buio che li circonda,
come stesse ragionando tra sé.
«Ooh,
senti!» reagisce Naruto; agita le braccia e scaccia il corvo,
esasperato. «Non ci sto capendo niente! L'unica cosa che ho capito è
che non sono morto, ma se non sono morto allora devo uscire di qui!
Non so se te ne sei accorto, ma là fuori si stava combattendo una
guerra!»
Il
corvo gli rifila un'occhiata incerta, come lo stesse valutando.
«Anche
qui si sta combattendo una guerra, Naruto kun, da molto tempo. Se
riuscirai a volgere le cose in tuo favore, ci sono buone speranze che
anche la Quarta Guerra Ninja, perché ormai è di questo che si
tratta, si risolva in modo più piacevole per tutti».
«Per
tutti chi? Non sono stupido, eh, l'ho visto quello!» gli bercia
contro il jinchuuriki, guardandolo dritto nello sharingan che gli
riluce
nell'iride. «Se sei un dannato pezzo di Madara o i Kami sanno cosa,
io...»
«Non
sei stupido, Naruto kun. Solo un poco impetuoso e talvolta
disattento, ma suppongo che chiunque sarebbe confuso nella tua
situazione».
Naruto
lo fissa, interdetto. C'è qualcosa che non si incastra, qualcosa cui
avrebbe dovuto pensare, qualcosa che è successa poco tempo prima, ma
che poi Sasuke, Madara, la guerra hanno fatto scivolare giù, nel
mucchio dei fatti gravi con l'etichetta ci penso dopo.
Semplicemente, il dopo è arrivato prima del previsto.
«Sei
Itachi... ?» barbuglia infine, basito.
«Itachi?»
bofonchia dubbiosa una voce sottile, lì accanto.
Naruto
e il corvo si voltano simultaneamente ad incrociare gli occhi di
Sasuke, che spia circospetto da dietro le ciocche scure, il viso
mezzo nascosto tra le braccia incrociate, come uno schizzo chiaro nel
mare di nero.
«Sasuke»
saluta il corvo, con un brillio vivido delle pupille, per poi
lasciare la spalla di Naruto e appropinquarsi quasi dubbioso al
bambino.
Sasuke
tende la mano per accarezzarne le penne, le dita piccole che scorrono
sul piumaggio lucido dell'uccello, e il mal di testa di Naruto
diventa un cerchio stretto sulle tempie.
«Itachi?
Uchiha Itachi?» articola, praticamente spalmato col sedere in terra.
O quel che accidenti è.
Nessuno
lo degna di una risposta e lui rimane lì, fermo come un brocco, ad
assistere al ricongiungimento di un bambino
– Sasuke. È Sasuke, quello – ed un corvo, che saltella quasi con
trasporto fino a posarsi sulla spalla di lui, frettoloso come se
avvertisse un'esigenza fisica.
«Dicevo:
alle volte puoi apparire un poco lento, Naruto kun, ma resti comunque
una brava persona» conferma Itachi, placido.
Naruto
li fissa, Sasuke e Itachi, immersi in un nero senza senso davanti ai
suoi occhi; fa per aprire bocca, formulare una domanda, ma sembra che
il suo cervello sia stato preso e compresso contro la scatola
cranica, sbattuto e spalmato diligentemente sulle pareti, a formare
una gelatina di pensieri indistinguibili.
«Qualcuno
mi spiega che accidenti sta succedendo?» prorompe infine,
querulo. «Io non ci sto capendo niente!» e lo grida in alto,
sperando quasi di vedersi piovere una risposta giù, direttamente in
testa.
L'unica
cosa che gli piove in testa è il corvo – Itachi – assieme allo
«ssh!» irruento di Sasuke, e le sue mani – sono decisamente
piccole, ma sono proprio quelle di Sasuke – che lo strattonano in
ammonimento, per zittirlo.
«Se
urli, ti sentirà» rimbrotta, con rimprovero.
Il
jinchuuriki solleva le sopracciglia e si guarda attorno a sua volta.
«Chi?»
chiede, confuso oltre ogni dire, ma persuaso ad abbassare il tono.
«Non
credo possa sentirci» interviene il corvo, dal suo nido tra i
capelli di Naruto. «Ve l'ho detto: questa zona è fuori dal suo
controllo. Anzi, sembra stia risucchiando tutto».
Naruto,
spazientito, scaccia la bestiaccia per l'ennesima volta.
«Senti
un po', corvo parlante, Itachi o chiunque diavolo tu sia»
brontola, guardando scoraggiato
l'animale che si va a posare tranquillo sul braccio che Sasuke gli
offre. «Adesso mi spiegate per bene dove siamo, voi due. Non
sopporto che facciate comunella» s'imbroncia il jinchuuriki, offeso.
Il
corvo sospira, prima di
voltare il
capo all'indirizzo di Sasuke.
«Non
è ovvio, Naruto kun?» spiega, senza alcun tipo di superiorità o
scherno sottesi. Si sporge dalla sua fronte e lo guarda così, a
testa in giù, indicando poi dinanzi a sé con uno scatto breve del
becco. «Siamo nella sua testa».
Gli
occhi di Naruto si spalancano, la sua bocca emette un oh
tondo e sordo, mentre le
pupille scorrono sul Sasuke che ha davanti, fino a fermarsi sul nero
cupo dei
suoi occhi, più nero del buio che li circonda.
«Ah,
beh. Ecco perché è un posto così sinistro» conclude, sconfortato.
Non
c'è un posto dove andare e non sembra che il genio di Uchiha Itachi
sia in grado di offrire un qualche tipo di soluzione.
«Te
l'ho detto, non dipende da me» sta spiegando, adagiato comodamente
in grembo a Sasuke. «Io ho potuto solo permetterti di venire qui,
era la mia ultima carta. Ormai non ho abbastanza chakra neppure per
acquisire una forma diversa da questa».
Lo
sbuffo di Naruto risuona sotto la cappa di nero.
«Ma
allora a che serve? Che razza di piano è? Non riesco a parlare con
Sasuke quando ce l'ho davanti, figurati se posso riuscirci stando
dentro la sua testa!»
Il
becco di Itachi schiocca piano, come se il corvo stesse riordinando
le idee. Ha la stessa espressione concentrata del maestro Iruka,
quella che il chuunin adottava inconsciamente quando doveva cercare
di farsi comprendere da una classe di dodicenni disattenti e
cocciuti.
«Non
è un piano, Naruto kun, è una scommessa» ammette pensoso, senza
far caso all'occhiata sconcertata che l'altro gli rifila. «Una
scommessa su di te, per l'esattezza. Prima di morire, era l'unica
garanzia che potessi lasciare nel caso le cose volgessero al peggio e
Sasuke si rivoltasse contro Konoha. Ovviamente, se qualcosa può
andar male lo farà» aggiunge più piano, quasi tra sé, e
Naruto si ritrova per un attimo, nonostante tutto, ad
accusare un moto d'empatia nei suoi confronti.
«Puoi
per una volta provare a parlare chiaro?» si riprende quasi
immediatamente, ricordando di colpo che, comunque, tutta quella
faccenda è proprio colpa di Itachi: lui e i suoi piani criptici
comprensibili unicamente a se stesso. «Come ho fatto ad
arrivare qui, e dov'è qui? Non rispondere “la sua testa”,
perché non è chiaro lo stesso, eh!» ribadisce con decisione,
guardando imbronciato Sasuke.
«Questo
non è un luogo fisico, Naruto kun, dovresti averlo capito ormai»
riprende Itachi, paziente nonostante l'occhiata perplessa che riceve
in risposta. «In ogni persona esiste un luogo che non è un luogo.
Puoi chiamarlo interiorità o mente,
se preferisci: è il posto in cui si è quando si sogna, è quello
che si può modificare con un genjutsu, e può essere reale quanto la
realtà stessa. Tu puoi capirlo meglio di altri, poiché lo condividi
con la creatura che risiede in te» continua, osservando Naruto
portarsi una mano sulla pancia, in corrispondenza del sigillo della
volpe.
«Quel
posto...» borbotta lui, il pensiero rivolo ad alti cancelli e chakra
rovente di rosso. E poi a Minato e a Kushina, la loro presenza tanto
impalpabile quanto dolorosamente concreta. Ricorda il profumo di sua
madre, Naruto, la consistenza soffice dei suoi capelli. «Credo
d'aver capito» conclude, un po' più deciso, «ma come... ?»
«Quella
volta nella foresta, quando ci siamo incontrati, ti ho regalato un
po' del mio chakra. Questo chakra, per l'esattezza» spiega,
riferito alla sua buffa forma di pennuto. «L'idea era di far in modo
che reagisse ai miei occhi, nell'ipotesi che Sasuke... Beh, lo ha
fatto» borbotta. Naruto fa per interromperlo di nuovo, impaziente di
riuscire ad afferrare quantomeno un brandello di spiegazione, ma
Itachi lo precede riprendendo a parlare più spedito, anche se sempre
con quel tono piano da persona composta connaturato nel suo essere,
persino nel suo chakra. «Ciò che è importante che tu sappia è che
se anche è stato il mio genjutsu a consentirti di venire qui, se è
successo è perché Sasuke stesso te ne ha data l'occasione. Non vede
più niente, ma vede te, Naruto kun» soffia, sembra quasi sorridere
con gli occhi, mentre lo guarda fisso nelle pupille.
Naruto
corruga le sopracciglia, imbronciato. Non è che sia chiara, la
faccenda; ma neanche un po'. Si gratta la nuca, stanco, e si volta
verso Sasuke, rimasto ubbidiente in silenzio con l'aria un po'
annoiata, come quando in accademia Naruto lo scopriva a distrarsi
immobile, gli occhi cupi fissi in un angolo. Al tempo lo detestava,
cercava di costringere Iruka a rimproverarlo: peccato che, disattento
o meno, Sasuke conoscesse comunque la risposta a qualsiasi domanda.
L'idea
gli pare ovvia, a quel punto, ed è quasi tentato di inveire contro
Itachi perché non ci ha pensato prima.
«Forse
tu non potrai fare niente, ma lui sì che può!» salta su eccitato,
ammiccando a Sasuke. Sorride e si china di nuovo alla sua altezza,
mettendogli le mani sulle spalle.
Lui
spalanca gli occhi, restio come un gatto, e stringe Itachi tra le
mani, le dita affondate tra le piume nere.
«Lasciami»
brontola, un po' petulante. Itachi sfugge dalla sua presa e va svelto
a posarsi sulla testa di Naruto.
«Ti
sbagli Naruto kun. Anzi, il fatto che lui sia qui...»
«Lui
mi ci ha messo» interviene Sasuke,
rigido. Sotto le mani di Naruto le sue spalle sono sottili e pensare
che è sempre stato un po' più lungo di lui e invece ritrovarselo
così, che gli arriva nemmeno al gomito, con gli occhi neri
spaventati e un'espressione grave eppure insieme molto bambina, fa
uno strano effetto, rimescola lo stomaco.
«Chi?»
lo interroga nuovamente il jinchuuriki, scuotendo il capo per
liberarsi di Itachi. «Chi, Sasuke?»
Lui
lo guarda – lo guarda davvero per la prima volta – e Naruto si
sente seriamente impotente. Che dovrebbe farci con un Sasuke di otto
anni che lo fissa dabbasso, come si aspettasse qualcosa da lui?
L'eroe di Konoha si sente molto poco eroico, al momento. Confuso,
imbastisce una smorfia che pretende d'essere rassicurante, ma Sasuke
si è già ritirato dietro l'ombra dei capelli.
«Mi
ha messo qui e non so più uscire, non posso fare niente. Non posso
mai fare niente»
mormora, con rabbia.
A
quel punto succede qualcosa.
Naruto
avverte il cambiamento alle sue spalle: rossa, enorme, nel mezzo del
nero è ricomparsa la luna.
Per
un momento gela sul posto, incapace di voltarsi, poi fa l'unica cosa
che gli venga in mente di fare: afferrare un polso di Sasuke e
stringerselo addosso.
Vorrebbe
imprecare, o mettersi in guardia in attesa dell'ombra – sa che sta
arrivando – ma qualcosa nel tremore incontrollato del bambino gli
suggerisce che è meglio evitare, restare immobili così.
Istintivamente i suoi occhi
vagano alla ricerca di piume nere – Itachi, checché ne dica,
sembra l'unico ad avere un dannato quadro della situazione e se ne
avrà l'occasione glielo farà sputare a furia di piume strappate,
avrebbe già dovuto farlo – ma il corvo atterra nuovamente sulla
sua testa, zitto e vigile.
«Credo
di averti cacciato in un bel guaio, Naruto kun» sussurra solo,
mesto, ma con lo sguardo rivolto ai capelli scompigliati di Sasuke,
alle sue mani strette sulla tuta arancione del jinchuuriki. Poi torna
su Naruto che, teso, ha inutilmente cercato di allungare le dita al
portashuriken, solo per ricordare che di shuriken non ne ha più. «Ma
sono quasi del tutto certo che se non ti ci avessi ficcato io,
avresti trovato un modo per riuscirci anche da solo» prosegue
Itachi, col suo tono perennemente pacato. Naruto distoglie lo sguardo
dal proliferare di ombre su ombre – di nuovo rumori come di kunai,
l'avanzare silenzioso di un'angoscia
strisciante – e gli lancia una sguardo di sfida, oltre le
ciocche di capelli spettinati.
«Io
non ho capito che diavolo devo fare, Itachi» fa deciso, rivolto alla
testa del corvo, che lo guarda a testa in giù, abbarbicato sulla sua
stessa fronte. «Ma se pensi che questa cosa possa servire ad aiutare
Sasuke, allora okay, io ci sto. Te l'ho già detto quella volta, per
me-»
«Sasuke
è un fratello più di quanto non lo sia per me?» conclude Itachi
morbido, scendendo ad appollaiarsi a terra, per guardarlo meglio. «È
probabile, Naruto kun. Amico, fratello... Le definizioni sono cosa
sciocca, specie quando riguardano un sentimento. Sii per Sasuke ciò
che credi sia giusto essere, l'unica cosa che ti chiedo è di
esserci, e so che non mi deluderai».
Naruto
non ritiene di dover annuire, i sensi raccolti nell'ora perfettamente
udibile sibilare di kunai e fendenti menati, tonfi brevi di corpi che
impattano al suolo; c'è odore di ruggine, acre di sangue. Si ritrova
a chiudere gli occhi e stritolare Sasuke fino a desiderare di
inglobarlo, perché non debba vedere e sentire, mai più.
«Come
ti pare» mugghia, stizzito dall'ennesima risposta criptica. «Adesso
però posso sapere cosa dovrei fare?» si ritrova a ringhiare,
all'indirizzo di Itachi. È colpa sua, tutto quello: è lui che per
primo ha messo quelle cose in quella testa e Naruto, il respiro umido
di Sasuke contro il petto, per un momento si scopre ad odiarlo con
violenza cieca, irrazionale ed assoluta; perde il controllo di colpo,
furente, e sbraita: «smettila, piantala subito dannazione!» non
precisamente contro il corvo, quanto piuttosto contro tutto quel nero
viscido e freddo, contro quella dannata luna immobile.
Itachi,
praticamente sospeso davanti ai suoi occhi nell'uragano di ombre
fruscianti e rumori di morte, lo fissa.
«Mi
dispiace» dice, definitivo; il tono è così sincero che Naruto
quasi si imbestialisce di più. Non può essere rammaricato, Itachi:
non adesso, non lì, non mentre la sua ombra spezza la famiglia del
suo migliore amico – suo fratello, Sasuke – in un loop
infinito sotto la luna rossa.
Proprio
quando sta per gridare ancora contro Itachi, una katana lo precede,
la lama vibra di scatto, spuntata dal nulla; Naruto pensa di
scansarsi, ma il colpo non era diretto a lui: ha giusto il tempo di
cogliere un refolo d'aria vuota, quasi uno sbuffo, prima che Itachi
sparisca, lasciando solo bioccoli di piume nere che ricadono
lentamente a terra, planando. Il jinchuuriki stringe i denti e
spalanca le palpebre, scosso, gli occhi puntati contro la lama.
Schiva il fendente successivo senza emettere un fiato, trascinando
Sasuke con sé. Si raddrizza subito, pronto a dare battaglia contro
l'ombra alta che avanza nella loro direzione. È alta, l'ombra, sì.
Ma non è alta quanto Itachi.
Già
pronto a moltiplicarsi e a scagliarsi contro l'avversario, in un
momento Naruto registra dettagli che non tornano; sbarra
gli occhi davanti a profili di edifici familiari che prima
aveva associato istintivamente a quelli del vecchio quartiere degli
Uchiha, sbagliando: quella è Konoha, sotto la luna rossa, e quella
che c'è ora davanti ai suoi occhi è Sakura.
«No»
emette, strozzato; ma gli occhi di Sakura sono già opachi, il sangue
le cola a rivoli dalle labbra e dallo squarcio che dalla schiena si
apre in fiotti rossi sul petto. È una bambola di pezza, quando
scivola giù, la spada
sfilata dal corpo, e si accascia crollando al suolo piano, quasi
adagiandosi.
Lo
sguardo incredulo di Naruto segue il luccichio vibrante dell'arma,
percorre il braccio e si ferma sull'ombra nera che l'impugna: e, no,
non è Itachi. Non dipende da lui, Itachi c'entra tutto e non c'entra
più niente.
A
terra, Naruto sente lo stomaco annodarsi stretto e la gola bruciare.
È
Sasuke, quello, gli sharingan come due chiazze di sangue vivo negli
occhi e nel buio un'espressione che non è neanche un'espressione.
Non è umana, quella è Sakura, e intorno gli altri corpi Naruto può
riconoscerli uno ad uno. Ci sono Kakashi e Tsunade, Shikamaru, Neji,
Kiba, Chouji. Ci sono tutti: Ino, Lee, Hinata, tanti, morti.
Sasuke
si avvicina, la
katana sporca e
il sangue sul viso; gli punta la lama ad un centimetro dal
naso.
«Che
diavolo stai facendo?» esala Naruto, sconvolto. C'è il cadavere di
Sakura, lì. Qualsiasi cosa Itachi vuole che lui faccia, qualunque
sia il senso, quello è il cadavere di Sakura.
«Quello
che è giusto. Manchi solo tu» conclude Sasuke, gelido. Sembra non
aver neanche fatto caso all'altro Sasuke, il bambino che Naruto
ancora tiene stretto a sé.
«Questo
è folle, tu... È davvero questo che vuoi?» domanda il jinchuuriki,
caparbio. Non sa cosa può succedere, se possa veramente
morire, lì dov'è. Ma c'è Sasuke davanti a lui, e se può essere
un'occasione per farlo ragionare allora sì, va bene, la sfrutterà.
«Quello
che voglio è giustizia. Konoha ridotta in ginocchio, tu
ridotto in ginocchio».
«Nah!
Stronzate!» Naruto si alza di scatto, lasciando che Sasuke,
quello piccolo, stia stretto dietro di lui, al riparo. Gonfia
le spalle bellicoso e avverte prepotente il chakra denso come lava
fluirgli nelle vene. Probabilmente ha gli occhi rossi, sente le zanne
premere sulle gengive. «Non può essere questo quello che vuoi! Tu
non... Questo non sei tu!» sputa, aggressivo.
La
risata in risposta fa gelare il sangue, il capo inclinato di Sasuke,
il collo teso... sembra pazzo, lo è. Quello non è Sasuke.
«E
chi sono io, Naruto? Dimmelo, visto che sai tutto» lo deride il
nukenin, algido. «Chi sarei, io, quello lì? Quella ridicola cosa
singhiozzante, quella specie di patetico, disgustoso
bozzolo di inutilità?» ammicca eloquente al Sasuke di otto
anni chino dietro il jinchuuriki. Lui mormora «smettila,
smettila, basta» come una nenia, sembra una bambola rotta.
«No,
smettila tu» riprende Sasuke – il pazzo – feroce. In un
istante leva la lama e fa per abbatterla direttamente sul più
piccolo: Naruto si getta a bloccargli il polso con un urlo che pare
più un ringhio. Non c'è alcuno strato del demone attorno a lui, ma
si sente bruciare, mentre si scaglia addosso all'altro e lo butta a
terra, in un impeto tutto istintivo.
Cadono
entrambi e, quando i loro occhi si incontrano – quelli di Sasuke
ora privi di Sharingan – , Naruto semplicemente tira il compagno
per il bavero e gli assesta una sonora craniata, gridando «che
diavolo credi di fare?», con violenza.
Di
colpo, nel dolore sordo sulla fronte e lo scintillio brulicante che
compare nel suo campo visivo, la luna rossa sparisce; le ombre di
Konoha, i cadaveri, l'odore di sangue: tutto torna buio e nulla.
Naruto
quasi non se ne accorge, sta per inveire ancora contro Sasuke,
prenderlo a pugni finché non rinsavirà – perché deve rinsavire:
quello non è Sasuke, è uno psicopatico che si è impossessato del
corpo del suo migliore amico e Naruto non ha alcuna intenzione di
lasciargli fare i porci comodi suoi, non finché lui avrà fiato per
impedirlo –, quando si rende conto che quello sotto di
lui non è più Sasuke.
O
meglio, lo è, ma non quel Sasuke.
«Razza
di usuratonkachi» sibila un Sasuke di dodici anni, mezzo
soffocato dalla sua stretta e dolorante.
Naruto
semplicemente resta così, la bocca aperta in un'espressione di vacua
sorpresa e gli occhi spalancati a pochi centimetri dal viso
dell'altro, incredulo.
È
su un prato, adesso. Un prato polveroso e maltrattato, ma verde di
erba corta e cespugli e sotto di lui, con le iridi scure e le ciocche
corvine spettinate su un coprifonte lucido, c'è Sasuke.
Sasuke
bizzoso, sprezzante, arrogante: tredici anni di altera cupezza, un
usuratonkachi sempre a fior di labbra e due occhi attenti
sotto sopracciglia costantemente rigide. Il suo migliore amico,
quello pronto a schernirlo in ogni occasione, ma senza togliergli gli
occhi di dosso; quello testardo, competitivo fino allo stremo –
vomitare ai lati di un tavolo, chi arriva primo sulla cima
dell'albero, voglio combattere anche con te –, quello
che intuisce con una sola occhiata e regge il gioco, quello che
riconosce il tuo valore perché ci crede davvero, quello che è
amico, fratello, famiglia – tutto – tutto insieme.
Questo
è Sasuke.
Il
prato procede a chiazze disuguali tra zone brulle, massi e alberi che
si infittiscono d'intorno; ci sono il monumento ai caduti, la bandiera
appesa pesante all'asta e, nel mezzo, i tre tronchi. Se si resta in
silenzio abbastanza a lungo, si può sentire un tintinnio
lontanissimo di campanelli.
Naruto,
seduto schiena contro il tronco centrale – il suo tronco –
fissa Sasuke con sguardo vacuo. Sta lì in piedi, le mani in tasca e
gli occhi duri; sta lì in piedi e Naruto, a parte l'effettiva
stanchezza, si è seduto proprio per quello: non riesce a guardarlo
dalla sua statura attuale, dall'alto dei suoi sedici anni contro i
tredici dell'altro.
Sono
stati davvero piccoli, lui e Sasuke, e fa strano: si credevano già
grandi e invece eccolo, sembra meno maturo di Konohamaru, adesso.
L'eroe di Konoha sospira, distrutto. Scompiglia rassicurante i capelli
all'altro
Sasuke, ma quello non sembra particolarmente disposto a comunicare:
sta solo lì, seduto ad un palmo da lui, accartocciato su di sé.
«Ehi,
Sasuke» si decide a chiamare, paziente. È quasi tentato di battersi
una mano contro la fronte, quando entrambi i Sasuke inclinano di poco
la testa per degnarlo d'attenzione: il mal di testa gli si
intensifica tanto da regalargli una scudisciata di nausea dritta
all'imboccatura dello stomaco. Trae un sospiro e si volta verso il
Sasuke più grande, cacciando aria dal naso.
«Che
c'è?» abbaia quello, scontroso e apertamente seccato.
Il
jinchuuriki si gratta la testa, inesplicabilmente tranquillizzato da
quel tono che conosce bene e per questo sostanzialmente deliziato
dallo sgarbo.
«Tu
sei stato qui tutto il tempo?» domanda, senza seguire alcun
particolare nesso logico.
«Lui
mi ha spinto giù» spiega Sasuke, concedendogli giusto uno spicchio
di profilo e calcando eloquente sul pronome. «Dopo aver ucciso
Itachi, ha cominciato a spingermi sempre più giù. L'ultima volta è
stata quando ho visto Danzou, poi sono finito qui e non sono più
riuscito ad uscire. Era buio, prima che arrivassi tu» borbotta senza
particolare trasporto, rivolto verso l'acqua del fiume che ristagna
innaturalmente immobile sotto il cielo nero.
Naruto
vi si sofferma a sua volta, corrucciato: lui in quel fiume c'è
crollato dentro i primi cinque minuti della prova, anni luce fa,
quando Kakashi si mostrò per la prima volta come il sensei
superscemo che intimamente resta, lui e la sua stupida tecnica del
Dolore Millenario. Poi sussulta, realizzando solo in quel momento la
bizzarria di quel che ha detto Sasuke.
«Ma
è buio, qui. Perché ci vediamo comunque? Io non ho fatto niente»
commenta, perplesso.
Sasuke,
le mani nelle tasche, si volta finalmente del tutto verso di lui.
«Sarà
che sei schifosamente arancione, che vuoi che ne sappia?» butta lì,
stringendosi brevemente nelle spalle, a sottolineare il suo totale
disinteresse per una questione tanto futile – solo
un idiota come lui
potrebbe fare considerazioni tanto cretine, che usuratonkachi.
Naruto si lascia sfuggire uno sbuffo divertito, gli occhi che
brillano, gli sembra di leggergli nel pensiero: è proprio così,
Sasuke. Ce l'ha stampato nella retina e anche se non ha la più vaga
idea di come uscire da lì, per un attimo si sente contento di una
felicità scoppiettante, inesplicabilmente eccitato e confuso come
ogni volta che ha a che fare con lui, da sempre.
«Smettila
di fissarmi come un mammalucco, usuratonkachi» intima il ragazzino,
riottoso e arrogante. «Possibile che tu sia venuto qui senza uno
straccio di piano? È proprio da te».
Usuratonkachi,
che bella parola. Dannato Sasuke, vecchio bastardo, gli ha mandato il
cervello in pappa; ha ragione Sakura, ha ragione Sai, hanno ragione
tutti, ma questo è Sasuke. Usuratonkachi.
Non riesce a sembrargli un insulto, non riesce ad arrabbiarsi,
Naruto. Non ci riesce.
«Piano?»
si riprende, scuotendo la testa, i capelli arruffati. «Pensavo di
provare a...» lanciare qualche Rasengan, così per vedere che
succede, sta per dire; fortunatamente mentre formula il pensiero
rileva da solo la stupidità dell'idea. «Devo cercare Sasuke,
suppongo. Beh, non Sasuke tu... Neanche tu!» aggiunge, quando il
bambino gli rivolge un'occhiata dubbiosa. Naruto chiude gli occhi e
cede, schiaffandosi una mano in fronte. «D'accordo, d'accordo»
borbotta tra sé, prima di decidersi ad alzarsi con uno scricchiolio di
vertebre.
Si
sente tirare subito dopo per un lembo della felpa, e quando abbassa
lo sguardo, due occhi serissimi lo scrutano dabbasso, quasi
accusatori.
«Resta
qui» ordina il bambino, bizzoso. Naruto fa per aprire la bocca e
rispondere qualcosa – non sa neanche lui bene cosa –, ma l'altro
Sasuke lo precede, il capo inclinato e l'aria distaccata.
«Ha
ragione, tanto non puoi fare niente».
Le
sopracciglia di Sasuke si sollevano impercettibilmente, quando Naruto
gli rivolge uno sguardo incrollabile di azzurro pulito.
«Ehi,
ormai sono in campo!» declama, in una risata che si guadagna subito
due paia di occhiate tra il preoccupato e lo scettico. «Lasciate...
lasciate fare a me, non c'è nulla di cui preoccuparsi. Insomma,
capisco che quel Sasuke lì sia, beh...»
«Matto
da legare?» propone l'adolescente neutro, dando prova di lodevole
obiettività. «Non che questo sia meglio, poi» continua, ammiccando
seccato al ragazzino più piccolo.
«Possibile
che ce l'abbiate tutti con lui?» sbuffa protettivo Naruto,
piazzandogli impacciato una mano sulla testa. Quello si scosta, ma le
sue dita restano avvinghiate alla felpa; l'altro Sasuke alza gli
occhi al cielo nero, in una solenne espressione di sufficienza.
«È
debole, non sa fare altro che frignare» sentenzia, con crudele
semplicità. «Lui l'ha spinto giù, ma so che lo sente
piangere. È impossibile non sentirlo, è davvero irritante».
«Questo
non va bene» pondera Naruto, a voce alta, osservando il bambino
borbottare qualcosa di indefinito e chinare il capo, chiaramente in
colpa. «Voi dovreste andare d'accordo. Cioè, voi siete la stessa
persona, quindi... Dei» sospira infine, devastato. «Io farò
tutto quello che posso, e non perché me lo ha chiesto Itachi. Io
farò tutto quello che posso» ripete. «Ma prima devo capire cosa
ti... Cosa vi serve» si corregge, guardando dall'uno
all'altro.
«Io
voglio tornare a casa» si lascia sfuggire il Sasuke di otto anni,
serioso. Tira su col naso e l'altro Sasuke incrocia le braccia,
infastidito.
«E
io voglio che me lo togli da davanti, è irritante» ripete,
con altero distacco.
Il
mal di testa di Naruto torna a pizzicare con virulenza nelle tempie,
costringendolo a serrare gli occhi per un momento.
Sasuke
Sasuke Sasuke. C'è così tanto Sasuke dopo anni di niente – e
di tutto nella sua mente, nelle sue viscere – che rischia di
diventare matto.
«Sasuke»
comincia, avanzando con decisione. Avverte solo distrattamente
le dita del piccolo Sasuke staccarsi con riluttanza dalla tuta, gli
occhi puntati duramente contro l'altro, il Sasuke che lui conosce,
quello con cui si può rapportare davvero senza errori, il Sasuke
della squadra sette, il suo Sasuke. Lui indietreggia quasi, lo
guarda rigido e sulla difensiva.
«Che
diamine vuoi?» fa a tempo a sputare, quando Naruto ormai è solo
ad un passo di distanza e gli ha già afferrato le spalle, per
impedire che si allontani. Resta per un attimo sconcertato,
impossibilitato a spostarsi e con la faccia del jinchuuriki, che si è
chinato per stare alla sua altezza, a meno di qualche centimetro dal
naso.
Sasuke
deglutisce. Naruto non sbatte neanche le palpebre, le sopracciglia
strette in un'espressione grave.
«Voglio
che torni a essere te» sillaba, aumentando la stretta. «Rivoglio...
Voglio solo che torni ad essere te, che noi... Che tutto torni come
prima».
Gli
occhi sgranati di Sasuke lo fissano disorientati, come fosse
impazzito; Naruto stesso non si sente poi così sano.
«Idiota,
io non-»
«Ma
devi volerlo anche tu. Per favore, te lo chiedo per favore»
ed è un ringhio da animale ferito, più che una richiesta; Naruto
scruta gli occhi dell'altro, ma lo scopre a guardare altrove, oltre
la sua spalla, con un'espressione indecifrabile. Si volta e quasi
lascia la presa
per lo
stupore.
Ci
sono tre ragazzini, accanto ai tronchi. Tre ragazzini di dodici anni
stupidamente chiassosi, che si credono già grandi. Naruto guarda se
stesso, basso, sempre drammaticamente arancione, uguale a com'è
oggi, eppure infinitamente diverso. Legato al tronco di mezzo,
scalcia e sbraita. Esterrefatto,
torna a Sasuke per chiedere spiegazioni, ma lui sta seguendo la scena
– il ricordo – con espressione assorta e dura, quasi gli
provocasse un dolore fisico.
«Te
lo ricordi» commenta Naruto, avvertendo di colpo lo stesso peso
nello stomaco – quanto tempo è passato, come hanno fatto a
cambiare tanto? –,
quando un bento mezzo mangiucchiato si avvicina al
suo alter ego dodicenne. Ricorda la mano di Sasuke, sotto quel bento,
il suo profilo e la sua espressione noncurante, quel «tieni, digiuno
mi saresti solo di intralcio» arrogante sì, ma non freddo, no, il
contrario: c'è un certo sbrigativo impaccio, una gentilezza rude
eppure calda, caldissima.
Non
serve rivedere la scena lì: ce l'ha incisa nella memoria come una
cicatrice, Naruto. Sono tre anni e mezzo che brucia e sanguina.
«Te
lo ricordi» ripete, rauco. Distoglie lo sguardo, quasi
sorridendo, ma fa appena in tempo a voltarsi che delle nocche
impattano contro la sua mascella e tutto il suo corpo finisce
spintonato indietro sull'erba, ruzzolando.
Macchie
rosse entrano per qualche momento nel suo campo visivo, mentre
riacquista le sensibilità della faccia e, con essa, lo raggiunge il
dolore acuto e stordente. I pugni di Sasuke fanno un male cane,
ricorda anche questo perfettamente, non appena la testa gli si
snebbia e il dolore si affievolisce abbastanza da consentirgli di
percepire il terreno sotto la schiena e i gomiti. Vi si puntella col
destro, passandosi l'altra mano sotto il mento, dov'è corso un
rivolo sottile di sangue.
«Che
accidenti ti è preso?!»
«Sta'
zitto, imbecille» sibila Sasuke, davanti a lui, col braccio
ancora sospeso a mezz'aria, come si fosse mosso fuori dalla sua
volontà. «Tu... Ti odio, maledizione» sputa, accusatorio.
«Arrivi e credi di sapere tutto, sempre, di poter aggiustare tutto.
Sbraiti e pretendi che tutto giri come va a te, che tutti si pieghino
ai tuoi desideri, ai tuoi stupidi sogni!» incalza, in tono sempre
più rabbioso. Naruto, fa per replicare, ancora steso per metà, ma
Sasuke lo zittisce con un gesto secco della mano, prima di sorridere,
amaro e sprezzante. «Ed è perché sei un egoista, Uzumaki Naruto.
Un dannato, maledetto egoista».
«Io!
Io sono l'egoista!» sbotta il jinchuuriki, di nuovo in piedi, a
fronteggiare con ira un ragazzino alto a stento due terzi di lui. «Tu
te ne sei andato! Non io, Sasuke, tu!»
«Dannazione,
Naruto, cosa avrei dovuto fare?» gli grida contro, ormai
completamente fuori controllo. «È anche colpa tua! Tu e il tuo
attaccamento morboso, tu e la tua fissazione dei legami! Hai dovuto
rendere tutto quanto più difficile!»
Naruto
abbozza, scosso. Non si era neanche accorto d'essersi di nuovo
avvicinato tanto. Stringe i denti, ferito.
«È
così, allora? Un impedimento?» constata, la gola stretta. «Sono
stato solo un impedimento ai tuoi grandi piani di vendetta? E per
cosa, poi?»
Sasuke
stringe le palpebre, furente.
«Sta'
zitto, Naruto, ti avverto...»
«Guardala
ora, la tua vendetta! Cosa ci hai guadagnato?»
«Dannazione,
sta' zitto!»
Stavolta
Naruto blocca il pugno senza troppe difficoltà, immobilizzando poi
Sasuke per evitare il calcio successivo. Il ragazzino ansima contro
di lui, furibondo, e il jinchuuriki lo osserva dall'alto, il viso
tirato in
un'espressione fosca.
«È
proprio questo che intendo» riprende Sasuke, dopo una breve stasi,
senza alzare il capo. «Tu pensi di capire tutto, quando in realtà
capisci solo quello che vuoi capire» formula, il tono ora
controllato. «Decidi tu quale sia il bene per gli altri, e guarda
caso quel bene coincide sempre con il tuo. Sei solamente un
egoista, Naruto».
«No,
non solo» mormora lui; il polso che teneva bloccato tra le dita è
rimasto lì, ma morbido; nessuno dei due sta più usando alcuna
energia, più che altro stanno fermi, appoggiati l'uno contro
l'altro. «Non sono solamente un egoista, sono anche il tuo
migliore amico».
Non
c'è alcun sussulto da parte di Sasuke; Naruto può sentire il suo
respiro regolare all'altezza del petto, dove il suo cuore batte
piano, cadenzato.
«L'hai
detto tu» ribadisce il jinchuuriki, mansueto. «Tu mi hai offerto il
pranzo, quel giorno, durante la prova. Tu mi hai trascinato a casa,
dopo ci eravamo allenati con il chakra, nel paese delle Onde, tu mi sei
venuto a
cercare la mattina dopo, tu... tu, contro Haku-»
«Stronzate»
lo interrompe Sasuke; si scosta rapidamente, assestandogli una
spintarella per mettere distanza, ma piano, senza intenti
battaglieri. «È passato, Naruto. Sono ricordi, non servono a
niente».
«Però
ci sono, guarda, dannazione!» lo scuote, costringendolo ad alzare il
capo. Attorno a loro, in un turbinio fumoso, macchie di alberi alti
dal tronco sfregiato, specchi ghiacciati e sangue, un grande ponte,
l'Ichiraku ramen in cui Sasuke odiava andare ma in cui Sasuke di
tanto in tanto veniva comunque; ci sono capelli rosa e luce di occhi
verdi, sorrisi mascherati sotto improponibili chiome argentate,
nascosti discreti dietro libri sconci. E arancione, arancione
ovunque, a chiazze disuguali esplose come un fuoco d'artificio,
frammenti incastrati in ogni angolo che brillano, nonostante il cielo
nero.
Sasuke
si guarda attorno come fosse seriamente convinto di non essere nella
sua testa, ma in quella di qualcun altro, con ricordi altrui.
«Ci
sono» ripete Naruto, stavolta sorridendo – c'è un gatto da
recuperare, c'è pescare nella foresta della morte, c'è aspettare
Kakashi per ore infinite –,
«ci sono e restano, non si possono
buttare via».
Si
possono spingere in fondo, però, questo Naruto lo capisce: si
possono spingere in fondo finché non resta solo nero denso e freddo,
a mangiare via tutto.
Il
silenzio di Sasuke non lo impensierisce, ne osserva l'espressione tra
il basito e l'assorto, mentre riscopre ricordi perduti e li accetta
come suoi dopo anni.
«Io
sono il tuo miglio-» comincia dopo un poco Naruto, interrompendosi
però prima ancora di finire. È il migliore amico di Sasuke, lui,
no? E Sasuke è il suo. È questo che sono, migliori amici, eppure
sembra stretto. L'eroe di Konoha ricomincia, stavolta puntando
deciso lo sguardo negli occhi dell'altro.
«Tu
sei importante» stabilisce semplicemente, sentendosi più a suo agio
e contemporaneamente più a disagio con la nuova scelta di parole.
Deglutisce. «Tu sei il più importante.
Farei qualsiasi cosa per te, lo sai. Permettimi di farlo, permettimi
di aiutarti».
Le
sopracciglia di Sasuke si irrigidiscono e la bocca le segue,
disegnando una smorfia amara, ma le pupille restano fisse in quelle
di Naruto, contratte e attente.
«Quando...»
comincia, titubante. «Quando è successo che sia diventato io,
quello che ha bisogno di aiuto?»
Dopo
un breve silenzio perplesso, Naruto ricambia lo sguardo senza
vacillare, solo stringendosi nelle spalle.
«Tutti
quanti abbiamo bisogno di una mano, di tanto in tanto. Non c'è
niente di male».
Sasuke
lo studia per un lungo momento, indignato alla sola idea. Attorno è
tornato tutto nero, il Sasuke ottenne sta seduto in silenzio e li
fissa come avesse paura di finire coinvolto nella loro presunta
rissa.
Naruto
attende nervoso, indeciso se aspettarsi un nuovo pugno o cosa, ma
Sasuke sta studiando inquieto lui, il nero d'intorno, l'altro Sasuke.
Combattuto, distoglie lo sguardo e il capo quel tanto che basti a
nascondere il viso, troppo rigido perché non sembri un gesto
studiato. «Tch» emette, senza spregio; solo tanta, tanta
stanchezza.
L'eroe
di Konoha, in alto, si concede un sorriso fiducioso.
L'acqua
del fiume lambisce la sponda senza emettere suono, si allunga e si
ritrae meccanicamente, come inchiostro denso; non si vede il fondo:
probabilmente non c'è.
Sasuke,
otto anni e un'espressione corrucciata di sincera preoccupazione, la
fissa a distanza di sicurezza, tenendosi sull'argine. Poco più
avanti, l'eroe di Konoha se ne sta invece praticamente sul limite e
ci guarda dentro con una certa aspettativa.
Non
c'è un posto dove andare, ma se vuole davvero parlare con Sasuke, può
solo cercarlo giù, più giù, dove il nero è più nero.
«Bene,
allora vado» proclama Naruto, ostentando sicurezza, le mani sui
fianchi di fronte alla distesa buia. Aveva pensato di buttar via
sandali e indumenti, prima di tuffarsi, ma l'occhiata di solenne
sufficienza che Sasuke – quello di tredici anni – gli ha lanciato
dopo che lui aveva fatto in tempo giusto a tirare giù la zip della
tuta, gli ha fatto capire che doveva essere una precauzione inutile.
«Tu
sei completamente idiota» ripete Sasuke, per l'ennesima volta e con
crescente preoccupazione a partire da venti minuti prima, quando ha
dovuto spiegare la faccenda, non senza notevoli insistenze da parte
di Naruto. Non è propriamente un piano, quello, ma ci sono poche
alternative al momento.
«Andrà
tutto bene» replica il jinchuuriki, rivolto anche e soprattutto al
Sasuke più piccolo, che lo scruta come fosse già un cadavere. «Lo
trovo, lo stendo e beh, poi vedremo quel che succederà» conclude
allegro, fallendo miseramente in qualsiasi tentativo di
rassicurazione: gli occhi del bambino lo guardano spauriti,
l'adolescente invece emette un gemito basso e stringe il ponte nasale
tra pollice ed indice per un lungo secondo, stressato.
«Vedi
di non farti ammazzare, usuratonkachi» sibila, spiccio. Naruto si
volta e ribatte con un sorriso incrollabile da eroe del Villaggio,
roba da far capitolare anche una statua. Sasuke non capitola, ma
contrae la mascella e borbotta qualche altro insulto colorito dei
suoi; il jinchuuriki ridacchia.
«Non
litigate mentre sono via, eh!» si ferma ad avvisare, indicando i due
ragazzini con aria paterna, ed è ridicolo vederli alzare entrambi
gli occhi al cielo, come riflessi in uno specchio deformante. Naruto
li guarda e saluta, sollevando una mano e imprimendosi l'immagine per
bene nella retina.
«A
noi due» borbotta infine, guardando il fiume e sfregandosi le mani,
consapevole delle due paia d'occhi neri che lo osservano a pochi
passi di distanza. Andrà tutto bene, ripete a se stesso,
staccando il piede dalla sicura solidità dell'argine e
sbilanciandosi in avanti.
Non
c'è alcun fondo: al primo passo è già caduto nel nero.
L'impatto
è ghiaccio: freddo violento, così intenso da sembrare rovente.
Le
orecchie, gli occhi, la bocca gli si riempiono di impossibile nero
gelato, mentre il suo corpo precipita e il fiume si richiude sulla
sua testa per metri e metri, senza che vi sia un fluido a frenare la
caduta.
È
impossibile lottare, scalciare è nient'altro che uno spreco di
energie: niente si muove d'un millimetro ed è tutto così compatto,
attorno, che si potrebbe pensare d'essere semplicemente sospesi nel
nulla; ma Naruto sa si star precipitando: avverte ciò che è sopra
farsi sempre più pesante, schiacciarlo e riempirlo senza scampo. Non
si vede più, adesso, ed è molto, molto peggio di quando ha aperto
gli occhi nel buio. Qui sono i suoi occhi ad essere buio, tutto è
buio e lui stesso ne fa parte. Non sa più chi è: Naruto è solo una
parola che gli vortica in testa, un insieme di sillabe senza suono o
colore. Fa troppo freddo, brucia. È un precipitare senza
scampo né appigli.
Sa
di star scomparendo, sfilacciato e inglobato nel nulla, ma così come
è consapevole del fatto, non può opporvisi né ricorda perché
dovrebbe farlo: è quasi follemente piacevole, esaltante. Dissolversi
e sparire, perdersi del tutto e dimenticare; non avverte neanche più
il peso o il freddo, è lui stesso peso e freddo, non ha più un
corpo per sentire dolore, una memoria per ricordare.
Ma
c'è un rumore.
È
un battere stento, un suono flebile dal ritmo malandato, come un
orologio rotto.
Lo
sente, sospeso com'è senza direzione, e sentendolo ricorda d'avere
orecchie, e lui stesso un muscolo che batte forte, furioso contro le
costole. Ha delle costole e un torace, ha gambe, braccia, piedi,
mani, una testa che duole, due occhi e una bocca in cui il nero si è
tuffato fino a soffocarlo.
Decide
di muoverle, le braccia – quelle dannate braccia che non vede ma ci
sono –,
batte le gambe come stesse nuotando, spingendosi giù,
facendosi strada nel nulla e avvertendo tra sé e il suo obiettivo –
giù, più giù – una massa sempre più densa che gli preme contro,
impedendogli i movimenti. Sotto le mani è come aria compressa,
avverte bolle scoppiargli addosso ogni volta che azzarda un
movimento.
Non
sa cosa sia, quella smania ansiosa che lo sta convincendo a
continuare così, sempre più febbrile nonostante il freddo lo stia
soffocando, nonostante il su e il giù siano concetti ormai
completamente privi di senso, finché nella sua mente confusa non
prende forma un nome, che non è quel bizzarro Naruto di poco
fa. No, ora ricorda: Naruto è lui – lui, Uzumaki Naruto eroe di
Konoha e jinchuuriki del Kyuubi –,
il nome che ha in mente, la
persona che ha in mente è Sasuke.
Lo
pensa e si accende.
Riconosce
il suo braccio, la sua mano, le dita già tese davanti a lui –
verso il basso, l'alto? Non c'è più alcun riferimento, nessuna
direzione – e, oltre le dita, Sasuke.
Vicinissimo,
immobile come sospeso. Naruto sgrana gli occhi, allunga la mano, si
spinge verso di lui lottando con la bolla che lo allontana, senza
distogliere lo sguardo dal viso – ha gli occhi chiusi – gli
poggia il palmo sul petto. Il ticchettio dell'orologio rotto c'è
ancora: Sasuke è vivo, lui l'ha sempre detto. Magari è un po'
ammaccato, ma lì dentro, in quel mare di nero, Sasuke c'è ancora.
Basta solo tirarlo fuori.
Il
Chidori lo coglie del tutto impreparato: gli occhi di Sasuke, rossi,
lo ghiacciano sul posto e Naruto viene preso in pieno, incapace di
opporsi. Schizza lontano fendendo la massa di buio, il crepitio del
chakra che stride gelido fuori e dentro.
Cozza
contro un pavimento, sbattendo la schiena. Crede sia un pavimento,
forse è un muro: ha nausea, la vista che scivola a tratti, tanto che
la figura di Sasuke, che procede lentamente nella sua direzione, gli
pare quasi svanire tra un battito di palpebra e l'altro.
Tossisce
e prova a pronunciare il suo nome.
«Adesso
basta» lo ignora lui, ormai a pochi passi. Il Chidori gli
balugina sul palmo, lo sharingan gli brucia negli occhi.
Naruto,
instabile sulle gambe, si pulisce il mento con la manica e ghigna.
«Se
vuoi fare a botte, io ci sono sempre!»
Sasuke
non risponde, continua ad avanzare e finalmente Naruto, dopo tutte le
elucubrazioni di Itachi e mille questioni cervellotiche che poco
capisce, sente di poter fare qualcosa che sa fare davvero. Le
sopracciglia sono rigide e lo sguardo deciso, ma le labbra restano
curvate all'insù, mentre carica il Rasengan.
«Riprendiamo
da dove ci siamo interrotti?» domanda.
Sasuke
non lo ascolta: perché non è Sasuke. Tanto quanto non lo è quel
ragazzino di otto anni che ha lasciato su, prima di buttarsi nel
fiume. Così come, dopotutto, non lo è neanche quello di tredici
anni: quello è il suo Sasuke, il Sasuke dei suoi
ricordi,qualcuno che è esistito per un certo periodo, qualcuno che è
stato importante per Naruto tanto quanto il jinchuuriki spera
d'esserlo stato per lui, ma che è cambiato ancora, così come
ammette d'essere cambiato Naruto stesso.
«Sparisci»
intima solo quel Sasuke sbagliato, correndogli incontro col suo
chakra e gli occhi gelidi. Le gambe di Naruto sono già in moto, a
quel punto; il chakra gli vortica sul palmo e l'adrenalina gli
ottunde le orecchie più di quanto non faccia l'aria nera attorno.
Che non è più nera: stanno correndo su acqua di catrame sotto un
cielo buio pesto, ma dall'alto le statue enormi di Senju Hashirama e
Uchiha Madara ancora una volta li deridono per la loro baruffa da
ragazzini, nulla al confronto d'uno scontro tra grandi ninja. E non è
vero, perché adesso lo sono, dei ninja: sono i più forti, anche se
non i più vecchi o i più saggi, neanche quelli più svegli. A
Naruto pare di sognare, mentre l'acqua schizza a spruzzi per
l'attrito col suo chakra, mentre nell'impatto tonante non riesce
nonostante tutto a staccare gli occhi da quelli di Sasuke, con la
certezza che siano la cosa più importante e la speranza che quella
piccola, inutile cosa sia reciproca.
Il
mondo esplode e la mente di Naruto annega di nuovo nel gelo. Resiste
quanto può: poi chiude gli occhi e scivola, le orecchie che
fischiano furiose.
Ha
paura di aprire le palpebre, dopo, che sia di nuovo tutto nero e
niente.
Ha
paura, ma le aprirà comunque.
Il
viso di Sasuke, da lì in basso, steso in terra, è bianco tra le
ciocche nere, stagliato sopra di lui nel buio. La lama della katana
luccica lieve, quasi musicale, puntata contro la sua gola.
Prima
che il suo migliore amico – la sua persona più importante –
levi il braccio per mettere fine ad una parentesi durata più di otto
anni – dalla prima volta in cui i loro sguardi si sono incrociati,
un pomeriggio qualunque tra sponda e strada a Konoha –, Naruto
riesce a pensare che sia davvero, davvero un peccato che di tutto
quel nero che preme da ogni lato, l'unico nero che desidererebbe
vedere lo fissi invece sprezzante dall'alto, tramutato in rosso.
Il
rosso lo acceca, gli annoda lo stomaco.
Non
è lo sharingan, è sangue, e non è sangue suo.
La
scena si ripete e non è cambiato niente da quando Naruto aveva
dodici anni e non era in grado di salvare proprio nessuno, men che
meno di difendersi. Sono trascorse stagioni lunghissime e lui è
ancora un ragazzino gettato a terra come un panno vecchio che di
Sasuke può vedere solo la schiena, parata davanti a lui, e il sangue
che piove a terra in un suono acquoso e ferrigno.
Sasuke,
tredici anni fermi nel tempo, è in piedi, la katana nello stomaco, e
Naruto capisce solo che c'è un errore da qualche parte. Un inghippo:
quello è già successo, ed era andato tutto bene. Sasuke, accanto a
Sakura, aveva levato una mano nella sua direzione, per dirgli che era
tutto a posto, niente di irreparabile. Tutto a posto.
Non
c'è niente di a posto nelle ginocchia di Sasuke che si piegano e nel
suo corpo che scivola senza suono lungo la lama, cadendo giù. Niente
di giusto nell'afferrarlo prima che tocchi terra e constatare che è
troppo piccolo per le braccia di Naruto, adesso, ma comunque
insanguinato, morto. Morto.
«Non
fare quella faccia, usuratonkachi» gli soffia con gli occhi già
chiusi, ancora caldo... Naruto ha caldo: continua a fare freddo, lì,
ma la cosa nella sua pancia è rovente e sta cercando di uscire,
proprio come allora, quasi cinque anni fa. Qualcuno si farà
male.
Naruto
sa di avere le iridi rosse, quando solleva lo sguardo dal corpo
esanime di Sasuke per portarle sulla sua preda.
Il Non-Sasuke è lì, la spada ancora immobile, il braccio teso e gli
occhi per qualche ragione privi di sharingan; fissa la lama e il
sangue che la imbratta, sembra molto più Sasuke adesso, anche se non
lo è. Naruto non lo vede, registra i dettagli, ma non gli importa:
il chakra rosso gli vortica attorno anche mentre deposita il corpo di
Sasuke a terra e si alza.
Non
sa cosa voglia fare. Vuole ucciderlo, pensa per prima cosa: Sasuke ha
ucciso Sasuke, lui ucciderà Sasuke.
Si
accorge che la logica sta litigando nella sua mente quando ha già
tirato il terzo pugno, tra versi selvaggi che la sua bocca produce
fuori dalla sua volontà, e anche dal suo interesse. Ne tira un
altro, stavolta consapevole dell'impatto scricchiolante delle sue
nocche contro il volto di Sasuke, il corpo di Sasuke, Sasuke.
Non
sa dove siano, stanno rotolando, lui sta rotolando: Sasuke è solo
ammasso di stracci, un ammasso di stracci che Naruto sbrindellerà
pezzo a pezzo.
«Stronzo»
ringhia, ferito a morte. «Stronzo, bastardo. Ti ammazzo» gli
urla addosso, strattonandolo. È Sasuke, ed è uno straccio. Sasuke.
«Ti
odio, sono io che odio te!» sbraita. Cozzano ancora in
terra, l'uno sull'altro, e Naruto lo ucciderebbe: lì, così com'è,
prenderebbe il suo corpo per farlo a brandelli, dilaniarlo e
spargerlo in giro, ridurlo in poltiglia, perché lo detesta. Sasuke
rompe tutto quello che tocca, fa male a tutti e, più che a chiunque
altro, fa male a se stesso, sempre. E per questo, per questo sopra
ogni altra cosa, Naruto lo odia e lo ucciderebbe, pensa, mentre
avvicina il viso al suo.
Aveva
detto d'essere felice d'averlo conosciuto, ma non è vero: la verità
è che sarebbe stato molto meglio se lui e Sasuke non si fossero mai
incontrati, realizza, mentre gli respira ad un pelo dal naso.
Sarebbe
stato molto, molto meglio per tutti se Sasuke non fosse neanche
esistito; non si può sentire la mancanza di qualcuno che non si
conosce. Senza Sasuke sarebbe stato tutto più semplice, ma senza
Sasuke Naruto come è adesso non sarebbe esistito. Lo riconosce senza
imbarazzo, mentre lo bacia e precipitano, avvolti nel nero diluito
che gli scivola attorno, inglobandoli in sé come olio.
È
strano.
Il
gelo è tornato e lo avvolge, ma Naruto ricorda il suo nome, e quello
di Sasuke.
La
sua fronte poggia contro un'altra fronte e le sue braccia circondano
delle spalle, le mani premute contro una schiena. Stanno precipitando
invischiati nel buio, ma stavolta quello si scansa, defluisce attorno
viscido e freddo senza premersi dentro.
Quando
Naruto riapre gli occhi – non ricordava d'averli chiusi – scopre
d'essere a terra, stabile. È in un prato anonimo sterminato in ogni
direzione, sotto un cielo notturno senza stelle. È buio, ma quieto;
infinito e distante, tocca l'orizzonte in tinte sempre più vicine al
blu.
Se
ne sarebbe rallegrato, solo due minuti fa, ma adesso non può – non
vuole – distogliere lo sguardo dal viso pallido di Sasuke, sotto di
lui, e dai suoi occhi che lo guardano – lo guardano davvero – con
espressione indecifrabile.
Può
sentire il suo fiato contro le labbra, il suo cuore contro il petto.
Gli pesa sopra, e anche se è patetico, folle e forse malato, sa di
non voler mai più muoversi di lì, tenerselo per sempre stretto
addosso, pelle contro pelle.
Quando
le labbra di Sasuke sono di nuovo sulle sue, Naruto pensa d'essergli
svenuto sopra; ma c'è meno d'un centimetro vuoto tra la nuca
dell'altro
e l'erba, adesso, e una delle mani, rimasta sulla sua schiena, ha
stretto forte la stoffa della tuta tra le dita.
Quello
è un bacio, un bacio vero con i brividi e la nebbia nella testa;
sapore, tatto, odore, vista, udito condensati in due centimetri a
contatto.
«Bleah!»
esclama una voce da ragazzino, da qualche parte.
Naruto
sussulta, la testa di Sasuke ricade giù sull'erba. Si guardano
ansimando come non si fossero mai visti in vita, come fosse un primo
incontro casuale – "piacere, Uzumaki Naruto, professione eroe";
"Uchiha Sasuke. Le spiacerebbe togliersi di dosso"? –,
tra
repulsione e spaventosa, inquietante consapevolezza.
Poi
Sasuke rompe il contatto, come fulminato. Distoglie lo sguardo e gira
il collo, la guancia premuta contro l'erba.
Naruto
resta a guardarlo solo per un altro poco, la bocca semiaperta e il
viso sconvolto, finché non registra il dettaglio dell'infantile
versaccio disgustato che ha sentito poco prima: solleva lo sguardo a
inquadrare sandali scuri, calzoni chiari e mani nelle tasche. E
espressione disgustata.
È
bello, sinceramente commovente ritrovare il suo Sasuke di tredici
anni lì, in piedi, scombussolato ma integro: non una goccia di
sangue. È bello, ma è anche desolante: quella è un'illusione, un
trucco di Itachi, tutto quanto. Sono ancora dentro, lui è ancora
dentro, ingabbiato nella mente di Sasuke, quando piuttosto – lo
realizza impudico, decidendo di preoccuparsi delle conseguenze
pratiche di simili considerazioni una volta che avrà risolto
questioni più impellenti – l'unica cosa che desidera al momento è
ritrovare le labbra di Sasuke, i suoi occhi, e rimanere così per il
resto della vita. O almeno per una nottata di quiete, dormire con la
sensazione che tutto finalmente sia esattamente dove dovrebbe essere.
Ma c'è
una guerra da combattere, ancora; dopo la guerra, ci saranno decine,
forse centinaia di notti quiete. Naruto lo spera forte, lo promette a
se stesso e se ne convince: lui mantiene sempre le promesse.
«Pesi»
commenta infine Sasuke, sotto di lui. Lo sbuffo stento ha l'effetto
d'una scarica elettrica: Naruto schizza seduto senza sapere come c'è
arrivato, fondoschiena e mani sull'erba, occhi puntati su Sasuke,
puntellato sui gomiti.
È
logoro, sporco. Un cartoccio sballottato, eppure Naruto crede di non
avergli mai visto occhi così vivi. È tornata la scintilla, sul
fondo. Sanità mentale, probabilmente. Non sa quanto sia stabile, non
sa se possa durare, ma per ora il blu del cielo sorregge la cappa di
nero, l'argina relegandola agli angoli; sembra pesare, ma non
abbastanza da piovere giù.
Sasuke
aggrotta le sopracciglia.
«Questo
non-»
«Non
adesso» lo blocca Naruto, deglutendo. Ci sarà tempo dopo, per
parlare di baci e altre cose inquietanti; più inquietanti
della testa di Sasuke, più inquietanti di Uchiha Madara: ci sarà
tempo dopo, Naruto vuole che ci sia tempo dopo, anche questa è
una promessa. «Adesso mi serve aiuto» spiega, mostrandosi più
pratico di quanto non si senta al momento. «Fuori di qui, ho bisogno
di aiuto» si interrompe, teso, e si guarda attorno: gli altri due
Sasuke sono lì, vicini. Uguali e diversissimi, Naruto li ama tutti.
Sa che è così: di Sasuke gli va bene tutto, davvero. Gli basta che
sia Sasuke. Non ne vuole un pezzo, lo vuole tutto. Ama il suo ricordo
di Sasuke, ma adesso qualcosa che sa di scoppiettante, turbolenta
aspettativa gli riempie lo stomaco ogni volta che guarda quel Sasuke
conosciuto e appena scoperto, insieme con l'assurda realizzazione
d'avere un corpo per un motivo. L'ha compreso di colpo, come in
un'epifania, il motivo esatto per il quale è fatto a quel modo. E,
per qualche ragione, quel motivo è sempre e solo Sasuke.
Naruto
sente che potrebbe morirne, di Sasuke, ma preferirebbe viverne: per
questo ci vuole un Sasuke solo, o uscirà scemo. Un Sasuke, tutto
qua: dal suo punto di vista è una richiesta enorme, ma se
confrontato alle complesse faccende affaccendate di quel mondo
caotico, non gli sembra di pretendere poi così tanto. È un'egoista,
è vero, ma non riesce a sentirsi in colpa neanche un poco.
Invece
davanti ai suoi occhi di Sasuke ce ne sono tre e non va bene. Non è
sano, rasenta la schizofrenia.
Li
guarda, che si fissano perplessi come non sapessero bene che pesci
prendere.
«Sasuke»
comincia Naruto, e tre paia d'occhi lo guardano. Gli viene quasi da
ridere, scuote il capo. «Adesso basta fare i matti, tutti quanti. Lo
vedete che avete combinato?» rimbrotta, come si stesse rivolgendo a
dei ragazzini; d'altro canto, l'età media tra i tre è ferma sui
dodici, così Naruto si concede qualche libertà.
I
due Sasuke più giovani, corrucciati, osservano lì dove Naruto ha
ammiccato, al Sasuke seduto a terra di fronte a lui; non sembra avere
sedici anni, sembra essere sopravvissuto a ben più di una guerra,
così ammaccato da risultare irreparabile.
«Tu
volevi tornare a casa, no?» domanda Naruto d'un tratto, al Sasuke
più piccolo.
Lui
lo guarda ritroso, annuisce piano.
«E
tu, non vuoi uscire da qui?» incalza il jinchuuriki, rivolto al
tredicenne. Quello lo degna di un'occhiata e poi ne rivolge una lunga
e penetrante a Sasuke, ai suoi capelli spettinati e alla sua faccia
pallida tanto simile alla sua, prima di tornare su Naruto.
«Mi
serve aiuto» ribadisce lui, più deciso, fissandolo negli occhi. «Mi
serve davvero. Così non ne usciamo. Per piacere».
C'è
un lungo momento teso, in cui il buio pare tremolare. Naruto si
schiarisce la gola.
«Non
è come sparire, è solo... Non siete stanchi di maltrattarvi? Di
scappare l'uno dall'altro?»
«Ma
a te chi ti ha dato il diploma di strizzacervelli, idiota?» sbuffa
il ragazzino, ma la tensione si è già dissolta. Il Sasuke di otto
anni ricambia lo sguardo stanco del più grande: non sembra più così
spaventato da lui. Difficilmente qualcuno potrebbe esserlo: pare
assolutamente
innocuo, ora.
«Beh?»
ridacchia Naruto, incalzante.
Si
avvicinano entrambi, l'uno a passi svelti ma cauti, l'altro con le
mani nelle tasche, fingendo noncuranza.
Il jinchuuriki li guarda diventare sempre meno consistenti, dissolversi
senza rumore
per ritrovarli l'istante dopo nelle pupille dell'unico Sasuke
possibile, l'unico che possa esistere e anche l'unico di cui ci sia
veramente bisogno. Naruto non si è ancora tirato in piedi e già tende
la
mano verso di lui; Sasuke la osserva per qualche secondo, il viso
ancora assorto, prima di sollevare incerto una delle sue.
Il
tempo di riuscire a sfiorarsi le dita e il cielo si rovescia, il buio
esplode in luce.
Naruto
non vede più nulla, ma di colpo sente: sente dolore in posti che non
credeva d'avere, di colpo clangori e schiamazzi, le rocce attorno,
polvere nelle sue narici e attorno a lui, a graffiargli la schiena;
poi il fumo e il sangue.
Apre
gli occhi sotto il cielo: è giorno, il cielo è sgombro. Il sole non
si è mosso d'un millimetro, veglia placido sulla Quarta Guerra
Ninja, sulla battaglia, su lui e su Sasuke.
Vorrebbe
alzarsi, ma l'impatto – Rasengan contro Chidori – e poi quel
viaggio assurdo durato un istante solo, l'ha completamente
prosciugato. Non sente niente, tranne le dita.
Le
due dita ostinate che ha tra le sue, stese da qualche parte alla sua
destra; indice e medio, polpastrelli ruvidi e caldi.
Volta
il capo più che può, Naruto, oltre il suo braccio teso: le dita di
Sasuke sono lì, legate al corpo – uno
straccio sbattuto –,
e a lui.
Sono
fuori: accoglie l'aria nei polmoni con sollievo.
«Che
tristezza» prorompe una voce scanzonata, crudele. Naruto sente i
passi che si avvicinano, ma i suoi occhi ancora cercano quelli di
Sasuke: sono chiusi. Sono chiusi e lui vuole che si aprano,
assolutamente; non gli importa dei passi, vuole solo che si aprano.
Tossisce, quando nel suo campo visivo entra Madara. «Come temevo,
Sasuke alla fine non è riuscito a fare un granché. Sei coriaceo,
jinchuuriki del Kyuubi» commenta, rivolto dritto a lui.
Naruto
non lo guarda.
Sasuke
ha gli occhi chiusi, sì, ma la sua mano sta scivolando invisibile
verso l'impugnatura della katana, mezzo metro più in là. Li tiene
chiusi e Naruto sa che dietro le palpebre le iridi sono rosse, ma va
bene. Ci sarà tempo dopo, per il nero. Adesso c'è Madara, che
pontifica dietro la sua maschera con la sicurezza di chi ha già
vinto e può permettersi di tergiversare, come i cattivi dei film.
Naruto vorrebbe solo che finisse, il più in fretta possibile, ma non
si possono bruciare le tappe; ci sarà altro rosso, perché non si
può fare altrimenti.
Può
aspettare: il suo dopo lo tiene stretto tra due dita, stavolta non se
lo lascerà scappare.
Nda
Aghfb!
*collaps* Parlate con i miei avvocati.
Comunque:
questa cosa dal genere indefinibile (trip
mentale non figura tra gli avvertimenti, purtroppo) ha partecipato al
SasuNaru/NaruSasu contest classificandosi prima-per-un-soffio, come
potete ammirare dai giuntili gediz- dai gentili
giudizi delle giudici (mi sento lo sceriffo di Rottingham, alle
volte).
Cose
che bisogna sapere: la trama è ispirata non troppo velatamente
a La
psicanalisi di Hulk
(di David
e Keown), è stata scritta mesate prima di sapere cosa fosse
Kotoamatsukami (che scioglilingua) e, ma questo è del tutto
involontario, la testa (?) di Sasuke alla fine è tipo uguale al
panorama del
pianeta Krikkit meno le canzoni di Paul McCartney, il che vorrà pur
dire qualcosa (probabilmente 42).
A
parte le mie cretinate, complimenti a tutte le prodi partecipanti e
grazie alle giudici per essere riuscite a portare a termine il
contest nonostante le implosioni dei computer, gli esami e varie
congiunzioni planetarie sfavorevoli XD
Uh, al solito, Psycho-Sasuke e
l'egodistonico (cit!) amore di
Naruto nei suoi confronti sono proprietà del sensei Kishimoto. Di
mio solo insonnia e tanta, tanta incapacità.
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