DISCLAMER
DISCLAMER:
Autore:
AmarantaB
Summary:
Un amore vecchio, e un amore nuovo. Un sentimento che si rinnova e uno che nasce
silenziosamente. Può davvero, l’amore, resistere a tutte le intemperie? E può
davvero, chi ama, lasciare andare il suo oggetto del desiderio?
Spoilers:
No one peeps!! ;)
Pairs:
House/Cameron, di base, ma ci sarà qualche “problemino” e qualche nuova coppia…
Timeline:
Diciamo che questa storia nasce come sequel del mio precedente lavoro “Tomorrow
never knows”. Il finale raccontava di House e Cameron finalmente insieme. Il
sequel racconterà la loro storia… e la storia di qualcun altro! ;)
Piccola precisazione:
Gee in inglese è un’esclamazione di sorpresa. Sarebbe come dire “Cavolo!”…
capirete poi perché! E l’ho scelta perché guardando le interviste di Jennifer,
ho notato che è un’espressione che usa spesso!
Voglio ringraziare
personalmente tutte le persone che hanno recensito la storia precedente, e tutte
quelle che mi hanno scritto spronandomi di andare avanti a scrivere. Spero che
questo lavoro, non deluda le vostre aspettative…
Buona lettura!
EPPURE SENTIRE
Da una canzone di Elisa
PROLOGO
"Eppure
sentire, nei fiori tra l'asfalto, nei cieli di cobalto c'è... Eppure sentire,
nei sogni in fondo a un pianto, nei giorni di silenzio c'è...c'è un senso di
te..."
Non era tanto per quello
che sentiva.
Era soprattutto a causa
di quello che non sentiva.
Sospiri, il suo nome
chiamato dall’altra stanza, lei che rideva, o che canticchiava qualcosa mentre
si preparava per andare a lavoro.
Non la sentiva più.
Come se, invero, fosse
così dannatamente distante da non riuscire a percepire la sua presenza.
Sprimacciò il cuscino,
cercando un momento di pace. Un momento in cui gli occhi di lei, non le
invadessero i pensieri… i sogni.
Un momento in cui non si
sentisse maledettamente in colpa per quello che era successo.
Invano.
Gli sembrava impossibile
smettere di pensarci.
Impossibile, si.
Come se non fosse in
grado di trovare una soluzione al problema.
Come se, questa volta,
qualsiasi diagnosi avesse fatto, non lo avrebbe condotto da nessuna parte. Non
c’erano cure, stavolta.
Non ce n’erano mai
state.
E si rammaricò di non
riuscire ad alleviare almeno un po’ del dolore che sentiva.
Almeno un po’.
Sbuffando, scalciò via
il piumino, e si rizzò a sedere.
Si massaggiò a lungo la
gamba, quindi prese il suo bastone e deambulò in cucina.
Le palpebre socchiuse
per proteggersi dalla luce del sole… per non vedere l’assenza di lei.
Della sua figura esile
che, non appena lo vedeva, si avvicinava alla mensola per prendere una tazza e
riempirla di caffè, per lui.
Per lui.
Ogni suo più
insignificante gesto era per lui.
Anche quando, prima di
andare a dormire, lo guardava con tenerezza, senza nemmeno sfiorarlo, se non con
lo sguardo.
E lui, in quello
sguardo, si era sempre sentito protetto, accettato, compreso.
Si era sentito se
stesso.
E allora le prendeva una
mano, con urgenza, e la traeva a se, bisbigliandole nell’orecchio.
“Smettila! Mi fai il
solletico!”, rideva lei.
Ma lui non l’ascoltava,
era in sintonia con il cuore che batteva veloce, finalmente guarito, finalmente
salvo.
E poi… il silenzio.
Un silenzio consistente,
pesante.
Un silenzio che
significava assenza di lei.
Dei suoi piedi freddi a
letto, della sua risata, delle sue mani piccole che lo cercavano continuamente.
Assenza della sua “Al”.
“Non mi piace, Al!”
gli diceva lei, “Non potresti chiamarmi Allie come fanno tutti?”
E lui sorrideva a quella
richiesta, “Ti sembro uno che si uniforma a quello che fanno gli altri?”
E si era arresa,
Allison. Aveva accettato anche quel nomignolo buffo, consapevole che era il
nomignolo con cui l’avrebbe chiamata lui.
Il loro nome.
E aveva preso a
chiamarlo Gee.
“Sai cosa vuol dire
Gee, signorina?” le aveva domandato un giorno.
Lei aveva riso forte,
quando glielo aveva chiesto, “Naturale che lo so!” aveva ammiccato.
E adesso, si domandò
Greg, dov’erano finiti Gee e Al?
Cosa era rimasto di
loro?
Fissò la mensola dove
teneva le tazze.
Mancava qualcosa lì
sopra.
Una cosa unica.
Rara.
E forse per questo
preziosa.
“Non l’hai mai voluta
questa, quindi la possiamo buttare. Come hai buttato tutto il resto”.
E se ne era andata.
Senza voltarsi.
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