Sapete, tutti hanno paura della morte.
La morte con la falce, la morte con il cappuccio, la morte con i
fiori.
Morte, morte, morte.
Durante una guerra non si parla d’altro.
Come se quella disgraziata fosse la ragazza più carina della
scuola.
Senti che ne parla il vecchio, senti che ne parla il matto, senti
parlarne anche il bambino, quello che ancora non dovrebbe nemmeno
immaginarla.
Durante una guerra i bambini non dicono “è salito in cielo”, dicono “è
sceso sotto terra”.
E’ così, la morte.
Morte. Morte. Morte.
Vi fa paura il nome?
E se dico Voldemort?
Perché fa paura?
Vol – de – Mort.Mort.Morte.
E’ tutto lì il nocciolo della questione.
La Morte fa paura.
Voldermort fa paura.
I Mangia – Morte fanno paura.
Quelli addirittura la morte se la tengono nello stomaco a quanto
pare.
Durante una guerra la parola amore invece fa piangere.
Perché se a braccetto con l’amore c’è la morte allora ottieni la
tragedia.
E giù tutti quanti a singhiozzare, come nuvole obese di
pioggia.
L’affetto durante una guerra fa sorridere.
Appena appena, perché i vecchi non si attentano a mostrare un altro
angolo di dentiera.
Se poi arriva la morte?
No, meglio non sorridere troppo.
Durante una guerra tutto si ferma e allo stesso tempo è in
movimento.
Se ti soffermi ad osservare un bambino seduto sul ciglio del marciapiede
giureresti di vederlo immobile, eppure dentro quel cuoricino ancora troppo
piccolo per capire si agita tutto un polverone di emozioni che potrebbe essere
la mattina di mercato in un giorno di festa.
Il bambino è fermo, ad aspettare la morte, eppure dentro
scappa.
Sono tutti impietriti e fuggitivi.
Come mosche impigliate in una ragnatela.
Bzzz bzzz… lì, a ronzare come se da quel rumore fastidioso dipendesse la
loro stessa vita.
E bzzz bzzz… finchè il ragno non arriva e poi… beh fa troppo schifo
raccontarlo così.
Tutti quanti ad aspettare la morte.
Durante una guerra quella sciagurata lo sembra davvero la ragazza più
carina della scuola.
Alcuni la snobbano dicendo “ma tanto non è poi così incredibile”, altri
addirittura le fanno la corte.
Le portano fiori, cioccolatini, pasticcini, la seguono come cani randagi,
con la lingua a penzoloni e la bava che cola sul mento.
Durante una guerra è facilissimo avere paura.
La cosa più semplice di questo mondo.
Ti basta fermarti.
Fai un passo, al massimo due, fin quando non ti trovi il tuo angolino di
tavolo sul quale firmare il tuo contratto con la morte.
E’ più difficile invece sorridere.
Devi fare un passo, due, tre, anche quattro, fino a quando non hai la
gigantesca fortuna di trovare una di quelle persone che la morte la snobbano e
la prendono in giro.
Con quel tipo di gente un pochino ti viene da sorridere.
Oppure, se proprio di persone così non ne conosci, devi andare a
rincorrere un bambino che ancora non si è seduto sul marciapiede.
Oh, loro sì che sono bravi a far sorridere.
Appena appena, perché se i denti prendono troppa aria fa male, ma un
pochino sì.
Durante una guerra amare è difficilissimo.
Non devi fare solo un passo, due, tre, quattro… devi correre.
A perdifiato.
Come se stessi per perdere l’autobus che ti conduce a
Mielandia.
Così.
E ti sembra di perdere le gambe man mano che procedi… però sai che non
puoi fermarti.
Un po’ più in là ti sembra di non avere più i polmoni, ma non ti
fermi.
Qualche metro più avanti senti di non avere davvero più nulla tranne
lei.
Quella sfera grossa, rosa e traslucida che ti ballonzola nel petto e
mescola tutto.
Eccitazione, amore, affetto, sesso, e poi di nuovo amore.
E quando due sfere cozzano tra di loro… beh, allora hai raggiunto
l’autobus.
A me è capitato di incontrare Draco.
Correvamo tutti e due, non so se verso la fine o verso
l’inizio.
All’improvviso… bam! Ci siamo scontrati.
Uno di quegli scontri da film… in cui due impiegati sbattono l’uno contro
l’altro, e ognuno naturalmente quando raccoglie la propria valigetta prende
quella dell’altro.
Dentro la valigetta che ho raccolto io c’era la sfera di
Draco.
Immaginate dentro quella che ha raccolto lui?
Oh sì… è difficile amare.
Ed è rischioso.
Perché se all’improvviso ti fermi torna tutto. Le gambe, i polmoni…
tornano tutti al loro posto, più dolorosi che mai.
Eppure io e Draco continuavamo a correre.
Correvo io tra le lenzuola del suo letto, tra i suoi ansimi e il suo
sudore.
Tra il suo petto appiccicaticcio per il troppo calore e le sue mani
appiccicaticce per l’agitazione.
Correva lui tra i bottoni della mia camicia, i miei sospiri e i miei
singhiozzi.
Tra i miei capelli disordinati come sono sempre stati e il mio cuore,
disordinato com’è di fianco a lui.
Procedevamo a grandi falcate verso ogni minuscolo, effimero traguardo: un
sorriso, un grido, un mangiamorte ucciso, un orgasmo.
Correvamo l’uno incontro all’altro io e Draco: ci incontravamo, ci
scontravamo, e inevitabilmente tornavamo ad incontrarci e a
scontrarci.
Riempiendoci ogni volta di lividi e desiderio.
Durante una guerra quando i bambini sentono di due uomini che si amano
dicono “che schifo!” e corrono a raccontarlo alla mamma, che scuote i capo e non
dice nulla, perché con la morte che passa di casa in casa a bere tè e biscotti
di due omosessuali non importa più nulla a nessuno.
Durante una guerra c’è chi si aggrappa alla fede, alla squadra preferita
di quiddich, alla morte… io mi sono aggrappato a Draco.
Ho artigliato il suo petto e lui ha stretto le lenzuola del suo letto
mentre facevamo l'amore, per poi voltarsi verso di me e dirmi: “Pensi che
alla morte piaccia più il tè al gelsomino o ai mirtilli? Non vorrei sentisse il
sapore della cicuta che le metterò nella tazzina”.
E' così che funziona.
|