~Met Again
A
quel tempo ero solo un ragazzo che stava cambiando la pelle
non ero padrone di niente ero un angelo fragile e ribelle
a scuola me ne fregavo dei voti non volevo essere giudicato
ma quanto entusiasmo che avevo e quanta voglia di imparare a volare
E
che voglia di stare ad ascoltare e conoscere tutte le cose
ma i professori non insegnano niente bisogna sempre fare da soli
volevamo imparare a fregare il dolore
essere felici imparare l’amore
Chissà
se tu sei cambiata
chissà dove sei finita
in questo lampo di vita
chissà se sei stata amata
Chissà
se quella ferita
chissà se poi è guarita
in questo lampo di vita
chissà se ti sei salvata
Luca Carboni © Lampo di
vita
Non riesco a sentire
quello che, quella signora, mi sta urlando; la faccia rossa, concitata,
gonfia di quella rabbia esorbitante.
Non riesco a capire
perché mi urla contro… forse perché ho
quasi rischiato di farmi investire, forse perché la sua
preziosa macchina rossa sgargiante ha riportato qualche graffio sul
cruscotto.
Forse il suo ragazzo
l’ha lasciata e sta riversando il suo stress su di me,
liberandosi a poco a poco, lasciando che, quelle lacrime che non vuole
versare, escano via sotto forma di parole.
Mi odia per una colpa
non mia.
Chissà se
era lo stesso per te.
La guardo con gli
occhi vuoti, di un castano che rassomiglia troppo al nero del nulla.
Mi scuso non troppo
convinto, lei forse se ne accorge, forse ritorna ad urlare…
ma io corro via.
Sento i rumori tornare
di nuovo come un mare in piena, mi assordano come il tuo
silenzio… come i tuoi occhi di quel giorno.
Mi odiavi?
Mi hai mai amato?
Forse non come ti ho
amato io… in quel modo totale e devastante, come un onda che
ti prende nelle sue fredde spire, ti spintona, trasporta…
ama, con quella sua irruenza, senza lasciarti respirare…
uccidendoti pian piano e facendoti annullare in lei.
E’ questo il
tuo potere su di me… o almeno quello che avevi…
avevi.
E allora
perché?
Sto correndo come un
disperato… per aver visto i tuoi capelli, seta che vola al
vento… morte che ho sempre voluto.
Perché mi
guardo in giro come un ossesso?… perché ti cerco
disperatamente?… perché voglio che quella visione
sia realmente tu?
Perché non
riesco ad odiarti?
Io che ne ho un reale
motivo. Io che sono stato tradito dalla vita per così tante
volte. Io che mi sono annullato per te.
Io che ti amo
più di me stesso.
Corro a destra
passando accanto alla pasticceria dove ho comprato la torta per il tuo
compleanno.
Ricordo ancora i tuoi
occhi… acqua limpida del torrente della mia vita…
felici.
Ridenti.
Miei.
E nonostante con le
parole mi schernissi, mi umiliassi forse… come potevo
odiarti mentre chiamandomi “Piaga” con gli occhi mi
sussurravi “amore”?
Cosa mi hai fatto?
Come hai fatto a
legarmi a te in maniera tanto totale?
Quanti anni sono
passati?
Tanti…
Troppi…
Non mi sono mai
innamorato di nuovo, lo capisco solo ora.
Ne ho avuto tanti di
ragazzi… incredibilmente tanti… non credevo di
poter avere tanto successo… non credevo di poter essere
così meschino da abbandonarmi nell’amore altrui
per non correre da te.
Non credevo di non
poterli amare.
Eppure ora mi sento
ancora vergine mentre, con il respiro ansante ti cerco… i
miei sentimenti sono vergini, il mio amore è timido fiore
appena sbocciato.
E tu?
Chissà in
quante altre bocche mi avrai dimenticato… quante volte
guardandoti indietro, nella tua mente, nei tuoi ricordi…
chissà quante volte hai scosso la testa amareggiandoti per
quella tua stupida decisione di amarmi… anzi… per
quella tua stupida convinzione di amarmi.
Non potevi
amarmi… sarebbe troppo ingiusto… troppo umiliante.
Ma non puoi
odiarmi… sarebbe troppo annullante.
Giro a sinistra
sentendo un discorso di due ragazze.
So che stanno parlando
di te.
Hanno detto di aver
visto passare un angelo.
Un angelo con le ali
di demone e le orecchie di volpe.
Sei infimo Kaede, sei
infimo e bellissimo come una volpe.
Lucente come un angelo
ma seducente come il più delizioso dei peccati.
Sinuoso e ribelle mi
hai ammaliato e mi hai portato con te all’inferno, mi hai
offerto al cacciatore al posto della tua folta coda… mia
tenera volpe.
Mi fermo di
botto…
Perché tu
sei là.
Fermo appoggiato ad un
portone.
Mi nascondo dietro un
cespuglio che non riesce a coprirmi tutto… le persone mi
guardano stupefatte… e non capiscono.
Non capiscono cosa ci
faccia dietro un piccolo cespuglio un gigante rosso… il
gigante buono di ogni fiaba, inebriato dal protagonista, imbrogliato ed
accecato dall’abile Nessuno.
Cosa vuoi farmi ancora?
Odiami, strappami il
cuore, tradisci il ricordo di noi… fallo davanti a
me… cosicché io possa odiarti…
cosicché io possa amarmi.
Sei poggiato suadente,
come le statue greche, il viso è tranquillo.
Impassibile.
Come lo ricordavo.
Perfetto.
Non sei mai stato tipo
da grandi pianti… non hai mai versato una
lacrima… nemmeno quando mi apristi il tuo cuore…
Nemmeno quando con un
coltello ripassasti sulla tua grande ferita… su quella
ferita che mi rivelasti in quella notte di pioggia… dove per
la prima volte ci siamo amati.
Ti ho amato
così tanto Kaede, mentre con quella tua forza mi hai
raccontato, mentre con un cipiglio nervoso mi hai chiesto cosa ne
pensavo.
Mentre ti ho accolto
tra le mie braccia ripetendoti che ti amavo.
Che non ho mai smesso
di amarti.
Vorrei di nuovo
stringerti a me… e prometterti di nuovo di non lasciarti.
Ma sei stato tu a
rompere la mia promessa.
Cosa ci fai
lì kitsune?
Chi stai aspettando?
Quel tuo nuovo amore che potrà spezzarmi il cuore? Una tua
vecchia amica che, come lama appuntita, mi trapasserà la
vita?
Aspetti la tua fredda
solitudine, per lasciarti andare ancora a quelle sue ali?
Aspetti me?
Aspetti il mio amore?
Sospiro maledicendo me
stesso conscio che, dopo una tua parola, potrei annullare anche questa
voglia di sparire.
Ora che sono
adulto… ora che so che ti posso amare… ora che so
che non ti lascerei mai andare.
Eravamo troppo
giovani?… Per avere legami, per sentire che anche al mondo
può esserci pace?
Noi che della vita
abbiamo conosciuto solo il dolore… era troppo doloroso
conoscere anche l’amore?
Perché ci
rendevamo conto, giorno dopo giorno, che noi avevamo perso i nostri
cuori, strada facendo, in una strada piena di spine…
Non hai voluto
cercarlo insieme a me quel cuore vero?
Chi ero io? Uno
stupido do’aho… uno stupido idiota… un
deficiente che non avrebbe mai potuto farcela ad andare avanti in
questa vita.
Si.
Ero questo.
Ma ora…
ora…
Abbasso la testa
guardandomi le mani.
Sorridendo con mero
disprezzo.
Ora sono uguale a
prima.
Non sono altro che
zavorra per la tua vita… hai fatto bene Kaede… a
lasciarmi andare, a lasciarmi per volare lontano.
Chi ami ora?
Non lo so…
e non lo saprò.
Mi alzo
lento… non mi guardo indietro.
Non posso…
non posso perderti di nuovo.
Vederti come lontana
luce… come lontana salvezza, come la mia vita che lenta esce
dal mio corpo per venire da te… e darti la poca forza che ho
anche in me.
Non lo so chi
ami… spero che sia degno di te… più di
quanto non lo sia io.
×~×
Ho
guardato dentro una bugia
e ho
capito che è una malattia
che alla
fine non si può guarire mai
e ho
cercato di convincermi
... che
tu non ce l'hai.
Vasco
Rossi © Senza Parole
Una piccola folata di
vento gli mosse i capelli in maniera gentile, come una madre che non
vede il figlio da tempo.
Chiuse gli occhi
godendosi quella fredda attenzione.
Il mondo si spense,
quando gli occhi decisero di non riaprirsi… decisero di
godere di quel freddo nulla…
Perché ora
era giusto chiederselo.
Cosa ci faceva
lì?
Perché…
perché aspettava qualcuno che non sarebbe arrivato,
perché, nonostante l’sms gli era arrivato era
ancora lì?
“Scusami
Kaede. Non posso venire oggi. Baci. Ayako”
Perché era
lì?
Aprì di
nuovo gli occhi e fece qualche passo verso la vetrina di fronte.
Bianco, un candore
innaturale lo colpì con quelle mille sfaccettature, bianco
panna, bianco latte… bianco.
Come la luce che non
aveva mai trovato.
Lui non era mai stato
davanti ad un negozio come quello…
Un gay non guarda i
vestiti da sposa… un gay non sogna un matrimonio…
un gay non pensa a quanto risplenderà la sua donna con quel
bianco angelico.
Un gay pensa al corpo
muscoloso del suo amante… un gay pensa a una risata
contagiosa.
Lui, non un gay ma
Kaede Rukawa, pensava ad Hanamichi.
Inesorabilmente.
Sempre.
Mai.
Come
un’ossessione continua… come una tortura, una
croce che gli ha ferito il cuore.
Ma che diritto ha
Kaede di rivolere Hanamichi?
Come potrebbe averlo
davanti agli occhi, con il ricordo della loro storia, della fine della
loro storia e riuscire comunque a dirglielo.
Che lo ama
ancora… che lo ha sempre amato… che ha detto
tante di quelle cretinate che anche il suo cuore, mentre le diceva,
piangeva.
Perché
Kaede era un piccolo ragazzino all’epoca, perché
Kaede aveva sofferto davvero tanto da piccolo, perché Kaede
non sapeva amare.
Era scappato, con la
coda tra le gambe con la paura di affezionarsi… di
innamorarsi troppo per poter scappare dopo.
Perché la
forza della volpe sta nello scappare prima che il cacciatore la
prenda… e quello stupendo cacciatore dai capelli rossi era
di sicuro il più abile… perché
nonostante la volpe fosse corsa via la trappola era ancora
lì alla sua zampa.
E sanguinava ogni
secondo… ogni minuto, ogni ricordo.
Perché il
cacciatore non veniva a togliergli la trappola? Perché non
l’aveva rincorso quando era fuggito?
Ma lui lo sapeva il
perché.
Hanamichi non era un
cacciatore… era il suo amante… e lui
l’aveva ferito… ferito nel profondo con un
coltello appuntito, lo aveva infilzato lì, in quella ferita
già aperta… mischino… troppo
mischino…
Con rude
cattiveria… con disperata foga… con le lacrime
che volevano uscire per la prima volta in vita sua.
Staccò la
mano dalla vetrina con un gesto infastidito, vi si era appoggiato in
maniera involontaria, come alla ricerca della sua luce, come se quel
bianco potesse ridargli Hanamichi.
Il do’aho.
E chissà se
ora era ancora “suo”… magari si era
consolato in fretta, in maniera grossolana.
Mai dimenticarsi delle
sue 51 cotte finite dopo alcuni minuti.
Cosa gli faceva
credere di essere così diverso da tutte quelle oche che,
anche senza goderne a fondo, erano state il soggetto
dell’amore di quel deficiente?
Lui non era
nulla… se non una volpe ormai catturata.
Si lasciò
andare un poco all’indietro come spinto da una corrente
invisibile.
Alzò un
attimo gli occhi al cielo senza mai aprirli…
Aveva
paura…
Paura, non era nemmeno
questa l’espressione giusta.
Ma cosa avrebbe visto
alzando gli occhi?
Un sole fasullo che,
timido, si nascondeva dagli occhi dei poveri umani, cercando di
convincerli che non è lui il loro reale sole… lui
che è così dannatamente lontano.
Ma Kaede non sapeva
più cosa fare… consapevole che, anche il suo
reale sole, era troppo lontano per essere guardato.
E come un soffio di
vento un dolce sospiro, una carezza benevola quella parola come tante
altre volte amò le sue labbra.
“Do’aho”
L’unica
parola che per tanto tempo aveva avuto in testa…
l’unica parola che aveva amato con tutto se stesso che, come
un mantra, aveva ripetuto ogni giorno.
Il suo
do’aho.
Si chiese come avesse
fatto a cacciarlo via con menzogne tanto grandi… come poteva
il suo Hanamichi aver preso sul serio le sue parole?
“
Adesso basta mi hai stufato… chi ti credi di essere per
dirmi cosa devo fare?”
Tu
sei il mio cuore, la mia vita…
“Sei
un semplice do’aho, vero sei il re dei do’aho, ma
di certo non sei l’unico”
Tu
sei l’unico do’aho che mi ha conquistato il
cuore…
“E
se voglio andarmene in America io ci vado e basta e se non ti sta
bene…”
Se
non ti sta bene abbracciami, legami a te, baciami come sai fare solo
tu… mostramela di nuovo Hanamichi…
“…Sparisci”
…La
tua luce.
Una serie di parole
scritte in fondo ad un cuore ferito, ad occhi che non sanno
più parlare d’amore, ad un ghiaccio che non si
è mai sciolto…
Si odiava, come ogni
giorno… come ogni secondo.
E non c’era
mai andato in America… no ne aveva mai avuto la forza.
La forza.
Ironico…
lui che aveva lasciato Hanamichi per ritrovare la sua forza
l’aveva persa del tutto.
Guardò una
lattina che, come piccoli granuli di sabbia, sfiorava la sua scarpa.
Appiccicosa,
stupida… lattina.
La
calciò… per puro sfogo… con troppa
forza… ma in maniera così innocente che ricordava
il calcio dei bambini, un gioco stupido ed innocente come non era
più quel ragazzo.
21 anni alle spalle ed
una situazione psicologica degna di una conferenza mondiale.
Era messo
bene…
“Aiho!!”
Si girò di
scatto a quell’urlo che, come una molla, aveva risvegliato i
suoi sensi intorpiditi.
E qualcosa dentro di
lui aveva urlato: Amami.
Rosso.
Rosso passione.
Rosso amore.
Rosso, come il sangue
che gli fluiva al viso, come il cuore che aveva smesso di battere, come
la lingua che si seccava piano…
Fisico muscoloso e
fragile insieme, come quella testa calda… il teppista
incallito che avrebbe picchiato chiunque ma che si fermava per aiutare
le vecchiette.
Il corpo, ora
incurvato a tenersi un ginocchio era come sempre… solo
più bello… più caldo…
più lucente.
Il do’aho.
“Chi cavolo
è stato il deficente? Non si fa arrabbiare il
ten…”
E Hanamichi si
blocca… e Hanamichi non parla.
Perché due
freddi occhi ghiaccio lo stanno guardando… perché
dei danzanti fili di seta sono rivolti verso di lui, tendendosi,
spasmodicamente.
Perché
Hanamichi non riesce a vedere altro che luce.
“Do’aho”
Fredda, tagliente come
il peggiore dei risvegli, come l’acqua fredda che ti
risveglia dal mondo in cui ti rifugi con incredibile testardaggine.
Ma Hanamichi non
riusciva a vederli gli occhi ora… o lo avrebbe letto di
nuovo, quel ridente amore.
“Ki…Ki…KITSUNE!
Che ci fai qui? Ti sei accorto che quegli americani non sono nulla in
confronto ai giapponesi eh?”
Hanamichi parlava ma
in realtà si sentiva morire.
Perché
Kaede lo fissava, insistente, perentorio… perché
Rukawa lo accecava, lo riscaldava e lui ne aveva dannatamente paura.
Il moro
però non era da meno… con gli occhi fissi sulla
sua figura muscolosa si diceva a se stesso quanto veritiere fossero le
parole di Hanamichi o almeno… se riferite a lui in
particolare.
Quale stupido
Americano avrebbe mai potuto battere quel rossino?
Il suo
rossino… ed era ora di ricordarlo in giro.
“Hn…
Ci sono meno do’aho però”
E con quella stupida e
bambinesca fierezza, con quella sua comprensione lenta Hanamichi si
gonfiò a quella risposta…stupido ed innamorato.
“Visto? Io
sono il tensai dei do’aho”
E, per una regola di
copione il moro sbuffo, sospiro lento come se fosse infastidito da
quella voce… calda… vivace…
solare… bella.
“Almeno te
lo dici da solo…”
E a quel punto fu
rissa.
Il pugno del rosso
partì forte, violento… cattivo.
Perché era
il primo… perché era il primo da
tanto… perché non era il primo della loro storia.
E Kaede a quello non
rispose mai… non colpì mai in maniera
così disperata come aveva fatto il rosso…
perché quello non era un pugno, era una lacrima.
Poco dopo si
accasciarono a terra, seduti ansanti e stanchi.
I passanti, pochi
invero, fermatisi ad ammirare lo spettacolo, a poco a poco defluirono,
disinteressati ormai da quei due “pugili” fermi.
E loro rimanevano
lì… senza guardarsi, senza parlarsi, con il peso
del passato e la frenesia del futuro.
“Sei un
idiota Kitsune…”
Il moro
abbassò la testa, i capelli carezzosi e morbidi gli
coprirono il volto… e si sentiva…
irrimediabilmente felice… anche se forse lo stava perdendo
per sempre.
“Te
l’ho detto… In Giappone ci sono tanti
do’aho”
Hanamichi si
girò verso di lui… gli occhi
impenetrabili… la bocca semi aperta che non rivelava nessuna
emozione… Un sole ghiacciato e pronto ad esplodere.
“E tu
tornerai nella patria dei non-do’aho?”
“Tu mi
lasceresti andare?”
Due voci che come
graziose compagne di danza si accavallavano, lente, decise…
dolcemente amanti.
E una sola risposta
che, come fiera, spezzò il silenzio della notte.
Quella notte che li
aveva accompagnati per tanto tempo.
“No”
The End (?)
Free Saru Talk:
C: *3*/.... Non
picchiatemiii ;___; Ok etta satoria non ha senso
é__è però ando l'ho scritta mi pareva
puccha ;__;
R: ... non
c'è nessuna lemon
H: ... Non
c'è nemmeno un bacio
S: ... Non ci sono
nemmeno io
C&R&H:
>_>"
S:
è__é beh?
C: yesh lo so ;__;
è vergognosamente casta ma... ma... T__T nooo io volevo fare
la lemooooon
R: Falla
è__è
H: Sono d'acordo con
la volpe spelacchiata é__è
C:... In etta fic
nin ci sta U.U
Disclaimer:
Li trovo inutili ma... E' tutto del sensei Inoue *O* Magari l'avessi
inventato io Ru OçO a quest'ora =ç= Bwahahahah
>.< *rotola*
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