Orgoglio dall'inferno

di Moira__03
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- Orgoglio dall'inferno -




Tutti assistevano con grande curiosità. Ognuno di loro lo conosceva come il proprio carnefice, ma in pochi sapevano chi fosse in realtà quel guerriero.

Tranne lui.

Combatteva senza sosta, senza ripetersi nelle azioni, sfoderando sempre mosse nuove.

C’era chi imprecava contro di lui e chi invece lo esaltava.

Lui invece no.

Lui si limitava a guardarlo e sorridere, nonostante anche la sua permanenza in quel posto era stata causata per mano sua.

Ma non poteva far altro che nascondere un lieve orgoglio sotto quel ghigno rimasto tremendo nonostante la sua flebile ed invisibile esultanza.

I commenti degli spettatori di quel combattimento erano intrisi d’invidia. Un’invidia che era costata loro al caro prezzo della morte.

E di ciò lui si stava nutrendo, rafforzando la già robusta e ferrea fierezza. Perché lui sapeva che la sua razza non sarebbe mai tramontata.
Nemmeno se ora gli unici esemplari rimasti erano soltanto in due.

Per questo rideva.

Perché il loro destino era già scritto con inchiostro indelebile; loro rimanevano gli esseri più forti della galassia, ineguagliabili in niente.

Ma un difetto c’era in quel guerriero, che lo esulava dal contesto di perfezione se visti con i suoi scurissimi e sadici occhi.

«Che stupido che sei stato. Se solo mi avessi ascoltato».

Ripeteva a se stesso quelle parole, non mascherando che oltre a quell’orgoglio, che si poteva veder schizzare da ogni suo poro, vi era anche un po’ di rimpianto.

Stentava a credere che quel guerriero dorato e dai folti e lunghi capelli fosse davvero un saiyan. Suo fratello.

Lui non lo ricordava affatto così. Rimembrava solo la misera forza che possedeva quando si erano rivisti, dopo svariati e lunghissimi anni, dopo la sua nascita e il suo immediato abbandono.

E fu lui ad avergli ricordato a quale razza appartenesse, a quel tempo.

E di certo non dimenticò quanto rimase spiazzato dalla sua enorme somiglianza con suo padre e quanto invece rimase deluso di fronte al suo comportamento in contrasto con la tempra di un vero saiyan.

Sorrise di nuovo.

«Saresti diventato davvero perfetto se mi avessi seguito allora, caro fratellino» sussurrò Radish, senza modificare il taglio delle sue labbra.

Continuava a guardare suo fratello, quel misero saiyan di infimo rango, affiancato da colui che sarebbe dovuto essere il numero uno, ineguagliabile in niente e irraggiungibile da nessun altro saiyan. Colui che gli avrebbe dovuto offrire gratuitamente il suo disprezzo. E invece non lo aveva fatto, perché ora erano sullo stesso livello. Il principe Vegeta affiancava Kaaroth, senza mostrar alterigia, senza preoccuparsi di rimarcare che lui fosse il suo superiore.

C’era solamente un’immensa fratellanza e stima proveniente dallo stesso sangue alieno che scorrevano nelle loro vene, anche se smentivano spudoratamente la loro indole saiyan. Perché combattevano fianco a fianco, principe e suddito, senza rispettare le ideologie della propria razza, senza combattere col solo scopo di distruggere, ma con l’unica terrestre voglia di proteggere i propri cari.

Era questo che, giù nell’inferno, tutte le vittime di Goku scorgevano nelle immagini proiettate dalla sfera di cristallo mentre combatteva col temibile Majin-Bu.

«Tuo padre, mio padre, nostro padre, il famigerato Bardak, sarebbe fiero di sapere che sei riuscito a diventare il braccio destro del principe, il suo più fedele compagno, proprio come lo era lui».

Radish rimuginò su quel pensiero, orgolioso, fiero, ma con l'animo sconfitto.

E sorrise di nuovo.




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