Una testolina bionda e
riccioluta fece capolino dalla porta, suggellando la sua entrata con
una risata squisitamente puerile; fece in tempo soltanto a togliersi il
respiratore dal volto, e a nasconderlo dietro la schiena, prima che
quella piccola peste scalasse il vecchio letto, e si sedesse al suo
fianco. La flebo rimase ancorata alla sua vena, dando libero sfoggio a
tutte le sue sofferenze. “ Sei venuto
da solo? ” chiese retoricamente, aspettandosi di vedere la
testa color cenere della madre da un momento all'altro. Il bambino
scuoté il capo, indicando la porta.
“ Non entra?
” incalzò, accarezzando dolcemente la sua mano
paffuta, ancorata al tessuto bianco del lenzuolo; da quando gli aghi
bucavano la sua pelle, quella mano non si spostava mai dal lenzuolo,
quasi che avesse paura di essere contagiato.
“ Telefono,
” rispose semplicemente l'altro, giocherellando con i bottoni
del suo giacchetto.
Il suo comportamento
era sempre così scostante, o almeno lo era da quando lui era
stato ricoverato in ospedale. Passava dai sorrisi ampi, ai gorgoglii
vispi, alle smorfie imbarazzate, per arrivare, infine, al mutismo.
Per un attimo
pensò che quel bambino, come lui, si ritrovasse a vivere
giorno per giorno, senza aver un singolo ricordo, o quasi, di quelli
precedenti. “ Cosa hai
fatto oggi? ” riprovò, cercando di intavolare una
conversazione.
“ Mamma mi
ha portato all'asilo, ” cominciò a
raccontare. “ Ma io non
voglio andarci, voglio stare con nonna. ”
Lui annuì,
pronto a sommergere il bambino con una quantità di domande
tali da far impallidire chiunque. Non sapeva effettivamente
perché sentisse l'irrefrenabile voglia di conoscere tutto di quel
bambino, perché si sentisse così legato nei suoi
confronti. Ma, pur ignorando il perché, non avrebbe
certamente smesso di farlo; lo faceva stare bene, e stando al
sorriso sornione del piccolo, faceva star bene anche lui.
“ Ti capisco
perfettamente, ” ventilò. “ Neanche a
me piaceva l'asilo. ”
“ Anche tu
sei stato giovane come me? ” chiese con malcelata sorpresa.
“
Sì, ” gli rispose. “ Ma non ero
bello come te, anzi ero molto più grassoccio di quella
vecchia strega d'infermiera, che sta all'ingresso. L'hai vista? Quella
senza denti? ”
Il bambino
annuì, ridendo di gusto per le facce buffe, che faceva
parlando. “ Ed ero
anche più brutto di quell'altra infermiera, quella
così secca da sembrare una scopa! Ah, te lo dico io! Quella
grassoccia mangerà quella secca, o la utilizzerà
come uno stecchino! ”
Il bambino
continuò a ridere. “ Quella
grassoccia non voleva farci entrare, ” asseri poco dopo,
quando l'anziano signore smise di fare le smorfie, e lui
poté finalmente smettere di ridere.
“ Vedi?
Oltre ad essere grassoccia è anche cattiva, ”
insisté, gesticolando. “
Perché non volevano farvi entrare? ”
Il bambino scosse la
testa, lasciando cadere lì il discorso. “ Come eri
da giovane? ”
“ Come pensi
che sia stato? ”
“ Non si
risponde ad una domanda con un'altra domanda, me l'ha detto la maestra
dell'Asilo! ” gli rispose piccato.
“ Quella
dell'asilo dove non vuoi andare? ”
“
Sì, lei. ” rispose il bambino, incrociando le
braccia al petto.
“ E
perché non vuoi andarci? ”
“ Ho
già risposto a questa domanda. ” asserì
con tono lamentoso. “ Rispondi
alla mia. ”
Prese un grande
respiro, e tossicchiò leggermente; in cuor suo
sperò che quella visita non durasse ancora per molto, un po'
per le domande 'spinose', un po' per la mancanza d'aria, che si faceva
ogni secondo sempre più forte e marcata.
“ Di che
colore sono i miei capelli? ” chiese, toccandosi la testa.
“ Grigi,
” rispose il bambino, utilizzando ancora quel tono lamentoso.
“ Prima
erano neri. ”
“ Neri?
” chiese, osservando con un cipiglio il volto
dell'anziano signore, che annuì sorridente. “ Non eri
biondo come me? E non avevi neanche gli occhi marroni come i miei?
”
“ Gli occhi
non cambiano, ” asserì, accarezzandogli la guancia
con fare paterno. “ E come ti
ho già detto, tu sei molto più grazioso di quanto
non lo fossi io alla tua età. ”
Il bambino
annuì, corrugando la fronte, e puntellando il dito sul
mento; fu una questione di secondi, ma il volto puerile del bambino
parve invecchiare, diventando, per giunta, un volto di donna. Il
problema venne quando arrivò il momento di dare un nome, ed
un cognome a quel volto: la
sua memoria si annebbiò, diventando simile alla cappa di un
camino in funzione, e la sua testa vorticò pericolosamente.
“ Quindi io
e te non ci somigliamo per niente? ” riprovò il
bambino, puntellando i suoi occhi marroni in quelli verdi dell'anziano
signore. “ No,
” gli rispose. “ Tu sei
migliore di me, e lo sei sempre stata.
”
“ Ma io sono
un maschio! ” sbraitò il bambino punto
nell'orgoglio; quella
è l'età in cui i bambini si vergognano delle
bambine, e viceversa, pensò sogghignando. “ Lo so, lo
so. ”
“ E come mi
chiamo? ”
Il fumo, lungi dal
farsi più rado, parve compattarsi nella sua mente, creando
una sorta di muro massiccio, e difficile da scavalcare; l'entrata della
ragazza color cenere fu provvidenziale.
“
Mikey, ” disse la ragazza con fare materno. “ Lascialo
stare. ”
Il bambino fece una
smorfia di disappunto. “ Ma noi due
stavamo solo parlando, vero nonno? ”
L'anziano signore ebbe
un sussulto, che acuì il senso d'asfissia.
“ Forse
è ora di andare via, Mikey, ” mormorò
la ragazza, osservando il petto dell'anziano signore; i suoi movimenti
erano irregolari, fin troppo repentini. “
Perché non vai un attimo da papà e gli dici di
accendere la macchina? ”
Il bambino
corrugò la fronte non troppo convinto dalla scusa che la
madre gli aveva rifilato. “ Ciao,
nonno! ” esclamò, stringendogli la mano,
ancora unita alla sua. “ Ci vediamo
domani. ”
Il signore gli fece un
cenno di saluto con la mano, utilizzando l'altra per riprendere il
respiratore, e per riporlo sul viso non appena il ragazzino
uscì dalla stanza. “ Mi
dispiace, ” sussurrò, più a
sé stesso, che ad altri.
“ Dispiace a
tutti, ” gli fece eco la ragazza color cenere. “ Ti serve
qualcosa? ”
“ No, cara.
” le rispose.
La ragazza gli
sorrise, lasciando un languido bacio sulla sua guancia.“ Domani
vengo da sola, ” disse. “ Ed avremo
tutto il tempo di parlarne, papà. ”
“ Parlare di
cosa? ” chiese, sussultando leggermente alla parola
'papà'.
“ Di quello
che hai fatto alla mamma, ” rispose criptica. “ Di quello
che è successo nel 2009, e di quello che è
successo fino ad ora. ”
Chiuse gli occhi,
gemendo febbrilmente all'ennesima fitta dolorosa, che percorse la sua
testa. “ Domani?
” chiese, cercando conferma.
“ Domani,
papà. ” le rispose quella. “ Ora
riposa. ”
La ragazza cenere
spense la luce, e lo lasciò solo con le sue fitte, e con
quel muro di fumo, che la parola 'papà' pareva aver scalfito
almeno un po'.