cap1
Travolti
da un insolito destino
Capitolo
2
Che
giornata di merda!
Aveva rotto un laccetto dei
sandali, macchiato la gonna di caffè e in mensa
c’erano solo robe fritte e
unte. In più, un idiota le aveva mandato un mazzo di rose
enorme in ufficio.
Uomini di merda.
Un caffè e una cena e quello
le mandava tredici rose, ma chi si credeva di essere! Doveva escogitare
un modo
per mandarlo a fanculo al più presto.
Perché poi lei era sempre
l’ultima ad uscire da quel maledetto ufficio?! Gli altri se
ne fregavano delle
consegne, oppure era solo lei ad essere incapace di organizzare il suo
tempo?
Quando finalmente riuscì ad
andarsene da quel cavolo di posto, la sua borsa pesava due tonnellate e
a
stento raggiunse l’auto con quel sandalo pericolante.
Infilò un mano nella borsa per
cercare le chiavi della macchina, ma in quel momento la custodia del
portatile
cominciò a scivolarle contro il tessuto lucido della gonna.
Fu un domino
letale: nel momento in cui si abbassò per sostenere il
portatile col ginocchio,
la giacca che teneva sulle spalle cadde in avanti e, nel tentativo di
rimanere
in equilibrio, una manica s’impigliò al tacco e
lei perse la stabilità. Il
computer volò a terra insieme alla borsa e al cellulare che
teneva nell’altra
mano, e il tacco del sandalo con un piccolo toc si
staccò dalla tomaia.
Per un momento l’idea di rannicchiarsi
a terra e piangere non le parve poi tanto disdicevole, ma si
limitò ad
imprecare contro il mondo.
Ovviamente il cellulare, che
aveva resistito all’urto, decise che quello era il momento
migliore per
mettersi a squillare.
- Ciao Cici - rispose con un
sospirone, le sue amiche avevano sempre un tempismo imbarazzante.
- Dove sei? -
- In ufficio, cioè nel
parcheggio veramente - si chinò per cominciare a raccogliere
la giacca e tutta
la roba che era volata fuori dalla borsa.
- Te lo sei scordata -
- Cosa? - non era sicura di
aver capito bene, ma il tono non prometteva bene.
- La cena, Ali! Te la sei
scordata: tu, io, Laura e una pila di riviste da sposa alta un metro.
Dovevi
essere qui più di mezzora fa -
Merda.
- Ma no no, non mi sono scordata,
- tentò di tergiversare mentre raccattava tutto il
più velocemente possibile e
lo lanciava sul sedile del passeggero - Mi hanno trattenuta, abbiamo
avuto un
problema con un cliente -
- Almeno hai mangiato
qualcosa? -
- Sì certo, certo -
- Le mentine non valgono! - le
urlò Laura in sottofondo.
- Allora no, ma non ho fame.
Ho mangiato a pranzo - saltò sul suo sedile e
bloccò il telefono con la spalla
per mettere in moto l’auto - Comunque aspettatemi, dieci
minuti e sono lì! -
Merda merdissima!
Non che fosse entusiasta, dopo
una giornata di merda, di affrontare le due invasate armate di campioni
di veli
e pizzi, ma non poteva continuare a bidonarle a lungo. Doveva farlo per
Cici e
per quel maledetto del suo futuro marito.
Ingranò la prima e quasi sgommò
nell’uscire dal parcheggio. Si lanciò nel traffico
ignorando la segnaletica e
soprattutto i limiti di velocità, neanche fossero buffi
numerini piazzati lì a
caso, e come promesso, in dieci minuti le raggiunse. Caricò
di nuovo la borsa
da due tonnellate in spalla e, saltellando con una scarpa, in mano
raggiunse il
portone di casa di Laura; per fortuna le aprirono subito e non fu
costretta a
rimanere lì come una scema in equilibrio precario su uno
stiletto.
Quando la videro così
combinata, le due amiche ebbero la decenza di non fare domande,
l’aiutarono
semplicemente a sistemarsi mollando tutta la sua roba in giro per casa.
- Se continui così, sarai il
primo caso in Italia di morte sul lavoro da esaurimento nervoso -
L’ironia di Laura era sempre
stata tagliente ed Alice era abituata a subirla anche nei momenti
peggiori,
quindi non si alterò più di tanto per la
battutaccia, ma si limitò a
contraddirla.
- Purtroppo temo che sia un
record già battuto -
I primi dieci minuti li passò
con i piedi su una sedia e gli occhi chiusi, mentre Cici la delucidava
sull’avanzare dell’organizzazione del matrimonio e
ogni due frasi tentava di
rifilarle qualcosa da mangiare. Si ostinò a rifiutare tutto
finché Laura non le
ficcò in mano un pacchetto di popcorn.
- Charlie? -
- A Milano per un convegno -
- Jack? -
- È a cena fuori con Paolo e
Filo -
Non si erano liberate delle
zavorre solo per poter stare a parlare di bomboniere e confetti in
santa pace,
quindi sicuramente volevano spettegolare di qualcosa. Però
mancava Arianna, ex
compagna di facoltà di Laura e maestra
nell’origliare conversazioni
altrui; Margherita, la collega di Cici che ci
provava con Paolo da
una vita anche se usciva con loro solo da un paio di anni, e
soprattutto
mancava Elena, la cognata di Laura.
C’erano solo loro tre, perciò
doveva essere un pettegolezzo grosso, qualcosa di molto personale,
qualcosa che
le coinvolgesse in prima persona… Oh, mio dio!
Una delle due era incinta?
Istintivamente cominciò ad
osservare ognuna delle due con meticolosa attenzione. Cici non sembrava
ingrassata, né entusiasta – perché lei
avrebbe fatto i salti di gioia se fosse
stata di nuovo incinta! – , non sembrava avere più
pancia, ma l’abito che
indossava poteva anche mascherarla. Laura invece non avrebbe fatto di
certo i
salti di gioia, quindi i sospetti ricadevano maggiormente su di lei,
che se ne
stava seduta sul divano in silenzio seguendo le parole di Chiara. Non
pareva
ingrassata, né nella pancia né nelle forme,
però forse il modo in cui
continuava a cambiare posizione delle mani tradiva una certa tensione.
Ma che
le era saltato in mente? Di certo si era dimenticata di prendere la
pillola…
- Ali, senti a proposito di
questo, ti volevo aggiornare su una cosa - Cici catturò la
sua attenzione.
Anche se non sapeva a cosa si riferisse quell’ “a
proposito”, era troppo
assorta nella contemplazione di un futuro erede dei Carlini per
ascoltare.
Forse era arrivato il momento
della rivelazione… Alice cominciò a fremere, i
suoi sospetti erano corretti,
aveva solo sbagliato persona? Era Cici ad essere incinta?!
- Fino alla settimana scorsa
non era ancora arrivata la risposta, per questo non ti ho detto
nulla... Jack
nemmeno ci sperava più, ma ieri gli è arrivata
una mail di Manu e ha detto che
verrà per il matrimonio -
Vuoto.
Per dieci secondi nella mente
di Alice e nella stanza attorno a lei, non ci fu altro che silenzio.
Non
percepì gli sguardi carichi di attesa delle due donne su di
lei, anche se era
certa che vi fossero. Non si accorse della sua mano piena di popcorn
bloccata a
mezz’aria. Né si rese conto di aver smesso di
respirare.
Vuoto per dieci secondi e
nient’altro.
Poi il suo cervello reagì e le
mandò l’input corretto: i polmoni ricominciarono
ad espandersi, la mano finì il
suo tragitto dritta verso la bocca e sbatté le palpebre un
paio di volte per
mettere a fuoco l’esterno. Laura le stava regalando uno
sguardo duro ed
implacabile, seppur carico di aspettativa, mentre quello di Chiara era
visibilmente più preoccupato e il suo corpo teso verso di
lei.
Si affrettò ad imbastire una
risposta quanto più neutra possibile.
- Davvero? Chissà come sta… -
Le amiche tacquero per pochi
secondi, evidentemente prese in contropiede dalla risposta.
Com’era
prevedibile, fu Laura a prendere le redini della conversazione.
- Jack e Filo sono andati a
trovarlo l’anno scorso a Natale, pare stia benone.
Verrà con suo padre ed
un’amica ha detto -
- Ah giusto, me n’ero
scordata. Bene, sono contenta di rivedere Sergio -
Laura e Chiara si scambiarono
un’occhiata perplessa, ma decisamente sollevata. Non che si
aspettassero
scenate isteriche, d’altro canto però
l’argomento con Alice, e soprattutto con
chi era al corrente delle vicende del passato, era assolutamente
offlimits, non
se n’era mai più parlato in sua presenza e nessuno
ci teneva a ricordare. La
sua reazione fece loro ben sperare e fu evidente che la tensione si
sciolse in
pochi secondi.
- Per la torta, invece? Hai
deciso se fragole o cioccolato? -
- Jack vuole crema e fragole -
- Pienamente d’accordo! -
L’atmosfera tornò a
distendersi e presto l’unica fonte di discussione furono i
colori del bouquet
della sposa. Alice sosteneva che dovevano essere lilla e verde come il
resto
degli addobbi e decorazioni, Laura invece preferiva il total white e
andarono avanti
a discuterne fino a tarda sera.
Il giorno dopo, la giornata
iniziò di nuovo di merda per Alice.
Aveva dormito solo un mezzora
verso l’alba, prima era stata travolta dalla reazione
posticipata alla notizia
della presenza di Manuel al matrimonio.
Non lo vedeva da sei anni. Non
ci parlava da sei anni.
Il suo cervello era come
impazzito per un sovraccarico di informazioni: aveva immaginato mille
scenari
possibili per il loro incontro, dalla lite furibonda con tanto di pugni
e
schiaffi, al completo disinteresse reciproco. Non sapeva cosa fare,
né cosa
pensare. La sua mente venne invasa dopo tanti anni dalle domande che
aveva
rinchiuso nel cassetto più profondo della sua coscienza.
Perché non fosse mai
tornato poteva benissimo immaginarselo, orgoglioso com’era.
Ma perché se ne
fosse andato senza una parola, così
all’improvviso, ancora le lasciava
quell’orribile sensazione di vuoto.
Le tornarono alla mente i
primi mesi dopo la sua fuga. Prima c’era stata la rabbia,
cieca e
incontrollata, che aveva sfogato su chiunque la avvicinasse. Poi quando
aveva
capito che non sarebbe tornato, era arrivato il peggio.
Per tutta la notte aveva
cercato di non pensarci, di trovare altro su cui concentrarsi. Prima
aveva
pulito la cucina e riordinato la posta, poi aveva finito per accendere
il
portatile e mettersi a lavorare ma aveva avuto effetto solo per la
prima ora.
Così era andata a ripescare il pacchetto di sigarette di
emergenza che teneva
nascosto dietro ai detersivi in bagno, ed era scivolata sulle
mattonelle del
bagno a crogiolarsi nei suoi rimpianti.
Anni prima aveva sognato una
vita diversa. Una vita in cui non si sarebbe ritrovata a dormire ogni
notte da
sola in una casa vuota e silenziosa. Una vita fatta di certezze, di
fiducia.
Invece aveva passato anni a sfiancarsi di lavoro durante il giorno,
così da
svenire sul letto la sera ed impedirsi di pensare, e quando lavorava
poco e non
riusciva a stancarsi abbastanza, correva da Paolo a farsi prescrivere
sonniferi
e tranquillanti.
Da alcuni anni aveva smesso
con gocce e pasticche varie, non aveva neppure più la scorta
come con le
sigarette, quindi si era rassegnata ad una notte insonne e alle sei era
già
sotto la doccia.
Era scesa al bar a far
colazione con calma e ad un orario ben distante dalle sue abitudini,
tanto che
anche il barista aveva strabuzzato gli occhi vedendola alle sette
già in tacco dodici,
attaccata al suo bancone a reclamare caffè in dosi da
cavallo. Dopo un’ora, tre
quotidiani e due caffè si decise ad andare al lavoro in
anticipo.
Arrivò gongolando davanti al
parcheggio ancora mezzo vuoto e, contrariamente al solito, se la prese
con
calma per evitare di sfracellare di nuovo borsa e pc
sull’asfalto. La
centralinista dell’atrio la salutò con un
sorrisone falso come una Louis
Vuitton comprata in spiaggia, e Alice sapeva che non appena si fossero
chiuse
le porte dell’ascensore dietro di lei, si sarebbe precipitata
a chiamare la
segretaria dell’ufficio engeneering. Quando in effetti
arrivò al terzo piano,
trovò Betta alla sua postazione, dritta come un fuso e con
l’auricolare già
sull’orecchio che le sorrideva furbescamente.
- Buongiorno Betta -
- Ingegnere, come mai così
presto? -
Il tono con cui Betta calcava
sempre il suo titolo di studio non le era mai sfuggito. Alice avrebbe
tanto
voluto risponderle che non erano cazzi suoi, ma lì dentro
era ancora l’ultima
arrivata.
- Tanto lavoro e poco tempo.
Ci sono messaggi per me? -
- Ancora nessuno -
- Bene, a dopo allora - non le
diede nemmeno il tempo di rispondere, perché
imboccò il corridoio degli uffici
quasi correndo.
Il suo ufficio era tra i più
carini nonostante, non fosse propriamente suo, né
propriamente un ufficio. Era
un buco di tre metri per tre con una parete di vetro, come tutti
quanti, e una
minuscola finestra sigillata, in cui erano stipate due scrivanie una
contro
l’altra, così era costretta a guardare
costantemente in faccia il suo collega.
Per fortuna non era così male.
Per prima cosa accese il
computer fisso, poi il portatile, dopodiché alzò
la veneziana e guardò il
parcheggio di sotto riempirsi di auto e motorini. Riconobbe il casco
giallo di
Michele, il tecnico del centro di simulazione e il grosso SUV bianco di
Pierangeli, il direttore, un uomo dalle grosse capacità
imprenditoriali ma
nessuna conoscenza ingegneristica.
- Che ci fai già qui? - la
voce di un uomo alle sue spalle la fece trasalire e minò il
precario equilibrio
dei tacchi.
Era Salvatore Pucci, l’uomo
con cui divideva lo studio da due anni, ingegnere meccanico come lei,
con
doppio master in ingegneria dell’automazione e numerosi
successi alle spalle.
Splendido quasi quarantenne che portava ancora le Converse e le
magliette dei
Guns’n’Roses. Ovviamente, come tutti, era abituato
a vederla arrivare di corsa
e sempre all’ultimo minuto.
Gli bastò guardarla in faccia
un momento per incupirsi e chiudersi la porta alle spalle.
- Brutta nottata?-
-
Abbastanza. Tu? Non avevi un’uscita galante? - lo
canzonò, sapendo che la cena
galante in realtà era una cena da sua madre.
- Spiritosa. E pensare che
volevo offrirti pure un caffè -
Alice rise sotto i baffi,
mentre prendeva posto al computer. In settimana avrebbero avuto una
riunione
con una compagnia indiana che produceva pannelli solari e Albertini, il
capo
dell’ufficio engeneering, voleva tutto il progetto pronto per
mercoledì.
Quando era entrata per la
prima volta in quell’azienda durante il tirocinio della
laurea specialistica,
se n’era sentita un po’ intimorita.
C’erano lunghi corridoi vetrati in cui si
sentiva sempre osservata e pavimenti di marmo, che risuonava sotto i
suoi
tacchi come un monito. Le segretarie la guardavano tutte malissimo e i
colleghi
erano nella quasi totalità uomini; temeva di non riuscire a
ritagliarsi uno
spazio, che in un ambiente del genere sarebbe sempre stata considerata
solo una
tirocinante carina. Poi era arrivata l’occasione di farsi
notare: aveva
collaborato in un progetto, Albertini stesso si era complimentato con
lei e si
era proposto come relatore della sua tesi. Da lì il passo
per il praticantato
era stato breve e, dopo anni di contratti a progetto e collaborazioni
parziali,
era riuscita a guadagnarsi la sua scrivania e la poltrona di ecopelle.
Ora si
occupava quasi esclusivamente di sistemi di sicurezza per le macchine
automatiche progettate dal resto dello staff, i suoi lavori erano
revisionati
direttamente dall’Ingegner Albertini e, sebbene fosse la sua
più giovane e
inesperta collaboratrice, la trattava sempre con garbo e rispetto.
Per quasi tutta la mattinata
rimase incollata al progetto per gli indiani, c’erano dei
calcoli che la notte
prima non tornavano e su queste cose ci s’intestardiva sempre
per ore. Non
controllò la mail né ricevette telefonate, quasi
non parlò neppure con Salva,
finché all’ora di pranzo questi non la
beccò a fissare lo schermo del portatile
in standby.
- Cos’è che ti turba in quel
desktop? -
Non gli rispose al primo
colpo, quindi per farsi ascoltare fu costretto a scuoterle una spalla.
- Alice? Perché stai guardando
lo schermo vuoto? -
Fu chiaro ad entrambi che lei
cadeva dalle nuvole e si riscosse come se stesse dormendo.
- Oddio! -
- Stavi dormendo?! -
- Ma no, mi ero solo
incantata. Vai a prendere il caffè? -
- Veramente stavo andando in
mensa -
Di nuovo lei cadde alle nubi e
guardò l’orologio del pc. Era l’una
passata, mentre a lei sembrava di essere in
ufficio solo da un paio d’ore.
- Credo di aver bisogno di
dormire – decretò, rimettendosi le scarpe
accantonate sotto il tavolo.
- Sì, credo anch’io -
Scese in mensa insieme a
Salva, mangiavano quasi ogni giorno con Michele, quello del simulatore,
che
aveva la stessa età di Alice, e altri due ingegneri
cerebrolesi dal lavoro come
loro: Semprini e Benassi.
Le donne dello stabile si
contavano sulle dita di due mani. Escluse le tre centraliniste,
c’era la
direttrice dell’amministrazione, una biondona appariscente
come un
evidenziatore, e le sue tre impiegate con cui Alice non aveva mai
legato molto,
e infine Sabina, la PR, l’unica con cui avesse uno straccio
di rapporto. In
genere pranzavano tutte assieme, tranne Alice che dopo un paio di
esperimenti
aveva preferito i colleghi uomini.
In tutto nel suo ufficio erano
sette: lei e Salvatore, Semprini e Benassi che dividevano uno studio
pure loro,
Albertini il capo, il suo assistente Tradello, e Nestri, il
vicedirettore. Poi
c’erano quelli dell’ufficio tecnico che conosceva
solo di vista e gli
assistenti alle pubbliche relazioni che cambiavano troppo in fretta per
impararne i nomi.
Tutto sommato la sua vita
lavorativa non faceva tanto schifo, Salvatore era il migliore dei
colleghi,
simpatico e silenzioso al punto giusto. Se non fosse stato per gli
orari da
panico che faceva in ufficio e le scadenze che Nestri non tardava mai
di
ricordarle, sarebbe stato tutto perfetto.
Poi, per rovinare
ulteriormente una giornata iniziata male, ma che sembrava migliorare,
il suo
telefono trillò per una mail ricevuta sul suo indirizzo
personale: era di
Laura, ma c’erano una ventina di contatti in copia,
sicuramente era qualcosa
legato al maledetto matrimonio. Decise che l’avrebbe letta
una volta tornata di
sopra perché non voleva guastarsi il suo già
precario appetito.
Non avrebbe potuto fare scelta
peggiore.
Quando aprì la casella di
posta sul portatile, scoprì che già in sei
avevano risposto e quindi doveva
leggere oltre al papiro di Laura anche quelli degli altri. Il
contenuto,
riducibile in poche frasi che la sua amica aveva esposto invece in
trenta
righe, riguardava il regalo per gli sposi; ovviamente lei e Laura ne
avevano
già abbondantemente discusso, perciò non ci
sarebbe stato bisogno di includerla
in quella mail, ma una nota sul fondo diretta a lei in persona le
spiegava di averne
ricevuto copia per comodità. La comodità di
Laura, chiaro.
La prima risposta era di
Charlie che appoggiava la loro idea di regalare un viaggio di nozze
degno di
questo nome ai due neo sposini. Poche righe, chiaro e conciso, al
contrario
della sua fidanzata. La seconda era di Elena, la cognata di Laura,
anche lei e
suo marito erano d’accordo e proponevano Parigi come meta. La
terza, di Filo
che era ancora indeciso se fare un regalo da solo
o aggregarsi agli
amici, intanto però proponeva New York. Prevedibilmente ci
sarebbe andato
volentieri anche lui con la coppietta, non poteva esimersi dal fare
l’idiota
anche via mail.
La quarta risposta la lasciò
congelata sulla poltrona.
Il mittente era un contatto
esterno alla sua rubrica: m.bressan@sothebys.uk. Più chiaro
di così…
Iniziava con dei saluti
generalizzati e con l’annuncio non troppo caloroso che
sarebbe arrivato a
Verona in tempo anche per l’addio al celibato di Jack.
Dopodiché, appoggiava in
pieno l’idea per il regalo e senza troppi giri di parole
chiedeva di fargli
sapere la cifra da mettere considerando di includere anche Kate,
nessuna
proposta per la meta. La mail si chiudeva con un ‘A
presto’ decisamente troppo
cordiale per uno che non si faceva vedere da sei anni.
Alice inizialmente fu tentata
di cancellare tutto subito, poi la curiosità ebbe la meglio
e se la rilesse una
decina di volte. In fondo era il primo contatto che aveva con lui dopo
un sacco
di tempo. Scandagliò lettera per lettera fin quasi ad
impararla a memoria ed
infine rilesse varie volte anche il suo contatto.
Rimase a fissare lo schermo,
indecisa se sedare del tutto le sue manie di controllo per parecchi
minuti.
Alla fine fu Benassi a salvarla con delle questioni di lavoro,
abbastanza
complesse da richiedere tutta la sua attenzione fino alle cinque.
Una volta giunta a casa, però,
tutti i suoi scrupoli vennero meno. Si disse che doveva essere
preparata perché
l’incontro sarebbe stato inevitabile e conoscere il proprio
nemico era per ora
la sua strategia migliore.
Non l’avrebbe detto a nessuno
e nessuno l’avrebbe mai beccata nella solitudine di casa sua,
quindi si poteva
permettere dopo tanti anni di maschere di sfogare il suo rancore in
qualcosa.
Accese il portatile e si
sistemò sul divano con la cena su un vassoio, rilesse la
mail ancora una volta,
dopodiché aprì Google e digitò
Sotheby’s.
Il nome le diceva qualcosa ma
solo allora si ricordò di averlo sentito nominare proprio da
lui, era successo
poco prima di Natale a Londra, erano andati a trovare Sergio ma lui
voleva
assolutamente vedere questo posto e lei non era riuscita a farlo
desistere. Era
una famosa casa d’asta londinese e già
all’epoca Manuel ne parlava con grande
interesse. Le bastarono pochi minuti di navigazione per trovare la
lista dei
dipendenti della sede di Londra. Tra questi figurava Manuel Bressan.
C’era un link sul suo nome,
come su quello di tutti gli altri citati, ma il dito tremò
un attimo prima di
aprirlo.
Di sicuro ci sarebbe stata una
sua foto e questo la fece tentennare, aveva distrutto ogni ricordo che
aveva di
lui affidando i superstiti alle cure di Jack. Era pronta per rivederlo?
Ancora una volta si disse che
doveva conoscere il suo nemico perché tanto
l’avrebbe rivisto comunque e aprì
la sua scheda personale. C’era una foto in bianco e nero come
molte delle
altre, appariva a mezzo busto e aveva un’aria seria, non
doveva essere una foto
molto recente, oppure a Londra aveva scoperto il siero della
giovinezza. Aveva
i capelli più corti dell’ultima volta che
l’aveva visto e la barba più sfatta,
s’intravedeva una maglietta sotto una giacca più
elegante, nulla di più.
Ma le labbra, quelle labbra…
Era ancora bello come lo
ricordava.
Nella descrizione in inglese
sotto la foto erano elencate poche informazioni. Il suo ruolo di
esperto in
arte contemporanea e collaboratore del relativo dipartimento da oltre
tre anni, un riepilogo dei suoi studi in Italia e in
Inghilterra e
una nota che lo definiva tifoso del Chelsea.
Eccola lì, una vita riassunta
in quattro righe.
Di colpo le venne in mente che
forse anche sul sito del CPMA erano presenti delle informazioni su di
lei, e si
affrettò a controllare, per fortuna erano solo citati il suo
nome e i suoi
contatti nel caso anche a lui fosse venuta la malsana idea che aveva
avuto lei.
A quel punto però era
totalmente immersa nei suoi film mentali su come si sarebbe svolto il
loro
incontro. Lo scopo primario era evitare di evirarlo al primo minuto,
giusto per
dargli il tempo di vedere se aveva la faccia tosta di rivolgerle la
parola o
meno, o se addirittura in un lampo di genialità decidesse di
strisciare ai suoi
piedi e scusarsi. Quindi doveva essere preparata. E quindi era
autorizzata a
continuare le sue investigazioni.
Procedette con ordine
cercandolo prima sui principali social network, ma in tutti
trovò account
protetti o completamente oscurati, com’era prevedibile. La
seconda mossa fu
cercarlo direttamente su Google e qui ebbe alcune sorprese scoprendo
che aveva
partecipato ad alcune pubblicazioni di cataloghi d’arte e
collaborato con
curatori per piccole esposizioni. La pagina principale era quella
legata la sito
di Sotheby’s che però aveva già
vivisezionato in lungo e in largo, per cui si
decise a compiere la mossa decisiva, quella più meschina ma
risolutiva di tutte
le sue morbose curiosità.
Per una serie infausta di
vicende in passato era venuta a conoscenza della password
dell’account di
Facebook di Filo, se ne vergognava un po’ ma
all’epoca non le venne nemmeno in
mente di usare quell’informazione per rintracciare Manuel,
mentre in quel
momento non si fece scrupoli a violare la privacy di Filo (che tanto
poi usava
Facebook una volta ogni tre mesi).
Cercò immediatamente Manuel e
l’unico contatto riconducibile a lui era un certo Emm Bress,
però con grande
stupore scoprì che non erano ‘amici’,
che anzi condividevano solo l’amicizia
con una certa Katelin Marsh Mellow. Sebbene il nome non promettesse
benissimo
quella donna sembrava essere l’unico collegamento tra lei e
Manu; appena aprì
il suo profilo Alice capì di aver fatto centro.
L’immagine ritraeva il mezzo
busto di una ragazza in bianco e nero. Era discretamente carina, si
potevano
intuire capelli ricchi e scuri ma gli occhi erano coperti da occhiali
da sole che
decoravano un volto rotondo e paffuto. Era una bella foto, forse
addirittura
professionale. Nella foto abbracciava un uomo a cui arrivava a stento
alla
spalla, di cui però era stato tagliato completamente il
volto e gran parte del corpo
impedendo di rivelarne l’identità. Nelle
informazioni risultava nata a
Liverpool ma residente a Londra, dipendente
dell’Università di Londra ed
impegnata di una relazione complicata con Emm Bress. Quella era la sua
nuova
ragazza? Quella!?
Dei post non ci capiva
praticamente nulla poiché erano tutti in inglese ed era
troppo tardi per
leggerli con attenzione, quindi si buttò direttamente sulle
foto prima che a
Filo venisse in mente di entrare nel suo account. Aveva pochi album e
almeno
duecento foto caricate dal cellulare.
Il primo album erano foto di
un casolare in campagna, c’erano alcune ragazze con lei e
nella maggior parte
lei sorrideva con indosso un abitino a fiori colorato un po’
demodè. Il secondo
erano evidentemente foto di una festa, in una di queste era presente
Manuel
nascosto nella penombra di una terrazza, di lui si distinguevano solo
dei jeans
che avevano visto momenti migliori, una sigaretta e delle converse
verde
militare, accanto a lui c’era Katelin ma anche lei era
parzialmente in ombra e
gli parlava all’orecchio.
Il terzo album rivelò a tutti
gli effetti il loro legame. Erano in spiaggia con galosce e cappotto
entrambi e
tutti gli scatti li ritraevano in posizioni e atteggiamenti conviviali
se non
addirittura intimi. In alcuni appariva un terzo ragazzo in altre solo
lei,
Manuel non era mai inquadrato direttamente e indossava sempre occhiali
da sole
e sciarpone davanti al viso.
Non gli era mai piaciuto farsi
fotografare, Alice lo ricordava bene e la consapevolezza di serbare
ancora
certi ricordi le strappò un sospiro.
Provò a sbirciare le foto
caricate del cellulare sperando di trovare un inquadratura decente di
Manuel.
Le prime erano cavolate:
piatti di cibo, scarpe o accessori interessanti, poi c’erano
dettagli
casalinghi come un cesto per la biancheria stracolmo con un commento
sarcastico
sui costi delle lavanderie o lei con una cuffia per la doccia tutta
fiori e
paperelle. La prima che catturò la sua attenzione ritraeva
un uomo seduto con
la fronte contro un tavolo pieno di birre e le braccia a penzoloni nel
vuoto, c’erano
una valanga di commenti riferiti a quello che comprese essere un Manuel
particolarmente ubriaco, il più enigmatico di tutti diceva
‘le donne italiane
lo perseguitano’.
Dopo un’altra serie di foto di
cibo e piatti vari ne trovò una che raffigurava un Manuel a
figura intera perplesso
davanti al banco frigo di un supermercato la didascalia citava
‘the chef
dilemma’, seguivano altre foto di loro di due, in una delle
quali lui dormiva
sulle sue ginocchia a torso nudo mettendo così un freno ai
dubbi di Alice sulla
loro relazione.
Spense il portatile con la sensazione
di non aver risolto nulla, se non di aver acuito il suo malessere. Si
sentiva
stanca e per nulla preparata dalla portata dell’evento, anzi
tutta la carica e
la curiosità che le avevano dato le prime foto era sfociata
in un senso di
colpa senza ragioni.
Non voleva davvero rivederlo,
non aveva idea di come gestirlo ne di come rapportarsi con questa
Katelin Marsh
Mellow che era
evidente fosse l’amica
che avrebbe portato con se in luglio.
Inutile
spazio autrice:
Lo
so sono in ritardo di milioni di anni... ma ho avuto ottime ragioni.
Diciamo.
Ringraziate
tutti Sandra... senza il suo betaggio avrei fatto un pasticcio. Grazie
mille carissima.
Ho
solo tre cose da dire:
-questo
capitolo si configura come speculare a quello precedente e ancora non
entriamo nel vivo della storia, ma c'è tempo vedrete..
-io
odio leggere il linguaggio da social network, ho cercato di evitarlo il
più possibili ma in alcuni casi mi scuso ma era necessario.
-Kate
si chiama Katelin Mellow, ho scelto di scherzare un po' sul cognome e
sulla sua apparenza paffuta e burrosa per questo il gioco di parole con
i dolcetti marshmallow e il nome di fb.
Se
avete domande sul lavoro di Alice non fatemele... è stato un
incubo reperire informazioni su ingegneria e roba varia. Per tutto il
resto sarò ben felice di rispondere appena ho tempo.
Non
ho nemmeno risposto a tutte le recensioni, proverò di farlo
quanto prima. So sorry.
Ora
sono le 02:16 del mattino quindi passo e chiudo.
Come
sempre su fb sono Fuori Target Efp.
1bacio.Vale
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