ARE
WE THE LAST
LIVING SOULS?
Tamburella
con
le dita sul ginocchio, freneticamente. Non
lo so. Guardati intorno, ansiosamente. Chi lo sa.
Mordicchiati il
labbro, fa niente se poi sanguina. Tutto passa prima che ti sposi,
dicono, ma
forse è perché non ti sposerai mai.
Apri il cassetto della scrivania, cos’è tutta
questa fretta? Squaglia, gira,
lecca, infiamma. Aspira.
-Cos’è
che
combini, Agnes?-, una voce arriva alle sue spalle, ma lei non risponde.
È
troppo presa dal vorticare del nulla che ha nella testa in questo
momento.
-‘Nes?-, ripete
Logan, ma non è preoccupato. Si avvicina con calma,
guardandosi attorno. Ha
sempre amato quella stanza, gli ha sempre detto qualcosa, anche se non
ha mai
capito cosa. Gli dava una bella sensazione, di libertà, di
adolescenza, di spreco. A ben
pensarci, Agnes gli pare
l’incarnazione del cosiddetto ‘live fast, die
young’, ed è anche e soprattutto
per questo che l’adora, molto probabilmente. Lei è
una a posto, nonostante
tutto. Si è persa e non fa niente per ritrovare la sua
strada, ma questo
semplicemente perché ha imparato a convivere con tale
situazione. È una che sa
il fatto suo, che non si arrende. È una che continua ad
andare avanti, magari
strisciando, ogni tanto, ma non si pone il problema. Non le interessa.
È Agnes,
niente di più, niente di meno.
Una
ragazza straordinaria, intelligente e brillante che nonostante i suoi
diciassette anni ha già capito molto. Abbastanza per farsi
le ossa ed avere
palle a sufficienza per prendere a calci nel culo chi merita. Forse
Logan la
invidia un po’, in effetti, o forse ha una sorta di
cottarella per lei, questo
ancora non si è capito.
-Rifletto.-,
risponde lei senza preoccuparsi di voltarsi e guardarlo in faccia,
continua a
dargli le spalle mentre si ostina a fissare l’azzurro del
cielo fuori dalla
finestra. -Anzi, contemplo.-, si
corregge.
-Pensavo non ci
fosse niente di degno, al mondo.-
-Infatti non
c’è.-, lo rassicura, facendo scaturire in lui
ilarità. -Contemplo la merda.-
-Ah, wow!-, fa
sarcastico Logan. -E com’è?-
-Merda, Logan, è
merda. Fa proprio schifo, non saprei come dirtelo.-
-Intendevo com’è
contemplare la merda, genio del male!-
-Ah, scusa.-, fa
una breve pausa. -Be’, è una merda comunque.-,
chiude il discorso.
Ridete, sorridete, state bene, siete felici. Il mondo è
chiuso fuori, siete voi
in un microcosmo. Piccolo e perfetto, tutto è perfetto,
è lì che siete nati per
stare.
Agnes
finalmente
si volta e guarda Logan dritto negli occhi. Ha degli occhi
così belli, sono
così dolci. Sembra quasi un cucciolo, in alcune rare volte.
Come adesso. Adesso
sarebbe un momento perfetto per abbracciarlo e dirgli quanto gli vuole
bene.
Quanto significhi per lei che lui resti.
-Sei in ritardo,
comunque, sai. Le donne non si fanno aspettare, lo dice il galateo.-
-Sul serio?-
-No. Cioè, non
lo so.-, si corregge. -Oh, ‘fanculo. Lo dico io, okay?-
Logan ride,
butta la testa all’indietro. Ad Agnes piace far ridere le
persone, perché pensa
che quando uno rida di cuore stia bene. Non è che sia una di
quelle brave
Madonne devote al bene e all’altruismo, anzi, le reputa delle
gran puttanate.
Facilmente, per qualche breve attimo non ha la sensazione di essere un
fallimento ambulante, anzi, al contrario, sente d’aver
compiuto qualcosa.
-Me lo dai un
tiro?-
-Vuoi un pugno?-
-No, uno
spinello.-
Agnes trattiene
a stento un risolino, mentre lancia un’occhiataccia
contrariata a Logan. -Ma mi
hai preso per stupida?! L’avevo capito, eh!-
-È quello,
effettivamente, che dice la tua maglietta.-, ribatte il ragazzo
indicando il
petto di lei. Stupid.
-Veramente dice
‘guardami le tette’.-, fa risaputa, e non si
stupisce dell’espressione
d’incomprensione dell’altro. Porta
l’indice a indicare la scritta sulla
t-shirt, poi spiega: -Vedi? È proprio sulle tette,
è come a dire
‘guardamele’!-, ridacchia. Poi è un
attimo, che lo zittisce autoritaria.
Clock. La serratura scatta e subito dopo
anche Agnes. Sguardi
allarmati, movimenti bruschi, spiegazioni celeri, ordini autoritari. È mia madre. Andiamo.
Agnes
allunga un
braccio e afferra una maglia, poi mette un piede sulla sedia, uno sulla
scrivania e salta. Logan vede la sua chioma lilla sbiadito troneggiare
il
contrasto con la maglia a righe che si è infilata uscendo
dalla finestra. La
segue d’improvviso, come se si fosse appena ripreso da uno
stordimento
momentaneo. Fa una breve corsetta per avvicinarsi alla ragazza che,
senza
preoccuparsi di controllare se lui la stesse seguendo, aveva preso a
marciare
fuori dalla porta in legno sconquassata, diretta non si sa bene dove.
Lo
sguardo gli cade sulle sue caviglie nude, nota che non ha i calzini,
immagina
che tra un po’ se ne lamenterà. Poi sale per le
gambe spaventosamente magre,
nivee, e giunge ai pantaloncini azzurrini del suo pigiama.
-Perché?-
-Non mi andava
di vederla. O sentirla.-
-Ahn.-, fa poco
interessato il ragazzo. -Ma del tipo che sei in pigiama, o sembra a me?-
-Sì, qualcosa
del genere. Ma va be’…-
La fievole luce
delle cinque e quaranta di agosto brilla come un faro, la stella del
mattino
che conduce i marinai alla fermezza della sollievo. Un leggero
venticello li
avvolge come una calda coperta, lasciando i loro cervelli indecisi se
provare
gratitudine o delusione, ed un quartiere tranquillo li circonda.
Foglie
che
cinguettano, giardini che abbaiano, fuggiaschi senza una meta. Troppo
silenzio,
due menti che elaborano, vicoli ciechi. Stiamo
correndo in circolo.
-Scegli
tu dove
andare.-
-C-cosa? Ma
Agnes…-
-Scegli!-, gli
mette fretta, sente l’ansia arrivare.
-Verso la
fermata del tram, andiamo al molo.-
S’incamminano,
l’ansia sembra non reggere il confronto e restare indietro
nella corsa, ma il
dubbio si è appena scontrato con Logan. -Perché
questo?-
-Cosa?-
-Perché ho
dovuto scegliere io.-, spiega contrariato. La risposta la conosce
già, ha fatto
scaturire la rabbia che ora gli sale in gola, trattiene le parole che
questa ha
condotto con sé perché vuole prima esserne
sicuro. O forse spera solo di
essersi sbagliato.
-Mi stava
venendo ansia.-
-Sì, ma perché?-
-Dovevo
scegliere. Non riuscivo a scegliere.-
-Hai scelto di
non scegliere.-
-Ho scelto di
non scegliere.-
-Lo fai tutti i
giorni, Agnes…-, conclude abbattuto, la voce un filo di fumo
che man mano si
disperde nel cielo.
-Scegliendo la
droga.-, sembra dispiaciuta.
Sensi
di colpa,
marea alta, pioggia di lacrime che si depositano nei polmoni. Profondi
sospiri,
gli intestini annodati, fronti aggrottate. Morsi alle labbra, timori
nel cuore,
voglia di sparire con un pop.
-Avrei
dovuto
prestare più attenzione al film, quel giorno a scuola.-
-Mh?-
-Quando Ricketts
ci ha fatto vedere Trainspotting*,
dico.-
-…-
-O, avanti
Log’!-
-‘Nes?!-
-Non fare quella
faccia!-
-Non sto facendo
nessuna faccia.-
Il loro
insegnante di biologia aveva fatto vedere loro quel film durante una
delle
troppe lezioni volte alla prevenzione della tossicodipendenza. Ad Agnes
non era
rimasto troppo impresso, le immagini proiettate nella sua mente non
trovavano
nessun ricordo per orientarsi nello smistamento e così erano
svanite col tempo.
Poi il caso aveva voluto che una frase si ripresentasse alla sua
memoria, con
irruenza, violenza, ci si era schiantata lasciando un calco indelebile.
Ho scelto di non scegliere…
Scegliendo la
droga.
Ma non si
trattava di questo, all’inizio. Quando il declino era
cominciato, era
semplicemente causa di quel futuro troppo evanescente per essere
concretizzato,
così velocemente che gli ‘adesso’ erano
stati tutti sostituiti dai ‘poco fa’.
Agnes aveva un presente in mattoni, tra le mani, ma non sapeva che
farci,
perché non aveva un futuro da costruire. Allora se lo
gettava alle spalle,
lasciando che il cumulo di detriti del passato aumentasse di livello a
dismisura. Col tempo qualche opzione le capitava a tiro, ma le mancava
tutte,
quasi di proposito, potremmo azzardarci a dire. Aveva perso la strada e
trovato
un rifugio nella droga, così confortante che
persino ora che più vie le erano
state indicate, non se la sentiva di riprendere il cammino. Stava bene,
non
aveva bisogno di altro. Lasciava che la vita le scorresse addosso come
una
rinfrescante pioggia estiva, si beava nel flusso dei suoi pensieri, non
si
preoccupava di niente. E questa era l’unica cosa di lei che
lasciava Logan
contrariato. La soluzione non c’era solo perché
Agnes non la guardava.
Accuse.
Carenze
motivazionali. Ispirazione agli sgoccioli. Apatia. Assenza di senso.
Paranoia.
Paura.
-Ag…
Agnes,
che… ?-, si allarma, anche
il suo cuore
inizia a battere all’impazzata nel buffo tentativo di
apparire come quello
della ragazza. -Respira. Respira. Piano, con calma. Ecco,
così…-, le posa una
mano, aperta, sulla schiena piegata in avanti, e l’altra la
porta al suo petto.
-Non lo so…-,
singhiozza lei, inizia a tremare. -Non lo so…-, ripete, -Non
lo so…-.
-Voglio un latte
alla ciliegia.-, sentenzia in chiusura, la voce flebile e lo sguardo
docile.
Logan le sorride, felice che si senta già meglio, e
l’aiuta a mettersi su
diritta con la schiena. Poi lei gli afferra la mano, sentire la stretta
fredda
e sudaticcia di Agnes gli ha acceso un fuoco nel cuore.
I passi si
susseguono lenti e cadenzati, i battiti del cuore si sincronizzano,
davanti a
loro la discesa che li condurrà alla riva.
Tranquillità,
armonia,
pace
interiore.
-Te
lo immagini
come sarebbe se al mondo restassimo solo io e te?-
-Sarebbe bello.
Ma non avremmo Nathan, penso che dopo un po’ mi mancherebbe. A
te no?-
-Mh, anche,
credo, sì. È un po’ difficile da dire,
non pensi?-
-Sì, infatti.-
-Però, in effetti,
senza la band… Oh, senti, non farmici pensare che non ne
vengo fuori!-, taglia
corto Agnes, mentre lascia andare la mano di Logan per sventolarla in
aria,
come stesse cacciando una mosca fastidiosa che le ronza attorno alla
testa. Poi
si avvicina un po’ di più a lui e posa la testa
sulla sua spalla, si fa cingere
i fianchi dolcemente. Lo sente, il tocco di Logan, lo sente che non
è quello di
un amico. Realizza che le va bene così; il bene che si
vogliono è qualcosa di
puro, non va detto, va sentito. E
quell’affetto, non a condiviso con la persona cui esso
è indirizzato, va
regalato e basta. Ed è così che quel sentimento
è reso possibile: entrambi
sanno che c’è, da qualche parte, nel profondo dei
loro cuori, ma non ne fanno
parola, a malapena ci pensano.
Tuttavia, il
loro bassista, quel Nathan che vengono da nominare, se
n’è ben accorto, ed è
loro grato per l’atteggiamento che hanno assunto. Quando
aveva trovato la band,
aveva trovato la salvezza, era giunto al riparo tra quattro mura
casalinghe, e
sapeva che Agnes e Logan, ormai consci dei loro sentimenti, li tacevano
per non
rovinare quell’atmosfera familiare che era venuta a crearsi.
Perché se c’era
qualcuno che non potevano permettersi di perdere, erano proprio loro.
E allora andava
bene così.
Un
passo, ancora
un altro. Un battito, ancora un altro. Uno sguardo, ancora un altro.
Osserva il
mondo, cattura quei momenti e imprimili nel cuore. Un passo, ancora
uno. Un
battito, ancora uno. Uno sguardo, soltanto un altro ancora. Non
c’è niente che
non vada, quando l’aria marina invade i tuoi polmoni. Un
passo, un altro
soltanto, un battito, ancora uno. Il tempo fluttua leggero e ti lascia
un vuoto
nel petto senza che tu te ne accorga. Avanti, ancora un altro
po’, presto
potrai fermarti.
Non
è sempre
vero che la curiosità uccide. Ciò che tiene in
vita Agnes è proprio questa. Perché
ciò che ha vissuto finora nulla le ha dato se non sconforto.
È delusa dal
genere umano, ha perso ogni speranza. Ma non sa quello che domani
può
riservare, ed è dannatamente curiosa di scoprirlo, pur
immaginando che non sarà
nulla che non abbia già visto. Ma sa che, di tanto in tanto,
la vita ti dà
delle stupefacenti sorprese, e lei è avara. Non vuole
perdersene una. Allora
cammina, oggi non sarà più lungo di ieri. Sa di
potercela fare.
Cos’è un brutto
giorno in più, quando alle spalle ne hai da vendere?
*film
di cui vi consiglio di vedere almeno la scena iniziale, almeno per
avere un po' più chiaro ciò cui si riferisce la
storia.
DE’s:
Nulla
da dire,
sto sperimentando. Ma non come potreste credere voi.
Vi sarei grata
se mi deste la vostra più sincera opinione, è
importante. Molto.
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