Il
Colore della Pelle.
Stavo
guardando che differenza di colore c’è tra
l’interno della mano:
il palmo e la superficie. Rosa e ocra chiaro.
Mi
ricordai di quella volta, tanto tempo fa quando ancora frequentavo le
scuole materne, quando la maestra disse ai propri alunni di mettersi
in coppia e di prendere la mano del proprio compagno, per andare in
mensa e fare colazione.
Quando
gli porsi la mano, lui non me la diede subito; infatti
allungò la
manica della propria maglia fino a coprirla e poi molto infastidito
mi diede quel pezzo di stoffa che dovetti stringere.
Sgranai
gli occhi incredulo e non riuscivo a capire il motivo di quel gesto.
Una volta che ci sedemmo a tavola guardai le mani degli altri bambini
e compresi: loro avevano le mani bianche, come il latte.
Passarono
gli anni e cominciai ad essere distaccato e freddo nei confronti di
chi mi stava accanto. Se gli altri non mi volevano, beh non gli
volevo nemmeno io. Spesso avrei voluto essere più forte e
non
rinchiudermi in questa corazza e sentirmi così debole ma non
avevo
scelta. Non mi era mai piaciuto essere al centro
dell’attenzione ma
proprio a causa della mia pelle olivastra, dei miei capelli neri come
i miei occhi, io ero comunque diverso.
Cominciai
a diventare più sicuro quando incontrai Thomas, un amico
vero e
fedele. Che non ti giudicava dalle apparenze; una persona a cui non
dovevi dare nessun tipo di spiegazione. Perché lui ti capiva.
Diventammo
migliori amici e lo stimavo come persona. Lui non si faceva problemi
se qualcuno gli parlava alle spalle, no. Prendeva la persona in
questione e gli diceva ciò che pensava.
Thomas
era diventato il mio nuovo punto di rifermento e sapevo che grazie a
lui sarei diventato una persona migliore.
Entrambi
avevamo una forte passione per la musica, io suonavo la fisarmonica e
lui la chitarra. Prendevamo gli strumenti alla mano e le prime note
che ci balzavano in testa, diventavano una melodia.
Pensai
a quel pomeriggio che Thomas venne a casa mia senza avvertirmi.
Infatti io ero sotto la doccia quando sentii dei rumori provenire
dalla casa. Subito pensai che poteva essere mia madre che era tornata
dal lavoro e la chiamai più volte ma non mi rispose.
Preoccupato
uscii dal bagno, mi avvolsi un asciugamano attorno alla vita e andai
a controllare. Vidi Thomas.
Lui
che mi guardava con quei occhi grandi e verdi, con quei riccioli e
morbidi e ben definiti.
«Che
ci fai qui?» Domandai.
«Avevo
bisogno di parlarti. Ma forse è meglio, che prima tu finisca
di
farti la doccia. Guarda hai bagnato tutto il pavimento.»
Rispose
mettendosi una mano dietro la nuca e poi indicando tutte le gocce che
mi ero trascinato dietro.
Annuii
facendo cenno con la testa. Finii di lavarmi e fresco andai di nuovo
dal mio amico.
«Beh,
che succede?»
«Sono
confuso. Non so che cosa voglio dalla vita. Non ho una fidanzata, i
miei genitori non fanno altro che litigare, a scuola faccio
schifo...insomma non ho niente che vada bene...» Era
tormentato. Lo
percepivo dal tono di voce, che prima era basso poi iniziò
ad urlare
e concluse la frase in un sussurro.
Perché
si doveva lamentare? Io che dovevo dire? Ero scuro, non avevo la
fidanzata, i miei erano divorziati e a scuola ero peggio di lui,
stavo ripetendo la quarta già la seconda volta dopo essere
stato
bocciato in seconda.
«Non
hai la fidanzata, cercala. I tuoi litigano, problemi loro. Si vede
che non vogliono stare insieme. A scuola fai schifo, se vuoi studiare
continua altrimenti cerca lavoro. Non serve lamentarsi,
fidati.»
Risposi tranquillo guardandolo negli occhi. Perché qualcosa
gli
doveva andare male?
Thomas
mi guardò negli occhi e si sedette a terra, poggiando le
mani sul
pavimento e guardando la soffitta: «E' vero. Non serve
lamentarsi.
Però è difficile.»
«Diventerà
ancora più difficile se non ti dai una mossa.» Gli
dissi dandogli
un leggero calcio sulla schiena: «Pelandrone,
alzati.»
«Ehi!»
Si alzò di botto. «Grazie, amico.» Disse
poi dandomi una pacca
sulla schiena.
«Di
niente.» Gli feci alzando le spalle.
«Amico,
ricordati: noi siamo fratelli!» Esclamò.
«Siamo come il biscotto
di ringo.» Continuò poi sorridente.
Anch'io
risi.
Non
passò molto tempo che Thomas decise di lasciare scuola e
cominciò a
trovare qualche lavoro: come cameriere, consegnava i giornali,
badante.
Successivamente
si fidanzò e con i pochi soldi che era riuscito a guadagnare
convinse la compagna a convivere.
Intanto
io, con molto impegno riuscii a diplomarmi. Questo soprattutto grazie
a quella giornata in Thomas mi confessò di sentirsi sperduto.
Lo
ero anch'io e dandogli qualche consiglio, aiutai me stesso. Decisi
che dovevo prendere in mano la mia vita e che dovevo smetterla di
rovinarla così. Non dovevo permettere che qualcuno potesse
distruggermi.
Incontrai
una ragazza, veramente bella. Alta, magra, un viso ben definito,
occhi neri e pelle scura.
Cominciai
a frequentarla fino a fidanzarci. Lei era figlia di medici. Fu
difficile convincere i genitori di lei. Poiché non mi
permettevano
di frequentarla e spesso ci vedevamo di nascosto. Ma questo non mi
importava. Sapevo che lei era quella giusta, sapevo che con Wlein
avrei potuto costruire un futuro migliore, per me e un giorno per i
miei figli.
Avrei
insegnato loro che non esistevano differenze di colore di pelle. Che
tutti eravamo uguali. Che bisognava sempre aiutare il prossimo, anche
se questo ci aveva fatto del male.
Anche
se c'era differenza di colore in quella stessa mano, erano comunque
vicini.
«Wlein.»
Chiamai la mia ragazza e misi in ginocchio davanti a lei. Aprii la
scatolina e non dissi niente. Vidi le sue mani unirsi e stringersi.
Notai una piccola lacrima scivolare sulla guancia. Mi alzai e le sue
braccia si allungarono su di me, allacciandosi al mio collo:
«Sì.»
Quel
anello d'oro bianco brillava ancora di più su quel anulare
scuro.
Meglio così, tutti dovevano sapere che lei era mia.
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