Credo siano passati due anni dall
NOTA DELL'AUTRICE: *Eh-ehm* Credo siano
passati due anni dall'ultima long story shonen-ai che scrissi su questo sito. In
realtà ho molta vergogna e molti dubbi su questa storia: a- perché ha poche
paranoie rispetto alle precedenti; b- perché è molto romantica, e io non so
scrivere cose romantiche; c- perché le mie storie mi sembrano sempre noiose
Y____Y...
Devo dirvi un paio di cose. I capitoli sono
ventidue, mi sembra, e sono già stati scritti tutti. Non so ogni quanto posterò,
ma posterò, perché io odio quando non riesco a finire di leggere una storia. La
vicenda si snoda su due coppie molto diverse tra loro, introdotte in due momenti
diversi. Volevo inserire diverse visioni dell'amore, una più equilibrata,
l'altra un po', come dire, angst... ma mi sa che ho caricato troppo sul melenso
u____u. Ditemi voi.
Very Important Thing: Nel testo
troverete ripetuta ossessivamente questa frase: Without Contrary is no
Progression, ovvero Senza Contrasti non esiste Progresso, di un certo
William Blake, e, come dice il titolo, è la chiave di lettura. Mi sembrava
giusto puntualizzarlo. Per il resto, non fate caso a certi sproloqui sull'Arte.
Ho molte idee mie. Saltatele, sono noiose. Non so nemmeno come ci sono finite
nella testa di Lelio.
Buona Lettura ^_^
Giovedì sette Dicembre,
Una nevicata; un bigliettino; troppi caffè; una
riflessione disarmonica e l’Equilibrio Cosmico spezzato in molte parti.
I.
La strada era immacolata ai
suoi occhi. Un velo di neve copriva magicamente ogni dettaglio del parco
sottostante la finestra contro cui Lelio era stancamente appoggiato, stendendo
una sorta di letargo onirico sopra la terra. Lelio amava molto l’inverno –
freddo, puro, distaccato, gelido. In molti versi si riconosceva nella sua intima
solitudine e nella maniera in cui creava distanze tra le cose, sommergendole di
contrasti tra la luce ed il buio delle notti precoci. Quella mattina stava per
sorgere il sole. Di lontano, presumeva, sulla linea dell’orizzonte, l’alone
lattiginoso delle mattine di Dicembre incendiava il paesaggio dei colori
dell’aurora. Lui non li poteva vedere – scorgeva solo le sagome dei palazzi
stagliati contro il cielo di una Metropoli che cominciava a svegliarsi dal lungo
oblio notturno, e i riflessi di quei raggi fantasmagorici proiettati sul manto
di neve compatta. Avrebbe desiderato uscire e stare al freddo il più presto
possibile. Sospirò, scivolando ancora di più contro il vetro che si appannò del
suo fiato formando una traccia di circonduzioni fantasiose e di disegni astratti
particolarissimi.
“Cea. Siamo di nuovo in
ritardo. Ti prego.” Sembrava distrutto.
“Cosa? Cosa, ti prego –“
Mircea rispose dal bagno.
Lelio sentì qualcosa di pesante
cadere sul pavimento, o qualcuno, presumibilmente qualcuno, cioè Mircea, e pensò
che quel sottilissimo filo che lo sospendeva ancora sopra un mare di pace e
contemplazione della bellezza scintillante dell’inverno si fosse spezzato, e
l'avesse fatto precipitare di nuovo nella sua piccola tragedia quotidiana. Erano
le sette e mezza del mattino. Lui era stanco. Avrebbe solo voluto dormire, o per
lo meno vagheggiare con la mente in quello stato che è simile al sonno, e che
appanna la realtà di una certa quantità di incoscienza, di obnubilamento e di
fantasia.
“Sono pronto, sono pronto, sono
pronto, prontissimo e non siamo in ritardo e dov’è il mio caffè?” Cea entrò in
cucina correndo. Davvero Lelio non si spiegava come anche di mattina,
prestissimo, trovasse le forze per essere così disordinato.
“Il tuo caffè. È freddo.” Era
sempre più rannicchiato contro il vetro.
“Oh, ti sei svegliato male?”
Ora Lelio si voltò.
Pesantemente. Lo squadrò coi suoi occhi verdi e chiarissimi per l’albore della
mattina e sibilò che doveva parlare piano. “Sveglierai la belva feroce.”
Mircea impiegava
sorprendentemente venti minuti per alzarsi dal letto ma solo cinque per
prepararsi. In realtà trascinò Lelio in ascensore e finì di rivestirsi mentre
scendevano. Sul vialetto, di nuovo immerso nella sua beatitudine e nel silenzio
delle desolazioni antelucane, a Lelio sembrò di riguadagnare calma e serenità.
Il parco era spoglio e deserto, tranne per loro due, che camminando tracciavano
una scia caotica sopra la coltre bianca uniforme.
“Ha nevicato questa notte. Che
bello.”
“Cea, non lo devi
necessariamente dire tutte le volte che nevica.”
“Sai cosa farò ora?” Lo guardò.
“Ti ignorerò per tutta questa fantastica, meravigliosa, incredibile,
entusiasmante giornata, e non permetterò al tuo pessimismo abissale di rovinare
l’Equilibrio Cosmico della mia vita brillante.”
“Perfetto.” Lelio alzò le
spalle. Si accese una sigaretta perdendosi con la mente nel nitore della
camminata, mentre il vento gelido batteva sulla sua pelle scuotendolo di brividi
e di strane sensazioni di libertà e leggerezza.
II.
Quando Mircea tornò in classe,
trovò un bigliettino sopra la Linea-di-Demarcazione che aveva tracciato sul
banco per ricordare a Lelio con precisione dove finisse il suo territorio, e
fino a dove si potesse azzardare a guardare per non spezzare la precarietà
dell’Equilibrio Cosmico. “Ha violato la Legge dell’Equilibrio Cosmico!” Esclamò
guardando il foglietto ordinato invadere il suo spazio.
Il bigliettino diceva:
Data la tua
insofferenza e le tue escatologiche previsioni di cedimento di qualche assurda
membrana cosmica, poterò il mio potere altamente distruttivo altrove, e
precisamente in qualche posto ombreggiato giù nel cortile, con qualche persona
dolce e gentile dai capelli neri e dagli occhi verdi di sesso femminile e
decisamente innamorata di me che non passi tutto il tempo a ricordarmi quanto
instabile sia l’universo se io sono di cattivo umore.
Perdona il
disagio, Cea, sacerdote della Suprema Armonia Universale.
Mircea ripiegò con cura il
biglietto prima di cestinarlo, annotandosi mentalmente: e chi se ne frega. Due
minuti dopo era in cortile. Scese di corsa tre rampe di scale e si guardò
intorno cercando disperatamente con lo sguardo lei, la seduttrice,
l’ammaliatrice, la strega dalle lunghe ciglia svolazzanti. “Giulia!” La fermò
sorridendo – perché Mircea sorrideva sempre a chiunque dalle altezze vertiginose
del suo buonumore perenne –.
Lei si voltò sbattendo
vagamente le ciglia. “Sì, Cea?”
Cea si impose di chiarire a
Lelio, quando l’avesse visto e quando il pericolo di collasso dell’universo
fosse cessato, che Giulia non era affatto innamorata di lui, ma di qualsiasi
ragazzo che fosse minimamente bello. “Hai visto Lelio?”
Lei sembrò un po’ delusa. “Non
devi sempre rincorrerlo, sai.”
“E’ lui che semina le
bricioline.”
Lei ci pensò un attimo. “E’
andato a prendersi un caffè.”
Era prevedibile, considerata la
dipendenza di Lelio da nicotina e caffeina. La salutò gentilmente e ripercorse
al contrario le solite tre rampe di scale fino alle macchinette di erogazione
automatica. Cea lo poteva scorgere anche tra una folla di gente ammassata e
rumorosa – alto, slanciato, i lunghi capelli neri raccolti ordinatamente dietro
la schiena in una coda perfetta, bellissimo anche visto da quella posizione. Il
suo fascino dark spandeva un’aura magnetica attorno alla sua persona. Arrivando
fugacemente, Mircea si accorse che molti lo stavano guardando.
“Lelio!” Gridò dal
pianerottolo. “Fine delle ostilità!” Dichiarò.
Lelio si voltò, - eccoli i suoi
occhi verdi tanto penetranti! – Pensava lanciandosi su di lui. “Scusa-scusa-scusa!”
“Cea non c’è bisogno di
saltarmi addosso in mezzo a tutte queste persone!”
“Non sei arrabbiato con me,
vero?” Cea sbatté gli occhioni azzurri irresistibili.
Lelio lo abbracciò teneramente.
Era una sensazione che non si spiegava, ma di cui non riusciva a vergognarsi.
Lui era sempre grave e scostante, piuttosto di cattivo umore, riflessivo,
distaccato, immerso in contemplazioni intelligibili e, genericamente serio.
Serio con qualunque altra persona che non fosse lui. “No,” Gli sorrise.
III.
C’erano due persone che Lelio
amava sopra ogni altro nella sua vita, ed erano Mircea e sua sorella Ottavia.
Mircea, perché si conoscevano fin dal giorno in cui erano nati; Ottavia perché
nonostante abitassero in due case differenti, in due quartieri differenti, e si
dividessero i genitori in maniera equa, erano riusciti a mantenere un contatto
strettissimo e affettuoso. In realtà Lelio si considerava molto vicino alla
misantropia, e sicuramente un misogino. Se erano pochi i ragazzi che stimava,
praticamente nulle erano le ragazze con cui aveva un dialogo che andasse oltre
la provocazione.
Mircea era il suo esatto
contrario, a volte pensava, la sua compenetrazione, la sua controparte, il
bilanciamento del suo microcosmo. Gli sembrava impossibile che dopo tutto il
tempo trascorso assieme, dopo diciotto anni di quasi-convivenza, avessero potuto
sviluppare idee radicalmente opposte nei confronti del mondo. Se Cea era
caotico, Lelio era ordinato fino a livelli maniacali. Se Cea era costantemente
allegro e spensierato, lui si rabbuiava per cose da nulla e pensava tanto,
troppo. Se Cea sorrideva sempre bonariamente e voleva bene a tutti senza farsi
influenzare, lui non sopportava più della metà delle persone che conosceva e con
cui doveva interagire. Se Cea era un equilibrio perfetto e solare, lui era gli
estremi della passione portati allo sfinimento. Nonostante queste differenze
abissali ed incolmabili, gli voleva bene con tutto il cuore. A volte pensava di
amarlo come un secondo fratello. Non stava particolarmente bene. Non era felice
perché non era soddisfatto. Questo Mircea lo vedeva, sentiva il suo movimento
continuo, la sua spinta ed il suo slancio verso una situazione migliore, la
tensione che scorgeva la Felicità, senza mai afferrarla, senza mai capirla.
Proiettava timidamente i suoi limpidi raggi di sole.
“Sapevo che si sarebbe
ingelosito. Sono andato da lei solo per dirle dove trovarmi. Ho lasciato una
scia per essere seguito. È morboso, secondo te?”
“Dipende.” Lei guardò fuori
dalla finestra con una certa preoccupazione.
“Lo adoro e basta, Ottavia.”
Un’altra pausa caffè. Lelio si
nascondeva dietro l’armadio del corridoio per non essere trovato fuori classe
dal suo professore di filosofia che continuava misteriosamente ad andare avanti
e indietro.
“Sì! Lo sai come la penso.
Siete fatti l’uno per l’altro e vi volete bene e vi amate e starete insieme
tutta la vita felici e contenti, no?”
Lelio la trafisse con lo
sguardo di ghiaccio. “No.” Ammise. Chinò il capo.
“O, come si dice, – without
contrary is no progression. Voi siete la legge dell’ambivalenza. Tout
court.”
Lelio sembrò assorbire per un
secondo quelle parole. “Tu sei ossessionata.” Scosse la testa, appoggiandosi
contro il muro del corridoio. Guardò il cielo che era rimasto bianco e che gli
trasmetteva nell’animo solo una profonda sensazione di vuoto, un bisogno
inconfessabile di qualche riempimento superiore. Si sentiva malinconico e
triste. Non capiva nemmeno perché. L’ansia, quello strano senso di soffocamento
interiore, lo colpiva di tanto in tanto quando, pensieroso e sconvolto, si
perdeva nella sconfinata immensità dei suoi pensieri come in un naufragio
dell’intelletto.
“E’ strano sai,” Gli disse lei.
“Tu sei bello, intelligente e fortunato. Dovresti essere felice.”
“Dovrei.” Scosse la testa. “Ma
c’è un’inquietudine che mi lacera dentro. Una paura di non so quale
cambiamento.”
“Mm.” Lei scosse la testa.
“Capisco.”
Veramente Ottavia capiva sempre
tutto.
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Martedì ho passato l'esame della patente!
Ok, era solo teoria, ma ero gasatissima e ho deciso di postare questa cosa che
giaceva ignorata da mesi tra i miei documenti.
Presentazioni: Io amo il nome Mircea. E' un
nome sconosciutissimo, ne ho contati due in tutta la Storia, il fratello di
Dracula (sì, si chiamava così) e un certo Mircea Eliade, uno studioso rumeno di
religioni ed esoterismo. Infatti è un nome slavo, deriva da 'mir', che in russo
vuol dire 'pace'. Mircea è qualcosa di biondo, chiaro, buono, scintillante, un
po' tonto a volte, lento e incasinato in tutto ma tanto tanto dolce e carino,
insomma, è il polo positivo. Lelio è più complesso e non ve lo sto a raccontare.
E' un esteta, ed è quello che incarna di più il mio pensiero. Per quanto
riguarda Ottavia... oddio, spero di non aver creato una Mary Sue! Lei sa tutte
le poesie a memoria, e a volte bisogna interpretarla perché parla per citazioni.
Come me conosce un sacco di ragazzi bellissimi a cui piacciono i ragazzi
bellissimi, per questo è ossessionata dallo slash e cerca con tutte le sue forze
di fare innamorare Mircea e Lelio. Ne è proprio convinta. Il Cerbiatto, detta
Giulia, per quanto vi sembri strano è un personaggio vero, una mia compagna di
classe che noi chiamiamo Piccolo Cervo perché sbatte le ciglia che sembra Bambi.
E' una ragazza simpatica, ma a volte sbatte le ciglia un po' troppo... E la
Belva... Beh, la Belva la incontrerete. E' il dio del tuono...
Commentate, grazie ^___^ Al prossimo
capitolo.
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