Preamboli di dubbia
utilità:
Nella
mitologia norrena, Snotra era una delle divinità maggiori
(gli Æsir) residenti ad Asgard, il suo nome viene associato
alla schiera di divinità benevole e protettive ed era nota
per la sua saggezza, per la sua attitudine a comprendere le cose e per
il suo nobile aspetto (tra l'altro, wikipedia docet, snotr significa
appunto “assennato”).
Considerando che la versione “marveliana” di Asgard
è parecchio riveduta e corretta, la mia fantasia perversa ha
fatto del personaggio di Snotra una sorta di studiosa, istitutrice dei
figli di Odino.
La storia (fino a eventuale nuovo ordine del mio musO ispiratore...
perché lui è un maschio, ma è una
lunga storia) è composta da sei capitoli/episodi
più un eventuale epilogo sul quale io e Loki ancora dobbiamo
metterci d'accordo. Ogni capitolo è collegato a una
citazione di una canzone di Fabrizio De Andrè
perché ognuno ha i suoi vezzi...
“Io sono la regina dei refusi”. Citazione
pseudo-colta. Per quanto spesso io rilegga le cose prima di postarle,
mi sfugge sempre qualcosa. Sorry.
Pareri, critiche, commenti, suggerimenti sono sempre bene accetti.
Buona lettura.
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UNA GOCCIA DI SPLENDORE
1° Episodio
“E neppure la notte ti
lascia da solo:
gli altri sognan se
stessi e tu sogni di loro”
Le stelle erano al loro
posto, inesorabili.
Snotra non aveva mai
trovato particolarmente confortante il silenzio e
l’immobilità delle notti di Asgard né
amava l’inattività e la mancanza di illuminazione.
Le sue notti erano fatte di lunghe ore scandite dal tremolio delle
fiamme e dalla loro luce dorata che le permetteva di leggere le pagine
dei suoi libri o di scrivere i suoi appunti e vergare le sue memorie.
Quella notte
però non riusciva a rimanere concentrata. Aveva letto tre
volte l’inizio di un capitolo ma la sua mente rimaneva
impermeabile alle parole impresse sulla carta.
Richiuse il pesante
volume che teneva poggiato in grembo e si avvolse una ciocca di capelli
attorno all’indice, con un gesto distratto. Da un
po’ di tempo aveva cominciato a notare che il rosso dei suoi
capelli era diventato meno scintillante. In tutti i Nove Regni gli
individui nascono, crescono, invecchiano, si disse, perché
mai ad Asgard avrebbe dovuto essere diverso? Anche ad Asgard il tempo
scorre, per quanto lentamente; anche ad Asgard le persone muoiono.
Il pensiero le
incupì lo sguardo e la donna si ritrovò a fissare
la lingua di cielo visibile tra le tende di seta dorata, una stringa di
nero chiazzato di stelle. L’aria portava l’odore
della pioggia e anche qualcos’altro: presentimenti funesti
che Snotra cercava inutilmente di ignorare.
Da quanti giorni il
figlio di Odino era partito? Il tempo aveva preso a scorrere ad un
ritmo strano e lei aveva perso il conto dei tramonti trascorsi da
quando Thor aveva lasciato il palazzo per tornare su Midgard e
riportare indietro Loki.
Loki era vivo
.
Doveva restare un
segreto, secondo il volere del Padre degli Dei, ma non c’era
quasi nulla che riuscisse a rimanerle celato tra quelle pareti dorate e
quella di mantenere un segreto era un’abilità che
a Thor era sempre mancata. Era stato lui, infatti, ad andare da lei e
chiederle se c’era un modo per tornare su Midgard, se nella
biblioteca del palazzo c’era qualche testo che spiegasse come
viaggiare attraverso i Nove Regni senza l’ausilio del
Bifrost. Quando gli aveva chiesto il motivo di questa domanda formulata
con evidente apprensione, il figlio di Odino non era stato in grado di
mentirle.
«Devo tornare
sulla Terra. Loki si trova lì ed è mio dovere
riportarlo a casa».
Snotra si era lasciata
sfuggire un moto di stupore e si era portata la mano al petto sentendo
il cuore pulsarle al ritmo di un'emozione alla quale non sapeva dare un
nome.
«Dunque, lo
hai perdonato?» aveva chiesto semplicemente, dopo qualche
istante di silenzio. Non era l’unica domanda che le si era
affacciata nella mente dopo quella rivelazione, ma era
l’unica la cui risposta le importasse davvero.
«Ho provato
a… comprenderlo»
«E ci sei
riuscito?»
«Non lo so. Ma
è mio fratello».
Credi che lui abbia perdonato te?
Il coraggio di dare voce
a quest'altra domanda però le era mancato. Snotra aveva
semplicemente posato una mano sul braccio di Thor e gli aveva rivolto
un mezzo sorriso triste. Esisteva un modo per lasciare Asgard anche ora
che il Bifrost era distrutto; se in passato Thor fosse stato un alunno
un po’ più diligente lo avrebbe saputo, come lo
sapeva suo fratello.
Snotra si
scoprì incapace di restare seduta alla sua scrivania e
decise di recarsi alla biblioteca del palazzo per riporre il libro che
non era riuscita a leggere.
La biblioteca era
diventata il suo regno incontrastato e lei aveva fatto dello studio e
della cura degli infiniti testi del palazzo la sua ragione di vita, fin
da quando aveva smesso di essere la precettrice dei figli di Odino che
il tempo voleva troppo cresciuti per aver ancora bisogno di
insegnamenti.
Il tempo sa essere un
tale mentitore, alle volte.
Aveva appena posato il
volume sullo scaffale, allineandolo ordinatamente con gli altri, quando
sentì il rombo lontano di un tuono. La notte si arrese alla
tempesta e Snotra seppe che Thor era tornato e quasi certamente non era
tornato da solo. Il principe non era quel genere di persona disposta ad
arrendersi.
La donna si
appoggiò con le spalle alla fiancata di un alto scaffale, il
cuore le martellava nel petto e lei sentì evaporare il suo
consueto buon senso. Sarebbe stato saggio tornare nelle sue stanze e
fingere di non sapere, come avrebbe voluto il Padre degli dei, e invece
si ritrovò a camminare verso i gradini che conducevano al
pianterreno, lungo l'angusto corridoio che portava a un'entrata
secondaria del palazzo riservata alle guardie.
Il rumore della pioggia
e l'aria umida entravano dalla porta che qualcuno aveva lasciato
aperta. Nella penombra, Snotra scorse il profilo di una guardia in
piedi accanto al battente e si nascose dietro a una colonna, restando a
fissare impietrita la scena di Loki che attraversava la soglia,
seguendo con indolenza Thor e Odino, i polsi incatenati, lo sguardo
fiammeggiante sul viso pallido in parte nascosto da un'ingombrante
arnese che gli teneva chiusa la bocca. I loro abiti gocciolavano sul
pavimento lucido e lei sentì una lama di dolore
attraversarle il petto.
Loki era vivo, ancora
una volta i fratelli che lei aveva istruito e visto crescere non si
erano uccisi a vicenda, ma nel tetro spettacolo che scorreva silenzioso
davanti ai suoi occhi, la donna non trovò nulla che la
facesse sentire sollevata.
Odino mormorò
alcuni ordini alle guardie che si erano recate con lui in cortile e
queste si allontanarono, assieme a Loki e a Thor, lungo parte opposta
del corridoio.
Se non altro, al dio
degli inganni era stata risparmiata la pubblica umiliazione di essere
trascinato in ceppi davanti a tutto il popolo della Patria Eterna.
La donna
osservò il re di Asgard fermarsi a metà del
corridoio e sospirare; fu un sospiro colmo di pena che di certo non
aveva allentato di un solo grammo il peso che il sovrano doveva avere
nel petto.
«Snotra».
La voce di Odino fece quasi eco, suonando tanto stanca quanto
autoritaria.
Lei uscì dal
suo nascondiglio, incapace di staccarsi dalla colonna, convinta che le
gambe non l'avrebbero sostenuta. Forse avrebbe dovuto chiedere perdono
per quella sortita, ma ritenne più sensato non dire niente,
anche perché lo sguardo velato del suo re le aveva come
portato via la voce.
«Potevi
risparmiarti questo spettacolo penoso» mormorò
Odino, quasi inespressivo, senza alcuna nota di rimprovero.
«Prima o poi
avrei visto o saputo, mio re» replicò lei,
chinando il capo con fare umile.
Il Padre degli dei fece
vagare lo sguardo sul soffitto istoriato, come se cercasse di scorgere
nella penombra i tratti delle rune incise sulle pareti, inseguendo
pensieri densi come le nuvole che si erano addensate nel cielo. Dopo
lunghi istanti di silenzio, si avvicinò alla donna e le
posò una mano sulla spalla.
Snotra
osservò la luce sbiadita proveniente dai bracieri posti
troppo lontano calcare i chiaroscuri sul viso del re e all'improvviso
fu consapevole di quanto lui fosse vecchio e stanco.
«Hai portato
un gran fardello per molto tempo, mi fa quasi orrore pensare che sia
stato vano» disse Odino, poi all'improvviso le sue labbra si
incresparono in un sorriso privo di allegria, più simile a
una smorfia di pena.
«Non era un
fardello, mio re, era una promessa... e non sono stata in grado di
mantenerla».
«Rammenti la
notte in cui Loki fu portato via da Jotunheim?».
«Era una notte
assai simile a questa, mio re. Era una notte di buio e
pioggia».
***
Era una notte di buio e pioggia. Ma prima della pioggia c'era stata la
neve.
L'aria sembrava avere il sentore del metallo, Snotra ne inspirava
grandi boccate cercando di imprimersi nella mente l'odore della guerra,
come se abituarsi a quel senso di minaccia incombente potesse farla
abituare anche alla paura.
Il vento gelido soffiava contro il tessuto teso della tenda, producendo
secchi schiocchi che impedivano ai pensieri di restare concentrati su
qualcosa di costruttivo.
L'esercito di Asgard, troppo numeroso per poter attraversare il Bifrost
dopo ogni battaglia, si era accampato in una vallata ai margini di un
enorme lago ghiacciato, a poche ore di marcia dal cuore della Capitale
di Jotunheim le cui alte torri di pietra scura svettavano verso un
cielo lontanissimo fatto di nubi argentee e stelle cieche.
Lei era solo una fanciulla ma Lord Alcuin, il suo maestro, aveva
preteso che lo accompagnasse e, dopo lunghe settimane di guerra, lei
ancora non sapeva se definirlo un bene o un male.
Lord Alcuin, il primo studioso della corte di Asgard, era vecchio e
aveva bisogno di assistenza, di qualcuno che trasportasse i volumi che
si era caparbiamente trascinato dietro e che lo aiutasse a sistemare le
pagine e pagine di appunti che scriveva per redigere le cronache della
Campagna di Jotunheim, la guerra di Odino contro il popolo di Laufey,
re dei Giganti di Ghiaccio, che aveva sfidato l'autorità del
Padre degli dei minacciando il benessere di Midgard.
Una folata di vento fece alzare il telo che chiudeva l'accesso alla
tenda, lasciandolo a sventolare come una bandiera e lasciando che la
neve turbinasse all'interno.
«Maledizione».
Snotra imprecò. Su Jotunheim la neve non cadeva in soffici
fiocchi, era come se volesse lapidare la terra, annegarla,
distruggerla. La giovane gettò una coperta sui libri
impilati sul tavolino addossato ad una parete di tela, cercando di
proteggere i volumi dai cristalli di ghiaccio che stavano piovendo
dentro il riparo.
Dall'apertura irrimediabilmente spalancata, Snotra scorse un lembo di
cupo paesaggio dove il bianco della neve combatteva una battaglia persa
in partenza contro il nero del cielo. Poco dopo sentì lo
scricchiolio di passi che si avvicinavano goffi, incespicando sul suolo
ghiacciato.
«Mio signore!» esclamò la giovane,
scorgendo la malferma figura di Lord Alcuin arrancare verso la loro
tenda. «Venite dentro, vi prenderà un
malanno».
Snotra non amava particolarmente il suo maestro – che la
trattava come una sciocca buona solo a trasportare pesi e ad annuire ai
suoi lunghi e tediosi discorsi, ma il fatto che un uomo anziano se ne
andasse in giro da solo, nell'infinita tormenta di neve che Jotunheim
offriva ad ogni tramonto, le sembrava un vero e proprio oltraggio al
buon senso. Con un sospiro rassegnato, corse fuori dalla tenda e prese
Lord Alcuin sottobraccio, trascinandolo dentro e passando i minuti
seguenti a combattere contro il vento nel tentativo di chiudere
l'entrata.
Aveva appena fissato il telo a un picchetto per tenerlo fermo, con le
dita intirizzite e doloranti per il freddo, quando si sentì
un tremendo boato, come se il cielo stesso fosse crollato sotto il peso
delle nuvole.
Il fragore di quel suono la fece rabbrividire più del vento
gelido. Lord Alcuin alle sue spalle si tolse il cappuccio della pesante
mantella, e mosse a vuoto le labbra sotto i lunghi baffi candidi prima
di trovare la forza di parlare.
«Apri questa tenda, ragazza» biascicò,
con la voce ancora un po' incrinata per lo spavento.
Malgrado l'ordine ricevuto, Snotra restò immobile a fissare
il nulla davanti a sé, fino a quando un grido di mille
bocche non fece vibrare l'intero accampamento.
Ci attaccano. Siamo
perduti.
La giovane si voltò, guardandosi attorno con aria febbrile.
Solo dopo avrebbe realizzato qual'era stato davvero il suo pensiero di
quei tremendi minuti: se fosse accaduta qualche disgrazia, avrebbe
dovuto portare in salvo Alcuin o i libri del palazzo di Asgard con le
annotazioni per le Cronache della guerra?
Alla fine, si costrinse a trovare la forza d'animo per scostare il telo
che chiudeva la tenda e che lei aveva così faticosamente
risistemato. Una folata di aria gelida la investì con
violenza, spingendole in viso un nugolo di cristalli di ghiaccio, tanto
che la ragazza temette che le avrebbero ferito il viso.
La neve era fitta come nebbia solida e solo dopo molti sforzi lei
riuscì a mettere a fuoco lo spettacolo che si presentava
all'orizzonte.
Una delle torri del palazzo di Jotunheim era crollata. Il cuore del
regno dei Giganti era stato spezzato: avevano vinto.
Nel giro di pochi minuti, il grande accampamento divenne una distesa di
fuochi. I soldati già si preparavano per una notte di
festeggiamenti e la neve aveva lasciato il posto da una pioggia fitta e
gelata, così pungente da sembrare una cascata di dardi.
Snotra ascoltava nel silenzio della sua tenda quella pioggia innaturale
martellare contro il tessuto impermeabile. Non era sicura che fosse un
buon segno e comunque l'esercito che aveva combattuto quell'ultima
battaglia ancora non faceva ritorno.
Eppure, canzoni allegre si levavano tra lo scoppiettio delle fiamme
– di quelle che erano riusciti ad accendere malgrado il
temporale.
Snotra si sporse oltre l'uscio del suo rifugio, bagnandosi i capelli
rossi come quelle stesse fiamme che danzavano nei bracieri sotto le
tettoie improvvisate.
L'improvviso nitrito di un cavallo a pochi metri da lei la fece
sobbalzare. La giovane si riparò gli occhi con una mano,
cercando di vedere meglio oltre la cortina di acqua che scorreva a
catinelle. Il destriero emerse dal nulla, come se fosse fatto della
stessa ombra insidiosa che avvolgeva ogni angolo di Jotunheim, con in
sella un soldato dal mantello di velluto dorato appesantito dalla
pioggia e premuto contro la schiena. Solo quando l'uomo
smontò dalla sella e le si avvicinò, lei si rese
conto che si trattava di un alto graduato dell'esercito di Asgard,
sicuramente un generale.
«Dov'è Lord Alcuin?» le
domandò bruscamente.
«Nella tenda».
Senza aggiungere altro, il generale entrò nel riparo, con il
mantello gocciolante che gli rimaneva attaccato alle spalle e il dorato
dell'armatura nascosto da macchie di sangue e fango. Snotra, ormai
fradicia, lo seguì.
«Gli ordini erano di parlare con voi, se fosse accaduto
qualcosa» disse il nuovo arrivato guardando Lord Alcuin. Da
fuori arrivavano acuti i nitriti di protesta del cavallo lasciato in
balia del temporale.
«La guerra è vinta, ma il Padre degli dei risulta
disperso. Gli ultimi che l'hanno visto, riferiscono che era ferito
forse gravemente» asserì lapidario il militare.
Lord Alcuin scattò in piedi. Era molto anziano, di
corporatura esile, indebolito dalle troppe primavere che aveva vissuto,
ma la forza della disperazione rese quel suo gesto particolarmente
scattante e fluido. Un'ombra di panico gli attraversò lo
sguardo velato da vecchio. Era un uomo pieno di sé e del
tutto privo di umiltà, ma era pur sempre uno dei
più fidati consiglieri a palazzo, un sapiente di Asgard, e
amava il suo re con tutta la devozione di cui un cuore sarebbe stato
capace.
Snotra non sapeva se provare più pena per il suo anziano
maestro o se temere per quel re che non aveva mai visto, se non
raramente da lontano, nei corridoio della reggia dove viveva da sei
mesi come apprendesti dello studioso.
«Organizzate delle ricerche sul campo di battaglia, con
uomini fidati. Non date la notizia fino a quando non avrete trovato
qualcosa» ordinò Lord Alcuin in tono pratico.
Snotra ignorava se fosse mai stato un soldato, di certo aveva letto
molte cronache belliche e in ogni caso, per quanto fosse
presuntuoso, non era uno stupido.
Il generale fece un rapido cenno di assenso e uscì. Lord
Alcuin si lasciò cadere sulla sedia e nascose il viso nel
palmo della sua grande mano rugosa.
Snotra restò in piedi a rabbrividire per le vesti e i
capelli fradici, pensando a cosa sarebbe accaduto se Odino non fosse
stato ritrovato o se fosse stato trovato morto. Il suo unico figlio,
Thor, era un bambino ancora in fasce e sua moglie, la regina Frigga,
sarebbe riuscita a preservare il trono e la pace del regno nell'attesa
che il principe crescesse?
La fanciulla si morse il labbro. Erano pensieri sciocchi e
sconsiderati, se li avesse espressi ad alta voce forse avrebbero potuto
accusarla di tradimento, ma le settimane trascorse a pochi passi da un
campo di battaglia avevano smorzato in lei la fiamma della speranza che
dovrebbe ardere maestosa nel cuore di ogni giovane.
Snotra si avvolse i capelli in un panno e si sedette in terra, accanto
a Lord Alcuin, posandogli gentilmente una mano candida e liscia su
quella che lui teneva appoggiata al ginocchio, con il dorso percorso da
vene azzurrine e screziato da piccole macchie. Poteva anche non amarlo
come una discepola avrebbe dovuto amare il suo maestro, ma ora provava
una gran pena per lui, una pena che sarebbe divenuta le pena di tutti
loro se il re non fosse tornato.
Seduta in quella posizione scomoda, con il freddo che le penetrava fin
dentro le ossa, Snotra si preparò a una lunga attesa, fatta
di incertezza e apprensione.
I minuti e forse le ore a seguire furono uno stillicidio di tempo che
scorreva lento. Il suono della pioggia era ipnotico e rendeva i
pensieri una massa di immagini aggrovigliate nella mente della ragazza
che ormai non sentiva più nemmeno il freddo.
Prima di quel momento, Snotra non aveva mai davvero riflettuto su
quanto fosse aleatorio il benessere del mondo in cui viveva; tutto
poggiava su un trono e sulle spalle di chi vi era seduto. Essere re
doveva significare una tale condanna...
Il corso delle sue riflessioni fu interrotto dallo scalpiccio degli
zoccoli di alcuni cavalli fuori dalla tenda. Lord Alcuin si
alzò e si diresse verso l'uscita con la rigidità
di un condannato a morte che sale al patibolo. Snotra lo
seguì con il cuore in tumulto.
Il maestro scambiò con il generale parole che la fanciulla
non fu in grado di udire, entrambi si allontanarono verso una zona
dell'accampamento e lei li seguì per un tratto di strada
fangosa, mentre l'acqua torbida delle pozzanghere le inzaccherava
l'orlo della veste di lana.
«Tornatene nella tenda, ragazza» le
abbaiò contro Lord Alcuin. «Di certe faccende una
donna meno sa e meglio è».
Snotra strinse i pugni, irritata. Non pretendeva di entrare nel merito
di faccende riguardanti la guerra o la politica, ma era una donna che
si apprestava a diventare una studiosa, il
sapere sarebbe
stato la sua vita e troppo spesso quel maestro bigotto le aveva negato
la possibilità di conoscere, anche se poi non si era fatto
scrupoli a condurla con sé su Jotunheim. Ma non era quello
il momento di recriminare, né lei sentiva di averne la
forza. Strinse stizzita i pugni, afferrando i lembi della veste per
sollevarla e affrettare il passo mentre tornava nella tenda.
I fuochi e le canzoni continuavano a levarsi verso quel cielo ostile da
ogni angolo dell'accampamento.
Snotra si sentì esausta, di colpo. La tensione non si era
ancora allentata e i pensieri pieni di incertezza e timore continuavano
ad agitarsi nella sua mente, eppure si sentiva come se ogni fibra del
suo essere si fosse spenta di colpo. Quando sollevò il telo
per entrare nella tenda, le sembrò enormemente pesante. Si
trascinò dentro senza rendersi conto delle lacrime che le
erano salite agli occhi.
Forse fu per la stanchezza che il grido di spavento non le
arrivò mai alle labbra.
Dentro la tenda c'era qualcuno, una figura imponente, in piedi accanto
al tavolino dei libri. Uno scampolo di raziocino filtrò
attraverso la nebbia dello sgomento e la giovane riuscì a
mettere a fuoco Gungnir, la lancia di Odino che il visitatore stava
usando come sostegno.
«Mio re...» mormorò Snotra, troppo
sorpresa per decidere se fosse opportuno inginocchiarsi in quella
situazione tanto inusuale.
La risposta che giunse dal silenzio all'interno della tenda fu il
vagito di un bambino. Per un istante la giovane fu convinta di averlo
solo sognato.
Odino mosse qualche passo in avanti, continuando a puntellarsi
sull'asta della sua lancia. Si avvicinò al cono di luce
proiettato da una lampada e la fanciulla poté vedere il foro
sanguinante sul volto del re di Asgard, dove prima c'era il suo occhio
destro.
Snotra aveva visto molti feriti in quei giorni e il sangue e la carne
martoriata avevano quasi smesso di farle ribrezzo, ma quello sfregio
sul volto del Padre degli dei le fece tremare il cuore: neanche i re
sono invincibili, neanche loro possono essere sempre al sicuro.
Fu solo dopo un lungo istante che lo sguardo della ragazza cadde sul
bambino, un maschio, che il re teneva nella piega del braccio. Sembrava
che il piccolo stesse piangendo, ma senza lacrime e senza singhiozzi,
semplicemente sembrava soffrire ed essere consapevole di quella
sofferenza più di quanto fosse naturale per un neonato.
«Sei l'allieva di Lord Alcuin» disse Odino
all'improvviso, la sua voce era stanca e sarebbero trascorsi secoli
prima che Snotra lo sentisse di nuovo parlare con quel tono fiaccato
dagli eventi.
La fanciulla spostò più volte lo sguardo tra il
bambino e il volto deturpato del dio, chiedendosi da quale parte
cominciare a sentirsi sconvolta.
«Padre degli dei... vi stanno cercando...»
farfugliò, pur essendo consapevole di quanto la cosa fosse
irrilevante in quell'esatto momento e di quanto quell'informazione
dovesse essere superflua.
«Ne sono certo» replicò Odino fissandola
con l'unico occhio rimastogli. Quello sguardo trapassava come una lama.
«Qual'è il tuo nome?».
«Snotra, mio re».
Il Padre degli dei indicò il bambino con un cenno del mento
e la ragazza si avvicinò per prenderlo in braccio,
osservando che il piccolo era del tutto privo di vestiti o coperte.
Snotra si chiese come fosse possibile che un esserino dall'aria tanto
fragile sopravvivesse in quel freddo ostile restando completamente
nudo.
I Giganti di Ghiaccio
non indossano vesti...
Un fremito di paura fece tremare le gambe della ragazza quando la
consapevolezza della scoperta si accese nella sua mente.
Odino sembrò averle letto nel pensiero.
«È il figlio di Laufey ed è un
innocente» dichiarò lasciandosi cadere seduto
sulla sedia di Lord Alcuin. «Lo avevano abbandonato al
margine della città. Voglio che sia condotto ad
Asgard».
Il bambino spinse istintivamente il capo verso il petto di Snotra,
forse sperando di essere allattato, ma da dove la sua pelle era entrata
in contatto con il tessuto bagnato di fredda pioggia degli abiti di lei
aveva cominciato a spandersi un alone bluastro. Dopo qualche secondo,
il piccolo cominciò a piangere con singhiozzi striduli.
La fanciulla era combattuta tra l'orrore e la pietà. Ma se
il suo re aveva deciso di mostrare misericordia per quella creatura,
chi era lei per decidere diversamente?
«Mio re, ad Asgard nessuno lo accetterà»
rispose in tono pratico.
«Ad Asgard nessuno lo saprà»
replicò Odino e Snotra seppe che quelle parole contenevano
un ordine preciso, pesante come una condanna. «Ma tu devi
fare qualcosa per me».
«Cosa, mio re?».
Oltre a portare per sempre il
fardello di un simile segreto?
«La regina si trova sola ai confini di Asgard, in ritiro per
pregare i nostri avi per la buona riuscita della guerra.
Darò ordine ad Heimdall di aprire il Bifrost per te, tu
andrai da mia moglie e le porterai il bambino».
La giovane spalancò la bocca per lo stupore.
«Intendete dire...». Non avrebbe dovuto indugiare o
discutere le decisioni del suo sovrano, ma quello che Odino le stava
chiedendo le sembrava inconcepibile.
«Intendo dire che il bambino verrà allevato da me
e dalla regina. L'erede di Laufey cresciuto come un principe di Asgard:
un domani potrebbe essere la sola speranza di un'unione pacifica con
Jotunheim».
Snotra deglutì, il bambino si lamentava e scalciava
debolmente tra le sue braccia.
«Padre degli dei, la vostra saggezza vi pone al di
là di qualsiasi critica» disse, imponendosi di
mantenere un atteggiamento contegnoso, sperando che i suoi occhi e la
sua espressione non tradissero il suo sconcerto. «Ma se
davvero è questo ciò che auspicate per il futuro
di questa creatura, un domani dovrete rendergliene conto, almeno con
lui dovrete farlo. E quando accadrà...»
«Quando accadrà ci amerà come una
famiglia e sarà in grado di capire, in nome di
quell'amore» replicò secco Odino. «Era
destinato a morte certa, ora avrà una vita, un padre, una
madre e un fratello».
Snotra comprese che una sola parola in più l'avrebbe spinta
oltre il limite del confronto che il suo sovrano era disposto a
tollerare. Non erano le azioni di Odino ad essere sbagliate, quanto il
loro movente, ma la giovane non poté fare altro che sperare
nella lungimiranza del Padre degli dei e accordargli la sua fiducia. E
se anche non fosse stata disposta a farlo, questo non l'avrebbe assolta
dallo svolgere il compito che Odino le aveva appena affidato.
«La regina,» mormorò la giovane
appoggiando il bambino su una branda, «si chiederà
che nome dargli».
Odino si alzò dalla sedia e si trascinò fino al
giaciglio dove Snotra era intenta ad avvolgere il piccolo in una
mantella, prima di mettersi a cercare vestiti asciutti per se stessa.
C'era una tenerezza sincera nello sguardo che il Padre degli dei stava
ora rivolgendo a quel figlio che aveva deciso di adottare.
Allungò una mano verso di lui e il bambino gli strinse
debolmente l'indice tra le dita sottili.
«Loki» disse, come se fosse stata una folgorazione
improvvisa.
Odino lasciò la tenda di Snotra dopo qualche minuto, per
tornare dai suoi soldati e rassicurarli, unendosi ai festeggiamenti per
la vittoria. Lei si cambiò i vesti bagnati, mentre il
bambino, Loki, si divincolava debolmente sul materasso della branda,
anche lui troppo provato per continuare a piangere.
La sua pelle aveva conservato in parte quell'alone bluastro e i suoi
occhi erano arrossati in modo innaturale. E i suoi occhi sembravano
così dannatamente imploranti. Imploravano per la fame e per
il calore, per delle braccia che lo stringessero.
Snotra si avvicinò alla branda e restò in piedi a
scrutare l'esserino sul materasso; ebbe di nuovo la sensazione che lui
fosse in qualche modo consapevole di quello che aveva attorno. Gli
sfiorò un piedino che si dibatteva tra le pieghe delle
coltri di pelliccia e lì dove la sua mano era passata a
sfiorargli la pelle, l'alone bluastro sparì per lasciare
posto a un normale colorito roseo e perfetto come quello di qualsiasi
bambino.
«Da quanto tempo ti avevano lasciato solo a
morire?» chiese Snotra in un filo di voce, mentre gli occhi
del piccolo si fissavano nei suoi.
Era sciocco e forse anche rischioso indugiare e trattenersi
lì quando aveva ordini precisi, impartiti direttamente dal
Padre degli dei, ma l'intero accampamento era troppo impegnato a
festeggiare la vittoria e a celebrare Odino per ricordarsi di lei o
ritrovarsi anche solo per sbaglio a passare nell'angolo remoto del
campo in cui era piantata la sua tenda. Indugiare, comunque, non le
avrebbe reso quel compito più gradito né avrebbe
allentato la morsa che le attanagliava il petto. Fare ciò
che le era stato ordinato continuava in qualche modo a sembrarle un
tradimento. Un tradimento verso quello che era sempre stato il suo
mondo, o un tradimento verso la creatura che ora aveva davanti agli
occhi.
Snotra amava la conoscenza. La conoscenza è l'esatto opposto
della menzogna.
«E tu sei contaminato» disse, stupendosi della
freddezza della sua voce, preoccupandosi per un istante che il bambino
potesse accorgersene. «Sei contaminato dalla solitudine e
dall'abbandono. Quanto amore occorrerà per cambiare le
cose?».
Alla fine, la fanciulla distolse lo sguardo e chiuse gli occhi,
prendendo piccoli respiri per cercare di mantenersi lucida. Avvolse il
bambino in una coperta e si gettò una mantella sulle spalle.
Fuori dalla tenda il vento ululava acuto, come se Jotunheim stesse
piangendo la propria disfatta.
Quando Snotra uscì all'aperto e la pioggia le
sferzò il viso, si chiese se anche il sangue dei Giganti di
Ghiaccio fosse gelido.
«Che i miei avi m'assistano» mormorò
prima che la luce del portale del Bifrost le invadesse lo sguardo.
Dietro le sue palpebre c'era solo bianco. La luce sembrava esserle
entrata dentro gli occhi, fino a consumarli. Non fu il suo sguardo a
dirle che era a casa, fu l'odore nell'aria, che non sapeva
più di metallo e acqua stagnante, fu il calore che la
sorprese di colpo, rendendole quasi insopportabile il peso della
mantella sulle spalle.
Snotra cercò faticosamente di mettere a fuoco l'immagine
della grande cupola dorata attorno a sé e fece appena in
tempo a vedere Heimdall sollevare dalla fessura di metallo la lama
della grande spada che azionava il Bifrost.
Senza dire una parola e senza degnarla di uno sguardo, il Guardiano del
regno si voltò e tornò al suo posto, all'ingresso
della cupola, immobile come una statua.
La fanciulla si accorse che Loki si era addormentato tra le sue
braccia, sopraffatto dalla stanchezza e dalla fame. Pensò
che quando si sarebbe svegliato avrebbe dovuto nutrirlo o non sarebbe
sopravvissuto al viaggio verso i confini del regno.
«Un cavallo ti attende alle porte della
città» disse la voce cavernosa di Heimdall,
distante e profonda come se giungesse da un altro luogo.
I suoi passi disegnavano una fugace scia opalescente sulla superficie
luminosa del ponte dell'arcobaleno. Davanti ai suoi occhi Asgard si
ergeva maestosa nel suo immutato e opulento splendore, con le torri che
svettavano verso un cielo terso, di un azzurro luminoso come una stola
di raso perfettamente stirata. Snotra abbassò lo sguardo su
Loki e non fu sorpresa di accorgersi che la sua pelle aveva adesso un
colore perfettamente normale, un rosa appena un po' troppo pallido;
forse da grande sarebbe stato un bellissimo principe. Quel pensiero la
fece sospirare e lei si impose di continuare ad attraversare il ponte,
fino all'enorme cancello dorato che segnava l'ingresso della Patria
Eterna.
Come aveva detto il Guardiano, c'era un cavallo ad attenderla una volta
varcato il cancello.
Snotra alzò gli occhi al cielo e fu allora che si accorse
dei due corvi che volavano in circolo sopra la sua testa, due macchie
nere che si muovevano rapide contro l'azzurro del cielo.
Non era mai stata particolarmente brava a cavalcare e viaggiare fino ai
confini di Asgard con un neonato in braccio le sembrava un'impresa
impossibile. Sbuffò e si tolse la mantella che
ripiegò a triangolo. Con estrema cura, avvolse Loki nella
parte di stoffa più larga e legò le due
estremità più sottili al pomello della sella,
pregando che reggesse.
Il bambino durante tutta quella manovra, aprì un paio di
volte gli occhi ed emise qualche basso lamento, prima di scivolare di
nuovo nel sonno.
«Che ne sarà di tutta questa faccenda solo le
Norne lo sanno...» borbottò Snotra, dando un
leggero colpo di talloni nel fianco del cavallo.
Attraversò indisturbata gli ampi viali lastricati che
convergevano tutti nel piazzale dinnanzi al palazzo del re. La
superficie dorata della costruzione rifletteva un'immagine distorta e
sbiadita della città che si stendeva ai suoi piedi in un
dedalo di palazzi, torri e giardini pensili. Asgard era perfettamente
uguale a come l'aveva lasciata il giorno in cui aveva seguito Lord
Alcuin e l'esercito di Odino su Jotunheim, eppure adesso Snotra
guardava la sua terra con occhi diversi; ora che la guerra le aveva
insegnato come tutto fosse fragile e precario, anche
l'incolumità del re, anche il cuore del re. Asgard le
sembrava assai più simile al riflesso distorto contro la
facciata dorata della reggia che non all'immagine reale che offriva di
sé agli occhi dei suoi abitanti.
Snotra spronò il cavallo, con estrema cautela, preoccupata
che l'animale cominciasse a muoversi troppo velocemente e mettesse a
repentaglio il suo equilibrio e quello del piccolo che viaggiava con
lei. Il destriero trottò placido attraverso una via laterale
che costeggiava il palazzo, in pochi minuti se lo lasciarono alle
spalle anche se la sua ombra incombeva sulla ragnatela di stradine
secondarie che costituivano i quartieri meno belli della
città.
La giovane aveva lasciato Jotunheim e le sue lunghe notti, ora che
vedeva il sole cominciare a tramontare nel cielo della sua
città si sentiva quasi turbata dall'idea del buio. Non le
piaceva, non le era mai piaciuto, quando calava la sera e tutto
rallentava fino a fermarsi nel riposo della notte. E lei aveva ancora
della strada da fare.
Approfittò delle ultime ore di luce per fermarsi e cercare
un posto in cui comprare del latte.
Non conosceva quella zona della città, la zona meno ricca.
Anche se la sua famiglia non era particolarmente benestante, era
comunque di nobile levatura e negli ultimi anni la giovane aveva visto
solo templi, biblioteche e case di studiosi più nobili e
ricchi di lei. E aveva incontrato tanta gente che aveva nascosto a
malapena la propria perplessità – e in alcuni casi
il proprio disappunto – davanti all'idea che una giovane
donna di buona famiglia avesse deciso di dedicarsi allo studio invece
di cercare un marito o tentare di entrare a corte come dama di
compagnia.
«Questo posto pullula di persone stupide, Loki»
mormorò Snotra, scendendo di sella e slegando il bambino dal
groviglio con il quale lo teneva assicurato alla sella.
«Essere intelligenti è molto faticoso alle volte,
ma è anche più divertente».
Legò le briglie del cavallo a un palo in una piccola piazza
doveva aveva scorto una bottega di generi alimentari. I due corvi
planarono verso il basso e si andarono ad appollaiare
sull'estremità di quello stesso palo.
Nella bottega, Snotra comprò una mezza misura di latte che
si fece mettere in un piccolo otre, e un pezzo di pane per
sé. Tornò dove aveva lasciato il cavallo e
cominciò a versare il latte a piccolissimi sorsi tra le
labbra schiuse di Loki che beveva avidamente, tendendosi sempre di
più verso il collo dell'otre.
«Non posso andare più veloce di così,
esserino ingordo» borbottò la ragazza.
«Finirei per farti soffocare».
Il piccolo lasciò cadere all'indietro la testa e di nuovo i
suoi occhi si fissarono in quelli di Snotra. Erano occhi dal colore
indefinito, come quelli di tutti i neonati. Ogni cosa in lui ora era
anonimo e indefinito, come per tutti i bambini molto piccoli, e
guardandolo la fanciulla cominciò a sperare che la decisione
di Odino fosse stata assai più saggia e sensata di quanto le
era apparso in un primo momento. Perché mai Loki non avrebbe
dovuto essere come tutti gli altri? Perché mai l'amore di
una famiglia non avrebbe potuto preservarlo da ogni male?
Snotra gettò via l'otre ormai vuoto, e cullò per
qualche minuto il piccolo tra le braccia. Ora che era al caldo e
nutrito, il bambino fece anche qualcosa di assai simile a un sorriso.
Forse era una smorfia senza senso, come quelle dei bambini durante i
loro primi mesi di vita, ma a Snotra sembrò davvero un
sorriso e le parve bello come un miracolo.
Tenendo Loki stretto contro il suo petto, la giovane
cominciò a sbocconcellare distrattamente il pezzo di pane
che aveva comprato per sé, assaporando il silenzio che
ascoltava più che il sapore di ciò che stava
masticando.
Asgard non era un posto rumoroso. Era un luogo ordinato e piano di
luce, l'antitesi del caos, un faro di speranza e un'oasi di pace in
mezzo al continuo rumore dell'universo.
La guerra era finita, i nemici erano stati battuti, piegati, sconfitti.
Era tornato il silenzio e l'ordine. E tutto sarebbe rimasto immutato
per secoli, forse per sempre.
La mente di Snotra si strinse attorno a quegli improvvisi pensieri
piacevoli, come la schiena di un gatto sotto la mano del padrone che lo
accarezza in risposta alle sue fusa.
Fu il gracchiare improvviso dei corvi a riportarla alla
realtà. A farle spalancare gli occhi e a rammentarle che era
lì per eseguire gli ordini del suo re, ordini che la
turbavano, ordini che non condivideva...
Spezzò ciò che era rimasto del suo pane e lo
gettò ai piedi del palo, dove i corvi volarono a beccarlo
con voracità.
Mentre fissava impensierita i due uccelli che si contendevano le ultime
briciole, le arrivò alle narici un odore acido e sgradevole
e Snotra si ritrovò a sobbalzare sgranando gli occhi nel
vedere il rigurgito di latte che colava sulla sua spalla. Loki continua
a fare le sue smorfiette simili a sorrisi.
«Oh, ti prego...» borbottò lei
arricciando il naso. «Pensavo che fossimo amici e invece ti
comporti da piccolo furfante».
Cercò di pulire alla meno peggio quel disastro, pensando
all'imbarazzo di quando avrebbe dovuto incontrare la regina, poi
tornò in sella e proseguì il suo viaggio.
Man mano che si allontanava dal cuore della città le strade
si facevano più strette, meno trafficate e più
polverose.
Il tramonto era già trascorso da un po'. Snotra
arrivò a un bivio sul sentiero si fermò a fissare
la biforcazione segnata tra l'erba, indecisa da quale parte andare.
I corvi gracchiarono con forza e fecero un rapido giro a mezz'aria. La
fanciulla osservò un piccola piuma nera staccarsi del loro
manto e volteggiare leggera nel vuoto prima di sparire, portata via da
una folata di vento. I due uccelli le planarono a un palmo dal naso,
facendo innervosire il cavallo che pesò nervosamente gli
zoccoli contro il terreno, poi volarono verso destra continuando a
gracchiare sempre più forte.
«Ho capito!» esclamò Snotra stizzita,
battendo una mano sul collo del cavallo cercando di calmarlo. Quando
l'animale smise di scuotere la testa e di pestare gli zoccoli, lei
tirò gentilmente le briglie e lo guidò verso la
diramazione del sentiero che proseguiva verso destra.
I due corvi continuarono a mostrare a Snotra la via, fino a condurla a
una costruzione che si ergeva al centro di una radura. Come molti degli
edifici di Asgard, aveva la facciata di metallo dorato, anche se il
fatto che fosse immersa nella boscaglia rendeva quella superficie meno
lucida. Era una grande palazzina, ma assai più bassa delle
costruzioni che si ergevano in città e a differenza della
città, il bosco non era affatto silenzioso, ma non c'era
nulla di sgradevole nella sinfonia di suoni che quel luogo spandeva
nell'aria, quel misto di foglie che frusciavano nel vento e frinire di
grilli e versi lontani di rapaci notturni che cominciavano la loro
caccia.
La fanciulla si sentì quasi in pace, fino a quando il
bambino legato alla sella non cominciò ad agitarsi,
ricordandole il motivo della sua presenza lì.
I corvi si appollaiarono sull'arcata del portone, dove la luce di una
grande luna faceva scintillare i solchi delle rune incise sul metallo.
Snotra smontò di sella e lasciò il cavallo legato
accanto a un albero. L'animale si mise placidamente a mangiare l'erba
che cresceva nello spiazzo davanti alla palazzina.
«Benvenuto a casa, Loki» mormorò la
giovane, prendendo tra le braccia il piccolo e dirigendosi spedita
verso l'ingresso della costruzione.
Aprì il pesante portone e si ritrovò in un atrio
buio, illuminato a malapena da un paio di vecchie lampade ad olio
fissate alle pareti. Quella costruzione doveva essere antica, aveva
anche l'odore delle cose antiche, come quello dei vecchi libri nella
biblioteca della reggia, con il loro sentore dolciastro e quasi
impercettibile.
I corvi entrarono da una finestra aperta e volarono in cerchio
nell'atrio vuoto per poi lanciarsi in picchiata verso una scalinata che
conduceva di sopra. Mentre saliva i gradini, Snotra si rese conto di
quanto era spossata da quel viaggio, di come la stanchezza ora riusciva
ad avere la meglio su qualsiasi pensiero. Non pensava più
alla tremenda peculiarità della sua missione, né
a tutto quanto concerneva il bambino che aveva tra le braccia, anche se
sapeva, nel profondo, che il ricordo di quella notte non le avrebbe mai
più permesso di dormire.
Il piccolo palazzo era deserto. La regina aveva scelto di ritirarsi
davvero totalmente dal mondo e questo era un bene per i piani di Odino:
in nessun'altra maniera si sarebbe potuto ingannare un intero regno sui
natali di Loki.
Ingannare un intero
regno...
Quelle parole avevano ripreso a farle eco nella mente, attraverso la
nebbia della stanchezza.
Snotra cercò di dimenticarle o le sarebbe mancato il
coraggio di continuare a camminare lungo quel corridoio per consegnare
definitivamente quel bambino alla sua nuova famiglia.
Perché?
Strinse Loki un po' più forte a sé. Avrebbe
potuto decidere di non fare come Odino aveva comandato, avrebbe potuto
decidere di crescerlo lei quel bambino e crescerlo nella
verità. Le menzogne generano solo problemi, lo aveva sempre
saputo. Una menzogna di quella portata avrebbe generato disastri
enormi...
Ma se avesse detto la verità sulle origini di Loki,
probabilmente lo avrebbero ucciso – e forse avrebbero ucciso
anche lei per insubordinazione, oppure l'avrebbero bandita, come
prevedeva la legge per coloro che disobbedivano agli ordini diretti del
re. E se anche non avessero ucciso Loki, lo aveva detto lei stessa: ad
Asgard nessuno lo avrebbe mai accettato. Sarebbe stato condannato
comunque all'infelicità, ad essere un reietto, a vivere in
mezzo al popolo che aveva ucciso i suoi progenitori.
Snotra sentì il peso di tutte quelle riflessioni piegarle le
gambe e si ritrovò a cadere con le spalle contro il muro
come unico sostegno. Le pareti del corridoio vorticarono davanti ai
suoi occhi e lei sentì solo il verso stridulo dei corvi di
Odino che le martellava graffiante nelle orecchie. Per un attimo ebbe
l'impressione che gli uccelli le stessero per volare addosso, forse le
avrebbero cavato la lingua per costringerla per sempre al silenzio,
forse le avrebbero strappato anche gli occhi per impedirle di scrivere
la verità.
La verità...
Una verità pesante come il granito di cui era fatta la torre
crollata del palazzo di Jotunheim. La vita e forse la
felicità di Loki valevano la dannazione di una giovane
anima? Valevano una tale menzogna?...
Snotra sentì qualcosa che le si posava sul viso, ma non era
un artiglio di corvo, era una mano che le stava accarezzando la
guancia. La fanciulla aprì gli occhi di colpo e vide il viso
della regina chino su di lei.
«Stai bene, fanciulla?» le chiese.
Frigga aveva grandi occhi scuri, occhi di madre, toccati dalla dolcezza
e dalla pietà.
Snotra sussultò, cercando di rimettersi in piedi e assumere
un contegno adatto alla circostanza.
«Mia regina...» mormorò, al culmine
dell'imbarazzo, accennando una riverenza.
«Siamo lontane dalla corte e siamo sole» disse
Frigga in tono quasi divertito. «I convenevoli e le
formalità non occorrono».
La regina tese le braccia per lasciare che Snotra le desse il bambino.
«Sapete già tutto, mia regina?» chiese
la giovane, timidamente. Frigga annuì e, per quanto ne fosse
curiosa, la ragazza pensò che il modo in cui Odino
comunicava con sua moglie non la riguardasse affatto.
La regina guardava Loki già come una madre. Aveva sempre
avuto cuore, o almeno questo era ciò che Snotra aveva capito
dai racconti delle dame di corte, ma sembrava che dalla nascita del
principe Thor la sua bontà e la sua dolcezza fossero
aumentate. Forse è questo che fanno i figli ad una donna,
pensò la fanciulla, la rendono migliore, la riempiono di
bontà.
Un pianto di bambino squarciò il silenzio. La giovane
alzò la testa di scatto, quasi turbata da quel suono.
Il pianto dei bambini piccoli avrebbero dovuto essere sempre uguale, o
così Snotra aveva sempre pensato, ma quegli strilli non
somigliavano affatto a quelli di Loki.
«Thor» sospirò la regina, alzando gli
occhi al cielo e scuotendo il capo ma un istante dopo il suo volto si
atteggiò in un sorriso.
Snotra restò ferma in mezzo al corridoio, come imbambolata.
Ovviamente Frigga poteva rinunciare a qualsiasi cosa in quel suo ritiro
di preghiera, ma non poteva lasciare a palazzo un figlio tanto piccolo.
La giovane ebbe l'impressione che la regina si trovasse lì
anche per la sua stessa sicurezza e per quella del principe: se Asgard
avesse perso la guerra, se la Patria Eterna fosse stata invasa e il
palazzo violato, loro sarebbero stati fuori pericolo.
«Vieni pure» mormorò Frigga
allontanandosi verso una grande porta celata da un drappo color
porpora. «Non mi hai detto il tuo nome».
«Snotra, mia regina» si affrettò a dire
la ragazza, seguendo la sovrana oltre la porta.
Si ritrovarono in una stanza dall'arredamento semplice ed essenziale:
un letto, uno scrittoio, una cassapanca e, naturalmente una culla.
Frigga si sporse all'interno della culla e mormorò qualche
parola dolce che fece calmare il pianto del bambino che riposava al suo
interno. Poi fece cenno a Snotra di appoggiare Loki sul letto e
armeggiò con qualcosa riposto nella cassapanca.
La regina porse alla fanciulla una minuscola veste da bambino e lei se
la rigirò tra le mani un po' imbarazzata. Aveva avuto
fratelli minori, ma c'era sempre stata qualche balia a prendersi cura
di loro e lei non aveva idea di come si facesse indossare quella roba a
un neonato.
Frigga sembrò comprendere la sua difficoltà e le
tolse il piccolo indumento dalle mani.
«Guarda» le disse sorridendo. Ma non stava
sorridendo a lei, stava sorridendo a Loki e Snotra ne fu sollevata.
Dei gesti lenti e delicati con cui la regina vestì il
bambino Snotra non avrebbe ricordato molto, in quel momento era troppo
presa dai suoi pensieri. Quando riemerse dalle sue riflessioni si rese
solo conto del fatto che adesso Loki era avvolto in una casacca di
velluto appena troppo grande per lui e che non aveva più
niente che sembrasse sofferente.
Ormai è
fatta...
Ormai tutto sembrava essere stabilito e non c'era modo di tornare
indietro.
Snotra sentì il gelo venefico dell'angoscia salirle dallo
stomaco alla testa mentre si chiedeva come sarebbe stato il futuro di
quel bambino. Si accorse che non era più in grado di
sopportare la vista di Loki e si voltò per non permettere
alla regina di scorgere l'emozioni che le scorrevano sul viso. Si
avvicinò alla culla sistemata a pochi passi dal letto e si
sporse per osservare il bambino adagiato tra le lenzuola morbide.
Il principe Thor era un bel bambino, già grande per avere un
anno di età, con un ciuffo di sottili capelli dorati come il
grano maturo e due occhi azzurri uguali a quelli di suo padre. Le
sorrise quando la vide china su di lui, scoprendo gengive rosa sulle
quali stavano per spuntare i dentini.
Istintivamente, Snotra ricambiò quel sorriso e
allungò una mano per accarezzare la guancia paffuta con la
nocca del dito.
«Dovrebbero dormire» osservò Frigga.
«E tu, mia giovane Snotra, dovresti mangiare qualcosa e
riposare».
La ragazza sentiva lo stomaco chiuso, ma le parve scortese rifiutare
l'invito della regina. Eppure quando si voltò verso di lei e
la vide con Loki in braccio, pronta a metterlo nella culla accanto a
Thor, le venne quasi l'impulso di strapparglielo via. Celò
il pugno serrato per il nervosismo tra le pieghe della veste e
respirò lentamente per un istante.
«Permettete, mia regina?» disse, tendendo le mani
verso il bambino.
Frigga annuì,
«Certo. Lo hai portato tu qui, hai il diritto di salutarlo
come credi».
Ci sarebbero stati giorni, in un futuro lontano, in cui Snotra avrebbe
davvero desiderato che quel saluto dato a Loki quella notte fosse stato
un addio.
La regina si allontanò e restò ad attendere la
sua visitatrice sulla soglia della porta. La fanciulla
adagiò il bambino nella culla, accanto a Thor che per un
attimo fissò incuriosito quell'ospite inatteso prima che la
sua bocca sdentata si aprisse in un sorriso infantile ed emettesse un
pigolio che a Snotra piacque interpretare come una risata di
contentezza.
«Sì, mio piccolo principe, hai un fratello, fai
bene ad esserne contento» mormorò la giovane
accarezzando con la punta del dito la manina paffuta di Thor che
stropicciava l'orlo del lenzuolo. Poi si chinò a un palmo
dal faccino di Loki, cercando di nuovo lo sguardo di quegli occhi dal
colore indefinito.
«Stanotte ho sacrificato la verità e la mia anima
per il tuo futuro, Loki. E ti giuro che farò tutto quanto
è in mio potere perché questo futuro sia il
più radioso che un individuo possa ottenere».
Il bambino fece uno sbadiglio e chiuse più volte gli occhi,
come se volesse dormire, ma prima di addormentarsi gettò
all'indietro la testa calva come a volersi tendere verso Snotra. Lei
gli posò un bacio sulla fronte liscia e pallida poi se ne
andò.
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Note:
La citazione
a inizio capitolo è dal brano “Un
matto”.
Per essere precisi, il titolo stesso della fanfiction è una
citazione di De Andrè, dal brano “Smisurata
preghiera”.
Lord Alcuin è pura improvvisazione (il nome l'ho
spudoratamente copiato da “Il dardo e la rosa”).
Ho sempre pensato che ci fosse una spiegazione plausibile per il fatto
che nessuno sapesse che Loki non era figlio naturale di Odino e Frigga,
a meno che gli asgardiani residenti nel palazzo non pensassero che il
secondogenito del re fosse stato portato dalla cicogna. Qui ho provato
a dare una mia versione di come potevano essere andate le cose. Va da
sé che la differenza di età tra Loki e Thor
dovrebbe essere, a rigor di logica, abbastanza esigua per giustificare
il fatto che nemmeno lui si sia mai chiesto da dove sia spuntato fuori
il fratellino (va bene che nella versione filmica Thor non brilla per
intelligenza, ma c'è un limite a
tutto...).
I corvi di Odino, il mito vuole che li mandasse in giro a osservare gli
avvenimenti per poi farsi riferire. Qui mi piace immaginare che siano
lì non tanto per “controllare” quanto
per “vegliare” sul piccolo viaggio di Snotra.