The werewolfs
The werewolves.
Capitolo 1.
Non riusciva a dormire, ma non era quella la cosa strana.
Erano più o meno le tre di notte, i suoi genitori si trovavano nella
stanza accanto alla sua, e c'era silenzio in casa. Lo stesso costante silenzio
che lo accompagnava da cinque anni a quella parte.
I dottori l'avevano chiamato "Insonnia isterica", ma i dottori erano
degli imbecilli. Non era insonnia, non lo era mai stata. Theo non voleva addormentarsi, ecco
tutto.
Sapeva che domani sarebbe arrivato a scuola, si sarebbe seduto
all'ultimo banco e avrebbe dormito per tutta la prima ora, e poi si
sarebbe svegliato. Sapeva che i professori, essendo al corrente della
sua "malattia", avrebbero fatto finta di non accorgersene. Lui non
aveva sonno, non più. Quando aveva dodici anni aveva cominciato
a sentirsi costantemente male. Vomitava, piangeva, molte volte si
rinchiudeva nello scantinato perché sentiva il desiderio di non
vedere i suoi genitori, di non vedere nessuno. Non era come quando sei
triste per colpa dei tuoi ormoni adolescenziali ed allora ti chiudi in
camera tua ad ascoltare musica deprimente. Theo si sentiva male stando
coi suoi genitori. Si sentiva male stando con chiunque. Per un po'
aveva pensato di essere pazzo, anche se a dire il vero lo pensa
ancora. Stanotte era diverso.
La sua testa aveva cominciato a girare, aveva vomitato della bile non
avendo mangiato niente quella sera, ed era quasi svenuto. Si sentiva
confuso.
Era sceso nello scantinato, si era chiuso a chiave ed aveva acceso la
luce, ma la notte era scesa già da un paio di ore, ed i suoi
occhi non essendo abituati al bagliore della lampadina non la
sopportarono più di tanto, così la spense quasi subito.
Ed adesso era lì, in uno scantinato buio e freddo, senza
riuscire a
vedere niente e probabilmente febbricitante. La sua testa continuava a
girare. Non c'era aria là dentro, ma era il posto in cui si
sentiva più al sicuro in tutta la casa. Appoggiò la mano
al muro, freddo. Lo scantinato non era mai
stato un luogo freddo, era lui che era bollente? Non lo sapeva, non
riusciva a recepire quasi più niente.
Era spaventato. Improvvisamente non si trovava più in un luogo
sicuro. Doveva uscire da lì, da quella casa. Sentiva il
desiderio di scappare lontano, in un luogo all'aperto.
Nella sua visuale apparirono dei cerchi neri, circondati
da una luce arancione. Stava per svenire. Avrebbe voluto distendersi,
ma non fece in tempo.
L'ultima cosa che percepì fu la sua mano che abbandonava il muro. Poi niente.
***
Si svegliò alle prime luci dell'alba, in camera sua. La
camera era soltanto un insieme di macchie informi e sfocate, e gli ci
volle un po' per metterla a fuoco. La prima
cosa di cui si accorse era che non stava dormendo sul suo letto, ma
bensì sul pavimento. La seconda cosa di cui si accorse era
il fatto che fosse nudo. Bene. Si alzò in piedi, la testa gli
faceva male. Barcollò fino alla scrivania, sostenendosi con una
mano. Tutto il suo corpo era un dolore. Ogni tendine, ogni
muscolo, ogni cellula gridava dolorante. Gli scappò un mugolio
di dolore dalla bocca. Camminò a
tentoni fino al letto, appoggiandosi a qualunque superfice solida
trovasse. Si lasciò cadere contro il materasso. Era confuso e
pieno di domande a cui non sapeva dare una risposta. Cos'era accaduto
la notte prima? Perché si sentiva talmente
male?
L'ultima cosa che ricordava era il buio scantinato e poi lo
svenimento. Non si ricordava né di essere rinvenuto, né
di aver camminato fino in camera sua e sopratutto non rimbembrava di
essersi spogliato ed addormentato sul pavimento. L'unica cosa che
riusciva a ricordare se ripensava alla notte scorsa dopo lo svenimento
era un forte odore di muschio e nient'altro. Si portò una mano
alla fronte, sospirando. Probabilmente i suoi l'avevano trovato svenuto
nello scantinato e
portato in camera sua, l'avevano spogliato; avrebbe dovuto essere
bollente a causa della febbre. Anche se ancora non capiva perché
fosse sul pavimento e non sul
letto. C'era odore di sangue. Odore di sangue. Theo scattò
subito col busto, mettendosi seduto. La sua mano, quella con cui si era
toccato la fronte, era sporca di
sangue raffermo. Guardò l'altra. Anche quella era sporca. Le sue
mani erano imbrattate di sangue. Si guardò il corpo, pieno di
tagli che prima non aveva.
All'improvviso si rese conto di quanto puzzasse di quel liquido
rossastro.
Il panico
prese il sopravvento. Perché era sporco di sangue?
Perché? L'odore metallico impregnava tutto il suo corpo,
facendogli girare
ancora di più la testa. Doveva alzarsi. Doveva assolutamente
andare a lavarsi, non poteva lasciare che i suoi genitori entrassero in
camera sua e lo vedessero in quelle condizioni. Disteso sul letto nudo,
sporco di sangue e pieno di tagli. Si alzò dal letto ed un senso
di nausea lo pervase.
Barcollò fino al bagno e s'infilò
sotto la doccia. Stare sotto l'acqua fredda lo fece sentire un po' meglio, ma Theo non riusciva a tranquillizzarsi.
Era successo qualcosa quella notte.
***
Theo odiava la scuola. Forse gli era piaciuta prima che cominciasse a
sentirsi male ogni giorno, prima della sua "insonnia isterica". Ora
la odiava.
Non aveva nessun amico, e non cercava nemmeno di farsene
uno. Stare vicino alla gente lo infastidiva ed innervosiva. A dire il
vero, lo infastidiva ed innervosiva la maggioranza di tutto ciò
presente nel mondo, tuttavia nulla gli provocava quel senso di
malessere come la presenza di altra vita umana.
Era una follia, lo sapeva. Gli esseri umani erano una specie fatta per
stare in gruppo, bisognosa di compagnia per il suo sostentamento. Lui
no. Lui cercava di stare lontano da chiunque e da qualunque contatto
con le
persone. Si sistemò all'ultimo banco e poggiò la testa
contro di esso. Voleva andare a casa e voleva farsi un'altra
doccia. Si
sentiva ancora l'odore del sangue addosso. Magari era soltanto la sua
immaginazione, si ritrovò a pensare. Forse non era mai stato
sporco di quel liquido dal sapore ferroso, era soltanto una visione
causata dalla sua mente
malata. Era forse pazzo? I matti immaginavano quelle cose, come il
sangue. L'intera faccenda non aveva senso: si ritrovò a
concludere che fosse solo una fantasia, con ogni probabilità.
«Ciao, Theo» disse la sua compagna di banco, sedendosi.
Era Nancie Drew, una ragazza dai capelli corti e di un colore che
ricordava le carote. Piuttosto popolare nella scuola, i suoi genitori
avevano una compagnia di Theo-non-si-ricordava-che-cosa, e secondo i
parametri americani era anche carina. Viso ovale, occhi chiari ed un
fisico atletico. Theo sapeva che era bella, ma a lui non erano mai
interessate granché le ragazze. Non sapeva dire se fosse gay o
qualcosa del genere, perché a dire il vero non si era mai
interessato nemmeno ai ragazzi. Forse era asessuale. Un pazzo asessuale
che la mattina si sveglia inzaccherato di sangue.
L'unico motivo
per cui Nancie si sedeva vicino a lui era perché era
spaventosamente alta, ed ogni volta che si sedeva anche soltanto una
fila più avanti qualcuno cominciava a lamentarsi del fatto che
non riusciva a vedere la lavagna. E poi gli aveva comunicato che
apprezzava il suo essere silenzioso, quindi lo considerava un buon
compagno di banco.
Non che gli importasse ciò che pensava Nacie Drew, ma era
l'unica persona con cui scambiava qualche parola di tanto in tanto, non
la trovava tanto male. La salutò con qualcosa che era a
metà tra un "Hey" ed un
grugnito, ma la rossa non ne sembrava essersela presa a male. Ormai era
abituata al modo di fare di Theo.
«Hai saputo cos'è successo questa notte?» gli
chiese, posando lo zaino per terra. Theo avrebbe voluto rispondere che
no, non aveva la minima di idea di cosa fosse successo quella fottuta
sera, in nessun senso, ma si limitò a scuotere la testa. Nancie
abbozzò un sorrisetto soddisfatto, di quelli che compaiono sulle
labbra delle signorine per bene quando, in uno dei ritrovi settimanali
con le loro compagne, discutono di ogni scoop che avevano intravisto al
telegiornale, o meglio, di cui i loro genitori si erano raccomandati di
non proferire parola. Si guardò intorno con fare
sospetto, come per controllare che nessuno li stesse spiando, si
avvicinò con la sedia al suo banco e poi lo guardò coi
suoi piccoli occhietti azzurri. Sbatté per qualche secondo le
grandi ciglia foderate di mascara, prima di parlare con la voce
sussurrata di chi si propone al saper tutto.
«A quanto pare c'è stato un omicidio, Theo».
Perché ho scritto tutto
ciò? Perché c'è bisogno di più fanfiction
italiane con lupi mannari gay, ecco perché. Quindi, ecco, non
c'è molto da dire. Ringrazio la mia amata moglie che mi ha fatto
anche da beta, non c'è modo migliore per tenere viva la fiamma
in un matrimonio di betare le storie della tua dolce metà (?).
Grazie, moglie ♥
Ringrazio anche quelli che metteranno nei preferiti/seguite/da ricordare, recensiranno o semplicemente leggeranno.
Voi lettori, insomma. Perché senza dei lettori scrivere sarebbe inutile, quindi grazie ♥
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