Svezia conosce
abbastanza il danese per sapere che è nervoso.
Più che
nervoso, l'uomo dai capelli scombinati -ancor di più adesso,
dopo averci passato le mani per ore, in attesa del volo- è
terrorizzato. Lo saprebbe anche senza vederlo con le mani strette ai
braccioli, le nocche bianche e lo sguardo fisso al sedile davanti al
suo.
Non aiuta
sicuramente il fatto che siano proprio accanto all'ala e che, ora, in
fase di decollo, questa stia tremando terribilmente, minacciando di
volare via senza di loro.
Berwald è
abituato a viaggiare in aereo. Per forza di cose, preferisce prendere
l'aereo per raggiungere i luoghi dove si tengono le riunioni e suo
figlio, quando resta a casa. Usa l'aereo per ogni minimo spostamento
che lo permetta, conquistato dalla velocità con cui può
raggiungere le persone che ama.
Matt non è
un grande fan di quel mezzo di trasporto. Si può dire, ancora
meglio, che sia terrorizzato persino dai treni, non riuscendo proprio
ad accettare i miglioramenti tecnologici. Il danese è un
navigatore. Abituato ad andare per mare, seguire le stelle, in un
certo modo un romantico, malinconico dei tempi andati, per lui è
impossibile accettare che qualcosa di più pesante dell'aria
possa volare come se niente fosse, sostiene che dovrà comunque
cadere a terra.
A nulla sono valse
le spiegazioni di quello che è un fanatico degli aerei,
Islanda, che chissà come, però -Berwald sospetta che
abbia tirato fuori un paio di parole magiche, pabbi incluso- è
riuscito a convincere il danese a raggiungerlo con quel mezzo.
Il fatto che abbia
dato un preavviso così breve ha sicuramente aiutato.
E quindi eccoli, in
fase di decollo all'aeroporto di Berlino, dove sono rimasti due
giorni in più per ragioni puramente turistiche, come a volte
accade quando lo svedese si fa prendere dalla voglia di analizzare
l'architettura di un luogo, il danese entusiasta di poterlo seguire
in una delle poche cose che condividono davvero.
L'aereo accelera e
Berwald si ferma ad ammirare la città che diventa sempre più
piccola, fuori dal finestrino, cercando di ignorare il dolore alla
mano quando Danimarca decide che quella è molto più
stritolabile di un bracciolo.
Lo controlla di
nuovo quando la luce che segnala ai passeggeri che è
obbligatorio allacciare le cinture si spegne, quando la sua presa
dolorosa non si allenta, anzi, sente il palmo sudato ed immagina il
suo terrore. Continua a tenere gli occhi chiusi, infatti, il respiro
irregolare, la mascella serrata.
Sospira e posa
anche l'altra mano sulla sua, cercando la sua attenzione, ma non
ricordando -o non rendendosi conto- che si trova accanto al
finestrino, quindi Matt si volta e lancia un lamento soffocato nel
vedere il cielo e l'ala puntata verso di esso, mentre l'apparecchio
vira.
"Stiamo
precipitando?!" esclama, un po' ad alta voce e Berwald ringrazia
che nessuno possa capire lo svedese, perché il ragazzo biondo
porterebbe il panico a bordo. Scuote la testa e sospira ancora,
appuntandosi mentalmente di dire all'islandese che le sue idee
geniali non lo sono poi moltissimo.
"Ovviamente
no, stiamo solo virando..." spiega, alzando il bracciolo per
farlo avvicinare all'oblò, se lo vuole ed indicando il cielo,
diventato bianco quando sono entrati dentro una nuvola. Sente il
danese squittire e non muoversi di un centimetro, ma annuire
furiosamente.
"Siamo
all'inferno?" chiede ancora, indicando il bianco brillante.
Fortunatamente a quello si sostituisce presto un cielo blu più
familiare.
Matt guarda
all'esterno, poco rassicurato, continuando a stringere la mano dello
svedese come se fosse l'unico appiglio possibile in un mare in
tempesta. Gli esce l'ennesimo sospiro e l'altro sembra accorgersene,
perché unisce le sopracciglia in un'espressione da cucciolo
ferito ed abbandonato, tirando le labbra all'infuori con aria offesa.
Berwald scuote la
testa e torna a guardare fuori, sospirando per l'immaturità
del fratello. Se non è capace di farsi passare delle paure
infantili, allora che non si faccia convincere solo a metà.
"Eirik mi ha
detto che non era così spaventoso..." borbotta,
lamentoso, cercandolo anche con l'altra mano, ma tirandolo per la
camicia.
Sette lunghe ore...
non potevano scegliere un altro giorno, per partire? Oppure partire
dalla Svezia? Non sa se riuscirà a sopportarlo ulteriormente.
"Non è
spaventoso, sei tu che hai paura di qualsiasi cosa non sia una nave."
ribatte, sempre guardando il verde così differente sotto di sé
e chiedendosi se non possa per caso fingere di dormire di colpo.
Il danese si
imbroncia, offeso da quell'insulto gratuito alla sua natura da
marinaio e l'altro sospira, slacciando la cintura e voltandolo verso
l'oblò, nonostante le proteste.
"Non è
così diverso da quello che conosci, guarda." mormora,
appoggiandosi quasi casualmente sulla sua schiena, un gesto che lo
imbarazza, fatto così, in pubblico, ma si sente anche al
sicuro, in quella situazione in cui è giustificabile.
Danimarca gli stringe meglio la mano e sembra calmarsi un po' -per
quanto possa sembrare calmo, lui che è sempre rumoroso,
saltellante ed energico come se vivesse di caffè- accettando
di guardare il paesaggio sotto di loro, che sembra scorrere con
lentezza e prenderlo in giro per le sue paure, acuendole.
"Non mi piace,
se dovessimo cadere...!" protesta rumorosamente Matt, facendogli
sfuggire un sospiro. Svezia è una persona paziente, in fondo e
il proprio amore per i dibattiti lo fa diventare combattivo di fronte
ad imprese impossibili come quelle.
"Non cadremo."
è la sua risposta, breve, ma detta con il tono giusto. Il tono
necessario a rassicurare il fratello, come quando erano bambini.
"Guarda, le nuvole sono la schiuma del mare e il verde, a
quest'ora, sembra blu... Sembra di navigare sopra le rovine di una
civiltà sommersa, come Vineta." spiega calmamente,
indicando a mano a mano quello che vuole che l'altro veda.
E l'altro,
inspiegabilmente -oh, ma è molto logico per lo svedese, che lo
conosce da tempo- distende il viso in un sorriso enorme, come un
bambino davanti ad un gelato gigantesco e coloratissimo o un nuovo
giocattolo a Natale. Capisce, immagina, crea. E si scioglie un po' in
quell'abbraccio casuale che torna ad assumere tratti che conoscono
entrambi. Lo stesso abbraccio di quando si ritrovano a guardare le
stelle, nel porto di Copenhagen, le poche che ancora si vedono, un
po' goffo, ma comunque un modo per comunicare cose che lo svedese non
riesce a trasporre in parole.
Ti sono vicino. Ti amo. Sei un
idiota a pensare davvero che ti farei affrontare un viaggio così
pericoloso. Sei il mio idiota.
"Quello sembra
proprio un campanile, eh? Dici che potrebbe essere proprio Vineta?
Aaaah, mi piacerebbe sentire il rumore delle campane!" esclama
Danimarca, continuando a puntare il dito su cose differenti, cose che
solo vagamente somigliano a qualcosa che possono collegare a quella
città perduta.
Matt è
sempre stato quello con più immaginazione, tra loro, talmente
convinto delle storie che raccontava da spaventarlo, a volte,
facendogli pensare che fosse esagerato o che ci credesse veramente ed
avesse perso il senso della realtà.
Ma non è
così. Il danese riesce perfettamente a vivere le due realtà
che esistono, nella sua testa e fuori... e forse è per questo
che rimane sempre così felice, così allegro, nonostante
abbia trascorso momenti orribili, che segnerebbero chiunque. Può
prendere le proprie paure e trasformarle in altro, farne una forza.
Lo ammira, per
questo, perché lui, a confronto, non è altro che un
orso impacciato ed ancora spaventato dall'imbarazzo del dire quello
che pensa alle persone a cui tiene, pensando che potrebbero fuggire,
lasciarlo solo, non comprendere a che punto sono essenziali.
"Ehy, Ber, ora
però la luce se ne sta andando, dici che vedremo le stelle?"
chiede il danese, voltando il viso verso di lui, preoccupato.
Danimarca a volte
sembra ancora un ragazzino, capace di meravigliarsi per qualsiasi
cosa, di trovare un senso alle cose più assurde. Anche quello
è un tratto che adora, di lui, anche solo trovarglisi accanto
lo fa sentire più tranquillo, allontana le preoccupazioni, le
rende piccole cose senza un vero valore, perché ciò che
è importante è molto altro.
"Certo che le
vedremo, guarda..." risponde, come se non avesse pensato ad
altro che a ricevere quella domanda, indicando le luci delle città
sotto di loro, minuscole, irriconoscibili come tali, del tutto
somiglianti a piccole stelle. Sono ancora poche e presto sotto di
loro ci sarà il mare, ma spera che possa apprezzarle lo
stesso, renderle qualcosa che possa tranquillizzarlo.
"Waaaah! Hai
ragione, sono stelle! Sono tantissime!" esclama, felice, a voce
troppo alta per non ricevere un'occhiataccia da parte dei vicini. Gli
tocca un braccio, come per calmarlo e il danese se ne accorge,
facendo un'espressione buffa, come un ragazzino colto sul fatto
mentre si ingozza di caramelle, tentando di farsi piccolo piccolo.
Resta a guardare le
stelle scomparire, lasciandosi andare a versetti entusiasti che
diminuiscono a mano a mano che si avvicinano alla costa e, quando
finalmente si ritrovano sul mare, Matt sembra rilassarsi del tutto,
la testa posata contro la sua spalla, le braccia che si stringono
alle sue.
Danimarca ritrova
ciò che lo rilassa come nulla al mondo: il mare e l'abbraccio
dell'uomo che ama.
Berwald non può
fare a meno che sorridere un poco, mentre lo sente addormentarsi,
posandogli un bacio sulla tempia.
"Grazie, Ber."
Note
dell'autrice
Signori e
signore, ho scritto una DenSu. Non li shippo nemmeno, ma mentre
morivo di ansia in aereo ho buttato giù qualche riga ed idea
base per questa fanfiction e mi sono venuti in mente loro due. Forse
perché mi sarebbe piaciuto avere loro due accanto per farmi
coccolare. XD
Vineta è
una città leggendaria ipoteticamente sulle coste tra Germania
e Polonia ed ipoteticamente anche popolata/fondata da vichinghi.
Sempre la leggenda narra che sia stata fatta sprofondare da Dio
perché solita città di peccato come tutte le città
avanzate.
|