Unfulfilled Heart
"Penso che la gravità della situazione vi sia chiara", disse lo stratega
srotolando sul tavolo una mappa disegnata col carbone, "e ora voglio che mi
stiate a sentire, tutti. Domani all’alba Lord Eliwood, Lord Hector, Lady Lyndis
ed io andremo in esplorazione verso il castello di Bern. Sarà vostro compito non
farvi notare dal nemico, disperdetevi nella boscaglia fino al nostro ritorno.
Ma, nonostante ogni nostra precauzione, uno scontro potrebbe avvenire."
"Ho mandato Florina in ricognizione così da poter contare su una mappa, per
quanto approssimativa. Vi sia sempre presente che la priorità va alla sicurezza
dei civili, non importa che qui siamo nel cuore del territorio di Bern, gli
errori della casa reale non devono ricadere sui suoi sudditi. Sono stato
chiaro? Nella fattispecie, c’è un villaggio oltre questa catena montuosa e non
voglio che ci siano vittime – Kent, Sain, alle prime luci dell’alba sellate i
cavalli e correte ad avvertirli di chiudere i cancelli."
"I cavalli sono già sellati, Sert, signore. Possiamo partire anche
subito."
"Ciò vi fa onore, ma per la segretezza del nostro accampamento è meglio che
ci muoviamo tutti insieme. Partirete domattina. Ripensandoci, Canas, Erk, andate
con loro. I paesani possono ignorare la nostra presenza, ma tutte le viverne di
Bern saranno state allertate dagli ultimi scontri, e non voglio correre
rischi."
"Con il suo permesso, mi trovo costretto ad obiettare. Vieppiù con le armate
di Bern all’erta, è prioritario che noi maghi restiamo a difendere
l’accampamento e –"
"Obiezione sensata ma respinta, Canas. Lucius resterà all’accampamento, e in
caso di necessità Priscilla è ormai in grado di utilizzare i tomi più
elementari. È chiaro?"
"Mi rimetto al suo giudizio."
"Me ne compiaccio. Dunque, Oswin, Lucius, Priscilla, Florina, armi pronte e
fate centro su Merlinus. Priscilla, presti particolare attenzione… Lady
Priscilla? Mi sta ascoltando?"
"Sì, sì signore. Centro su Merlinus."
"Sa che è suo compito occuparsi dei feriti. Non ci sarà bisogno di ripeterlo,
ma la situazione ci sta innervosendo tutti e non voglio errori. Se qualcuno dei
nostri si avvicina, gli corra incontro e si assicuri che stia bene. Florina, nel
caso, scortala.
"Lord… Raven?", chiesero Lucius e Priscilla quasi all’unisono.
"Raven è più che in grado di difendersi da solo, signori. In caso
contrario tornerà alla tenda evitando gli scontri, come tutti. Raven, Guy,
tenete i monti a nord alla vostra destra e cercate il gruppo di Lord Eliwood.
Spero che non avremo bisogno di supporto, ma…"
"Lo consideri già fatto."
"Non dubitavo. Vi ricordo che io non sarò qui domani, e il successo
dell’intera strategia dipende da voi. Siate attenti, siate flessibili, non
prendete rischi inutili. Siamo arrivati insieme troppo lontano per fermarci ora.
Ci sono domande?"
Nessuno sembrava avere da ridire, e dopo averli ben squadrati in viso Sert li
congedò. "Bene, potete andare. Siete liberi fino a domattina… ho fiducia in voi.
Heath, tu resta."
Heath si guardò intorno perplesso mentre i suoi compagni d’armi uscivano
dalla tenda, in piccoli gruppi, discutendo dei rispettivi ruoli nell’incombente
battaglia. Si sentiva offeso e tagliato fuori.
"Signore, non penserà che io… non… insomma, ho prestato giuramento a Lord
Eliwood quando mi sono unito a questo gruppo. Non infangherò il mio onore, non
c’è bisogno di questo!", sbottò.
"Calma, soldato, calma, hai frainteso le mie parole. Posso solo immaginare
quanto sia difficile per te andare in guerra contro dei tuoi compatrioti, ma non
è di questo che voglio parlare. Siediti."
"Di… cosa, allora? Spero di non aver mancato in nulla ai miei doveri."
"Tutt’altro. Ma fra i tuoi doveri ora rientra anche il non far uscire da qui
le informazioni che ti confiderò."
"Ha la mia parola…"
"Siamo senz’armi, Heath, me lo ha comunicato Merlinus ieri. Ho lasciato
andare gli altri perché non volevo che incidesse sul morale, ma non reggeremo
fino alla fine di questa battaglia. Florina pensa di aver individuato un
armaiolo, ma è lontano, qui, oltre le montagne… ho un assoluto bisogno delle ali
di Hyperion e, non potendo chiedere direttamente a lui, mi rivolgo a te",
concluse Sert con un sorriso.
Heath ricambiò, illuminandosi in volto. "Io e Hyperion siamo pronti a partire
in questo istante! E torneremo con abbastanza armi per tener testa a un drago,
signore!"
"Partirai domattina, insieme con gli altri. Ma non sarai l’unico. Legault si
è offerto volontario per questa missione non appena ha saputo del problema – non
voglio sapere come l’abbia saputo, ma è la persona più adatta per il
compito e tanto mi basta. Lo scorterai fin lì, prenderete le armi e tornerete
indietro. Evitate gli scontri se potete, priorità ai rifornimenti. Ci sono
domande?"
"L-legault, signore?" D’istinto, Heath raddrizzò la schiena e incrociò le
braccia.
"Legault, sì. Questo ti crea dei problemi?"
Sì!, avrebbe voluto rispondere, Parecchi. Non era ancora riuscito
a capire se avesse veramente scherzato, durante la loro ultima conversazione, o…
o se fosse veramente innamorato di lui. "No, suppongo di no. Ma non potrebbe
mandare Florina al posto mio?"
"Florina, dici? Florina è un’ottima combattente, ma come saprai non posso
affiancarla a un uomo, la sua fobia potrebbe risultare fatale a entrambi in
battaglia." Sert congiunse le mani sotto il mento e osservò il suo
interlocutore. "Ripeto, Heath, ti crea dei problemi?"
Sì, che di quell’uomo lì ho una fobia anch’io… "No. Partiremo domattina e
torneremo con le armi. È una promessa." Non poteva lasciare che dei timori
intralciassero la missione, era in debito con quella gente e si sarebbe fatto
valere.
"Bene. Puoi andare."
Quella notte Heath dormì poco e male. Male come tutti, in ansia per
l’indomani, poco perché, nonostante continuasse a ripetersi di non pensarci,
l’idea di Legault come compagno di missione non gli piaceva. Non solo restava
l’incognita di quell’altro giorno, ma i suoi atteggiamenti, i modi di fare gli
risultavano irritanti, doppi, senza onore. La loro storia era più simile di
quanto volesse ammettere, ma la cosa non serviva a rivalutarlo ai suoi occhi.
Forse lo innervosiva ulteriormente. Lui era stato deluso – più che deluso,
tradito da Bern, e aveva rischiato la vita per andarsene e seguire una via
più giusta. Ma si può venir delusi da una banda di ladri? Che principi morali
possono venire infranti? Si fosse redento, almeno, ma no. E poi il modo di
combattere, così cauto, sempre pronto a nascondersi dietro ai soldati più
esperti. Come lui. Che era riuscito negli ultimi tempi ad evitarlo con un certo
successo, salvo poi trovarsi incastrato a quel modo, sorte infame. Per evitarla
avrebbe potuto confidare a Sert tutto quello che aveva appena detto a sé stesso?
Denigrare i compagni d’arme non è comportamento da cavaliere. Ma riferire di
un’attrazione... sempre che fosse esistente… non ricambiata poteva forse
definirsi denigrare? No, si contraddisse, ma non c’è faccenda più privata.
Ugualmente non appropriato per un cavaliere.
Si stava così tormentando da più di un’ora, e i pensieri sembravano non
finire. Di cosa avrebbe parlato il giorno dopo? Un silenzio imbarazzato? Se
invece fosse stata un’elaborata presa in giro, sapendo che il suo codice
personale non gli avrebbe permesso di prenderla alla leggera? Esasperato, finì
per rivestirsi, prendere un secchio, uno strofinaccio e dedicarsi a una
meticolosa pulizia notturna delle ali di Hyperion, l’unico nell’accampamento che
sembrasse veramente capirlo.
Si addormentò con lo straccio ancora in mano, abbracciato al collo della
viverna.
"Buona giornata, mio prode cavaliere, e fortuna in battaglia", lo salutò
vezzoso Legault mezz’ora prima dell’alba, mentre stava regolando i finimenti.
"A te", rispose secco, e si mostrò estremamente attento e concentrato per una
serie di gesti che, dopo anni di pratica, avrebbe potuto compiere ad occhi
chiusi.
"Facciamoci valere", gli sorrise il ladro, e andò a sedersi con pigra grazia
in un angolo, in attesa che lui finisse. Non sembrava avere intenzione di dire
altro. Forse ho rimuginato troppo, pensò Heath mentre stringeva il
sottopancia, e andrà tutto per il meglio. Forse.
Diede una carezza al muso squamoso di Hyperion, che rispose con un basso
ruggito riconoscente. Guarda che sono io a dover ringraziare te, non il
contrario – almeno saremo in tre. Sospirò e si avvicinò al punto dove
Legault era seduto e tracciava complessi ghirigori sulla polvere, e nonostante
lo sguardo del ladro fosse fisso a terra Heath avrebbe potuto giurare che
l’avesse sempre seguito con la coda dell’occhio. "Vedi là in fondo?", iniziò.
"Ci sono un grosso guanto di cuoio e della carne fresca, mettiti il guanto e
prendi un pezzo di carne, e vieni qui."
"E dimmi, cosa dovremmo fare noi con un trancio di carne sanguinolenta?",
rispose Legault dopo una breve pausa, inarcando un sopracciglio.
"Tu prendila e seguimi. Hyperion non è un cavallo, non accetta di portare
chiunque. Devi chiederglielo per favore, e del cibo è un buon modo per
farlo. O preferisci dargli un braccio?"
"Ricevuto, o feroce domatore di viverne…", disse, mentre indossava il guanto
con un’espressione testardamente corrucciata. "Ma in battaglia non – come
spiegarmi… certo puoi tu, suo padrone, ordinargli di accettare
qualcuno?" "Certo potrei." "Quindi?"
"Ma non ne ho nessuna intenzione."
"Capisco."
Legault tenne la carne sul palmo aperto della mano e si avvicinò a Hyperion
frontalmente, senza fare movimenti affrettati che potessero innervosirlo. Quando
furono a due metri di distanza lo guardò negli occhi, curioso ma diffidente, e
la viverna in risposta fece schioccare le mascelle e inarcò il collo,
ringhiando.
"È inutile, non gli piaci…", commentò Heath in tono casuale e non
dispiaciuto, "vedi almeno di non farti mordere ora che sei lì, sta’ fermo e non
guardare altrove o la prenderà come un’ammissione di sconfitta. Ora procedi
lentamente e offrigli la carne, e soprattutto non abbassare lo sguardo."
"Tsk… pregiudizi, sono circondato da ignobili e calunniosi pregiudizi. Su,
parla, cos’ho che non va?"
"O è una questione di odore, e non ci si può fare nulla, o sei stato troppo
sprezzante. Te l’ho detto, non è un cavallo… ti percepisce come un rivale."
"Oh, questo è sorprendente. Dunque questa bestia è più intelligente di quanto
pensassi."
"Come?"
"Ne parliamo dopo. Ora, fammi uscire di qui vivo e integro."
"Smettila! Stai fermo, dannazione, è un ordine!"
"Non dirmi. Comandi tu, ora?"
"Sì."
"E per quale motivo, di grazia?"
"Due motivi molto validi:", ringhiò Heath in risposta, "io ho le redini, io
ho le staffe. Io gli chiedo una virata in velocità, tu cadi."
"Valida argomentazione, sono esterrefatto. Non da ultimo da sì tanta
compassione, certo segno di un animo nobile…", declamò Legault con sussiego,
sottolineando le parole con ampi gesti del braccio che andarono sfortunatamente
persi al suo interlocutore, dato che questi – secondo una sua soggettiva
interpretazione dei fatti – insisteva nel voltargli le spalle.
"Risparmiati… io non sono così, Legault". Heath abbassò la testa
rassegnato, sbuffò e scandì bene le parole. "Tu mi fai essere così. Prova
a lasciar stare le mie riserve, là dietro, e sarei molto meno nervoso. Per
esempio."
"Non riesco a sentirti! C’è troppo vento, parla più forte!"
"E smetti di prendermi in giro! Basta! Non è divertente!"
"…No, no, suppongo che non lo sia", rispose Legault a voce improvvisamente
bassa, appena udibile sotto il battito ritmico delle ali di Hyperion. "Ma non
posso smettere, sto cercando qualcosa."
"E lo cerchi sul mio giavellotto?"
"Anche, sì."
"Pensi di trovarlo in fretta?"
"Se… se me lo dici così… sì, l’ho appena trovato."
"Cosa mai…?", chiese Heath girandosi. Legault stava passando il giavellotto
da una mano all’altra con un complicato gioco di dita e sembrava molto preso da
quell’infantile dimostrazione di abilità, non meno di quanto fosse stato lui
stesso, un’ora prima, nel finire di sellare la sua viverna. Non si considerava
un gran giudice dell’animo umano, ma vedeva senza dubbio che il ladro era
turbato, difficilmente riconducibile al suo caratteristico distacco.
"Cosa…?"
"Nel deserto – io ero serio, Heath. Mortalmente serio. A una persona onesta…
da una che sta cercando di diventarlo."
"Così si trattava di questo."
"E di cos’altro mai?"
Heath non rispose. Prese le redini in un mano e con l’altra si coprì gli
occhi, lieto che l’altro non potesse vederlo: in fondo, molto in fondo, non
voleva ferirlo. Ma, anche ammesso che questa volta avesse detto il vero, e ne
era abbastanza convinto – o era un attore così abile, capace non solo di
mantenere la solita impenetrabile maschera, ma di cambiarle a piacimento? E a
che fine inscenare una tale burla? – quanto poteva valere il "vero" di un ladro,
di un Black Fang?
Da qualunque parte lo guardasse, Legault era e restava un pensiero scomodo.
Avrebbe preferito poter far finta che non esistesse, eliminarlo dal suo
orizzonte mentale, ma la situazione semplicemente non lo concedeva. Dunque,
riprese, che valore assegnare a "vero"? Quale ad "amore"? L’aveva visto con i
suoi occhi dedicare un certo tipo di attenzioni a Lady Isadora, perché pensare
che quanto appena confessatogli fosse frutto di un sentimento più serio?
Quell’uomo era capace di sentimenti seri, per Santa Elimine e le Leggende
tutte? Sembrava prendere tutto come un gioco, uno scherzo, o una sfida. E Heath
non ambiva a venir considerato un premio.
"Se almeno qualche avversario ci degnasse di un’apparizione", lo interruppe
Legault. Apparentemente già tornato in sé, giudicò Heath dalla dose
massiccia di sottintesi condensata in così misere parole, e, al solito, non
riuscì a cavarne un capo né una coda. Optò per un’interpretazione diretta, e che
poi si spiegasse lui. "Che razza di malsano desiderio è questo?"
"Chissà, forse bramo solo un qualche modo per tenermi impegnato, data la
triste fine toccata al mio… precedente tentativo di conversazione."
"La fortuna ti arride, allora", mormorò Heath aggrottando la fronte, "non
poteva andarti meglio."
"Oh, delizioso! Lo devo interpretare come una seconda possibilità?"
"E quando sarebbe stata la prima…? No, che ci stavano aspettando, di
pattuglia davanti all’armaiolo… siamo stati prevedibili. Tre maghi e, se gli
occhi non mi ingannano, adepti delle tre scuole elementali…"
"Maghi… lì… sembra proprio che ci abbiano ritorto contro la nostra stessa
strategia. Ben fatto, Sert, davvero magistrale…"
"Non importa! Se colpiamo per primi non noteremo la differenza. Io punto
sullo sciamano… si va, preparati a saltare!", gridò Heath abbandonandosi
all’ebbrezza del volo.
Parte di lui si odiò per questo, ma il cavaliere si sentì finalmente e
improvvisamente libero, come se stesse respirando per quella volta da quella
mattina, fuori da una cappa soffocante. Conosceva la battaglia, era lineare,
libera, onorevole, sapeva di combattere per una giusta causa e in questo era
felice. Con un brivido fece roteare la lancia, prestando marginale attenzione a
non colpire dietro di sé, e spinse Hyperion, una cosa sola col suo corpo e la
sua mente, a prendere quota prima di volare in picchiata sull’ignaro
avversario.
Si concesse un raro sorriso aperto nel sentire il vento carezzargli il viso,
e non distinse da esso una mano leggera che gli scompigliava i capelli,
trattenendone una piccola ciocca verde, e poi scendeva con lentezza malinconica
sull’armatura, fermandosi lieve all’altezza del cuore.
Si fermò per un istante per permettere a Legault di scendere con un salto e
con una manovra azzardata si portò alle spalle dello sciamano, pronto a colpire,
lancia e zanne un tutt’uno attento e teso. Caricò, ferendo gravemente il nemico,
ma non riuscì ad impedirgli di completare il suo incantesimo.
Si sentì circondato dal buio, stretto da un freddo mortale, indifeso e
inadeguato. L’oscurità colava sotto il metallo, sotto le vesti, fino a diventare
parte di lui. Gli sciamani erano abituati a questo tipo di comunione, ma per
chiunque altro poteva essere mortale – cercò di concentrarsi, ma invano si
appoggiò alla forza del suo destriero o alla luce e al vento che lo circondavano
nella realtà, il buio era più forte. Sentì in bocca il sapore del sangue,
strinse i pugni nella rabbia di non essere riuscito ad evitare il colpo e si
preparò al contrattacco, la mano sudata stretta sul ferro dell’arma. Con una
volontà inflessibile al pari della sua lancia, si alzò nuovamente e ricadde in
una picchiata elegante e micidiale come la precedente.
Continuò così il suo duello, schivata, contrattacco, affondo, senza prestare
attenzione a quello che avveniva ai margini del suo campo visivo, ma qualcosa
sembrava fuori posto… approfittò di un momento di raccoglimento in quota per
controllare la situazione dall’alto, e quello che vide gli fece gelare il
sangue: un mago era morto, ma in quell’esatto momento Legault stava rovinando al
suolo, disarmato, colpito di striscio da un’esplosione di fuoco. Dopo l’iniziale
smarrimento Heath si concentrò e si abbatté sul suo nemico con un affondo
mortale. Disimpegnatosi, con pochi possenti battiti d’ala fu al fianco del
ladro, lo prese a forza in sella e, lancia in resta, si gettò sul saggio, che
atterrito dall’apparizione di una viverna assetata di sangue non riuscì ad
opporre resistenza.
Nella piccola valle sembrava tornata la quiete. Come di consueto, Heath si
passò una mano nervosa fra i capelli mentre controllava lo stato di armatura,
armi, finimenti e cavalcatura, mai peccare di troppa sicurezza, il nemico poteva
essere ovunque. Riesaminando con la memoria l’ultimo scontro, però, qualcosa lo
colpì, un dettaglio che era passato in secondo piano rispetto al più urgente
salvataggio. Possibile che…?
Si voltò verso Legault che, in silenzio, stava curando le sue bruciature con
un sorriso sornione stampato in viso. "Tu…"
Il ladro ricambiò lo sguardo, pieno di gratitudine per il tempestivo
salvataggio. Vacillò un attimo, colto alla sprovvista di fronte a quell’ampia
dimostrazione di innocenza, ma non poteva essere altrimenti: "Tu… tu –
incosciente! Tu… hai fatto apposta…", balbettò, livido di rabbia, mentre
iniziava a rallentare in vista dell’atterraggio – la missione restava più
importante di qualunque sfuriata i suoi nervi tesi gli stessero suggerendo, e
togliersi la tentazione di buttarlo di sotto si stava facendo ugualmente
prioritaria.
"Fatto apposta… cosa, di preciso?" Non un tremito, non un cambiamento nella
voce. Eppure…
"Farti colpire." Heath dovette trattenersi dall’urlare.
"Perché mai avrei dovuto, mio valoroso capitano? È stato un banale,
sciagurato errore. Non sono addestrato all’arte della guerra, a un semplice
ladro si potrebbe perdonar ben altro."
"Perché? Non lo so perché, dannazione! Non conosco gli uomini e non so
neanche se annoverarti fra loro o fra le schiere di spiriti maligni! Ma conosco
il campo di battaglia e conosco i combattenti e, per Elimine, quella era
una finta!" "Suvvia, Heath… che timori…"
"Non ho timori se non quelli per le tue bugie! Hai detto questa mattina che
in virtù di un novello sentimento staresti provando a seguire la via della
rettitudine… bene, dimostramelo! Guardami e rispondi, neghi di aver scelto di
subire quel colpo?"
"Io… oh, crudel desiderio del mio cuore! Mi vuoi morto, e grazie alle mie
stesse parole. Non posso sottrarmi. Sì, lo ammetto, per mia volontà ho
rinfoderato la lama..."
"Ma… perché?", chiese Heath esterrefatto.
"Suppongo tu non possa capire."
"Tu prova a spiegarmelo", ribatté, saltando infine a terra e invitandolo a
fare altrettanto. "E non voglio pensare che anche il tuo buon impegno verso
questa missione fosse fasullo… ma ti sei offerto prima di me, quindi credo in
questo di poterti dare fiducia."
"Fasullo?", ripeté Legault, e sembrò che una barriera fosse caduta: quella
parola suonava come una ferita, una dolorosa, umanissima ferita, non un
trastullo sofisticato. Affrettò il passo e si fermò di fronte a Heath,
bloccandogli la strada.
"Fasullo? Fasullo?? Ti vien facile riempirti la bocca con questa parola, ma
cosa ne sai, cosa ne sai in realtà? È pochezza o crudeltà che ti fa pronunciare
queste parole?"
"Io non so nulla, Legault. E non lo so perché sei una mescolanza di menzogne
e artifici, e distinguere il vero in mezzo a quelle richiede ben altre
conoscenze che le mie. So che hai messo in pericolo la tua vita e la mia per un
motivo frivolo. Raccontami tu il resto."
"Non ho messo in pericolo proprio nulla, ho fatto conto sulla tua abilità e
ho contato bene."
"Sia anche, ma cos’avevi per la testa?"
Legault tacque, guardandosi interessato i piedi.
"Siamo arrivati fin qui, parla!"
"Te, avevo. Continui a non capirlo, vero?" Eccolo, di nuovo quel cambiamento.
Ancora, quella poteva essere la verità, o qualcosa che le somigliasse molto.
"Speravo che questa missione andasse molto diversamente. L’avevo voluta così
fortemente. Speravo che fosse stata solo la sorpresa a farti fuggire quel
giorno. Speravo tante cose ed è andato tutto al contrario. Cos’altro dovevo
fare? Lasciami almeno uno, un singolo momento d’illusione in salvo fra le
braccia del mio bel cavaliere, come la più felice fra le principesse… lascia
stare, lascia stare. Oggi non è mai successo, va bene? Torniamo indietro vivi e
ognuno andrà per la sua strada, non ha senso tentare oltre. Non ha senso."
Fu il turno di Heath di guardare a terra in silenzio.
"Ma almeno vedi di fare qualcosa per quella tua benedetta ingenuità, o la
gente sarà anche troppo tentata di approfittarne!", disse Legault entrando nel
negozio, "’Offerto prima’? Via, via, Fiora non ha abbastanza esperienza per
un’uscita del genere, chiaramente serviva un paio d’ali e rimanevate tu e
Florina, inserisci me nel calcolo come secondo uomo e non è troppo difficile
indovinare le decisioni di messer Sert… Sembrava una così buona idea.
Sembrava."
Heath restava muto, cercando di sbrogliare un imprevisto nodo in gola.
Maledisse sé e la sua inesperienza, si sentiva un verme e non sapeva cosa farci.
Legault si era appena umiliato di fronte a lui, ma non era certo quello che
voleva, anzi il contrario, che fosse uno scherzo, aveva già abbastanza problemi
e non voleva causarne ad altri, no, neanche a lui, ma non aveva parole di
conforto da rivolgergli…
Fortuna volle che perdesse presto ogni interesse verso il prato come vacuo
oggetto d’osservazione, rivolgendosi invece alle nuvole che si rincorrevano
veloci sopra le montagne. Si fece schermo con la mano per vedere meglio nella
luce intensa del mattino, rabbrividì e cercò conferma in Hyperion, che sbatteva
inquieto le ali.
Corse nel negozio, dove Legault stava firmando la consegna delle armi
eccedenti la loro limitata capacità di carico e finendo di pagare l’intera
spedizione, contrattando fino all’ultima moneta. Heath afferrò al volo due lance
e un giavellotto dal mucchio e con l’altra mano prese il ladro per il braccio e
lo spinse malamente fuori dall’edificio, facendolo arrancare dietro di sé mentre
correva a perdifiato verso Hyperion.
Buttò in fretta le armi sulla sella e d’istinto sarebbe stato tentato di fare
lo stesso con Legault, se questi non avesse avuto la prontezza di spirito di
salire con le sue forze e di non contraddirlo finchè non si fossero librati in
volo.
"Si può sapere cosa ti è preso? Ti sei scordato del perché siamo venuti fin
qui?", chiese allora.
"Non le vedi?", rispose Heath, pallido e teso come la corda di un arco,
indicando il nord. "Viverne… sei… no, otto! Otto cavalieri del Black Fang! Siamo
perduti…"
"Fuggiamo dunque! Sert sarebbe il primo ad ordinarcelo, è inutile fare gli
eroi!"
"Non - non ne abbiamo il tempo, dannazione! Ci sono addosso! Legault,
aggrappati come puoi, non sarà un volo tranquillo…"
"Stai scherzando, vero? Fammi scendere, ti appesantisco solo! Con me in sella
non hai speranze…"
"Cosa…?"
"L’hai detto tu prima, Heath – tu hai le redini, tu hai le staffe. Io sono un
peso che t’intralcerebbe ogni manovra. Fammi scendere."
"Non dirlo. Voglio essere franco: non ti capisco, non approvo i tuoi modi di
fare, mi scuso per come te l’ho detto prima ma è la verità. Ma in quest’esercito
siamo compagni, e non lascerò che tu venga ucciso. Sul mio onore, questo
giuro.", si affrettò a rispondere in una sorta di goffa solennità.
"Ed è proprio quello che ammiro di te, schietto, onorevole cocciuto… per te,
sì, vale combattere", ammise scuotendo la testa, con un sorriso amaro a
testimoniare la follia che stava vivendo in quei giorni. Si appoggiò alla
schiena dell’amato, più leggero di un alito di vento, e riprese a parlare.
"Fammi scendere o mi butto di sotto, e il tuo giuramento sarà infranto in ogni
caso. Non puoi perdere altro tempo!"
Heath stava sostituendo la sua lancia con una più consunta ma appropriata
[picca], ma si fermò frastornato a metà del gesto. Cos’era quella sensazione di
colpa che si agitava sul fondo dello stomaco? Fallimento? Certo, stavano andando
a morire… ma c’era qualcosa d’altro? Forse che quella scelta lui poteva non solo
capirla, poteva perfino… apprezzarla?
Fuori dal mondo dei suoi inutili, inopportuni pensieri, Heath si stava
tormentando il labbro, incapace di accettare il sacrificio di un soldato che
avrebbe dovuto proteggere. E di un… valoroso? Non ho termini. Non voglio
averli. Basta così.
"Ti… lascerò nei boschi sotto di noi. Non uscire da lì, non esporti al
pericolo", disse infine, "e non ti vedranno."
"Lontano è ancora il giorno in cui una scatola di metallo su una lucertola
lunga tre metri potrà fare a me, una Zanna del Black Fang, la predica sul
come nascondermi… me la caverò, Heath, non ti preoccupare", rispose forzando il
sorriso che gli era abituale, "Ma è stato gentile da parte tua. Davvero. E ora
fammi scendere."
In seguito, Heath ricordò ben poco di quella battaglia. La fatica, sì, il
dolore, l’ardore della lotta, un turbinio di ferro e ali e sangue. Il grido di
Hyperion colpito alla spalla, nonostante il codice dei cavalieri di Bern lo
vietasse, la rabbia crescente e il senso d’impotenza, perché le forze non lo
sostenevano più. Come in sogno si chiese perché non lo attaccassero tutti
insieme, lasciandogli invece spazio di manovrare e difendersi, e quando anche
gli parve di vedere frecce e dardi magici saettare in direzione del nemico lo
trattò alla stregua di una visione, il desiderio infantile di un guerriero
morente.
Eppure finì.
Il cielo era libero e terso, e lui era vivo.
Ringraziò i Santi e scese a terra su gambe malferme. Qualche metro più in là,
due figure erano chine su qualcosa, e dai colori che vestivano non sembravano
Black Fang. Si avvicinò.
"M-marchesa Wrigley! Conte Reglais!", esclamò quando riuscì a distinguerli.
Aveva aiutato lui stesso il Conte, giorni prima, in quella disgraziata missione
a Nabata, ma nona avrebbe neanche osato sperare che il favoleggiato Generale
Mago d’Etruria si unisse alla loro causa. E la Marchesa, beh, era più bella di
tutti i canti in suo onore. Tentò di inchinarsi, finendo malamente carponi.
"Così sei tu il valoroso che ha combattuto nei cieli", gli si rivolse
sorridente Lord Pent porgendogli la mano e aiutandolo a rialzarsi. "Non
inchinarti, saremmo noi a dovere rispetto a te, piuttosto."
"N-no, non… vi ringrazio… ma il merito va alla mia viverna, senza di lui
sarei una minaccia ben risibile."
"Non solo suo", li interruppe Lady Louise, il bel viso oscurato da
preoccupazione. "Senza il coraggio di questo giovane, neanche l’Eroe Roland in
persona avrebbe potuto reggere un attacco del genere. A lui dobbiamo essere
grati."
Giovane…?
Legault era disteso a terra, ferito gravemente al fianco e al braccio. Un
lembo strappato dal mantello di Louise tentava, a mo’ di fasciatura, di
arrestare la perdita di sangue, ma non bastava, e il viso del ladro era
contratto dal dolore. Non sembrava nemmeno essere cosciente di quel che gli
accadeva intorno.
"Cosa...?!", gridò Heath, lasciandosi cadere al fianco del compagno.
"Legault, rispondi! Cosa è successo? Rispondi!!"
"Ha attirato su di sé l’attenzione dei cavalieri, permettendoti di attaccarli
secondo il tuo ritmo. Sperava di riuscire ad evitare i loro attacchi dove a te
sarebbe stato impossibile, immagino, ma erano troppi… mi dispiace", spiegò Pent
incrociando le braccia al petto e abbassando lo sguardo. "Mi dispiace… ho qui
con me solo i miei tomi magici, e cedemmo le pozioni lenitive alla Marchesa
Caelin questa mattina, non pensando di venir ingaggiati seriamente in duello.
Sono… desolato."
"Legault, rispondimi…" Heath si sentì morire. Non poteva andarsene proprio
ora che… ora che? Ora che aveva dimostrato di essere un essere umano
decente…
"Rispondimi", ripeté, sollevandogli piano la testa, "devi vivere!"
Legault aprì gli occhi e sembrò lottare per mettere a fuoco il suo volto.
Tentò di accarezzargli il braccio, ma le forze non gli bastarono.
"Ripetimelo…"
"Devi vivere, o Sert avrà la mia testa su un piatto d’argento! Perché l’hai
fatto, sciocco?"
"Ah… credevo… Per te.", bisbigliò, "Non potevo permettere che tu…
morissi."
Due lacrime rigarono il volto di Heath.
"Penso che sia il momento indicato per prendere congedo, Pent, caro", disse
Louise.
"Sì, ne convengo. Coraggioso cavaliere, pur con cuore pesante non possiamo
fare nulla per te e il tuo compagno, e ci dirigeremo ora al vostro accampamento,
seguendo le indicazioni forniteci dal Marchese Pherae. Ritengo che possa essere
consigliabile portare in volo il ferito da una guaritrice abile, la vostra
trovatrice dai capelli rossi, se ben ricordo… ti, vi auguro una sorte propizia,
e se il fato ci arride ci ritroveremo tutti questa sera attorno a un tavolo a
brindare all’impresa di oggi. Ti saluto…"
"No… no! Fermo!", lo pregò Heath ancora inginocchiato, prostrandosi. "Non
sopravviverà ad un volo… né per molto altro tempo, anche se vegliassi qui su di
lui… vi prego, restate!"
"Che differenza faremmo?"
"Se… se io… l’emporio, certo!", esclamò, e tentò con tutte le forze di
rialzarsi, incurante delle sue stesse numerose ferite. Era in debito di vita,
non poteva gettare così la spugna. Come seguendo un muto richiamo, o forse solo
preoccupato per le sorti del suo compagno umano, Hyperion ruggì e si avvicinò
fino a sostenerlo col muso. "L’emporio, certo, l’emporio, quello vicino
all’armeria, sapete? Lì certo avranno pozioni… ma c’è bisogno che qualcuno vegli
su di lui… e se poi malauguratamente non ne avessero, e non avessero altro da
offrirmi che una verga magica, io non potrei usarla. La prego Lord Pent, la
prego, lei è il mago più potente che Elibe abbia mai visto… Ho finito i soldi
concessimi da Lord Eliwood, ma venderò qualcosa, la mia vecchia lancia,
l’armatura, in qualche modo ce la farò, ve lo prometto!"
"Sei forte e onesto, cavaliere", lo interruppe Louise avvicinandosi, "lascia
che siano questi i tuoi pregi e che siano le lingue d’altri a intingersi di
zucchero, a te non serve. Accetta questo in segno di apprezzamento, caro, e
acquista tutte le cure di cui avrete bisogno – entrambi. Noi ti aspetteremo qui,
hai la mia parola." Nel dire questo si sfilò dal dito un anello su cui era
incastonata una gemma bianca di incalcolabile valore, e gliela porse.
Chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro. "Legault… io… ti devo delle
scuse", confessò infine.
Stavano finendo di caricare le armi sulla sella di Hyperion, entrambi rimessi
in piedi alla meglio da un tempestivo incantesimo di cura di Lord Pent. La
coppia di nobili si era poi accomiatata per recarsi all’accampamento, come
previsto, e ora stavano infine portando a termine la missione.
"Scuse?", chiese Legault inarcando un sopracciglio e cercando di guardarlo da
oltre la groppa della viverna, "Che scuse?"
"Non ho mai capito nulla."
"Mi permetto di dubitarne."
"Di te, intendo."
"Oh."
"Sali, io qui ho finito di assicurarle. Continueremo a parlare in volo.
Prima, però, dimmi di nuovo una cosa… tu non hai mai combattuto così, non ti sei
mai esposto. Perché ora?"
"Heh… non stavo delirando, prima. Ti ho già risposto. Di solito non ha senso
che io mi esponga, perché dovrei? Non è il mio ruolo in battaglia. Morirei, e
sarebbe stupido, poiché offro i miei servigi a Lord Eliwood in altri modi."
"Matthew non sembra pensarla così. Combatte onorevolmente." "Quel ragazzo
ha un desiderio di morte, non puoi prenderlo come esempio. Non…? Pensavi fosse
codardia la mia? Per questo ti ho sorpreso?"
"In verità, sì."
"Ricordati che non tutti solcano i cieli protetti da armature scintillanti,
ciò che è eroismo per uno può essere incoscienza per l’altro… non confondere
l’onore con la pazzia, ti prego. E ora vuoi montare anche tu o hai intenzione di
far notte?"
Così Heath compì l’atto di coraggio più grande di quella lunga giornata:
ammise di aver sbagliato. Gli parlò con candore di tutto quello che l’aveva
infastidito in quei giorni, e dei suoi ideali e di quello che di quelle cose
dicono a Bern, di cosa significhi montare una viverna e del legame profondo che
nasce fra questa e il suo cavaliere, cosa dà e cosa toglie nella vita; Legault
da par suo proseguì nella strada dell’onestà, senza maschere e senza difese,
coprendosi solo di quell’amarezza verso l’esistenza tutta che lo accompagnava
fin dalla nascita. Parlò del Black Fang e della guida di Reed, e di quanto gli
fosse costato vederlo cambiare. Parlò di fiducia tradita e amori caduti, e si
soffermò con passione sul brivido che aveva provato quando per la prima volta
aveva visto la sagoma verde di Hyperion saettare in cielo, prima avvisaglia di
un sentimento pericoloso che l’avrebbe portato a folli gesti degni del più folle
dei folli.
L’uno capì che c’è più di un modo per dire la stessa cosa, l’altro che questo
semplice insegnamento non è diffuso, come credeva, fra tutte le genti di buon
ingegno.
"Se accetti queste mie scuse", concluse calmo Heath, "giuro che mai più
tenterò di evitarti, anzi avrò gradita la tua compagnia… altro non posso
offrire."
"E altro non chiedo, per il momento almeno, ed è più di quello cui ambivo",
avrebbe voluto rispondergli Legault, ma fu interrotto da un ruggito, lontano ma
incredibilmente possente.
"Umbriel…?", mormorò il cavaliere a mezza voce, improvvisamente perso in
altri ricordi.
"Chi?"
"Umbriel! Questa è la sua voce, non c’è dubbio! Non la confonderei per nulla
al mondo! Vaida… Capitano, sei ancora viva…"
C’era un tono nuovo in quelle poche parole che non andò perso alle orecchie
attente del suo interlocutore. Un tono che mancava nel loro discorso precedente,
pur ricco di comprensione e di ritrovata stima. Chiunque fosse questa Vaida, la
sorte le arrideva come a nessun altro al mondo…
Non dissero altro fino alla fine del viaggio, ognuno immerso nei suoi
pensieri.
Quando giunsero alla tenda il sole si stava già ritirando oltre i picchi più
alti di Bern. Hyperion atterrò con grazia, e fu tempo di scendere.
"Ti ringrazio", articolò a fatica Legault, e si sentì patetico, dopo aver
pensato a quelle parole per tutto il viaggio, "e accetto le scuse. Ma tu
appartieni all’aria, suppongo, e io… io finirei per trascinarti al suolo. Vola
alto… sii felice."
Fece per smontare di sella, ma con un movimento svelto si aggrappò invece
all’armatura di Heath e, poggiando un piede sull’ala sinistra, riuscì a portarsi
di fronte a lui. Prima che questi avesse il tempo di reagire si avvicinò e gli
rubò un bacio veloce e cauto, e saltò a terra.
Heath non riuscì a reagire che qualche secondo più tardi, portandosi sorpreso
una mano sulle labbra. Lo vide allontanarsi chino, sconfitto, e d’impulso
sarebbe corso a consolarlo. Ma non riuscì a distinguere se fosse il cuore o
l’onore a suggerirglielo, e si impose di non muoversi finchè non l’avesse
capito.
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