Dunque innanzitutto salve a
tutti! Come scritto nella trama di presentazione sono una “novellina”. Infatti non ho scritto MAI storie, perlomeno non ne ho mai
pubblicata una. Spero che questa mia inesperienza sul campo non vi freni nella
lettura del mio testo. Comunque, spendo due parole per l’idea della mia storia. Tutto è nato
qualche anno fa, studiando (prima superiore) la storia greca in generale. Cercando
tra il web trovai un sito alquanto interessante che spiegava questo “strano
rapporto” tra allievo e maestro. Una specie di “amore” riassumendo molto
approssimativamente che doveva terminare al completamento del cammino
istruttivo dell’allievo.
Partendo da questo presupposto ho
creato una storia.
Bene ho terminato ciò che volevo
dire spero che ciò che vi apprestate a leggere sia di vostro gradimento. Aspetto
commenti!!!!
P.s. Mi
scuso per eventuale cretinate grammaticali (spero di
aver revisionato con attenzione!!!!)
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Ti
guardo. Occhi fieri, sorriso compiaciuto.
Non eri affatto così tre anni fa, quando
venisti da me. Non avevi quell’aria da guerriero che ora mostri,
splendente come il sole, non sfoggiavi quel sorriso, quasi prepotente ed
intimorente.
Quando
ti affidarono a me eri solo uno come tanti, un
ragazzino insicuro, debole e fragile che parlava timoroso senza discostare
gl’occhi dal terreno, che camminava strascicando i calzari, che non alzava mai
la voce nemmeno se offeso.
Adesso
sei là. Seduto su una roccia ad osservare il sole. Raggi dorati illuminano il tuo
viso, seppur cresciuto, sempre fanciullesco e contrastano i tuoi lunghi capelli
biondi.
Sei
rimasto con me per ben tre anni e ancora mi stupisco della tua bellezza. “Un
animo femmineo ed efebo rinchiuso nel corpo vigoroso e smagliante di un
guerriero” ; ti etichettai così, quando entrasti sotto
la mia custodia e tuttora, a volte, ti definisco tale.
Tre
anni sono tanti. In tre anni possono cambiare molte cose.
L’intero
mondo che agl’uomini e concesso di conoscere può essere perso e riconquistato
più di una volta in questo lasso di tempo. In tre anni ho trasformato un cuore
nobile e apparentemente fragile in uno spudorato e imponente. Intelligente,
curioso, avido di sapere e con uno spiccato senso per le arti classiche.
Saresti potuto diventare un filosofo, uno dei più grandi. Saresti stato
ricordato nella storia per il tuo poetare o per i tuoi concetti ma non era
questo il destino che doveva gravare sulle tue spalle. Tuo padre ti affidò a me,
poiché ti rendessi il selvaggio guerriero che sei ora,
poiché seguissi le sue orme e diventassi anche tu degno erede di una
discendenza sanguinea di valorosi combattenti.
Ancora
ricordo con piacere il primo giorno che venni a conoscerti. Eri seduto sulla
medesima roccia ove ora ti osservo; chinato a leggere non so quale poema e non
osasti guardarmi con quei tuoi occhi scuri e innocenti nemmeno per dirmi il tuo
nome. Demetrìos. Tua madre mi spiegò che ti fu dato
quel nome affinché Demetra, dea della fertilità sorella di Zeus, ti proteggesse
garantendoti fecondità che ti rendesse capace di proseguire la dinastia bellica
alla quale appartieni.
Solo quindic’anni avevi e già qualcuno aveva scelto per te
chi saresti dovuto essere. Eppure te ne stavi inconscio su quella roccia quasi
non t’importasse.
Non parlasti con me nemmeno una volta nel
primo mese che ti portai a casa. Ti limitasti ad eseguire ogni mio ordine con
efficienza e rispetto come si conviene ad un
guerriero. Cercasti invano di nascondere la tua vera repulsione per l’obbligo
che tuo padre ti aveva imposto, ma io me ne accorsi. Il tuo corpo era già
visibilmente adatto a quello di un soldato ma il tuo cuore e il tuo cervello
non lo erano, appartenevano e appartengono ancora alla sapienza e alla
conoscenza.
Inizialmente
non sopportavo quel tuo comportamento restio e solitario, rifiutavi la
compagnia di qualsiasi essere umano, preferivi rifugiarti nelle tue letture. Deviavi
ogni contatto umano.
Solo
l’anno successivo cominciasti a parlarmi e riuscii per la prima volta a godere
della vista dei tuoi occhi innocenti e di quel tuo sorriso che stava
progressivamente diventando cioè che ora è; ovvero quel raggio di luce talmente carico e luminoso da essere in grado da far
risplendere perfino il più tetro e scuro angolo terrestre. Tra questi il mio
cuore.
In
due anni cambiai parere su di te. Cominciò a piacermi il tuo modo di fare e il
tuo modo di essere e tu cominciasti a fidarti di me e mi rivelasti i
contrastanti sentimenti che alimentavano il tuo cuore. Ovvero il tuo sogno di
gloria, nutrito dalla speranza di compiacere tuo padre, deceduto in guerra un
anno dopo la tua partenza, in netto conflitto con il tuo desiderio di conoscere
e di sapere le cose che fino ad allora all’uomo non era dato comprendere.
Non
mi stancai mai di ascoltare qualunque cosa tu fosti stato disposto a dirmi.
Inconsciamente ti feci mio, ti ritenni mio possesso e sperai invano di poterti
tenere qui, al mio fianco per sempre.
In
verità, il tuo addestramento terminò ben un anno fa. In soli due anni ti resi
uno dei migliori allievi che avessi mai istruito. Ma,
non volli lasciarti andare. Dissi a tua madre, allor
recente vedova, che
non eri sufficientemente pronto per rimpiazzare la figura di tuo padre, che mi
sarebbe servito ancora del tempo. Purtroppo l’esercito necessitava di giovani
ragazzi, come te, così il capitano mi concesse ancora un solo anno. Il terzo.
Sbagliai.
Sbagliai
ad accettare quella condizione e a tenerti qui ancora con me. Avrei dovuto
lasciarti partire verso il tuo destino. Ma non riuscii a lasciarti andar via
dal mio nido.
Questo
terzo e ultimo anno non ha fatto che ferirci entrambi. Ha fatto si che ci lasciassimo abbandonare futilmente all’idea di
restare l’uno al fianco dell’altro per sempre. Entrambi sapevamo che non era
questo il nostro destino. Entrambi sapevamo che tu saresti dovuto partire due
anni fa e che io avrei dovuto istruire altri giovani speranzosi come lo eri tu,
altre fresche promesse destinate a far parte dell’esercito, consapevoli di
poter varcare le porte dell’Ade in ogni momento.
A
noi non è concesso restare insieme. C’è concesso solo un dato periodo di tempo,
dopo quello niente più. Mio Demetrìos, è
forse questo il motivo per il quale due anni sarebbero
bastati. Un solo anno è stato sufficiente per illuderci per lasciarci
trasportare in fantasie effimere e scriteriate.
Abbiamo
trascorso molte altre ore a parlare e in un attimo di smarrimento mi hai detto
di amarmi.
Non
puoi amarmi, non possiamo amarci. Non è amore questo.
Non
nego di essermi lasciato ingannare dalla mente e di aver pensato che tu potessi diventare poeta, saziando così la tua fame di
conoscenza che ti pervade l’animo. Sarebbe stato questo l’unico modo per
permetterci di stare fianco a fianco. L’egoismo ha pervaso la mia mente. Il tuo
destino è già stato scelto, promettesti a tuo padre sul letto di morte che non
avresti abbandonato ciò che era stato il suo volere nei tuoi riguardi. Non ci è
dato cambiarlo, gl’antichi ci insegnano che colui che cerca invano di cambiare
il proprio destino è folle poiché esso è inevitabile.
Ti
giri e mi hai rivolgi ancora una volta il tuo sguardo. Diverso. Ho colto in quell’occhiata fugace, un senso di risentimento, quasi
distruttivo.
Non
darmi colpe mio Demetrìos. Il destino è una cosa
troppo grande per poterci combattere.
Il
tuo cuore è ancora troppo giovane e inesperto per poterlo capire così come la
tua mente. Ma un giorno capirai.
Il
sole è calato ormai. I raggi che illuminavano il tuo viso ora sono scomparsi e
rimango ad osservarti in penombra. Solo poche ore e tutto sarà finito. Resti
ancora lì, su quella roccia. Non ti alzi. Non voglio che tu lo faccia. Resta lì
ancora per qualche secondo, lascia che ti guardi, lascia che guardi l’uomo che
ho istruito, che agl’occhi miei è ancora quel timido giovane dagl’occhi scuri
ed ingenui.
Domattina
tornerò dove siamo stati fin ora e ti saluterò proprio ove t’incontrai. Ho
voluto io portati a casa. Per quel mio inspiegabile desiderio d’osservarti
proprio dove mi colpisti di più. Non te l’ho detto non lo farò, non ne avrò il
tempo. E’ paradossale pensare che nonostante siano passati tre lunghi anni, il
tempo non mi sia bastato per dirti veramente ciò che dovrei.
Di
nuovo penso a te, poeta o filosofo. Quel sentimento egoistico non da segno di
volermi abbandonare. Non riesco a fare a meno di pensare che se tu fossi stato un poeta avresti potuto ottenere gloria ed
essere ricordato nei secoli avvenire. Mentre come soldato potresti morire,
magari in una semplice campagna rivendicativa senza che nessuno abbia potuto
conoscere il tuo nome.
Ho
istruito altri ragazzi prima di te, alcuni di loro sono morti dopo pochi giorni
dal loro arrivo nel mondo militare. Non ti dirò nemmeno questo, ma il timore
che tu faccia quella fine mi strugge.
Da
quando ti lascerò temerò ogni giorno che qualcuno giunga
da me, ormai troppo tardi, per comunicarmi la tua morte. E’ successo con tutti
i ragazzi che ho istruito, ma al sol pensiero che accada
a te basterebbe per privarmi della mia stessa vita.
Mi
consola pensare che se non fosse stato per il volere
di tuo padre, non ci saremmo mai incontrati.
Non
avrei mai potuto godere della tua presenza, udire la tua voce soave e provare
emozioni tra loro in contrasto che ancora, nonostante la mia età tarda, non
comprendo.
Tutto
ciò mi porta ad una decisione. Non partirò domattina. Partirò questa notte
stessa. Quando tu ti sarai ritirato nelle tue stanze. Non ti dirò addio. Me ne
andrò senza che tu lo sappia. Eviterò ogni forma di accomiato, in grado di
rovinare questa situazione ormai imminente.
La verità
è che non sarei capace di dirti addio. Temo che l’egoismo prenda il
sopravvento, temo di accettare la tua proposta. Temo di incorrere in una
battaglia tra i nostri destini che non potrei che perdere.
Arriva
dunque il momento da me più temuto. Ti alzi da quella roccia. Questa volta mi
guardi negl’occhi, cammini fiero e orgoglioso senza
alcun timore alzando le tue ginocchia verso l’alto, quasi stessi marciando.
Noto che anche tu avresti qualcosa da dirmi ma non
parli. Mi dai l’arrivederci a domattina. Non sai che non ci sarò
ma avverto nei tuoi occhi che intuisci qualcosa. Mi passi accanto senza
esitare. Ti allontani e dirigi verso casa, senza proferir parola.
Ti
sei comportato come un vero uomo, hai saputo accettare l’imminenza. Mi hai reso
fiero di te ancora una volta. Considerò questo come il nostro addio.