L’elfo correva, attraverso il sottobosco. Era l’ultima volta che si lasciava
scappare una preda come quella. Il cervo correva in ciò che restava
dell’Ithilien, fuggendo dal suo cacciatore. L’elfo, che dimostrava venticinque
anni ma dai suoi occhi trasparivano almeno un paio di millenni, tese l’arco e
tirò. La freccia penetrò la zampa posteriore dell’animale, costringendolo a
rallentare la sua folle corsa. Eglerion si avvicinò ed estrasse il coltello da
caccia.
- Mi dispiace…- disse, rivolto all’animale. Con un repentino gesto taglio la
gola al cervo, che si accasciò inerte al suolo. Non sapeva ancora a cosa andava
incontro. Eglerion legò i lunghi capelli dorati con un nastro e si caricò in
spalla la cena per se e per il suo equipaggio.
Questo è proprio il colmo…, si disse. Siamo nella settima Era del Sole e sono costretto a
procurarmi il cibo alla maniera della seconda.
Il suo pensiero andò alle tragedie che i menestrelli solevano cantare nei
momenti di cerimonia, che narravano della Più Grande Disgrazia Della Terra di
Mezzo. Di come dopo la Guerra dell’Anello e dopo il regno di Elessar Telcontar
venne il buio.
Gli elfi continuarono a diminuire, insieme a nani e altre razze primogenite,
come gli Ent o le Grandi Aquile. Ma, chiusi nei loro reami boscosi e
sotterranei, misero a punto le tecnologie necessarie alla sopravvivenza. Le lame
e gli archi furono messi da parte, mentre la polvere nera aveva cominciato a
diffondersi sempre di più. Le prime armi, come quelle usate da Curunir l’Istar
nel grande assedio del Fosso di Helm, erano imprecise, e spesso danneggiavano
anche chi le usava. Con il passare degli anni però, l’industria bellica si
evolse, fino a raggiungere il punto di non ritorno. Mentre gli elfi e i nani,
che oramai avevano messo da parte la maggior parte dei disguidi e delle
divergenze, conducevano i loro esperimenti in segreto; gli uomini seguivano pian
piano la stessa strada, raggiungendo risultati sempre più simili. Così giunsero
infine, negli ultimi anni della quarta Era, all’energia nucleare. Di pari passo
con la tecnologia bellica si erano evolute anche l’elettronica e la meccanica,
dando vita a cose impossibili, fino a qualche secolo prima. Automobili, case
illuminate da luce elettrica e grandi metropoli con grattacieli, non erano
neanche presenti nei sogni degli esseri più potenti, come Mithrandir o Sauron. E
mentre nella Terra di Mezzo tutto ciò accadeva, nell’Ovest i Valar osservavano
preoccupati lo svilupparsi delle cose.
Nel terzo anno della quinta Era, il cui inizio corrispondeva alla scoperta
dell’energia nucleare e delle armi basate su essa, un’ambasceria di uomini
provenienti da Gondor si presentò a Imladris, che era diventato il maggior
complesso di armerie di tutto l’Eriador. Elladan, uno dei due figli gemelli di
Elrond Peredhel che governava quella zona (il fratello Elrohir al momento era
impegnato nel controllo dei confini con l’Enedwaith), ricevette quegli uomini.
Essi proposero lui un accordo sullo sviluppo degli armamenti, poiché altrimenti
Gondor avrebbe mosso guerra contro di loro. L’elfo avrebbe dovuto presentarsi
nella capitale entro pochi giorni, per siglare questo trattato insieme al Re.
Elladan convocò i capi dei suoi alleati, e insieme decisero di opporsi
all’accordo. Uno degli inviati sparò ad Elladan nella sala del consiglio, mentre
una squadra speciale d’infiltratori Gondoriani penetrò l’avamposto presidiato da
Elrohir e uccise anche lui. Non è necessario dire che né gli ambasciatori né i
militari Gondoriani sopravvissero per raccontare l’esito delle loro missioni ma
in ogni caso la notizia del rifiuto di disarmo arrivò anche nelle alte sale di
Minas Tirith, che col passare dei secoli si era espansa e la residenza regia era
passata dal settimo cerchio della città vecchia ad un sontuoso palazzo nel
centro della città nuova extra-muraria.
Il Re di Gondor all’epoca era un uomo di cui si sapeva poco. Il suo nome di
nascita era sconosciuto, si faceva chiamare Adunakhor, "Signore dell’Ovest",
come l’antico Re Numenoreano che mise in testa alla sua gente l’idea della
conquista di Aman. Di certo si sapeva che aveva poco a che fare con la linea di
Isildur, poiché essa si era estinta dopo Arathorn III, primogenito di Eldarion.
Egli era morto dopo solo cinque anni di regno, probabilmente vittima di una
congiura, lasciando la moglie incinta. Ma ciò che il popolo non sapeva era che
il figlio in questione, chiamato poi Mardil, come il primo dei sovrintendenti
reggenti, era figlio della regina Usahtiel e dell’allora sovrintendente Cirion
II. Ella aveva avuto una relazione extraconiugale, ed era rimasta pregna un mese
prima del matrimonio. Dopodiché aveva partecipato alla congiura per avvelenare
il marito e far ricadere la colpa sul cuoco di corte, che fu giustiziato dal
sovrintendente stesso. Da quel momento la virtù di Gondor era tornata in
declino, com’era successo prima di Telcontar.
Adunakhor non accettò che una banda d’immortali rifiutasse le sue condizioni,
quindi mobilitò l’esercito verso Nord. E così si tirò addosso l’ira divina. Nel
medesimo istante in cui il Re stava per dare l’ordine di lanciare le prime bombe
nucleari; un corpo celeste, probabilmente una cometa o un asteroide, (che gli
elfi identificarono come "Punizione di Eru") cadde su Anfalas. Le conseguenze
furono disastrose.
Gli unici che si salvarono in tutta la Terra di Mezzo, furono alcune tribù
Haradrim che al momento si trovavano in pieno deserto (e quindi passarono anni
immersi nelle tempeste di sabbia) e alcuni elfi e nani, che erano nascosti nelle
profondità delle montagne o in zone di poca turbolenza. Pochi furono i Rohirrim
o i Gondoriani che scamparono. Quasi tutto ciò che era conosciuto fu raso al
suolo, per due interi secoli le placche si mossero, inabissando catene montuose
e distruggendo città, inondando continenti e facendone emergere nuovi. Le
Montagne Nebbiose, Bosco Atro e parte dell’Eriador, furono letteralmente
divorati dall’onda. Persino alcuni porti dei Teleri, a Valinor, furono
sottoposti a violente ondate per mesi. Come millenni prima, il Beleriand era
franato, la storia si era ripetuta. Intere zone erano affondate, mentre nuove
catene montuose si erano innalzate.
Dove un tempo sorgevano orgogliose le Montagne Nebbiose, ora vi era un lungo
tratto di mare, chiamato Anduin in onore del grande fiume. Sulla sponda est vi
era una regione chiamata Rohan, che probabilmente faceva parte dell’antico
Rhovanion, o forse altro non era che l’innalzamento degli Emyn Muil. Più a sud
di questo sorgeva una catena montuosa, che faceva da confine con l’antico
Ithilien, divenuto reame degli elfi silvani. Ad est e a sud di questa contrada
c’erano il Vallo di Elessar e il Vallo di Isildur, grandi muraglie erette dagli
uomini di Nuova Numenor. Essi erano i discendenti dei gondoriani sopravvissuti
al cataclisma, che avevano fondato il loro nuovo paese nella zona dove un tempo
era Mordor. Quest’area, un tempo arida e incolta, era diventata rigogliosa e
coperta di foreste e praterie. Protetti dal Vallo e da ciò che rimaneva
dell’Ephel Duath, gli uomini ricominciarono a costruire città alla maniera di un
tempo, con alte torri e possenti mura. A nord di Nuova Numenor c’era una zona
chiamata Pinnath Gelin, in ricordo del feudo appartenuto tempo prima a Gondor.
Purtroppo per loro, quella regione fu reclamata da qualcuno che non si sarebbero
mai aspettati. I pochi Noldor rimasti avevano trovato dimora nell’arcipelago
denominato da loro Manwetol, "Isola di Manwe". Questo arcipelago era formato da
cinque isole, che gli abitanti avevano nominato come cinque degli "Amici degli
elfi": Beren, Turin, Earendil, Hador, e Gimli. Questi elfi si erano dedicati poi
alla pirateria, sotto il comando di Tegalad, loro signore; conquistando così
Pinnath Gelin e fondando il porto di Dol Calan, sulla punta estrema
settentrionale. In questo modo dissuasero gli uomini dal marciare nuovamente
contro gli elfi. Invece questi fondarono varie città portuali sulle loro coste
(le maggiori furono Porto Malo e Porto Veliko), e si espansero a sud
dell’Ithilien. Non ebbero il coraggio di attaccare quest’ultimo, temendo una
rappresaglia da parte d’entrambe le nazioni elfiche. Li espansero il loro
possedimento sotto la bandiera di Nuova Numenor e edificarono il Vallo di
Isildur, a protezione contro eventuali incursioni da parte dei Sindar
dell’Ithilien.
In quanto alle terre ad ovest dell’Anduin si sa ben poco. Eccetto una foresta
sotto il dominio di Rohan (più che altro si trattava della loro riserva di
legname), le altre lande erano inesplorate e portavano il classico nome di Terre
Selvagge. Pochi sanno che la lunga catena montuosa che sorge adiacente alla
costa altro non è che l’Ered Luin, mentre sono ancora meno coloro che sanno
della sopravvivenza del Mithlond e dei Rifugi Oscuri. Questo porto elfico passò
in mano ai figli di Elrond, dopo che Cirdan partì con l’ultima nave e rimase
sotto il governo dei loro satrapi fino alla catastrofe. I pochi che
sopravvissero elessero autonomamente il proprio Signore, ed elli ancora comanda
quest’area. Beriadan è il suo nome, "il difensore degli uomini". Egli era il
solo a sapere che nella zona tra l’Anduin e il Mithlond, vicino ad una foresta e
degli antichi tumuli, in riva ad un fiume chiamato Calanduin, sorgeva una
piccola casetta dove un omino vive, calzando i suoi gialli stivali, indossando
la sua giacca blu cielo, portando una lunga piuma azzurra sul cappello e
cantando inni alla sua amata Figlia del Fiume.
Infine nell’estremo nord esiste un’isola, dalla forma che ricorda vagamente
una stella, sopra di cui sorge Erebor: la Montagna Solitaria era sopravvissuta
senza troppi danni dalle scosse; mentre all’estremo sudest vi è una terra
desertica, reduce dell’Harad, ancora abitata da uomini dalla carnagione
scura.
Il giovane elfo stava per ricominciare la sua marcia verso la costa.
Nonostante fosse meno di un miglio, il peso sulle sue spalle lo rallentava non
poco. Aveva fatto pochi passi quando udì un grido.
- Daro!-. Fermati. Eglerion si voltò, cercando la provenienza
dell’ordine.
- Iston le?- chiese. Ti conosco?
- Pedich edhellen?!- fu la risposta sorpresa della sua misteriosa
interlocutrice. Parli l’elfico?!
- Tancave-. Certamente. Eglerion mise in mostra le orecchie
appuntite.
- Man sâd telil?-. Da dove vieni?
- Telin o Manwetol-. Provengo da Manwetol.
- Sen tîr?-. E’ vero? Chiese di nuovo la ragazza.
- Gwanno ereb nin!- esclamò l’elfo, spazientito da tante domande.
Lasciami solo.
- Sedho!- lo zittì lei.
- Inizio a stufarmi di questa situazione. Mostrati!- disse.
- No diriel- rispose la voce. Fai attenzione.
Eglerion lasciò cadere in terra il cervo e mise mano alla cintura, dove la
sua lunga spada pendeva.
- Non lo farei se fossi in te. Sei a pochi metri di distanza da me e una
freccia in pieno petto non fa mai bene-. Eglerion imprecò ad alta voce contro i
mantelli degli elfi Sindar e cominciò a sondare la zona circostante, cercando
colei che lo stava minacciando. L’elfa decise di farsi vedere, lasciando cadere
il cappuccio del manto dietro la nuca. Eglerion rimase attonito. Gli occhi
smeraldini della sconosciuta incrociarono i suoi, mentre ella tendeva l’arco
verso di lui. I suoi capelli, di un colore biondo aureo ma mescolati a qualche
ciocca castana, erano tagliati all’altezza delle spalle. Una ciocca intrecciata
in una maniera sconosciuta ad Eglerion simboleggiava la casata della ragazza.
Egli non poteva sapere di trovarsi al cospetto di un’elfa d’alto lignaggio. La
fanciulla sorrise ad Eglerion, e gli parlò ancora.
- Cosa ci fa un Noldo da solo in una foresta con un cervo in spalla?
Probabilmente cerca di rimediare un pasto ai suoi compagni, accampati poco
lontano…- disse.
- Non ti rendi conto di con chi hai a che fare- rispose Eglerion, con una
punta d’orgoglio.
- Dimmelo tu, allora, visto che sembra essere una cosa tanto importante-.
- Ti dice nulla il nome Tegalad?-.
- Sono una semplice guardavia. Di certo non posso conoscere i nomi dei vostri
condottieri-.
- Lasto lalaith nîn-. Ascolta la mia risata, la canzonò
lui.
- E va bene. Conosco quel nome. Ma cosa importa… egli non ha potere
qui…-.
- Forse perché non si hanno più sue notizie da tre secoli ormai?-. Aveva
colto nel segno. La sconosciuta era stata brava a nascondere le proprie
conoscenze fino a quel momento, ma un lampo di sorpresa attraversò i suoi occhi.
Quella era una notizia che giungeva nuova alle sue orecchie.
- Come prego?-.
- La corona dei Noldo è passata a suo figlio- disse l’elfo.
- Interessante. E tu magari provieni da un’illustre casata di sanguinari
pirati che rientra nelle grazie di questo giovane sovrano-.
- Ci sei andata vicino- rispose. Lei proruppe in una risata, scuotendo la
chioma. Lui colse l’attimo. Sguainò la spada e in un momento le fu vicinissimo.
Ma aveva sottovalutato il nemico. Non appena Eglerion si era mosso, la Sindar
aveva estratto un corto pugnale dalla cintura e glielo aveva piantato senza
troppi complimenti nella coscia. L’alto elfo rovinò al suolo, e l’elfa gli fu
sopra in un attimo. Teneva in mano una freccia, molto vicino alle iridi blu mare
di lui.
- Se non la smetti di fare queste stronzate ti cavo i tuoi bellissimi occhi
piano piano, hai capito?-.
- Nai Valaraukar tye