THROUGH HER EYES
PROLOGO
Aprì
la porta facendola sbattere contro la parete.
Sette
giorni che andava in quel posto lurido, e sette volte era tornata a casa con la
coda tra le gambe.
Aveva troppa paura, non c’era mai riuscita.
Mai.
Ma
quella sera era la volta buona, non ce la faceva più a resistere.
Le
voci dei suoi cosiddetti amici e dei suoi genitori le
risuonavano nelle orecchie.
Le
lacrime
Le
porte chiusale in faccia.
Il
sangue.
Si
avvicinò allo specchio sporco di fronte a lei.
Si
guardò e si toccò il volto segnato dalla matita sbavata, sorrise
malinconicamente per poi passarsi una mano tra i capelli bagnati dalla pioggia,
che fuori continuava a cadere a dirotto.
Si
rivoltò verso quella figura, che la ritraeva per quello che era, quella
schifosa ragazza che era diventata grazie al mondo in cui viveva.
Frantumò
il vetro con un pugno. Scaglie di vetro si conficcarono nella mano, la mano destra. Quella fissò l’arto, vide il rosso
fuoriuscire dai tagli profondi, e tirò su col naso.
Decise
di smettere di piangere, di farla finita qui con quella fottuta
falsa che le aveva rovinato l’esistenza, e che
aveva trasformato quet’ultima in tale.
Prese
un coccio che si era fermato sul lavabo, e guardò per l’ultima
volta l’immagine di se stessa.
Si
chiuse nell’ultimo gabinetto e si sedette sul vaso.
Appoggiò
la schiena alla parete e sospirò profondamente.
La
mano destra oramai non rispondeva quasi più agli stimoli.
Il
sangue aveva creato una macchia cruenta sul pavimento a scacchi.
Con
le poche forze che le rimanevano, incise con il pezzo di vetro che si era
portata dietro, un solco sul polso sinistro.
Le
scappò un grido, voltò il viso
dall’altra parte per non vedere.
Continuò
a tracciare quella riga fino a che la mano destra iniziò a tremare e si
fece scappare il coccio.
Dopo
i primi dieci minuti il dolore si iniziò a
placare, facendo però imperversare un grande giramento di testa.
Iniziò
a tenersi la fronte, sporcando i capelli del sangue che gocciolava giù
dalla mano rovinata.
-Fine…-
si disse.
-Io
non ce la faccio ragazzi… mi fermo qui…-.
-Cazzo Frank, l’albergo è a due passi…-.
-Senti,
voi andate io vado al bagno e vi raggiungo…- concluse
il ragazzo abbandonando il gruppo, fuori da un pub, dall’aspetto poco
invitante.
-Sempre
il solito sei…- si lamentò Gerard.
Il
chitarrista si fece avanti ed entrò.
Gli
bisognarono alcuni
secondi per potersi orientare.
Con
ancora il trucco da concerto, aveva destato sguardi poco convinti da parte
delle persone sedute al bancone.
Si
passò una mano tra i capelli, e quasi vergognandosi si avvicino al barrista.
-Scusi…
mi sa dire dov’è il bagno?- domandò
non alzando gli occhi dalla macchia di birra che segnava alcuni cerchi sul
legno.
-In
fondo…- rispose quello scorbutico.
Frank
alzò la mano per ringraziare e ci si diresse.
-Mamma
che schifo che è questo posto…- disse a
bassa voce.
Si
avvicinò al primo gabinetto e senti il vetro
sotto i piedi.
-Che caz….- iniziò a dire
per poi scostarsi immediatamente.
Dopo
aver esaminato i primi due, optò per il terzo,
sperando che almeno quello non avesse tracce di urina da tutte le parti.
Però quest’ultimo aveva
la porta chiusa.
Bussò.
L’agonia
di Max continuava ancora da qualche minuto. La ragazza aveva chiuso gli occhi e
ora si chiedeva il momento in cui tutto il mondo le era caduto giù.
Quando
i suoi stanchi d’averla tra i piedi le avevano detto
che per loro era morta.
Quando le sue amiche le avevano voltato le spalle per un nonnulla.
Quando ebbe scoperto che il ragazzo che amava tanto l’aveva
tradita.
I
suoi pensieri furono interrotti dal bussare alla porta.
La
ragazza trasalì, non aveva neanche la forza di
rispondere.
-Ehi!-
disse Frank dall’altro lato.
-Occupato…-
sospirò quella, senza però farsi sentire dal ragazzo.
-Ti
prego amico, me l’ha sto facendo di
sopra…- continuava tirando pugni contro la porta.
-Cazzo occupato!- riuscì a sbottare lei, per poi iniziare a
tossire per lo sforzo.
-Ok.. scusa…- Frank si allontanò, accendendosi una
sigaretta.
Max
oramai respirava a fatica, tutto ciò che la circondava spariva ad ogni
battito di ciglio.
-Ma
quanto cazzo ci mette
quella?- si chiedeva il chitarrista.
Ad
un tratto, mentre cercava di placare lo stimolo, notò sul pavimento il
sangue che oramai aveva ingrandito la chiazza.
-Merda!- disse avvicinandosi alla porta.
-Ehi!
Tutto bene lì dentro?- urlava.
Nessuna
risposta.
-Ci
sei??- continuava avvicinando l’orecchio alla
porta per cercare di sentire qualcosa.
Silenzio.
Dopo
qualche secondo, iniziò a tirare calci contro la porta, finché la
serratura arrugginita cedette.
La
vide.
Svenuta
da un paio di secondi, Max aveva assunto un colorito pallido, quasi
inesistente.
Frank
si chinò su di lei e dopo aver visto le ferite alla mano ed al polso
iniziò a chiamare aiuto.