Detective
Conan
Vivere
l’infanzia negata, recitare ti amo
L’organizzazione
nera
era stata sconfitta; i piani degli uomini in nero furono sventati ed
uno per
uno i membri vennero catturati dall’FBI, dalla CIA e dalla
polizia ‒ Chianti è stata condannata
all’ergastolo ‒ o si
suicidavano come era successo con Gin e Vodka; tuttavia Bourbon era
ancora a
piede libero come Vermouth e… il “Boss”;
Conan, ovvero Shinichi, ancora non
aveva scoperto chi era quella persona,
ma aveva scoperto che era un uomo che proviene dagli Stati Uniti.
Shinichi insieme
ad Ai, agli agenti dell’FBI ‒
Jodie Starling, James Black, Andre Camel e Subaru Okiya ovvero Shuichi
Akai ‒ avevano reperito in una ex-base
dell’organizzazione degli uomini in nero, un parcheggio
sotterraneo del
quartiere di Beika, un computer contenente tutti i dati
all’antidoto APTX4896 e
ai loro piani di omicidi, rapine e progetti; ma soprattutto ai membri
dell’organizzazione. L’unico non presente nel
portatile era il cosiddetto
“Boss”. Cioè, sì
c’era, ma la sua cartella non lo descriveva in modo
approfondito, ma era più che essenziale. Hanno scoperto che
“quell’uomo”
proveniva dagli Stati Uniti, così si spiegava anche la
presenza dell’FBI in
Giappone, ma innanzitutto hanno trovato nel documento anche una sua
foto.
Perciò si poteva benissimo dire che
l’organizzazione era senza scampo.
La piccola Ai Haibara,
per meglio dire Shiho Miyano, lavorava giorno e notte analizzando i
dati raccolti
e trovare l’antidoto all’apotoxina da lei creata
precedentemente. E dopo un
mese in cui lavorò instancabilmente nel laboratorio del
professor Agasa, ma non
saltando la scuola, poté dire: «Ce l’ho
fatta».
Il giorno dopo corse
all’agenzia investigativa di Kogoro Mori e suonò
il campanello.
«Arrivo», disse una
voce ovattata. «Ah, sei tu Ai».
«Be’ che ti
aspettavi, Shinichi Kudo?», domandò lei divertita.
«Ran e Goro sono
andati a risolvere un caso, ma io non ci volevo andare. Mi sono preso
un
raffreddore e non volevo fare la fine dell’altra
volta».
Ai ricordò quel che era
successo come se fosse ieri: invece di prendere la medicina per il
raffreddore
prese l’antidoto sperimentale dell’apotoxina e si
trasformò in Shinichi. Poi
quando l’effetto del secondo antidoto stava per
interrompersi, e quindi ritornare
Conan Edogawa davanti agli occhi di Ran, lei agì
tempestivamente e l’addormentò
con un ago soporifero.
«Allora, dimmi Ai,
perché sei qui?», domandò lui
sistemandosi sul divano a leggere Il segno
dei quattro di Arthur Conan
Doyle da cui deriva il suo nome.
«Oh, be’… credo che
ti piacerà. Ho qui dentro una cosa che ti aiuterà
moltissimo», Ai estrasse
dalla sua tasca dei pantaloncini un flaconcino di vetro contenete due
pillole.
Conan immediatamente scattò in piedi lasciando cadere il
libro, si sistemò
meglio gli occhiali sul naso e strappò dalle mani di Ai la
bottiglietta.
«Non dirmi che è…»,
disse Conan esaltato, «… è
l’antidoto». Ai annuì semplicemente.
«E lo posso prendere
subito?», chiese Conan titubante, esaminando ancora una volta
il contenuto
della boccetta come se fosse oro.
«Be’… ti
conviene prenderlo alla fine della
scuola così nessuno desterà sospetto; almeno non
prima della recita di fine
anno», rispose Ai in tono ovvio.
«Perché ti conviene?
Ci conviene!», disse Conan
con fermezza.
Ai sospirò e si
avvicinò alla finestra dell’agenzia investigativa,
incrociando come sempre le
braccia al petto. «Perché mentre lavoravo ci ho
pensato e sì, insomma… dopo non
saprei che fare. Vorrei decidere alla fine della scuola. Dopo la recita
forse
ti saprò dare una risposta».
Un rumore fece
sobbalzare Conan e cacciò la boccetta
dell’antidoto nella tasca dei suoi
pantaloni. La porta si era aperta e Ran entrò con dietro
Goro che aveva un’aria
malinconica.
«Cos’è successo?»,
chiese Conan a Ran sottovoce. Goro s’infilò dentro
la cucina e tornò con due
bottiglie di Sherry. Ai trasalì.
«Non è riuscito a
risolvere il caso», sussurrò Ran. «Oh,
ciao Ai. Perché non ti fermi a cena da
noi?».
«Ehm… mi piacerebbe
molto. Ma il dottor Agasa mi sta aspettando», rispose Ai.
«Ah, Ran! Credo che
Conan ti dovrebbe dire una cosa», aggiunse ghignando.
«Cosa dovrebbe
dirmi?», chiese Ran curiosa avvicinandosi al bambino.
«Non vi siete mica messi
insieme?», ipotizzò contenta.
«M-ma n-no!»,
balbettò Conan in preda all’imbarazzò e
scoccò uno sguardo truce ad Ai.
«E allora si può sapere
cosa mi dovete dire?», domandò incrociando le
braccia sotto il seno.
«Be’, fra meno di una
settimana arriverà Shinichi dagli Stati Uniti»,
rispose Ai ammiccando.
«Cosa?!», gridarono
all’unisono Conan e Ran. A quest’ultima gli occhi
le diventarono lucidi.
« Be’, ci vediamo.
Conan ripassa la parte, l’ultima volta alle prove non hai
dato il meglio di te.
Eri come dire… pessimo»,
aggiunse
uscendo.
Appena la porta
dell’agenzia investigativa si chiuse, si sentì
Conan dire ad alta voce: «Ha
parlato la regina delle fate. Almeno lei ha una parte dignitosa. Ma Bottom…»
Ai, dopo cena, non
riusciva letteralmente a dormire. Non sapeva se riprendere la sua vera
identità, quella di Shiho Miyano, e cercarsi un lavoro o
mantenere quella di Ai
Haibara, la dolce studentessa delle elementari e vivere
l’infanzia negata. Ma
al momento aveva anche altri pensieri per la mente, doveva pensare alla
recita
scolastica: Sogno di una notte di mezza
estate in cui impersonava la regina delle fate, la bella e
affascinante
Titania. Non l’aveva scelta lei la parte, era stata decisa da
tutta la classe
perché pensavano che Ai avesse la maturità adatta
a impersonare quel
personaggio tanto importante. Poi Mitsuhiko si è proposto per
il ruolo di
Oberon, l’autoritario re delle fate e sposo di Titania; Ai
pensava che si fosse
candidato per provare la sensazione di essere suo marito ‒ anche se per
finta. Genta voleva
interpretare Puck, noto anche col nome di Robin Goodfellow il folletto
dispettoso, e Ayumi la bella Elena, nella speranza che Conan scegliesse
la
parte di Demetrio o perlomeno quella di Lisandro. Conan non era molto
interessato nella scelta dei personaggi e così si
è dovuto beccare Bottom.
Nessuno lo voleva interpretare, di certo apparire davanti ai propri
genitori
sul palcoscenico con una testa d’asino non era proprio un
gran spettacolo. Ma
Conan non badava ai suoi genitori, che erano negli Stati Uniti, ma a
Ran.
Infatti, chiese immediatamente alla maestra se poteva interpretare un
altro
personaggio; domandò persino di interpretare una fata. Ma la
maestra era
irremovibile. Così si dovette imparare la parte, ma alle
prove era veramente
pessimo. Quello che faceva non era recitare ma dire parole senza un
minimo di
enfasi. Ma una cosa che gli aveva detto Ai lo fece cambiare.
«Se continui di
questo passo, il nostro Nick Bottom invece di essere un tipo allegro e
presuntuoso sarà un tipo noioso», disse Ai con
noncuranza l’ultimo giorno di
prove. «Fallo almeno per Ran. Credo che vorrebbe vedere un
formidabile Conan
Edogawa, non è così Shinichi Kudo?».
«Be’… ma prova tu a
portare una testa d’asino», sbottò
Conan. «Preferisco di gran lunga le ali di
stoffa. Comunque hai pensato a quella cosa?»,
sussurrò per non farsi sentire da
Ayumi, Mitsuhiko e Genta.
«Allora, lo farai per
Ran?», chiese Ai, ignorando la domanda di Conan.
«Non ti conviene fare una
pessima figura. Quando sarà finita la scuola, prenderai
l’antidoto e le
racconterai tutto. Di sicuro non pensava che Shinichi potesse recitare
così
male. Quindi in questi due giorni che ti restano prima dello
spettacolo,
impegnati!», lo esortò.
Conan rimase
spiazzato, dato che non aveva mai pensato che una volta finito
quest’anno di
scuola avrebbe dovuto raccontare tutto a Ran e si decise quindi di
mettercela
tutta. No, che non ci pensava ‒
anzi ci pensava dal primo giorno in cui si ritrovò nel corpo
di un bambino di
sette anni ‒ ma non
aveva messo in considerazione che una volta tutto, lei avrebbe
collegato Conan
a Shinichi. E fare una figuraccia davanti a Ran sapendo che da
lì a poco
avrebbe saputo che lui era Shinichi non era proprio uno spettacolo.
I due giorni che
precedevano lo spettacolo Conan si impegnò al massimo, dando
fondo a tutta la
sua determinazione. La sua recitazione stava migliorando ora dopo ora:
il
Bottom noioso dell’inizio diventò allegro e
vanitoso. Anche la parte in cui cantava
migliorava nonostante fosse stonato peggio di una campana: non aveva
mai
provato quella scena a scuola.
Ai venne il giorno
prima della recita per sentire Conan cantare, in un certo senso
cantare: urlava
a squarciagola le parole senza intonazione, ma almeno era meglio
dell’inizio.
«Non va bene. A Il merlo, becco
giallo e piuma nera, il
tordo, la leggiadra capinera, il vispo cardellino, dal gaio pennacchino
e
ancora Il fringuello, il passero,
l’allodola… devi ‒ e
sottolineo devi ‒ fare le pause! E
poi non devi
respirare a chi si metterebbe ma a
discutere. La frase dopo: deve
essere un
sussurro etereo. Quante volte te lo devo dire?», lo
incalzò Ai.
Conan, cercando di
mettersi a mente i consigli dell’amica per la settima volta,
si raddrizzò e
inspirò, e mentre si concentrava sulla modulazione della
voce, attaccò: «Il merlo,
becco giallo e piuma nera, il
tordo, la leggiadra capinera, il vispo cardellino, dal gaio
pennacchino…».
«Quale angelo mi sveglia dal mio
letto fiorito?», disse Ai nelle
vesti di Titania in un sussurro impercettibile.
«Il fringuello, il passero,
l’allodola, il semplice cuculo grigio la cui
nota più di un uomo sente e non osa rispondere
“no”. E difatti chi si
metterebbe a discutere con un uccello così sciocco? Chi
darebbe la smentita a un
uccello che fa tutto il tempo “cucù”?».
Ai non proferì
parola. Era sorpresa della recitazione di Conan, migliorata in
così poco tempo.
«Basta così»,
dichiarò Ai poggiando il copione sul tavolo, lasciando Conan
in piedi al centro
della stanza un po’ stupito. Ai si mise la borsa sulle spalle
e andò verso la
porta d’ingresso.
Conan ripresosi dal
comportamento della sua amica la fermò in tempo prima che
potesse aprire la
porta. «Ma non finiamo la scena?», chiese.
Ai rimase un attimo
attonita. Si guardò il polso stretto nella presa di Conan,
poi rispose: «Be’,
la vedrai domani, la mia recitazione»,
e sorrise, aprì la porta e se ne andò lasciando
Conan sulla soglia.
Ai mentre si dirigeva
verso la casa del professor Agasa si guardò il polso
più volte e si chiese se
fosse stato un male non aver provato la scena almeno una volta prima
dello
spettacolo.
Erano le sei meno un
quarto e la recita sarebbe cominciata quindici minuti dopo. Ai era
seduta
davanti allo specchio, già vestita in un abito stile impero
rosa pallido con le
ali di seta di un bianco candido con riflessi rosati e a cingergli il
capo una
coroncina di alloro e fiori di ciliegio. Contemplava la propria figura
allo
specchio e non poteva credere a come Ayumi ci tenesse a questo
spettacolo. Lei
aveva fatto la coroncina di alloro e fiori di ciliegio e anche le
alucce di
stoffa. Le aveva fatte a tutte le fate e aiutò anche nel
costume di Bottom
ritoccando la testa d’asino.
Ai si prestava a
mettere le scarpette bianche, quando Ayumi entrò nel
camerino con indosso un
abito azzurro.
«Mancano dieci
minuti!», gridò di gioia la piccola Ayumi correndo
verso Ai, ma fermandosi
appena la raggiunse: le stava osservando i capelli.
«Hai messo male la
corona d’alloro», l’ammonì
prendendo la spazzola e pettinando i capelli di Ai
poi le mise la coroncina, questa volta come voleva lei: leggermente in
basso
dietro. «Ecco fatto!», disse mentre la guardava
attraverso lo specchio.
Ma Ai non
l’ascoltava, era assorta nei propri pensieri. Ancora non
poteva credere che tra
meno di dieci minuti sarebbe iniziato lo spettacolo e che una volta
finito
avrebbe dato una risposta a Conan. Ma non sapeva quale dargli. Voleva
tornare
Shiho Miyano o condurre la vita come Ai Haibara e dimenticare il
proprio
passato? Non lo sapeva ma una cosa era certa: doveva dire quella cosa, prima che lui ritorni
Shinichi Kudo.
Lo spettacolo era
cominciato e si percepiva benissimo che tutti i bambini erano
più che agitati
dietro le quinte. Ayumi continuava a inspirare e espirare aria,
Mitsuhiko si ripassava la parte a mente cercando di coprirsi il viso
tutto rosso
ma invano e Genta stava mangiando un pacchetto di patatine alleviando
così
l’ansia. L’unica che riusciva a restare calma era
Ai che non era affatto
preoccupata dello spettacolo ma per quello che sarebbe successo dopo lo
spettacolo. Era seduta in un angolino con la testa china e le mani
serrate
sulle gambe decisa a non angosciarsi. Almeno durante lo spettacolo glielo avrebbe detto.
«Non fare quella
faccia!», disse Conan ad Ai. «Pensa a me,
piuttosto. Sono un asino!».
Forse l’intenzione di
Conan era quella di rallegrare Ai, comunque ci riuscì
perché sul suo volto si
dipinse un dolce sorriso.
«Tra poco tocca te!»,
esclamò Conan porgendo la mano a Ai che
l’afferrò e si alzò.
Sussurrò un
piccolo grazie e andò verso le quinte; Conan la vide
finché non entrò sul
palco. Si sedette nell’angolino dove prima si era seduta la
sua amica, finché
non venne il suo turno.
A metà della recita il
cuore di Ai cominciò a battere all’impazzata: la
scena che non aveva mai
provato con Conan era arrivata.
Era sdraiata al
centro del palco ed era cosparsa di petali. Cercava disperatamente di
placare i
battiti del suo cuore, ma invano. Temeva che gli spettatori potessero
sentire
il suo cuore martellare, ma nessuno fiatò.
Sentì poi Conan attaccare:
« Il merlo, becco giallo e piuma
nera, il
tordo, la leggiadra capinera, il vispo cardellino, dal gaio pennacchino».
Ai si diede forza e
aprì gli occhi. Si trovò davanti Conan con la
testa d’asinello, ma non le venne
per niente in mente di mettersi a ridere. No, Ai sorrise.
«Quale angelo mi sveglia dal mio
letto fiorito?», domandò in un
sussurrò etereo mettendosi a sedere.
Conan continuò a
cantare: «Il fringuello, il passero,
l’allodola, il semplice cuculo grigio la cui nota
più di un uomo sente e non
osa rispondere “no”. E difatti chi si metterebbe a
discutere con un uccello
così sciocco? Chi darebbe la smentita a un uccello che fa
tutto il tempo
“cucù”?».
Aveva finito di
cantare e Ai lo stava per dire.
Inspirò a fondo mentre si concentrava
sull’intonazione della voce e nel tono
più sincero e innamorato che trovò gli disse:
«Ti prego, gentile mortale, canta
ancora! Il mio orecchio s’è innamorato
del tuo canto e il mio occhio è rapito dalla tua figura. La
forza della tua
bellezza mi costringe al primo sguardo a dirti, anzi a giurarti, che
t’amo».
Gliel’ha detto. T’amo.
E lei non recitava affatto. Aveva
infatti gli occhi un po’ lucidi. Mentre diceva quelle parole aveva deciso.
«Mi sembra, signora, che ne abbiate
scarsa ragione, ma tanto, a dire la
verità, oggigiorno ragione e amore non vanno tanto
d’accordo ‒ ed è un vero peccato che non ci sia
un uomo onesto che li faccia tornare amici. All’occasione so
anche fare lo
spiritoso», rispose
Bottom camminando intorno a Titania.
«Sei saggio quanto bello»,
affermò lei.
«Non direi, ma se avessi abbastanza
spirito per uscire da questo bosco,
ne avrei qual tanto che serve».
«Non desiderate di uscire da questo
bosco!», lo implorò Ai.
Conan rimase sorpreso
dalla sua interpretazione, sembrava che non recitasse. Sembrava
realtà. O era realtà?
«Che tu lo voglia o no rimarrai qui»,
proseguì Ai. «Io sono uno
spirito di rara qualità.
L’estate è al mio servizio, e t’amo.
Perciò vieni con me. Metterò fate al tuo
servizio che ti porteranno gioielli presi in fondo al mare e canteranno
per te
che dormi su un giaciglio di fiori. Raffinerò la tua natura
grossolana, ti
muoverai come uno spirito nell’aria. Fiordipisello,
Ragnatela, Bruscolo e
Senape!».
Lo spettacolo era
finito. E Ai gliel’ha detto. La
forza
della tua bellezza mi costringe al primo sguardo a dirti, anzi a
giurarti, che
t’amo. Che tu lo voglia o
no rimarrai
qui. Io sono uno spirito di rara qualità. L’estate
è al mio servizio, e t’amo.
Perciò vieni con me.
Ai sperava che avesse
capito, che non stava recitando. In
fondo era un detective e questo forse era il caso più palese
che avesse mai
affrontato.
Si tolse la corona
d’alloro e l’appoggiò sulle gambe. Prese
la spazzola dal ripiano e cominciò a
pettinarsi i capelli. Sospirò e cercò di
togliersi le ali senza romperle quando
qualcuno aprì la porta del camerino: era Conan che si
voltò all’istante.
«Scusami!», strillò
il bambino mentre le sue orecchie diventarono scarlatte.
Ai sorrise. «Non mi
stavo spogliando se è questo che stai pensando,
detective».
«Oh! Be’…», Conan si
girò. «Volevo chiederti… stavi
recitando?».
Ai rimase un momento sorpresa.
Poi rispose: «Sei un detective. Dovresti saperlo?».
«Non…L'amore è una
questione emotiva… e che non è per nulla
compatibile con la razionalità!»,
ribatté. «Comunque, ho un’altra domanda
che tu sai».
«No», replicò secca.
«No… cosa?».
«No. Non ridiventerò
Shiho Miyano. Vorrei scordare il mio passato e vivere la mia infanzia. La mia infanzia negata. Essere una
bambina delle elementari nei panni di Ai Haibara è il mio
più grande desiderio.
Perciò non chiedermi di prendere
l’antidoto», gli chiese sorridendo, anche se
quello era un sorriso dall’aria mesta.
«Oh! Avrei dovuto prevederlo»,
sorpreso Conan pensava veramente
che
volesse diventare adulta. «Be’, perché
non vieni? Ci sono tutti i genitori.
Perfino i miei».
«Dimentichi che i
miei sono morti. E in ogni caso vorrei restare qui», disse
specchiandosi.
«Come vuoi», ribatté,
chiudendo la porta dietro di sé.
Ai si guardava allo
specchio assorta nei suoi pensieri. Lei non ce l’aveva una
famiglia, tutta
colpa dell’organizzazione degli uomini in nero. Prima i suoi
genitori, Atsushi
e Elena, poi sua sorella Akemi. Ben presto il suo volto fu rigato da
lacrime.
Cercò di trattenere i singhiozzi ma non ce la fece. Aveva
soffocato per troppo
tempo le ingiustizie che le erano capitate. Ora la sua famiglia era il
dottor
Agasa e sarebbe diventata una bambina qualsiasi. Avrebbe frequentato le
elementari, le medie e infine il liceo insieme a Ayumi, Mitsuhiko e
Genta. E poi
avrebbe condotto la vita da sola senza dover essere una marionetta
nelle mani
di un’organizzazione di loschi criminali. No, sarebbe
diventata libera.
Non sarebbe più
legata a Conan: lui avrebbe preso l’antidoto, lei no. E
così, come scrisse
Conan Doyle, Irene Adler fuggì da Sherlock Holmes. Ma questa
volta era il
detective a scappare.
Si alzò asciugandosi
le lacrime e si diresse verso la porta che aprì. Doveva
andare verso il palco
dalla sua famiglia. Dal dottor
Agasa,
da Ayumi, da Mitsuhiko, da Genta, da Ran e da Conan.
Conan…
Se lo ritrovò davanti
alla porta quando l’aprì e Ai rimase paralizzata.
«Sapevo che prima o
poi saresti uscita», disse ammiccando.
«Conan…», non
completò la frase che cominciò a singhiozzare
silenziosamente.
Il bambino la
circondò tra le sue braccia: si era aperta come con sua
sorella Akemi; rimasero
così per dei minuti in cui Conan cominciò ad
accarezzare i capelli dorati di
lei.
«Ah! Eravate qua!»,
gridò Ayumi con tono rimproverante.
Ai e Conan si
staccarono. La bambina si girò per non farsi vedere da Ayumi
e si asciugò le
lacrime.
Quando si voltò venne
investiva da una chioma castana: Ayumi la stava abbracciando ed ora era
lei che
stava piangendo.
«L-lo sai che C-conan
vuole p-partire per gli S-stati uniti?», disse tra i
singhiozzi.
Ai lanciò uno sguardo
interrogativo a Conan, il quale cominciò a muovere la bocca:
dopo.
Conan era partito per
gli Stati Uniti insieme ai signori Kudo e l’aeroporto
diventò un fiume di
lacrime. Ran, Mitsuhiko, Genta, Ayumi piansero; perfino Goro
versò una lacrima,
dopotutto si era affezionato a un ficcanaso nelle sue indagini. Solo
il
professor Agasa e Ai non piansero. Il primo sapeva benissimo che poi
sarebbe
ritornato nei panni del detective liceale del est, Shinichi Kudo per
non dare
nell’occhio. Avrebbe preso l’antidoto una volta
all’estero poi sarebbe
ritornato.
E Ai sapeva che Conan
Edogawa era sparito per sempre. E
niente sarebbe riuscito a riportarlo indietro.
Sherlock Holmes era
fuggito. Non Irene Adler, non Ai.
Salutarono Conan con
la mano, gridando: «Ciao!», oppure, «Ci
vediamo presto».
Ma Ai nella mente
pensava solo addio.
Quell’avventura era finita
per sempre. E forse Ai un
giorno rimpiangerà i giorni in cui
l’organizzazione nera era a piede libero, o
forse no.
Dopo un paio di
giorni arrivò l’aereo dagli Stati Uniti in cui
c’era Shinichi Kudo. Ed eccolo
sbucare dalla scala mobile. Ran fu la più veloce e gli
saltò al collo.
Il detective barcollò
e cercò di allentare la presa dell’amica ma
invano. «Ran mi soffochi!».
La ragazza sciolse
l’abbraccio e le sue guance le si imporporarono, si fece da
parte in modo che
gli altri potessero salutarlo. Ma era visibilmente contenta.
Heiji abbracciò
l’amico come se non l’avesse visto per mesi, anche
se sapeva benissimo che era
il piccolo mocciosetto con gli occhiali, quindi cercò di
recitare la sua parte.
«Voi dovete invece essere
gli amichetti di Conan? Mi ha parlato tanto di voi», disse
Shinichi radioso ai
bambini.
«Davvero Conan ti ha
parlato di noi? E che ha detto?», domandò Ayumi
curiosa.
«Be’… che siete dei
bravi ragazzi e che non dovete mai smettere di fare i detective e di
non
preoccuparvi. Ah! Ha detto anche che se avete dei problemi nei vostri
casi non
esitate a chiedermi consiglio».
«Allora Conan sta
bene!», commentò Ayumi. «Speriamo che i
nuovi compagni non siano cattivi».
«Già», mormorarono
Genta e Mitsuhiko mesti.
«Be’, se la caverà»,
cercò di rallegrarli Ai. «Comunque, bentornato. Sherlock Holmes!», disse Ai
porgendo la mano a Shinichi.
«Grazie, Sherry!».
Nessuno capì quel
gesto, solo il professor Agasa che sapeva il nome in codice di Ai.
Ma dopo, quando
Shinichi raccontò tutto a Ran e a Kogoro, anche loro
compresero perché Sherry.
E anche i bambini
vennero a conoscenza del segreto tra Conan e Shinichi. Il liceale non
voleva
che sapessero la verità. Ma Ai disse una cosa che
lasciò Shinichi a bocca
aperta: «Non eri tu che dicevi che ciò di cui
abbiamo davvero bisogno è la verità?».
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